Ambiti del reato di inquinamento ambientale.

1 year ago 66

Roma, Corte di cassazione

Il reato di inquinamento ambientale (art. 452 bis cod. pen.) va a sanzionare chi abbia abusivamente causato  una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, di parti di suolo significative o estese ovvero di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della fauna o della flora.

Introdotto insieme ad altre fattispecie di reati ambientali dalla legge n. 68/2015, ha dato luogo a un vivace dibattito sull’effettiva efficacia del nuovo quadro normativo, suscitando fondate perplessità.

Maracalagonis, Baccu Mandara, cartello sequestro preventivo

L’interpretazione giurisprudenziale sta, comunque, lentamente procedendo a una definizione sempre più puntuale delle fattispecie.

La sentenza Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2023, n. 17400 ha fatto luce sugli ambiti dei comportamenti illeciti ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale, in particolare sui concetti di deterioramento e di compromissione del bene ambientale/territoriale.

Afferma la Suprema Corte: “ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di ‘deterioramento’ o ‘compromissione’ del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273566 – 01) e, dall’altro, che, ai fini dell’integrazione di detto reato, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274 – 01), con la conseguenza che il delitto di inquinamento ambientale, quanto all’obiettività giuridica criminosa, è un reato di danno, cosicché esso è integrato da un evento di danneggiamento cagionato in forma alternativa (ossia con il deterioramento o la compromissione) e che, nel caso del ‘deterioramento’, consiste in una riduzione della cosa in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della ‘compromissione’, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489 – 01)”.

Elementi di particolare rilievo nella valutazione di comportamenti dannosi per l’ambiente, il territorio, la salute pubblica.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

ruspa sulla spiaggia

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 11 maggio 2023

Cass. Sez. III n. 17400 del 27 aprile 2023 (CC 24 gen 2023)
Pres. Ramacci Rel. Di Nicola Ric. Cuffaro + 1
Ecodelitti. Inquinamento ambientale.

Ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici e, ai fini dell’integrazione di detto reato, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, con la conseguenza che il delitto di inquinamento ambientale, quanto all’obiettività giuridica criminosa, è un reato di danno, cosicché esso è integrato da un evento di danneggiamento cagionato in forma alternativa (ossia con il deterioramento o la compromissione) e che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare.

RITENUTO IN FATTO


1. È impugnata l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Ragusa ha rigettato l’istanza di annullamento del decreto di sequestro preventivo avanzata da Gerardo ed Antonino Cuffaro di un’area adibita a cava estrattiva e di un escavatore, beni sottoposti a vincolo per i reati di cui agli artt. 452-bis cod. pen.  e 181 decreto legislativo 3 aprile 2004, n. 42.

2. I ricorsi, presentati dal comune difensore avv. Rinaldo Occhipinti, sono affidati a tre motivi con i quali i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge e di motivazione sul rilievo che i giudici cautelari avrebbero ritenuto erroneamente la sussistenza del fumus del reato di inquinamento ambientale in mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice (primo motivo); deducono, inoltre, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla insussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. per il mantenimento del vincolo (secondo motivo); lamentano, infine, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla insussistenza delle esigenze cautelari per mantenere il sequestro dell’escavatore, osservando che anche nei casi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca il periculum in mora richiede una specifica motivazione (terzo motivo).

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

4. I ricorrenti hanno presentato memoria con la quale, replicando alle deduzioni formulate dal Procuratore generale, hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. I ricorsi sono fondati sulla base del terzo motivo, risultando inammissibili nel resto.

2. Occorre premettere come dagli atti risulti il dissequestro dell’area, disposto in data successiva al provvedimento impugnato, il quale aveva già escluso la legittimazione dei ricorrenti, trattandosi di bene non appartenente agli indagati ma di proprietà della Trippatore s.r.l.
Al difetto di legittimazione si aggiunge, ora, il difetto di interesse dei ricorrenti a reclamarne la restituzione, che risulta essere stata già eseguita a favore della società avente diritto.

3. Prendendo, pertanto, in esame il primo motivo dei ricorsi, esso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché non consentito.
3.1. Il tribunale cautelare ha giustificato la sussistenza del fumus del reato di inquinamento ambientale sul rilievo che – dalle denunce presentate nell’interesse della società Trippatore s.r.l., dalle indagini svolte dalla G.d.F., dal verbale di sequestro preventivo di urgenza e dai rilievi fotografici –  la società di frantumazione e movimento terra facente capo ai Cuffaro – in periodo successivo alla scadenza dell’autorizzazione rilasciata dal competente Distretto Minerario e pur in pendenza della domanda di rinnovo dell’autorizzazione stessa – aveva continuato a svolgere l’attività estrattiva nel sito, disponendo da ultimo dell’area in forza di contratto di comodato d’uso stipulato il 2 agosto 2017 con soggetto giuridico denominato TRUST Occhipinti, concluso in evidente violazione del divieto di disporre dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata. In data 22 luglio 2022, proseguendo in attività di appostamento nei pressi del sito, la G.d.F. riscontrava la presenza dell’escavatore sottoposto a sequestro, il cui conducente procedeva alla escavazione di una porzione di roccia, circostanza documentata con rilievi fotografici.
Si accertava che l’attività estrattiva abusiva era massicciamente ed intensivamente avvenuta durante tutto il periodo successivo alla scadenza dell’autorizzazione, e con continuità sin da tale scadenza, essendo stato ciò dimostrato, nei limiti cognitori di cui alla fase del procedimento cautelare, dal contenuto delle denunce sporte nell’interesse della società Trippatore s.r.l., dagli atti complessivamente acquisiti (tra cui il rifiuto dei Cuffaro di far immettere nel possesso dei terreni la società aggiudicataria, circostanza indicativa dell’interesse a proseguire nell’attività non autorizzata) e dal riscontro diretto degli operanti.
Da ciò il tribunale del riesame ha tratto il convincimento circa l’integrazione del fumus del reato di cui all’art. 452-bis cod. pen., che identifica il bene materiale soggetto a protezione anche nel suolo o sottosuolo, il cui degrado deve interessare, come accertato nella specie, porzioni estese o significative del bene protetto.
3.2. Nel pervenire a tale conclusione il Collegio cautelare, si è attenuto al principio di diritto secondo il quale, da un lato e diversamente da quanto opinano i ricorrenti, ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273566 – 01) e, dall’altro, che, ai fini dell’integrazione di detto reato, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274 – 01), con la conseguenza che il delitto di inquinamento ambientale, quanto all’obiettività giuridica criminosa, è un reato di danno, cosicché esso è integrato da un evento di danneggiamento cagionato in forma alternativa (ossia con il deterioramento o la compromissione) e che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489 – 01).
Nel caso di specie, il delitto si ipotizza consumato, allo stato degli atti, mediante una condotta abusiva massicciamente svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni, ossia sulla base di autorizzazioni scadute, ed intensivamente proseguita durante tutto il periodo successivo alla scadenza dell’autorizzazione, per altro con continuità sin da tale scadenza, avendo interessato porzioni estese o significative del bene protetto.
E’ solo il caso di ricordare che il delitto di inquinamento ambientale costituisce un reato a dolo generico, per la cui punibilità è richiesta la volontà di “abusare” del titolo amministrativo di cui si ha la disponibilità o della situazione di fatto (esecuzione o prosecuzione della condotta abusiva rispettivamente in assenza di titolo o con titolo scaduto), con la consapevolezza di poter determinare un inquinamento ambientale, essendo il fatto di reato punibile, pertanto, anche a titolo di dolo eventuale (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015 – 02).
Tutto ciò è ampiamente sufficiente per decretare, ai fini cautelari reali, la sussistenza del fumus delicti, cosicché il motivo di ricorso è, da un lato, manifestamente infondato, in presenza di tutte le condizioni di legge richieste per l’integrazione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 452-bis cod. pen. e, dall’altro, non è consentito, in presenza di una motivazione che non è apprezzabile in forma omissiva e neppure è affetta da vizi radicali, cosicché il motivo esula, in parte qua, dal perimetro dei vizi deducibili in materia di provvedimenti cautelari reali, per i quali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 – 01), situazioni, nella specie, del tutto insussistenti.

4. Il secondo e il terzo motivo, essendo tra loro collegati, vanno congiuntamente esaminati.
Quanto al sequestro dell’escavatore, il tribunale cautelare ha affermato che, essendo il bene suscettibile di confisca obbligatoria, il decreto di sequestro non necessitasse, quanto al periculum in mora, di alcuna motivazione in proposito.
Trattasi di affermazione che, come denuncia il ricorrente, collide con il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite della Corte in forza del quale il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01).
 In queste circostanze, ossia furi dei casi di cui all’art. 321, comma 2-bis, cod. proc. pen.  e di quelli in cui il sequestro riguardi cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, l’onere di motivazione può ritenersi assolto sempre che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato (v. (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, cit., in motivazione).

5. Mancando del tutto la motivazione in proposito, l’ordinanza impugnata va annullata, in parte qua e limitatamente al sequestro dell’escavatore Komatsu, con rinvio al tribunale di Ragusa competente ai sensi dell’articolo 324, comma 5, cod. proc. pen.  
 I ricorsi vanno dichiarati inammissibili nel resto.


P.Q.M.


Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro dell’escavatore Komatsu con rinvio al Tribunale di Ragusa competente ai sensi dell’articolo 324, comma 5, cod. proc. pen.  
Così deciso il 24/01/2023   

Roma, Corte di cassazione

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

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