Si sa, in campagna elettorale si può dire tutto e il contrario di tutto e la campagna elettorale per le elezioni regionali sarde 2024 non fa eccezione.
Campagna elettorale nella quale i contenuti concreti sono pochi, mentre abbondano gli slogan, anche da quei candidati che vantano il no slogan, come Paolo Truzzu, attuale sindaco di Cagliari e candidato alla carica di presidente della Regione autonoma della Sardegna per la coalizione di centro-destra.
Sulla pianificazione territoriale parla proprio per slogan, afferma che “serve rivedere il Piano paesaggistico regionale: se dopo 20 anni solo 10 per cento dei Comuni ha adeguato il Puc al Ppr non è perché sono tutti incompetenti, speculatori o palazzinari ma è perché non funziona”.
A parte il fatto che l’aggiornamento del piano paesaggistico è prevista ordinariamente per legge (artt. 143 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) con il coinvolgimento degli organi centrali e periferici del Ministero della Cultura quantomeno per tutti i beni ambientali tutelati con il vincolo paesaggistico (c.d. copianificazione), ma la carente pianificazione urbanistica dei Comuni (P.U.C.) in adeguamento al piano paesaggistico regionale (P.P.R.) è frutto fondamentalmente della inconfessabile voglia di cemento delle amministrazioni comunali di turno e non certo colpa del P.P.R.
Il piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero) è esecutivo con decreto presidenziale R.A.S. n. 82 del 7 settembre 2006, la Regione autonoma della Sardegna ha sistematicamente messo a disposizione cartografie, cospicui fondi, linee di indirizzo e procedure per l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali (P.U.C.), come ben noto.
Tuttavia, a distanza di più di 15 anni, solo una contenuta percentuale di Comuni ha adeguato il proprio strumento urbanistico al P.P.R.
Per colpa del P.P.R., come sostiene Paolo Truzzu, o per ben altri inconfessabili motivi?
Vogliamo davvero credere, a titolo di esempio, che Alghero (1976), Villasimius (1969), Pula (1989), Arbus (1976), Olbia (1975) non preferiscano rimanere con il loro vecchio programma di fabbricazione (P. di F.) così affettuoso verso il cemento da avere in qualche caso anche zone residenziali “B” sul mare?
Vogliamo davvero credere che gran parte delle amministrazioni comunali inadempienti non vogliano semplicemente evitare di scoprire di non avere più volumetrie edilizie da elargire a questo o quell’altro imprenditore, perché già utilizzate?
Vogliamo davvero credere che la stessa Cagliari amministrata dal sindaco-candidato Truzzu non preferisca rimanere con il suo P.U.C. approvato nel 2003 in attesa di quegli aumenti volumetrici recentemente graziosamente offerti dalla legge regionale n. 9/2023 (art. 130, 132), in buona parte impugnata davanti alla Corte costituzionale dal Governo per lesione delle competenze statali esclusive (art. 127 Cost.)?
Il fatto realmente grave è che la Regione autonoma della Sardegna non ha mai voluto adottare i poteri sostitutivi che la legge le attribuisce: infatti, con l’art. 18 della legge regionale n. 8/2015 sono state apportate modifiche all’art. 20 della legge regionale n. 45/1989 in merito all’adeguamento dei piani urbanistici comunali al P.P.R.: il Comune che non provvede può incorrere nelle procedure sostitutive regionali.
Solo raramente la Regione ha provveduto a specifiche diffide al completamento della procedura di adeguamento del P.U.C. al P.P.R., ma mai è giunta fino all’adozione di provvedimenti sostitutivi pur necessari.
Un comportamento – quello della Regione e dei Comuni inadempienti – semplicemente vergognoso, ma si abbia il coraggio almeno di evitare patetiche favole per nascondere la realtà.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
(foto da mailing list ambientalista, S.D., archivio GrIG)