Amarcord

2 years ago 44

Avevo forse otto o nove anni quando mio padre prese me e mio fratello per le mani e ci disse "andiamo, sotto casa dello zio c'è un lupo mannaro che sta distruggendo tutto". Mio zio abitava a poca distanza. Andammo a piedi verso una piccola folla radunata proprio sotto il palazzo nel quale abitava.

Tutti fermi, guardavano una persona (forse) che urlava e dava pugni ai muri, alle saracinesche dei garage, agitata. Io, bambino, pensai "ecco il famoso lupo mannaro". Si era materializzato in quella persona. Ovviamente non la ricordo bene ma il ricordo vago l'ho mantenuto negli anni, probabilmente perché un bambino che "vede un lupo mannaro" resta colpito, sconvolto. Si trattava probabilmente di una persona con problemi mentali o un ubriaco e mio padre, vecchio stampo, pensò bene di "giustificare" quel comportamento aggressivo e "strano" con la licantropia: il lupo mannaro era un essere umano che si trasformava in animale in certe situazioni. In fondo non era un concetto totalmente campato in aria. Una favola, non qualcosa di reale, forse per non impressionarci con la cruda realtà.

Dopo tanti anni in una cena con i miei fratelli abbiamo ricordato l'episodio, abbiamo parlato del "lupo mannaro" di come lo avevamo visto, dei particolari e la mia curiosità era quella di capire qual era il ricordo di mio fratello di quel "lupo mannaro". Saranno passati almeno 40 anni, probabilmente di più, mio fratello è di poco più giovane di me. Cosa è rimasto nella mente di due adulti del ricordo "sconvolgente" di un fatto visto da bambini? Più di 40 anni prima? Con un condizionamento ("vedrete un lupo mannaro") importante, soprattutto per menti di bambino?
Allora feci una prova: disegnai su un foglio quello che ricordavo di quella sera e chiesi a mio fratello di fare lo stesso (lui non vide il mio disegno).
Ecco il mio:

Ed ecco quello di mio fratello:


La somiglianza tra i due disegni è impressionante.

In fondo ricordavamo la stessa cosa ma, se fate caso, molto stilizzata, schematica però praticamente identica. Ovviamente non poteva trattarsi di un "lupo mannaro" ma di un uomo che, come ricordavamo bene, batteva sulle saracinesche. La memoria coincideva. Non c'erano esagerazioni, non avevamo "trasformato" un uomo con probabili problemi mentali in un "animale" o un essere strano, nonostante fossimo bambini e nonostante il tempo passato. Si può dire che la nostra memoria era integra. Non funziona sempre così.

Per molti di noi la memoria è un bene prezioso e perfetto. Ricordiamo tante cose: date, volti, nomi, persone, storie, luoghi, tantissime. Ogni tanto un buco, una distrazione ma il  nostro "software" è sempre pronto a riportare le cose al loro posto, a ricordare perfettamente ciò che abbiamo visto e vissuto. Beh, non è così.

La memoria non è un film che possiamo portare indietro se non ricordiamo una scena. Non possiamo ingrandire un particolare o risentire una battuta. Ciò che è successo è passato e sarà il nostro cervello a ricostruirlo, sostituendo i pezzi mancanti, adattandoli alla situazione, modificandone i particolari che non ricordiamo e creando una storia credibile. Un ricordo può essere talmente modificato da risultare completamente falso, inattendibile, anche se per noi sarà preciso, lucido, perfetto. Possiamo avere un falso ricordo totalmente inventato o un altro in parte (più o meno consistente) modificato. Uno studio su quasi 500 persone notava come se un argomento ci appassiona o è da noi ben conosciuto si tende a "completare", aggiungere particolari, crearne di nuovi trasformandolo quasi in un falso ricordo. Un po', nel pratico, come quando ricordiamo una nostra impresa, magari casuale o ordinaria ma che ricordiamo come incredibile, ricchissima di particolari precisi e spesso esagerata.
Moltissimi di quei particolari o di quelle esagerazioni potrebbero essere false, aggiunte dalla nostra memoria per rendere "epico" un fatto ordinario. La nostra memoria è insomma fedele per le cose importanti ma tutto può essere condizionato dal contesto creando aggiunte e rifiniture che trasformano completamente la realtà. Dallo stato d'animo, dallo stress, dal nostro stato i salute, dal tempo che trascorre e persino dal sonno che rielabora e "riscrive" ciò che conserviamo in memoria.

I falsi ricordi sono una realtà e dipendono dal fatto che la memoria non è una macchina ma una reazione chimica che, per esigenze di sopravvivenza, deve adattarsi alla realtà attuale, non resta ferma e fissa, si "sistema" per essere subito recuperabile. È condizionata certamente dall'ambiente esterno e, come ho scritto, da vari fattori ma ha basi "organiche", è il nostro sistema nervoso che la regola. Nella costruzione di falsi ricordi per esempio, sembra sia coinvolta una regione del cervello chiamata "ippocampo" (che tra i suoi compiti ha proprio quello di "conservare" ciò che viviamo rendendolo "memoria") mentre la corteccia prefrontale tende a "sistemare", "correggere" questi errori.

Per questo se il nostro cervello non ricorda il colore del vestito di una persona che ricordiamo dopo 10 anni lo crea, lo rende "credibile", per poter riportare alla luce quel ricordo. Altrimenti ricorderemo cosa, una persona con un vestito senza colore? No, il colore c'era, non lo ricordiamo e il nostro sistema nervoso lo sceglie, in base alle nostre esperienze, ai gusti, alle mode, all'attualità. Spesso sbagliando (in buonafede, ovviamente) e a volte anche indotto a farlo. È infatti possibile "impiantare" falsi ricordi. Tramite alcune tecniche (comuni alla psicoterapia) è possibile creare dei falsi ricordi (meglio se "stressanti") e queste tecniche sono usate (in malafede) da sette, gruppi estremisti, culti religiosi, per soggiogare gli adepti o renderli coscienti di una realtà che non è mai esistita. I falsi ricordi possono essere belli o brutti, indifferenti, possono condizionare le scelte e le opinioni. Esistono esperimenti che hanno provato a "inculcare" un falso ricordo come quello di aver provato disgusto nel mangiare un alimento e questo, falso, ha condizionato i gusti di chi fu sottoposto all'esperimento che ha provato disgusto a mangiare quel cibo fino a quando non gli è stato rivelato si trattasse di una finta.


Ho parlato di ricordi e memoria in questo sito anni fa ma l'argomento resta sempre interessante.

Se lo studio della memoria (e della costruzione dei falsi ricordi) è utile scientificamente (comprendere come funziona il nostro cervello aiuta a comprendere come funziona il nostro approccio alla vita) e sicuramente affascinante, pensate a cosa può comportare la correttezza di un ricordo o lo studio della memoria in cose importanti: la scienza, la sicurezza o la giustizia. Esistono casi famosi di "falso ricordo" culminati in testimonianze che hanno condizionato drammaticamente la vita di tante persone. Le testimonianze sbagliate in tribunale e nei processi sono notoriamente cause frequenti di scambi di persone e (purtroppo) di veri errori giudiziari. Sono migliaia le persone condannate (o uccise, dove esiste la pena di morte) perché qualcuno ha ricordato male. Esistono anche casi famosi condizionati da falsi ricordi e si stima che una buona parte (circa il 36%) delle testimonianze oculari possano essere errate e queste percentuali possono essere condizionate anche da convinzioni personali, pregiudizi (sociali, razziali, economici o politici), stato d'animo. 
Possiamo ricordare il caso di George Franklin, accaduto nel 1990.

Nel settembre del 1969 una bambina di otto anni Susan Neson, scomparve mentre giocava con dei suoi amici nei pressi di casa, a Foster City, in California. Il suo corpo fu trovato senza vita dopo tre mesi poco distante dal luogo di sparizione. Dopo qualche indagine il caso fu chiuso senza trovare un colpevole.
Circa 20 anni dopo, nel 1989, Eileen Franklin, raccontò di essersi ricordata che il rapimento e l'omicidio della bambina fu opera del padre, George Franklin, vigile del fuoco della cittadina californiana. La ragazza raccontò molti particolari e indicò luoghi e fatti che condussero all'arresto di George con successiva condanna all'ergastolo per omicidio pochi mesi dopo, nel 1990. Il rapporto di George franklin con i suoi familiari non era certo idilliaco. La moglie chiese il divorzio e raccontò come lui fosse violento e abusasse psicologicamente e fisicamente delle figlie e loro stesse raccontavano del completo distacco emotivo dell'uomo nei loro confronti. La figura di George non lo aiutava di certo. Compreso il suo silenzio. Non provò nemmeno a scagionarsi e non rispondeva alle domande degli inquirenti, tanto che lo stesso giudice disse che "quel silenzio pesa più dell'oro nel giudicarlo colpevole". Il perito psicologo nominato dal giudice dichiarò credibile la testimonianza della figlia di George ma non fu trovata nessuna prova fisica, nessun indizio oggettivo che inchiodasse l'uomo alle sue responsabilità e anche i tratti "malvagi" e abusanti dell'uomo erano stati esagerati (non c'era prova di abusi o di violenze domestiche) da sua moglie per ottenere il divorzio alle migliori condizioni possibili. La sua condanna era basata fondamentalmente solo sulla testimonianza della figlia.

Passarono cinque anni quando la sorella di Eileen (quindi l'altra figlia del condannato), raccontò che la "confessione" di Eileen nei confronti del padre emerse dopo una seduta di ipnosi e che tutti i particolari precisi su luoghi e fatti erano stati ricostruiti soprattutto in base alle letture dei giornali dell'epoca che raccontavano la tragedia. Eileen era stata particolarmente colpita dal fatto in quanto la bambina scomparsa era una sua compagna di giochi e le due si volevano particolarmente bene.

Il giudice esaminò di nuovo il caso e la svolta avvenne quando furono disponibili gli esami di analisi del DNA che, promossi dal nuovo giudice che si occupava del caso, scagionarono definitivamente George e accusarono un suo vicino, Rodney Lynn Halbower, che fu processato e riconosciuto colpevole di quello e altri omicidi della zona. George Franklin fu scagionato pochi mesi prima.

Il caso Franklin fece scuola perché dimostrava come una persona poteva "raccogliere" e ricostruire un'intera vicenda che non aveva per niente vissuto.
In base alle notizie lette, probabilmente "unite" alla conoscenza dei luoghi e al rapporto con l'uccisa, la testimonianza basata su un falso ricordo era credibile e precisa. Non è un caso che la ragazza per anni non parlò per niente del caso ma all'improvviso, dopo 20 anni, lo confessò raccontando particolari cruenti e impressionanti.

Questo non è l'unico caso e neanche il più eclatante ma può dimostrare come i falsi ricordi possano essere creati in risposta a traumi o a "richieste" del momento, adattarsi al caso e plasmarsi alle evidenze. Se si tratta di un argomento fondamentale delle neuroscienze, il falso nella memoria è sicuramente anche attuale e utile, per colmo, a capire la nostra realtà.

Alla prossima.

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