31 dicembre 2022 | BREVE STORIA SOCIALE DELLA MITENI. NEI TERRITORI CONTAMINATI DA PFAS. UNA PRIMA TRACCIA PER IL FUTURO

1 year ago 493

di Alberto Peruffo

In occasione di un importante contributo per un articolo a più mani scritto con i professori del Centro Diritti Umani, Università di Padova, è stato chiesto al nostro coordinatore di redazione di stendere una «Breve storia sociale della Miteni» utile ad uno studio socio-economico di più grande respiro che coinvolgerà anche il caso americano DuPont. L’articolo uscirà prossimamente sui Quaderni/Riviste del Mulino. Riportiamo qui la traccia integrale, che lasceremo aperta per future integrazioni/revisioni/annotazioni documentali, di modo da offrire a tutte le parti coinvolte, nella vicenda umana e processuale, elementi cronologici e d’insieme, in itinere, utili anche per future ricerche e valutazioni.

In questa prima breve storia aziendale – la “prima” che compare in forma organica [e ipertestuale*] – si è cercato di ricostruire con documenti storici condivisi il contesto sociale ed ecomomico che ha visto nascere e morire l’azienda di Trissino responsabile della più grande contaminazione delle acque potabili e irrigue del mondo occidentale, senza quindi trascurare le condizioni particolari – generali e contingenti – che hanno portato al più grande processo per reati ambientali nella storia d’Italia, in corso.

Diversamente dalla narrazione politica che fa del Veneto la “terra dei fortunati”, la storia della Miteni sembra dimostare il lato oscuro del Veneto Felix, travolto da un banale ottimismo del fare senza limite alcuno, fatto di belle speranze, primati, eccellenze, pratiche e proclami che non prendono in considerazione gli scarti di molte incommensurabili “fortune”, purtroppo elitarie e clientelari, che creano “sfortunati e infortunati”, quotidianamente. Sul lavoro e nel dopolavoro. Nei paesi e nelle città dove viviamo. Esempi eclatanti di queste narrazioni forzate, alterate nei risultati storici, sono il caso Zonin con il fallimento della Banca Popolare di Vicenza e oggi il castello sociale e finanziario del Conte Giannino Marzotto, destinato a crollare appena si sarà tolto l’ultimo tassello sui cui si reggeva: l’oro alchemico dei PFAS.

L’oro “svenduto” perché divenuto tossico, pericoloso, che si diffuse poi in tutta la valle dell’Agno e del Chiampo – assieme ad altri surplus tossici dell’aziendalismo estrattivo tipico delle nostre valli ricche di risorse naturali – drogando irreversibilmente le relazioni di comunità, addomesticando tutto e tutti, creando cittadinanze passive, indebolendo le stesse istituzioni democratiche, le loro tutele e garanzie, per consegnarci ciò che oggi ritroviamo come scarto, in forma di cancro, reale e simbolico, nell’intestino molle dei nostri territori, nei beni primari avvelenati: l’acqua, il cibo, l’aria. Nell’intestino dei nostri corpi.

Noi abbiamo fiducia che con la storia della Miteni e dell’effetto domino che essa sta generando contro la logica dell’industria multi e transnazionale, nel cuore chimico-tecnologico del capitalismo avanzato che violenta ovunque i territori, un capovolgimento di paradigma sia iniziato. «Non c’è bellezza senza giustizia» diceva la grande fotografa Letizia Battaglia nel titolo della sua memorabile esposizione contro la mafia e l’ingiustizia sociale e ambientale. Qui da noi, anni fa. Nel cuore malato del Nordest.

Da questo pensiero, da questa storia, una rinascita.
Buona lettura.

Comitato di Redazione PFAS.land

+++
[la versione in PDF, aggiornata, si può stampare mediante il pulsante “stampante” in calce]

Il Maresciallo del NOE Manuel Tagliaferri accompagna Marcos Orellana, inviato speciale dell’ONU presso la Miteni, 4 dicembre 2021 – Foto di Federico Bevilacqua

+++

+

BREVE STORIA SOCIALE DELLA MITENI
nei territori contaminati da Pfas

di Alberto Peruffo

«We wish to invite you to our territories devastated by one of the most dramatic pollution situations in the Western world caused by toxic substances that have entered our bodies through drinking water, food and motherhood».

Il caso Miteni, divenuto uno dei casi più impressionanti a livello internazionale di crimine ambientale, in “zone di sacrificio ad alto reddito”, formula proposta recentemente durante la Conferenza Transdisciplinare sui Pfas al Palazzo del Bo, Università di Padova, può essere ben introdotto dalle righe di apertura che hanno mosso l’Alto Commissariato per i Diritti Umani nel dicembre 2021. La Missione dell’Onu coordinata dallo Special Rapporteur sulle sostanze tossiche, Marcos Orellana, ha attestato la violazione dei diritti umani nel Veneto centrale, regione iperproduttiva, ad alto reddito, esempio eloquente del fallimento sociale del modello economico occidentale. In questa regione si produce molta “ricchezza a fondo perduto”, senza pensare al futuro ecologico dei propri figli. Al futuro del pianeta.

La storia dell’azienda inizia nella bellissima Valle dell’Agno, ricca di acque, ai piedi delle Prealpi Venete di Recoaro, famosa per le industrie tessili della Famiglia Marzotto, fondate negli anni Trenta dell’Ottocento, la stessa famiglia promotrice della Città sociale e di un’industria alleata al popolo, che presto dimenticherà il suo mandato sociale, proprio agli inizi della grande accelerazione che l’industrializzazione globale dei prodotti e dei consumi stava per portare in tutto il “primo mondo”, nei primi anni Cinquanta del Novecento: l’’incipit dell’Antropocene secondo l’Anthropocene Working Group.

Un ritratto del Conte Giannino Marzotto a pochi passi dai terreni della Rimar-Miteni durante una rivelatrice intervista l’anno prima della morte, comparsa su Il Giornale, Trissino 2011 – Archivio Il Giornale Stefano Lorenzetto

Il retro delle scuderie Marzotto, Trissino 2020 – Foto di Marco Milioni Archivio COVEPA

Siamo nel pieno dell’Italian economic miracle, il boom che coinvolgerà in prima linea le manifatture del Veneto. A metà degli anni Sessanta, il conte Giannino Marzotto, per dare ancora più lustro e appeal economico alle industrie tessili familiari dell’alta Valle dell’Agno, attratto dalle scoperte scientifiche in campo chimico, decide di aprire un piccolo laboratorio di ricerche per il trattamento dei tessuti nelle scuderie della sua Villa, a Trissino, cittadina di media valle. Qui verranno studiati i primi prodotti antimacchia, oleo e idrorepellenti, giunti in Italia dalla ricerca militare statunitense, impegnata in Vietnam, che diverranno poi protagonisti del nascente comparto commerciale del fine chemicals. La nuova attività prenderà il nome evocativo di Ricerche Marzotto S.p.A., abbreviato nel nome aziendale Ri.Mar., con base nella parte alta del paese. Corre l’anno 1965 e già l’anno successivo un incidente provoca la fuoriuscita di una nuvola di acido fluoridrico che rinsecchisce la vegetazione sul fianco della collina, quindi il 22 agosto del 1966 il sindaco, notaio Luciano Rizzi, su pressione del parroco, che vive adiacente alle scuderie, emette l’ordinanza di sospensione dell’attività della nuova azienda. La quale, senza perdere tempo, nel gennaio del 1967, sarà spostata in un nuovo stabilimento, in pianura, qualche chilometro più in basso, sempre nelle proprietà Marzotto.

La sostanza che si tentava di produrre a livello industriale nelle scuderie – da cui uscì uno dei precursori, l’acido fluoridrico – causa del primo incidente e ancora sconosciuta ai più, è un derivato del fluoro dal nome astruso, un perfluoroalchilico che presto riconosceremo sotto l’acronimo PFOA, ma che già allora veniva «designato con la sigla APO», il perfluoroottancarbossilato di ammonio che scaricato in acqua diventava l’acido perfluoroottanoico, il prodotto sintetizzato dalla 3M per la prima volta nel 1947 e venduto alla DuPont per il celeberrimo Teflon dal 1951.

Il sito MITENI alla fine della Valle dell’Agno, con il torrente Poscola sulla destra orografica, Trissino 2021 – Foto di Federico Bevilacqua

La nuova azienda – futura MIT-ENI – si colloca ai piedi delle colline di Montecchio, in zona valliva pianeggiante dove avviene la ricarica della falda indifferenziata, che più a valle alimenta le falde in pressione dalle quali i pozzi attingono l’acqua distribuita a scopo idropotabile, commettendo in tale “allocazione” un errore storico di portata epocale. Oltre ai Pfas di prima generazione – di cui diverrà leader mondiale insieme alla 3M con una produzione annuale di 12 tonnellate di APO/PFOA nel 1970 – inizia la produzione dei nitroalogenoderivati (NAD) che comprendono il BTF, benzotrifluoruro (base di pesticidi e fitofarmaci), come alternativa economico-produttiva agli stessi perfluoroalchilici, di cui già iniziano a trapelare la pericolosità grazie allo scambio di informazioni con i laboratori americani. Non c’è dubbio:  l’alchimia vale oro – 1 chilo di Pfas viene venduto al valore di mezzo chilo di oro – ma produce malattia, patologie, morte. Questo è ciò che dicono gli studi sperimentali fatti sugli animali dagli scienziati della DuPont e della 3M. Passano solo pochi anni, quando nel 1974 iniziano ad emergere nuovi problemi di contaminazione, denunciati questa volta da concerie a valle che non riescono a lavorare le pelli a causa di sversamenti non ben identificati a monte. Con ordinanza numero 64 il sindaco Pro tempore del Comune di Trissino ordina la chiusura di alcune nuove vasche costruite dalla Rimar per gestire gli scarti di produzione, dopo aver verificato che il terreno attorno è contaminato. È il preludio alla grande contaminazione dei fine anni 70.

La storica pagina del Giornale di Vicenza, addì 14 settembre 1977 – Archivio Vittorio Rizzoli

Sconcertante il titolo a piena pagina – L’acqua? Non è buona neanche per le bestie – che appare sul maggiore quotidiano locale nel settembre del 1977. L’acqua di molti comuni è contaminata. Non si può berla né attingerla per scopi alimentari. Gli acquedotti di Sovizzo e Creazzo vengono chiusi per avvelenamento delle acque da BTF causato dalla Rimar. Pure Monteviale e Altavilla sono a rischio. Il Giornale di Vicenza annuncia l’arrivo di autobotti militari SETAF dalla Caserma Ederle americana.  È il 14 settembre del 1977. Viene coinvolta anche l’adiacente Valle dell’Onte, nella frazione di Valdimolino, dall’altra parte della dorsale collinare di Montecchio Maggiore, dove una grossa sorgente carsica porta le acque della valle dell’Agno direttamente nel fiume Retrone, verso la pianura di Vicenza. Il geologo Giorgio Bartolomei pubblica un testo e una mappa datati 23 febbraio 1978 dove si apprende la diffusione dell’inquinamento chimico e conciario, sia verso Brendola, Sarego, coinvolgendo il campo pozzi idropotabili di Almisano, punto strategico di adduzione, sia verso Creazzo e Sovizzo, in direzione di Vicenza. Nella primavera del 1979 alcuni pozzi del capoluogo vengono chiusi e inizia il lavoro di allacciamento dei comuni contaminati alla rete di Novoledo, nella pianura vicentina ad est delle valli compromesse.

La Rimar interrompe le attività per 14 mesi e viene portata a processo. Il Conte Marzotto sarà assolto con un escamotage giuridico, mentre l’azienda ne approfitta per mettere in atto «un considerevole ampliamento delle celle elettrolitiche». Siamo nel 1979. Per un po’ di anni tutto tace fino al 1985 quando entra in società la ENICHEM SYNTHESIS S.p.A. e qualche anno dopo la MITSUBISHI ITALIA S.p.A. (controllata della MITSUBISHI CORPORATION) per formare una joint venture, la MIT-ENI S.r.l., costituita con atto numero 314626/13821 di repertorio depositato il 7 marzo del 1988 (giorno di uscita di Giannino Marzotto), società che nel 1992 diverrà MITENI S.p.A., la protagonista di questa storia. Sono gli anni grigi del passaggio da Rimar a Miteni, anni in cui vengono interrati rifiuti lungo la Poscola e il nome della Miteni compare tra i carichi delle motonavi tedesche Linix e Zanoobia che trasportano peci flurorurate verso l’Africa e il Sudamerica. L’ombra della mafia internazionale e del traffico criminale di rifiuti tossici sfiora l’azienda, che continua tuttavia a produrre indisturbata, anche dopo il passaggio di proprietà. Ma le norme ambientali stanno per cambiare.

Relazione Parlamentare Traffico Internazionale Rifiuti Navi dei Veleni Anni ’80 e ’90 – Archivio Documenti Camera

Nel 1994 la Miteni entra a far parte delle «aziende insalubri di prima classe» ed è una delle prime attività industriali del Veneto ad essere sottoposta sotto Direttiva Seveso, con codice NF011. È considerata infatti tra le più pericolose di tutta la regione proprio per la notevole presenza dei fluoroderivati nelle attività in essere o previste. Nel 1995 il consigliere provinciale di Democrazia Proletaria Luciano Ceretta, di Montecchio Maggiore, è il primo politico a presentare un’interrogazione alle autorità preposte alle autorizzazioni ambientali e sulla deroga concessa all’azienda per lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi «in conto proprio», ossia a fondo perduto, con scarico diretto delle acque di processo nella Poscola, un torrentello spesso secco. Una deroga di ulteriori cinque anni, dopo il laissez faire degli anni precedenti. La Provincia risponde che non è affare suo, ma della Regione e del Ministero. Tutti si lavano le mani, reciprocamente. Nel 1996 Mitsubishi Corporation acquisisce totalmente la società (91% Mitsubishi, 9% Jemco), aumentando di molto la disponibilità di capitale finanziario transnazionale.

La prima pagina [qui le altre due] dell’interrogazione di Luciano Ceretta [da notare che si chiede conto pure delle emissioni in atmosfera, oggi sotto indagine presso Chemviron di Legnago, ndr] – Archivio Luciano Panato

Nel 2000 un nuovo documento di carattere ambientale – SAMPAS – commissionato dalla Regione Veneto inerente le politiche partecipative in difesa delle acque non fa alcun riferimento all’incidente del 1977 e nega di fatto che la contaminazione da BTF abbia interessato gli acquedotti. Tutto sembra procedere sotto il silenzio delle istituzioni.

Nel 2003 parte il Progetto Giada nelle Valli del Chiampo e dell’Agno da fondi comunitari, coordinato dall’Ufficio Ambiente della Provincia di Vicenza. Al documento partecipano esperti come il Dottor Lorenzo Altissimo, chimico Direttore del Centro di Novoledo, già intervenuto per l’emergenza del 1977-78 presso la Rimar. Lo studio si chiuderà nel 2010 con una pubblicazione di indubbio valore dove si riporta un evidente aumento dell’inquinamento di BTF e di altre sostanze prodotte dall’attuale Miteni. Tra i documenti allegati compare lo studio del Dott. Roberto Lava, in forza all’Arpav. L’agenzia regionale, tuttavia, non farà alcun approfondimento di quanto emerso dai documenti.

Ed è proprio tra il 2003 e il 2010 che si riscontra il più grande “buco nero della questione Miteni avvenuto tra gli uffici della Regione Veneto, che coinvolge Genio Civile e Arpav, lacuna documentale non ancora risolta e per la quale è stato chiesto l’intervento della Procura per reato di corresponsabilità nell’avvelenamento di massa, ancora in corso. Si tratta della oramai celebre “barriera idraulica” mai vista dagli enti controllori, nonostante l’evidenza dei silos e dei pozzi, progetto regolarmente comunicato dalla nuova proprietà dell’azienda nel 2005, su consulenza della ERM, per ragioni di ottemperanza alla nuova edizione della certificazione ambientale ISO 14001.

Il documento Barriera Idraulica consegnato alla Regione Veneto ancora nel 2005 – Archivio PFAS.land [qui tutti i dettagli sul concetto di corresponsabilità Barriera]

La Miteni deve così installare una barriera idraulica per contenere l’inquinamento in falda da parte delle sostanze di produzione, i derivati del fluoro, siano essi PFAS o BTF, riscontrati dalla ERM. Per farlo è necessaria una domanda alla Regione Veneto. Il progetto della barriera viene allegato alla missiva firmata dall’ingegnere Mario Fabris, direttore tecnico Miteni, ricevuta con numero protocollo 285805 il 19 aprile 2005 dall’ufficio regionale preposto alla cura delle acque, il Genio Civile, Ufficio di Vicenza, il quale avviserà gli uffici competenti e l’Arpav per l’uscita di verifica. La notifica del progetto sarà ricevuta anche dal sindaco Vinicio Perin. L’Arpav esce a sigillare i pozzi nel 2006 e non parla mai di barriera idraulica, ma solo di pozzi di emungimento, nonostante la presenza della batteria di silos contenenti carboni attivi a poche decine di metri dagli stessi pozzi. Negli anni successivi (2007, 2009, 2010) l’Arpav entra in Miteni senza mai segnalare la presenza della barriera, la quale sarà giudicata insufficiente e da rinforzare nel 2009, sempre su perizia della ERM, che riscontrerà un serio peggioramento rispetto al 2005. Ricordiamo che la Miteni è azienda sotto direttiva Seveso dagli anni Novanta ed è responsabile della contaminazione di derivati del fluoro negli anni Settanta. I dirigenti dell’Arpav negheranno, interrogati in diverse commissioni istituite dopo l’emergenza del 2013, che i pozzi di emungimento siano pozzi barriera, equivocando spesso il termine “emungimento”, dissociandolo dalla funzione di contenimento, dalla filtrazione. Per filtrare l’acqua invece bisogna emungerla, comunque.

Nel 2009 ICIG– The International Chemical Investors Group (ICIG), la multinazionale belgo-tedesca WeylChem – acquisisce da Mitsubishi il controllo della Miteni alla cifra simbolica di 1 euro. Lo scoprirà Greenpeace nel 2017. Appare evidente che è una specie di compravendita sospetta, inusuale, questa volta con i rischi a “fondo perduto”. Studi preliminari alla vendita, fatte da aziende specializzate in indagini ambientali, come la citata ERM, attestano lo stato “disastroso” della ditta, riportando studi precedenti e documenti retrospettivi fino al 1990 che mostrano l’inquinamento progressivo del sito, bisognoso di bonifica e di costi di ripristino molto onerosi, con tanto di stime e preventivi (superiori ai 5 milioni di euro). Il direttore Mario Fabris, informato della impressionante presenza di Pfas in falda, avrebbe chiesto di eliminare le prove, secondo quanto emerge oggi nel processo in corso. Nello stesso anno avvengono due fatti determinanti: l’UE inserisce il PFOS nel regolamento 790/2009 imponendone l’etichettatura come «Cancerogeno tipo 2, Reprotossico 1B, Tossicità acuta, Tossicità per i lattanti, Tossico cronico per gli organismi acquatici (P182)»; il CNR-IRSA, sulla base delle prime ricerche finanziate dalla UE, collegata alla ricerca PERFORCE iniziata nel 2006 in tutte le aste dei fiumi europei, trova i Pfas nel Po. Ci si sta avvicinando alle fonti di pressione.

Un salto indietro nella storia, prima della caduta: manifestazione di operai e sindacati Rimar fine anni 70 a Vicenza – Foto Archivio Enzo Ciscato rielaborata da PFAS.land

Il 5 maggio 2011 è la prima data storica della caduta della Miteni: i ricercatori CNR-IRSA Stefano Polesello e Sara Valsecchi entrano in Miteni e raccolgono campioni di acque di scarico che attestano una contaminazione gravissima, tra cui 4834 μg/l (4,8 milioni di ng/l) per il perfluorobutansulfonato (PFBS), la più alta concentrazione al mondo mai trovata. Ad accompagnarli è un tecnico Arpav. Lo stesso giorno fanno prelievi in altre due zone di Trissino e una a Cologna Veneta, vicino allo scarico ARICA, trovando concentrazioni molto alte. Il 30 ottobre del 2011 l’Assessore all’ambiente della provincia Walter Formenton informa a Cologna Veneta della VIA per l’ampliamento del Depuratore di Trissino «perché vi è un’azienda che scarica i suoi reflui direttamente nel torrente Poscola».

Bisogna aspettare fino al 2013 perché le autorità si muovano ufficialmente, subito dopo la pubblicazione dello studio IRSA-CNR sui Pfas nei bacini fluviali italiani dove, oltre il Po, vengono riscontrati altri inquinamenti (Arno, Tevere, Adige, Brenta). Sul Po le fonti riconducono alla Solvay di Spinetta Marengo, che portano direttamente alla fabbrica di cui è cliente e fornitrice allo stesso tempo, affine per prodotti, la Miteni di Trissino. Il 7 giugno 2013 con una circolare a tutte le autorità del Veneto la direttrice del Dipartimento di Ambiente e Prevenzione primaria dell’ISS, Loredana Musmeci, informa ufficialmente sulla “emergenza” Pfas. Spiega che «non è configurato, allo stato, un rischio immediato per la popolazione esposta», e raccomanda, tra l’altro, «corretti sistemi di comunicazione con cittadini, opinione pubblica e media» perché le misure di prevenzione «potrebbero essere percepite, invece, come azioni di risposta a un reale pericolo concreto per la salute pubblica già da tempo in essere». 

Il 4 luglio 2013 Arpav fa un campionamento di verifica in Miteni. L’11 luglio emette la prima nota ufficiale dove avvisa tutti gli enti locali dell’inquinamento da Pfas indicando la Miteni come principale responsabile. Nel comunicato compaiono campionamenti fatti sui pozzi collegati alla barriera storica, ancora non citata e non ufficialmente riconosciuta. Il 19 luglio l’Arpav entra ancora in Miteni e non parla ancora di barriera. Il 23 luglio del 2013 l’azienda si autodenuncia come «soggetto non responsabile», dichiarando il superamento delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) e la costruzione, ipso facto, di una “nuova” barriera idraulica, in coerente contraddizione con la barriera già operativa da diversi anni, non-vista dall’Arpav. Tutto avviene nel giro di poche decine di giorni. Il 9 agosto e il 10 settembre l’Arpav rientra in Miteni e “vede” la barriera, riportandola per la prima volta nelle note, barriera che poi l’azienda stessa proporrà di migliorare con lo studio Copernico. L’Arpav stessa solleciterà immediatamente la legge, con una denuncia depositata in Procura di Vicenza. Tutto sarà archiviato, senza sapere il perché. Gli attivisti cominciano a perdere fiducia nelle istituzioni.

La trascrizione ufficiale dell’ultima delle sette testimonianze del Maresciallo Manuel Tagliaferri al Processo Miteni, dove si parla della questione GenX/C6O4 sottoposta agli Enti ancora nel giugno 2017, Vicenza 6 ottobre 2022 – Archivio PFAS.land [qui tutti i dettagli sul concetto di corresponsabilità GenX/C6O4]

Ma il peggio deve ancora venire: nonostante l’emergenza Pfas dichiarata, nel 2014 le autorità confluenti nella Conferenza dei servizi – Regione, Provincia, Comune, Consorzio di Bonifica – concedono una nuova AIA alla Miteni, la quale passerà senza batter di ciglio amministrativo, con un escamotage tecnico illegittimo, dalla produzione dei Pfas di vecchia generazione a quelli di nuova generazione (GenX e C6O4, ricavati da rifiuti tossici). Nell’istanza di richiesta si scrive che non ci sarà nessuna modifica di impianto sostanziale, facendo passare le nuove sostanze del tutto simili alle vecchie, in fatto di produzione. Si scoprirà poi, da analisi congelate dei ricercatori CNR-IRSA, che la produzione è cominciata molto prima del 2014, specie del C6O4, già lavorato insieme con l’azienda gemella, la Solvay Solexis di Spinetta Marengo. La concessione di questa nuova autorizzazione alla Miteni in piena emergenza Pfas, senza un seguito di necessari controlli, avvenuti solo in prossimità della chiusura della fabbrica, dopo l’intervento dell’Olanda, sotto pressione degli attivisti, sono i fatti istituzionalmente più gravi nella storia dell’azienda e dell’inquinamento di questi territori. Per gli attivisti i poteri politici collegati alla Regione hanno coperto la Miteni.

Nel frattempo arrivano i primi timidi passi delle associazioni ambientaliste, con le prime conferenze pubbliche. Il 17 novembre del 2014 presso la sede di Legambiente Vicenza viene presentato un esposto sulla questione Pfas consegnato alle procure di Verona e di Vicenza redatto dall’avvocato Enrico Varali del CEAG (Centro di azione giuridica di Legambiente) sottoscritto da Legambiente Veneto, Legambiente Vicenza, Legambiente Cologna Veneta, Legambiente Verona, ViVerbio Gas Lonigo, Comitato Vicentino No Ecomafie, Acqua Bene Comune Vicenza, Associazione No alla Centrale Ovest Vicentino, CILLSA, CITTAB, Isde Vicenza, Medicina Democratica Vicenza, tutte riunite nel Coordinamento Acqua Libera dai Pfas. L’esposto viene sottoscritto anche da singoli cittadini ed è corredato da una consulenza medico scientifica redatta dall’ematologo Vincenzo Cordiano di Valdagno, primo medico del territorio a parlare della tossicità di queste sostanze. Nell’esposto/denuncia contro ignoti si chiede di indagare sulle responsabilità dell’inquinamento in atto e si ipotizzano i reati di avvelenamento delle acque e disastro innominato. Si richiede inoltre alle procure di porre sotto sequestro preventivo gli impianti di scarico della Miteni, dei pozzi artesiani posti a valle dell’impianto e del collettore ARICA in Cologna Veneta. Tutto sarà archiviato.

Vincenzo Cordiano parla durante la Prima Marcia dei Pfiori davanti alla Miteni, 8 maggio 2016 – Foto di Alberto Massignan

A fine 2015 e nei primi mesi del 2016 il Giornale di Vicenza pubblica i primi brevi articoli sulla questione Pfas. Ad aprile, a Montecchio Maggiore, liberi cittadini cominciano ad organizzarsi ed il 25 aprile lanciano il comunicato della prima grande mobilitazione popolare – la Marcia dei Pfiori – contro i Pfas prevista per la Festa della Mamma, l’8 maggio 2016. Il 28 aprile 2016, a seguito dei primi studi sulla popolazione, il dottor Domenico Mantoan annuncia in una Commissione Ambiente straordinaria in sala civica, sempre a Montecchio Maggiore, la gravità della situazione in Veneto e la necessità di una grande indagine epidemiologica, evocata in toni trionfalistici come la più estesa al mondo. Dirà anche che la fabbrica non deve più stare dove sta, scrivendolo poi in un celebre documento di “allarme sanitario” alle autorità della Regione, “nascosto” per mesi, fino ad un accesso agli atti del giornalista d’inchiesta Marco Milioni che creerà grande clamore contro gli assessori Gianpaolo Bottacin e Luca Coletto, richiamati pubblicamente dal presidente Luca Zaia.

L’8 maggio 2016 sarà il secondo punto dirimente della caduta di Miteni: con la Marcia dei Pfiori, più di 500 biciclette e altre 500 persone confluiscono davanti alla Miteni. Genitori e cittadini dei diversi paesi contaminati si trovano per la prima volta insieme e marciano fino davanti alla fabbrica con i propri bambini, piantando dei fiori simbolici – contaminati, con la p davanti – nei confini dello stabilimento. Pur tenendo un profilo basso lontano dalla stampa scandalistica, lo straordinario “esercito” di biciclette che occuperà in movimento la “statale” 246, per due chilometri di lunghezza, romperà gli argini dell’informazione “controllata”: molte testate riporteranno le foto dei cittadini, i video della marcia e le reazioni della Miteni, con le maestranze fuori dai cancelli. Il tutto aiuterà a cementare relazioni che saranno la base per la futura grande mobilitazione permanente, ancora in atto. L’inizio di una vera e propria rivoluzione civile, scientifica, rigorosa, creativa, intersezionale. Nel Veneto iperproduttivo e dormiente.

Il 17 maggio 2016 la Regione Veneto incarica l’ISS di attuare uno studio epidemiologico di coorte residenziale, dove si possano associare per ogni persona l’esposizione esterna, la dose interna, l’outcome di salute. Il 20 maggio i sindacati confederali indicono una conferenza d’urgenza in Sala Civica a Montecchio Maggiore, ma non propongono soluzioni concrete se non quelle classiche per salvare il posto di lavoro (riconversione della produzione e nuovo piano economico industriale), senza toccare l’azienda dal suo sito e senza di fatto alzare il tiro sulla tutela della salute degli operai. Nel frattempo Arpav rileva ancora 17164 ng/l di Pfas all’uscita dal depuratore di Trissino. Un valore altissimo. I cittadini di Montecchio Maggiore, dopo la forza dimostrata nella Marcia dei Pfiori e la delusione di quanto sentito dalle istituzioni nelle commissioni ambiente e dai sindacati, si organizzano per dare avvio a un grande movimento dove rientreranno le varie parti in lotta, di tutti i paesi, tra cui gli stessi sindacalisti delusi, oltre ai gruppi territoriali più radicali. Primo atto di fine 2016: analisi dell’acqua e del sangue, indipendenti, in un laboratorio del Friuli e convocazione di una grande conferenza/assemblea super partes, coinvolgendo l’apparato scientifico di Greenpeace.

Antonio Nardone (AD Miteni) viene “avvisato” dall’autore durante il Sit-in PFAS contro la Lectio Magistralis, 17 febbraio 2017 – Foto di Pietro Gervasio

Terzo punto dirimente della questione Pfas per le sorti della fabbrica: il 17 febbraio 2017una insostenibile Lectio Magistralis negazionista convocata da Miteni, con il beneplacito della Commissione Ambiente di Montecchio Maggiore guidata da Maurizio Scalabrin, con il parere favorevole del Presidente del Consiglio Comunale, viene scientificamente esautorata dal movimento nascente contro i Pfas e fatta letteralmente saltare: improprietà del luogo – Sede della Confindustria di Montecchio – dei relatori – tossicologo Angelo Moretto (consulente ILVA) – e delle procedure antidemocratiche, sono gli argomenti portati dagli attivisti con i propri corpi davanti alla sede prescelta. La conferenza si voleva infatti tenere a porte chiuse, con invitati solo i sindaci e gli assessori competenti di tutti i comuni coinvolti. Il tema avrebbe dovuto essere: la non-nocività dei Pfas e i nuovi mercati dei perfluoroalchilici. La conferenza presieduta dall’AD di Miteni Antonio Nardone e dal tossicologo Moretto andrà praticamente deserta, con un centinaio di attivisti fuori e generale assenza degli invitati, allertati da un “dispaccio digitale” con gli argomenti citati. La narrazione negazionista, pseudoscientifica, sui Pfas, sarà respinta per sempre.

La conferenza Detox della dirigenza Greenpeace e attivisti, al Teatro San Pietro di Montecchio Maggiore, con Vincenzo Cordiano e Piergiorgio Boscagin, 24 febbraio 2017 – Foto di Alberto Massignan + Archivio PFAS.land

Il 24 febbraio 2017 una grande conferenza a Montecchio Maggiore con l’intervento della direzione di Greenpeace nazionale guidata da Giuseppe Ungherese, a sostegno scientifico delle parti del movimento, alla presenza della Dott.ssa Francesca Russo e di tutta la Dirigenza del Veneto coinvolta e di molti sindaci, con il sindaco locale Milena Cecchetto assente perché nella sua città “tutto è a posto”, porterà all’attenzione a livello nazionale il caso Pfas Miteni per la prima volta, grazie al TG1 di prima serata. Si mostrerà pure lo scarico del Tubone Arica di Cologna Veneta, dove avviene una controversa “vivificazione”. Un sottile inganno semantico per coprire gli scarichi del comparto conciario. Poco dopo, nel marzo 2017 parte la monumentale indagine del NOE di Treviso, condotta dal maresciallo Manuel Tagliaferri, aperta da una denuncia penale depositata dall’avvocato vicentino Edoardo Bortolotto di Medicina Democratica e dalla montecchiana Sonia Perenzoni del Movimento 5 stelle, l’8 aprile del 2016, esposto 1943/2016 preso in carico dai procuratori Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner. I nuovi limiti “regionali” ai Pfas saranno messi subito dopo.

La prima fila di madri listate a lutto durante la Seconda Marcia dei Pfiori, 14 maggio 2017 – Foto di Marta Covolato

Ma non è sufficiente. Il 14 maggio 2017 parte la seconda grande mobilitazione contro i Pfas, con circa 2000 persone davanti alla fabbrica, 700 delle quali arrivate ancora una volta in bicicletta: la seconda Marcia dei Pfiori raduna tutte le nuove e vecchie forze ambientaliste e territoriali del Veneto centrale di fronte alla Miteni, per poi spostarsi a piedi davanti al Municipio e nella piazza centrale di Trissino. Per scelta, a guidare il corteo, nessuno striscione, ma il silenzio “assordante” di una fila di madri listate a lutto, con un mazzo di p-fiori sulle braccia conserte. Sarà un ulteriore dimostrazione di forza civile che cambierà gli assetti sociali sulla questione Pfas.

Persistono tuttavia recrudescenze. Nel bel mezzo dell’estate 2017, e dell’emergenza Pfas dichiarata, arriva un nuovo impressionante passo falso della Regione Veneto: l’Assessore Gianpaolo Bottacin, insieme con altri attori istituzionali, firma una nuova AIA alla Miteni che prevede un “cogeneratore” (inceneritore) per permettere all’azienda di produrre con maggiore efficienza. Le emissioni in aria sono ancora un tabù e sconosciute per gli effetti, nonostante sia un’azienda sotto Direttiva Seveso e nella lista delle «aziende insalubri di prima classe», nonostante già da anni si “termodistruggano” sostanze nel vecchio inceneritore. Senza controlli.

Gli attivisti di fronte alla Commissione Ecomafie, Prefettura di Vicenza 14 settembre 2017 – Archivio PFAS.land

Gli attivisti arriveranno a uno scontro duro con le Istituzioni del Veneto durante l’audizione presso la Commissione Ecomafie del 14 settembre 2017, presieduta da Alessandro Bratti, per indagare sulla Miteni, che si svolgerà in Prefettura dei Vicenza. L’indomani minacciano di esautorare – rigorosamente – sul caso la Procura di Vicenza guidata da Antonino Cappelleri. Spostando il fuoco sulla “forza del diritto” e annunciando il passo successivo, a rinforzo, che si dimostrerà determinante.

Robert Bilott al Teatro Comunale di Lonigo, 1 ottobre 2017 – Foto di Alberto Massignan + Archivio PFAS.land

Quarto punto dirimente della caduta della Miteni: ad ottobre 2017 arriva in Italia Robert Bilott, il grande avvocato americano protagonista della causa contro la DuPont. Le sue tre memorabili giornate offriranno al pubblico, alla Commissione Regionale Pfas, alla Procura di Vicenza, dove sarà sentito come testimone informato sui fatti, argomenti inoppugnabili sulla pericolosità della fabbrica. Il 1° ottobre 2017 Bilott dirà davanti ad un Teatro Comunale di Lonigo strapieno, più di 1000 persone, 300 fuori, che la Miteni è da molti-molti anni in contatto diretto con la DuPont statunitense, già duramente punita dalla legge americana. Affermerà che i pericoli della DuPont sono gli stessi per la Miteni e per la prima volta si sentirà parlare del temibile GenX, autorizzato dalla Regione. Che trema. Soprattutto quando il terzo giorno i Procuratori promettono agli attivisti, in presenza di Bilott, che la questione Pfas diventerà la priorità assoluta della Procura di Vicenza.

La Marcia di Lonigo presso Madonna, 8 ottobre 2017 – Foto Mamme No PFAS Archivio PFAS.land

La domenica successiva – 8 ottobre 2017 – una grandissima mobilitazione popolare – organizzata dalle nascenti Mamme No Pfas di Lonigo, con la partecipazione di tutte le parti del movimento, ma con l’ingerenza delle istituzioni ritenute corresponsabili e che nondimeno volevano essere protagoniste del corteo, poi messe in coda, distanti dalla cittadinanza – porterà 10.000 persone davanti agli acquedotti di Madonna di Lonigo, il comune in zona rossa centro della contaminazione. La questione Pfas oramai è divenuta imprescindibile anche nei confronti dell’opinione pubblica, tanto da preoccupare la politica del Veneto a pochi giorni dal referendum autonomista voluto dal presidente della Regione. Luca Zaia annuncerà in quei giorni Zero Pfas negli acquedotti con un forte incremento/investimento della filtrazione mediante carboni attivi. Ma sulla Miteni ancora non interviene. Così gli attivisti alzano al massimo, in modo civile, il tiro della protesta e degli argomenti, con un blocco della fabbrica il 31 ottobre 2017, che costerà un processo voluto dalla politica e non dalla Miteni, e un “assalto frontale”, sempre simbolico, molto rigoroso, al Consiglio Regionale in corso a Palazzo Ferro Fini, blitz avvenuto via mare con i gommoni di Greenpeace e il Comitato No Grandi Navi. È il 7 dicembre 2017 quando gli attivisti entrano nel cuore politico di Venezia.

Blocco della Miteni, 31 ottobre 2017 – Foto Alberto Massignan

Blitz presso il Palazzo della Regione, 7 dicembre 2017 – Foto Archivio PFAS.land

Come conseguenza, il “conflitto tra autorità” innescato dagli attivisti, entra nel vivo. Commissioni e Procure sono al lavoro. Gli interventi della Regione sono sempre più contraddittori. Le commissioni speciali Pfas Regionale ed Ecomafie riportano farfugliamenti degli interrogati. Il 13 marzo 2018 il Governo Olandese chiede allo Stato Italiano e alla Regione Veneto delucidazione sul GenX lavorato dalla Miteni come scarto di rifiuto. La Regione Veneto risponde dopo quattro giorni, imbarazzata, promettendo un approfondimento. Greenpeace anticipa tutti, e fa partire subito un’inchiesta con in mano documenti commerciali che attestano scambi di tonnellate di materiale tra Olanda e Miteni, preparando una denuncia contro la Regione Veneto che ha permesso la produzione, senza effettivo controllo.

La prima Giornata contro i Crimini Ambientali – Difendiamo Madre Terra, con Marzia Albiero e Michela Piccoli in primo piano, 22 aprile 2018 – Foto di Federico Bevilacqua

Il 22 aprile 2018 è il quinto e ultimo punto dirimente: più di tremila persone si radunano davanti alla fabbrica per circondare lo stabilimento e per celebrare la prima Giornata contro i Crimini Ambientali – Difendiamo Madre Terra, costruendo fuori dall’azienda una “Cittadella delle Buone Pratiche” che stupirà le stesse forze dell’ordine e i dirigenti della Miteni. È il colpo fatale alla reputazione dell’azienda, che non si alzerà più in piedi di fronte al concetto di “crimine ambientale” portato da migliaia persone davanti ai cancelli, con tanto di musica internazionale dal vivo della cantante mediorientale Yael Deckelbaum, banchetti, mostre e una messa di Don Albino Bizzotto dei Beati i costruttori di pace di Padova. Nei mesi successivi le banche locali chiuderanno i rubinetti alla Miteni, l’Arpav troverà “tardivamente” una perdita “impiantistica” che giustificherà lo sversamento di GenX e C6O4 trovato in ambiente, imponendo forti restrizioni all’azienda. Il C6O4 poi sarà trovato sul Po, con una campagna di spostamento del fuoco dalla Miteni e dal GenX lanciata un anno dopo, a fabbrica chiusa e ad indagini in corso, nel 2019. 

Tale campagna della Regione sarà sbugiardata in diretta Rai Radio 1. Costerà una nuova denuncia agli attivisti, che sfiduciano in diretta l’Assessore regionale Gianpaolo Bottacin e il Commissario Nicola Dell’Acqua, direttore dell’Arpav, in presenza dell’eminente medico endocrinologo Carlo Foresta. Da poco erano state pubblicate due delle armi più potenti del movimento No Pfas del Veneto: il GIS di PFAS.land, che porterà a migliaia di cittadini la “reale” percezione della contaminazione, e il libro Non torneranno i prati, memoria operativa della lotta. La Radio nazionale vuole capire e il 17 aprile del 2019 convoca le parti in causa. Le parole degli attivisti saranno lapidarie, rigorose e civili nei confronti delle istituzioni che avevano preso parola prima di loro, spostando l’attenzione sul Po, minimizzando la questione, raccontando una narrazione forzata della gravissima contaminazione, diluendola a livello nazionale, facendo passare il Veneto lodevole per il suo drammatico primato. Non era questo l’epilogo che si doveva raccontare.

Incontro con il Ministro Costa, 11 settembre 2018 – Foto Archivio PFAS.land

Torniamo infatti al 2018. Secondo semestre. All’epilogo vero e proprio. L’11 settembre 2018 una delegazione di attivisti incontra il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Consegna migliaia di firme raccolte da Legambiente e chiede l’intervento immediato dello Stato per la chiusura coordinata della Miteni, il ricollocamento delle maestranze, l’avvio della bonifica. Ad ottobre arriva infine l’ultima stoccata per la Miteni, in occasione di un’inopportuna autocelebrazione politica. Addì 14 ottobre 2018, a Trissino viene inaugurato un mega leone marciano, identitario, di vetroresina, a pochi passi dalla Miteni, voluta dal sindaco Davide Faccio. La celebrazione viene capovolta: non si può manipolare un simbolo della tradizione proprio nell’epicentro della contaminazione da Pfas. L’infamia del “crimine ambientale” di Trissino viene così veicolata a tutti i canali d’informazione, grazie, ancora una volta, alle doti comunicative e operative di Greenpeace nazionale, presente in forza, con attivisti appesi ai capannoni prospicienti all’inaugurazione e con enormi striscioni incollati sull’asfalto dell’azienda.

Contro-inaugurazione del Leone di Trissino, 14 ottobre 2018 – Foto Archivio Greenpeace

Subito dopo la Miteni chiede il concordato di fallimento: le banche non danno più credito all’azienda, la cui reputazione è stata definitivamente fatta crollare dalla forza della cittadinanza attiva e dalla “tempesta cognitiva” creata dal coinvolgimento della scienza e della giurisprudenza, a tutti i livelli. Attivisti e operai manifesteranno davanti alla fabbrica il 6 novembre. Il 9 di novembre 2018, tre giorni dopo la richiesta, il Tribunale di Vicenza decreterà il fallimento della Miteni e la conseguente chiusura. Il 26 novembre cittadini e operai – bypassando istituzioni e la renitenza della politica locale – si riuniranno insieme in una grande conferenza/assemblea in sala civica a Montecchio dove per la prima volta l’epidemiologo Enzo Merler, seduto al tavolo con gli RSU Renato Volpiana e Denis Orsato, di fronte al segretario provinciale della CGIL Giampaolo Zanni, renderà pubblico lo studio sulla gravissima contaminazione degli stessi operai.

L’ultima manifestazione congiunta davanti alla Miteni, 6 novembre 2018 – Foto di Giovanni Fazio

I cittadini incontrano gli operai, per sentire il Dott. Enzo Merler, 26 novembre 2018 – Foto di Giovanni Fazio

Venezia «Bonifica per la vita», con Michela Piccoli e Claudio Lupo in primo piano, 20 ottobre 2019 – Foto di Federico Bevilacqua

Seguiranno altre mobilitazioni a Venezia per chiedere la bonifica e le analisi sugli alimenti, per arrivare alla primavera del 2021 con l’ultima grande pressione popolare Pfas Campo Baseaffinché il GUP Roberto Venditti si pronunci per portare tutti gli imputati del Caso Miteni – titolari e delegati delle multinazionali – a giudizio per tutti i reati contestati. Così sarà pronunciato la mattina del 26 aprile 2021, data storica per la giustizia italiana, davanti agli avvocati e agli attivisti, questi ultimi arrivati a piedi in Tribunale il 25 di aprile con la Staffetta delle acque infrante, partendo dalla Miteni, dal tubone Arica e dalle risorgive contaminate delle terre del Retrone.

Prelievo dal Tubone Arica durante La Staffetta delle Acque Infrante, 25 aprile 2021 – Foto Archivio PFAS.landL’avvocato Edoardo Bortolotto entra in Tribunale il 26 aprile 2021 – Foto di Federico Bevilacqua

Il più grande processo per reati ambientali nella storia contemporanea d’Europa è attualmente in corso. Si sta svolgendo presso la Corte d’Assise di Vicenza, con cittadinanze e attivisti tra le parti civili, sempre presenti in aula, a tutte le udienze.

Alberto Peruffo

alberto_peruffo_CC

Comitato di Redazione
31 DICEMBRE 2022

PS Alla data di questo scritto il decommissioning/smantellamento impianti Miteni è pressoché giunto al termine, proprio in questi giorni di fine dicembre 2022 (v. foto sotto). In data 31/12/2022, ore 10.35, da nostro sopralluogo con testimoni, 4 operai, con muletto e utensili rumorosi stavano lavorando, fuori dal “tempo dichiarato” dalle autorità. MISO e bonifica devono ancora essere fatte e anche la caratterizzazione puntuale, preliminare e necessaria allo studio idrogeologico, più volte annunciata dalla Regione Veneto, non ha mai avuto effettiva esecuzione. Le strutture fisse sono ancora al loro posto. Qui l’ultima nota critica di aggiornamento durante la Conferenza Arpav/Regione di Lonigo del 30 settembre 2022, dove si tranquillizzava la popolazione sull’efficacia e sul cronoprogramma dei lavori. Bisognerà ora seguire «il potenziale pericolo di esportazione del crimine» in India (voluta dai nuovi acquirenti), oltre che assicurarsi che la bonifica vera e propria sia fatta e non sia confusa con una semplice MISO permanente e inefficace. Inoltre bisognerà tenere d’occhio la “termodistruzione” dei Pfas, tolti dalle barriere e dagli acquedotti, fatta per anni senza alcun effettivo controllo in diversi impianti, tra cui la Chemviron di Legnago, messa in questi mesi in discussione dai nostri approfondimenti ed esposti, costretta a chiudere il camino con cui “bruciava” i Pfas industriali della Miteni e altro, decisione che ha visto per la prima volta un sindaco appellarsi al «principio di precauzione comunitario». Un grande risultato.

Foto dal Monte Spiado, Bernuffi di Montecchio Maggiore, 18 dicembre 2022 – Foto di Martina Bettega

+

La nostra “storia” e quella della Miteni la stiamo portando da anni nelle scuole: nelle foto parte del nostro Gruppo educativo Zero Pfas coordinato da Donata Albiero, con Francesco Basso, Dario Zampieri, Claudio Lupo, Giovanni Fazio, Anna Maria Panarotto, nelle ultime uscite 2022 [qui i dettagli dell’ultimo anno con il Progetto ONE HEALTH, dopo 5 anni e più di 6000 studenti in 5 province del Veneto],

//

BIBLIOGRAFIA
– Fontana, Giovanni Luigi; Bressan, Gaetano. Trissino nel Novecento, Il Poligrafo 2009.
– AA.VV. Storia di Trissino. Dai primi insediamenti all’età contemporanea, Biblos 2003.
– AA.VV. Dizionario biografico della Valle dell’Agno, Cierre 2012.
– Peruffo, Alberto. Non torneranno i prati. Storie e cronache esplosive di Pfas e Spannoveneti, Cierre 2019-2021.
– Archivio PFAS.land, Documenti amministrativi, Antersass Casa Editrice 2018-2022.
– IRSA-CNR; AA.VV., Realizzazione di uno studio di valutazione del Rischio Ambientale e Sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nel Bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani. Relazione finale – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 2013.
– Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle Attività Illecite Connesse al Ciclo dei Rifiuti e su Illeciti Ambientali ad Esse Correlati On. Bratti (26 settembre 2017, Prot. n. 7411), Relazione di aggiornamento sull’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in alcune aree della regione Veneto, Camera dei Deputati – Senato della Repubblica Legislatura XVII 2018.
– Kiezebrink, Vincent. The International Chemical Investors Group (ICIG). Controversy and Tax Avoidance Scan, Somo & Greenpeace 2017.

* [ndr – questa storia appare in forma ipertestuale progressiva, con continuo miglioramento degli ipertesti e dei relativi collegamenti, documenti, ancora non presenti e/non attivi]

Ultimo aggiornamento: 31 dicembre 2022

Read Entire Article