Come i boschi contribuiscono alla stessa identità di un’Isola come la Sardegna.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
E’ certo, innanzitutto, un alto impegno culturale la richiesta di un approccio gestionale del territorio della nostra Isola che primariamente tenga conto del paesaggio e della pluralità delle sue “declinazioni”.
Vorrei esprimere qualche riflessione per sottolinearne l’importanza e al tempo stesso contribuire ad una sua più ampia analisi in grado di affrontare le tematiche del riconoscimento a fini identitari del paesaggio aldilà di alcune strette categorizzazioni.
Se si condivide “la storicità del paesaggio” quale “campo largo” e “l’identità storica” quale fulcro di ogni prospettiva di conservazione e restauro, il dato riferito alle migliaia di ettari di terreni agricoli “abbandonati e riforestati” necessita di un attento approfondimento.
Oggi, leggere parole di tale portata, anche se con accezioni potenzialmente diverse, fa riflettere perché in tale circostanza, ma non solo, queste possono portare inevitabilmente a valutazioni sulle tante scelte gestionali errate di cui è ricca purtroppo la storia della nostra Terra. E qui intendo spiegarmi meglio.
Bisogna riflettere su ciò che è concretamente avvenuto per esempio in Sardegna negli ultimi millenni e soprattutto negli ultimi due secoli ovvero che in tutto il territorio regionale, a causa dell’attività mineraria, del disboscamento, degli incendi forestali e della cementificazione selvaggia, sono state pagate, e tuttora si continuano a pagare, gravissime e tragiche conseguenze.
La deforestazione subita purtroppo in altri tempi ha trasformato profondamente il paesaggio originario della Sardegna e, soprattutto a causa degli incendi, ha determinato la modifica della circolazione delle acque sia in montagna che a valle, negli alvei fluviali, con le conseguenze, in tanti casi, di avanzati processi di desertificazione e, all’opposto, di disastrose alluvioni con dolorose perdite di vite umane.
Se dobbiamo leggere con altrettanta attenzione i dati, proprio quelli dell’ultimo inventario forestale nazionale si rivelano impietosi a riguardo.
Se da una parte infatti questi certificano che la nostra Isola è, in rapporto alla sua superficie, una delle regioni “più verdi” d’Europa (escluse le aree urbane/urbanizzate, industriali e agricole in attualità di coltura), evidentemente, recandoci nella Penisola, in Toscana o in Trentino per esempio, oppure in altri paesi d’Europa, al nostro ritorno nell’Isola la sensazione di tutto questo “verde” la avvertiamo davvero poco, risultando lo stesso, per circa la metà (oltre 600 mila ettari), macchia mediterranea, ovvero vegetazione che non superando l’altezza di 5 metri non può essere inclusa nella categoria inventariale dei boschi cosidetti “alti”, vale a dire quelli che normalmente percepiamo come boschi veri e propri.
Purtroppo la macchia mediterranea solo in limitate condizioni ecologiche rappresenta il più elevato livello evolutivo della vegetazione forestale, non solo in Sardegna ma in tutto il bacino del Mediterraneo, perché viceversa, in maniera estesa, è vegetazione cosiddetta secondaria cioè originata da incendi, da interventi sconsiderati (per esempio tagli boschivi devastanti) ed anche, in altri casi, da sovrapascolamento.
Bisogna prendere atto e comprendere che il territorio Sardo non può più essere “utilizzato” come negli ultimi secoli e che i drammatici problemi di dissesto idrogeologico e di desertificazione sono veri, attuali e sotto gli occhi di tutti.
E pure la salvaguardia della biodiversità andrebbe reclamata in senso più ampio inquadrando tale necessità nella direzione di un uso più rispettoso del territorio, per esempio riattivando nel settore zootecnico-pastorale la transumanza, oggi purtroppo sempre più dimenticata, ma di sicuro favorevole alle razze indigene.
dott. for. Michele Puxeddu, membro dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali
(foto S.D., archivio GrIG)