BRASILE: RIORIENTAMENTI POLITICI DELLE CLASSI MEDIE E POPOLARI

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di Guilherme Leite Gonçalves*

Elezioni nel Brasile espropriato: riorientamenti politici delle classi medie e popolari (1)

1. Un autocrate tra trionfo elettorale e tragedia governativa

Nonostante la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva, le ultime elezioni hanno confermato il radicamento del bolsonarismo nel tessuto sociale e nel regime democratico. Almeno dal 2010, i gruppi di estrema destra hanno organizzato reti militanti e azioni collettive. Non a caso, tali gruppi hanno conteso la direzione delle proteste, avvenute nel giugno 2013, e sono scesi in piazza costruendo tanto il sostegno popolare al colpo di Stato parlamentare del 2016, quanto il successo elettorale del 2018 (Rocha 2019). Se, precedentemente, l’organizzazione politica ultra-reazionaria era costruita intorno a collettivi e proteste di massa, con il governo Bolsonaro, ha acquisito la dimensione di un progetto autocratico (Singer 2022).

Attraverso il controllo dell’apparato statale, Jair Bolsonaro ha consolidato la propria egemonia nel campo conservatore. Privo di qualsiasi tipo di preoccupazione con l’amministrazione pubblica, ha creato una “infrastruttura di mobilitazione”, in cui le decisioni di governo (che minavano le conquiste sociali del passato) hanno incoraggiato una mobilitazione permanente sui temi cari all’ estrema destra, attraverso l’uso efficiente dei social network (Lake 2022). Allo stesso tempo, Bolsonaro ha incoraggiato i suoi seguaci (militari, fondamentalisti cristiani, ultraliberali) attraverso la distribuzione di incarichi pubblici. Il bolsonarismo è diventato, così, una delle forze dominanti del sistema politico e sociale brasiliano.

Questa conclusione è confermata dall’esito delle elezioni politiche. In primo luogo, i politici di estrema destra che hanno rotto con Bolsonaro hanno subito gravi sconfitte. È il caso di Janaina Paschoal, Joice Hasselmann, Alexandre Frota, i fratelli Weintraub e Luiz Henrique Mandetta. Tra i fuoriusciti, hanno ottenuto una riconferma solo gli attivisti della Lava-Jato (Deltan Dallagnol, Sérgio e Rosângela Moro) che, durante la campagna elettorale, sono tornati ad essere bolsonaristi convinti (Struck 2022).

Il bolsonarismo e i suoi alleati sono cresciuti nel Congresso nazionale. Al Senato, hanno conquistato 14 dei 27 seggi disponibili. Il Partito Liberale (PL), quello di Bolsonaro, avrà la maggioranza dei seggi. La destra tradizionale è stata sconfitta: l’MDB non avrà più la maggioranza dei senatori. La Camera alta sarà occupata da ex ministri di Bolsonaro, tra cui la fondamentalista cristiana Damares Alves. Anche l’ex vicepresidente Hamilton Mourão è stato eletto (Struck 2022).

Alla Camera dei Deputati, nonostante il rafforzamento della sinistra, si è verificata una vittoria della destra (Struck 2022). Anche qui il PL ha conquistato la maggioranza dei seggi, eleggendo 99 deputati. Il numero di deputati ruralisti (finanziati dai latifondisti), evangelici, poliziotti e militari è raddoppiato. La tendenza è che la nuova legislatura avrà un carattere neoliberale e conservatore per quanto riguarda i diritti (DIAP 2022). Sebbene l’allineamento delle forze parlamentari sia più fisiologico che ideologico (e l’esperienza di Lula indica la possibilità di riarticolazioni), il Congresso eletto nel 2022 è “il più conservatore dal 1964” (Souza/Caram 2022).

Infine, per quanto riguarda l’elezione amministrative, 13 dei 27 governatori eletti hanno sostenuto Bolsonaro, mentre 10 hanno appoggiato Lula. Il candidato vittorioso di San Paolo merita attenzione. Ex ministro di Bolsonaro, Tarcísio de Freitas, ha avuto più di 2,5 milioni di voti rispetto allo sfidante del Partito dei Lavoratori (PT), Fernando Haddad. Con la sua vittoria, il bolsonarismo avrà un ruolo centrale nello Stato più ricco della federazione (Valor 2022).

In questa congiuntura, il voto a Bolsonaro è stato significativo: circa 51 milioni al primo turno e 58,2 milioni al secondo. Da un turno all’altro, la differenza tra i candidati è scesa da 6 milioni a poco più di 2 milioni di voti. Comparativamente, Bolsonaro è cresciuto più di Lula in tutti gli Stati. La variazione tra i “nuovi voti” è stata tuttavia insufficiente ad alterare il risultato finale, sia perché Lula ha mantenuto un’ampia vittoria in tutti gli Stati del Nordest (60% o addirittura 70% dei voti), sia perché ha ridotto lo svantaggio nel Sud e nel Sudest, dove il consenso di Bolsonaro è diminuito (Riveira 2022).

Bolsonaro è inequivocabilmente un leader popolare e un fenomeno elettorale. Il bilancio del suo governo è tuttavia catastrofico. Costa e Weiss (2022) descrivono in modo preciso i risultati ottenuti: incremento della concentrazione del reddito, aumento della povertà, deterioramento della qualità dell’istruzione pubblica e della sanità, elevato degrado ambientale. La crescita economica annuale prevista per l’economia brasiliana tra il 2020 e il 2022 è dell’1,1%, mentre la media mondiale è dell’1,8%. La cattiva gestione della pandemia ha prodotto la tragedia di 700.000 morti. Sono emersi vari casi di corruzione (acquisto di vaccini, istruzione), alcuni dei quali coinvolgono direttamente la famiglia Bolsonaro. Come spiegare la discrepanza tra qualità del governo e successo elettorale? Ovviamente, la risposta basata sul presunto conservatorismo e irrazionalità della società brasiliana non riesce a spiegare la complessità del fenomeno.

Diversamente, Costa e Weiss (2022) rispondono indicando quattro dispositivi  che sostengono Bolsonaro: la mobilitazione permanente della sua base radicale; la spoliazione della natura, del pubblico e dei corpi dei lavoratori; la costruzione discorsiva dell’identità popolare e la cooptazione del risentimento dei gruppi che hanno perso la propria posizione sociale; infine, la formazione di un sistema di paure attraverso la manipolazione della comunicazione e l’armamento della popolazione, capace di scoraggiare il sostegno ai propri oppositori.

Tali dispositivi possono essere ripensati alla luce tanto dei modelli di espropriazione (concettualizzati da Karl Marx quando si è occupato della cosiddetta accumulazione originaria), operativi nell’attuale fase del capitalismo, segnata dalla finanziarizzazione, quanto dal loro impatto sulle classi medie e lavoratrici. Sulla base di questo approccio, la domanda precedente potrebbe essere riformulata: perché, nonostante la tragedia del suo governo, Bolsonaro ha ottenuto un ottimo risultato elettorale, ma allo stesso tempo non è riuscito a sconfiggere Lula?

2. Il lungo esproprio tra frustrazioni e speranze: la svolta a destra delle classi medie e la popolarizzazione della base petista

Il regime finanziario degli espropri è stato imposto negli ultimi tre decenni da misure di flessibilizzazione del lavoro, austerità fiscale, deregolamentazioni, privatizzazioni. La realtà socio-economica brasiliana è cambiata. Dalla deindustrializzazione al calo del monte salari in relazione al reddito nazionale, tutto è stato accompagnato da una riduzione delle esportazioni di prodotti manifatturieri e da una riduzione del progresso tecnologico (Gonçalves/Machado 2018).

La classe operaia, ovviamente, ne è uscita indebolita; ma anche la classe media ha sofferto, a causa della riduzione delle occupazioni tecniche (Saad Filho 2014). D’altra parte, l’ingegneria finanziaria e gli alti tassi di interesse hanno permesso un arricchimento accelerato dei gruppi legati alla rendita, nonché la loro (insolita) alleanza con la burocrazia sindacale, per l’accesso ai fondi pubblici e pensionistici al fine di convertirli in attività di lucro (Oliveira 2003).

Per quanto eterogenei, i ceti medi, sin dal 1990, sperimentano una certa frustrazione con questo modello economico-sociale (Gonçalves 2022). Tale delusione si è riflessa nelle elezioni presidenziali. Nel 1989, Lula, già candidato per il PT, ottenne i voti dei ceti medi a differenza del suo rivale. Nonostante ciò, Fernando Collor de Mello fu eletto e il suo governo, congelando i risparmi e investendo nelle privatizzazioni, aprì la strada all’impoverimento della classe media. Nelle elezioni del 1994 e del 1998, i ceti medi hanno continuato a sostenere Lula, che ottenne la maggioranza dei voti tra le fasce sociali istruite e tra quelle con reddito compreso tra 2 e 10 salari minimi. Il presidente Fernando Henrique Cardoso, eletto in quella competizione elettorale, ottenne il sostegno dei ceti alti, di quelli bassi e della popolazione meno istruita. L’era Cardoso si è basata su un vasto programma di espropriazione del pubblico e delle garanzie sociali. La delusione, ancora una volta, si sono trasformate in voti per Lula, il quale, nel 2002, è stato eletto con il voto massiccio delle classi medie (Lavinas/Gonçalves 2018).

Diverse misure della prima Era  PT (2002-16) hanno contribuito all’aumento delle frustrazioni derivanti dalla finanziarizzazione. Tra queste il modello di politica sociale promosso. Secondo Lavinas (2015a: 13 e segg.), come strategia di inclusione, il PT ha adottato un modello liberale di welfare che ha posto l’accento sul credito individuale come strumento privilegiato per l’accesso ai servizi essenziali. Parallelamente, ha adottato politiche che riducevano le risorse, i beni e le forniture pubbliche. A titolo esemplificativo, nel 2013 “la spesa per gli esoneri fiscali e previdenziali è stata stimata in 218 miliardi di reais, mentre la sanità pubblica e l’istruzione hanno ricevuto complessivamente 163 miliardi di reais” (Lavinas 2015b).

Questo scenario – servizi pubblici limitati e aumento del credito individuale – ha accentuato la dipendenza delle classi medie e lavoratrici dal sistema finanziario. Per poter accedere ai mezzi di sussistenza senza dotazione collettiva, queste classi sono state colpite da livelli crescenti di indebitamento.

Nel momento in cui i ceti medi sono stati esposti ai mercati e alla loro assenza di regole, quella prima sensazione di emancipazione, determinata dall’accesso al credito, si è trasformata nell’incubo del debito.

Il sentimento contraddittorio generato dall‘empowerment a prima facie x debito a lungo termine, a partire dal 2006, si è riflesso nelle elezioni presidenziali. I voti per Lula e Dilma Rousseff gradualmente diminuivano tra i ceti medi: delusi dal declassamento sociale a causa del debito e della precarietà, questi elettori si stavano spostando a destra (Lavinas/Gonçalves 2019). Allo stesso tempo, la base della piramide sociale, con un reddito familiare fino a due salari minimi, entusiasmata dalla sensazione di miglioramento, dovuta a un’inclusione finanziaria senza precedenti, ha aderito al Lulismo. Nelle elezioni del 2018, sebbene Bolsonaro abbia ottenuto più voti, tanto tra la popolazione con istruzione bassa, quanto tra quella con istruzione media e superiore, la differenza rispetto a Fernando Haddad, candidato del PT, è stata significativa proprio tra la popolazione con istruzione media e alta. Nel Nord-Est, al contrario, una regione caratterizzata dalla maggiore presenza di segmenti poveri e poco istruiti, Haddad ha mantenuto l’importante vantaggio, che il suo partito aveva conquistato nelle tre precedenti elezioni (Singer 2021).

In una prospettiva di lungo periodo, il regime finanziario di esproprio ha invertito la base elettorale del Partito dei Lavoratori (PT): il sostegno delle classi medie, rilevato tra il 1989 e il 2002, è stato sostituito, nelle elezioni successive, dal 2006 al 2018, da quello dei ceti più bassi. Come si è visto, tale alternanza è legata alla percezione dell’inclusione finanziaria.

Gli strati popolari sono riusciti a ottenere ciò che storicamente era stato loro negato, l’accesso al consumo, solo grazie alle politiche creditizie del PT. È irrilevante discutere se la sensazione di miglioramento sia un’illusione o meno. Attraverso l’apertura al mercato, i legami sociali vengono indubbiamente ampliati, ma, allo stesso tempo,  relazioni sociali che prima non erano oggetto di valore di scambio, lo diventano. È la stessa logica descritta da E.P. Thompson (1966: 212) sull’accumulazione primitiva in Inghilterra: tra “pessimisti” e “ottimisti” relativamente alle condizioni delle masse tra il XVIII e il XIX secolo, lo storico inglese sosteneva che il lieve miglioramento significava solo l’inizio dell’esperienza catastrofica della vita capitalistica.

Convivendo da più tempo con il sistema finanziario, le classi medie non sono state sorprese dall’accesso al credito. Hanno sentito la catastrofe sotto forma di dipendenza dal debito per garantire i loro mezzi di riproduzione. Questa situazione ha messo a dura prova il classico dilemma delle classi medie: divise tra il desiderio di differenziarsi economicamente dai settori popolari e l’impegno per la giustizia sociale (Lavinas/Gonçalves 2018). L’unico modo per incoraggiare la loro adesione alla giustizia sociale è mostrare i limiti del modello privato incapace di soddisfare i loro bisogni e allo stesso tempo è mostrare i vantaggi che politiche egualitarie avrebbero nell’ambito della loro relativa prosperità rispetto alle classi lavoratrici. Tuttavia, non avendo la prima Era PT investito in tali provvedimenti, ma solo nell’espansione del credito, i ceti medi sono stati abbandonati all’espropriazione finanziaria (Gonçalves/Lavinas 2022). Disillusi e privi di identità collettiva, hanno seguito proposte di mercato che rafforzassero la loro differenza e i loro privilegi, attraverso politiche di tassi di cambio bassi (che rendono più convenienti i beni di consumo importati), liberalizzazione dei flussi finanziari (per avere accesso a più credito) e degli investimenti stranieri (per ottenere posti di lavoro qualificati e una più facile disponibilità di beni di lusso) (Saad Filho 2014). Nonostante il peggioramento della propria condizione complessiva a causa dell’esproprio e del debito, la classe media, senza avere un’alternativa egualitaria da parte del PT, ha potuto solo vedere, come soluzione alle proprie frustrazioni con il mercato, un mercato ancora più forte. Per questo motivo, ha votato a destra.

3. L’autocrazia bolsonarista come gestione dell’iper-espropriazione ed espressione dell’insoddisfazione della classe media

Nel corso di questo riallineamento di classe, il regime finanziario espropriativo è stato assorbito dalla crisi globale, iniziata nel 2008. L’impatto del crollo dei prezzi delle commodities in Brasile è stato devastante. All’inizio del governo Rousseff (2011), la crescita si è arrestata. Il PIL è crollato dal 7,6% del 2010 allo 0,1% del 2014. Questo scenario sfavorevole ha fatto emergere l’insoddisfazione delle classi medie. Nel giugno 2013 sono esplose le proteste, e, nei mesi successivi, si sono polarizzate tra gruppi che criticavano e quelli che difendevano le politiche di mercato (Gonçalves 2022). La formula anti-crisi del salvataggio del sistema finanziario attraverso l’austerità, già adottata dalla Rousseff, non poteva essere attuata senza diminuire il dissenso. La soluzione è stata il colpo di Stato parlamentare di Michel Temer (2016): da un lato, ha superato le incertezze sulla capacità del governo del PT di far rispettare il numero richiesto di espropri; dall’altro, attraverso meccanismi repressivi, ha minato i diritti del lavoro e imposto un tetto alla spesa sociale per 20 anni. La classe media è scesa in piazza chiedendo il proprio colpo di Stato.

La blindatura politica degli espropri, soprattutto al ritmo e all’intensità richiesti dalla formula egemonica anti-crisi, richiede un equilibrio tra coercizione e consenso. Questo è stato raggiunto solo con il successo di Bolsonaro, il quale, nel 2018, ha ottenuto il sostegno massiccio, soprattutto, dei ceti medi. Il bolsonarismo è riuscito a elevare il conservatorismo a forma dominante di espressione dell’insoddisfazione delle classi medie per il loro declassamento sociale, proteggendo il sistema finanziario con la creazione di capri espiatori, attraverso pratiche discriminatorie (razzismo, sessismo, ecc.) e attraverso il discorso sulla corruzione del PT (antipetismo) (Gonçalves 2021). L’autocrazia di Bolsonaro si è dimostrata adeguata alle condizioni imposte dal mercato finanziario durante la crisi, che presupponevano un maggiore rigore e l’accettazione sociale delle politiche di austerità. Per tali ragioni, il governo Bolsonaro è stato il governo adeguato all’attuazione e all’amministrazione dell’iper-esproprio. Un modello politico in grado di realizzare eccedenze espropriative. Attraverso una riforma delle pensioni che ha innalzato l’età pensionabile per le donne e il numero di anni di contribuzione qualificata; attraverso la riduzione radicale della spesa pubblica in settori come l’istruzione, la ricerca, la salute e l’ambiente; attraverso l’autonomia della banca centrale, ecc.

Infine, è possibile suddividere gli effetti elettorali di lunga durata del regime finanziario di esproprio in tre ambiti. In primo luogo, i ceti popolari sono migrati dalla destra al PT grazie alle politiche di inclusione finanziaria che, sotto i governi del PT, hanno dato loro un accesso senza precedenti al credito e ai consumi, generando un senso di miglioramento sociale. In secondo luogo, le classi medie si sono spostate in gran parte dal PT alla destra a causa della loro esperienza con il debito, e a causa della contestuale riduzione dei finanziamenti pubblici. Infine, queste classi hanno riversato la loro insoddisfazione nell’estrema destra. Senza alternative nel campo progressista, hanno accettato valori discriminatori che creano quei capri espiatori necessari per mascherare la precarietà della propria condizione sociale, e in tal modo conservare e autorizzare i reali dispositivi che li espropriano. Il bolsonarismo è, in questo senso, la soluzione ottimale per continuare a riprodurre il regime finanziario di espropriazione. Riesce a capitalizzare l’eccesso di frustrazioni che un tale regime produce.

4. Il bolsonarismo indebolito: la crisi di Covid-19 e i suoi effetti à corte terme sull’elettorato della classe media

Il progetto autocratico bolsonarista è stato indebolito dalla crisi prodotta dal Covid-19 (Gonçalves 2021). La pandemia ha fatto emergere l’importanza dei finanziamenti pubblici alla sanità e alla ricerca. In questo senso, sul terreno politico, ha riacquistato forza un discorso che affermava l’importanza della protezione dell’altro e della vita. Un discorso capace tanto di indebolire le pratiche discriminatorie quanto di denunciare quelle orientate a sostenere la diffusione dell’uso privato delle armi. Allo stesso tempo, a causa dello smantellamento dell’economia produttiva, i governi sono stati costretti a creare misure di emergenza per sostenere diversi settori, economici e sociali. Bolsonaro è stato costretto ad adottare un “bilancio di guerra” che ha reso il regime fiscale più flessibile. Ha anche dovuto creare un programma di aiuti di emergenza che ha coperto 67 milioni di beneficiari. I trasferimenti di denaro e le autorizzazioni delle licenze hanno garantito il sostegno alle famiglie (Gonçalves/Lavinas 2022).

Le politiche di lotta alla pandemia, tuttavia, sono state accompagnate dal negazionismo scientifico e sanitario. Plasmato da questa visione reazionaria, il “bilancio di guerra” è stato mal pianificato: mentre i crediti straordinari approvati per finanziare i farmaci e il costo per i posti letto non sono stati attuati, l’acquisto dei vaccini è stato ritardato. La politica economica di Bolsonaro è stata accompagnata dalla difesa di quel regime fiscale, che, di fatto,  negava l’ethos delle misure di emergenza. La breve tregua anticiclica del 2020 è stata interrotta dall’emendamento costituzionale 109, che ha alimentato nuovamente le espropriazioni attraverso l’austerità, creando un “sotto tetto” all’interno del tetto di spesa sociale. Il ministro dell’Economia Paulo Guedes ha iniziato a sostenere una riforma amministrativa per comprimere ulteriormente le retribuzioni dei dipendenti pubblici e togliere loro i diritti. Nella seconda metà del 2021, il PIL ha subito una contrazione (Gonçalves 2021).

Gli effetti politici della pandemia sono stati terribili per Bolsonaro. Il livello di riprovazione, da parte dell’elettorato, nei suoi confronti, è aumentato in modo significativo. Ha perso ex alleati politici, come, per esempio, con le dimissioni dei ministri Luiz Henrique Mandetta (Salute) e Sérgio Moro (Giustizia). La Corte Suprema, le élite giuridiche e i principali media (O Globo e Folha de São Paulo) si sono apertamente opposti al negazionismo bolsonarista. Lo stesso si può dire di alcuni settori del mondo imprenditoriale.

Il progetto autocratico di Bolsonaro, gestire l’eccesso di espropriazione, si è rivelato fallimentare nell’affrontare la crisi del Covid-19. Il suo modello di equilibrio tra violenza e legittimità, efficace nell’immunizzare la finanziarizzazione dagli eccessi della frustrazione sociale, non ha funzionato efficacemente di fronte all’emergere di nuove abitudini, stili, valori e legami di solidarietà, tenuti insieme dalla lotta contro la pandemia. La richiesta di promuovere la vita non poteva trovare una collocazione all’interno al conservatorismo radicale bolsonarista. In questo clima sempre più dissonante, sono state fatte diverse denunce per corruzione, alcune delle quali proprio in merito all’acquisto di vaccini. Bolsonaro è caduto in disgrazia presso alcuni settori del capitale e la sua disapprovazione popolare è aumentata.

Dal 2021, Bolsonaro si è impegnato per recuperare il consenso perduto. Ha stretto alleanze con il Centro clientelare (Centrão), ha mobilitato intensamente la sua base, ha promosso manifestazioni di massa in occasione dei festeggiamenti previsti nel giorno dell’Indipendenza. Inoltre, nel 2022, il governo Bolsonaro ha approvato e attuato un pacchetto di benefici e sussidi sociali per un valore di 41,25 miliardi di reais.

Questo scenario dimostra che, a breve termine, la pandemia ha creato delle fratture all’interno del regime finanziario di espropriazione. In primo luogo, ha promosso norme sociali che lo mettono in discussione, attraverso richieste di incremento dell’intervento pubblico in settori strategici (sanità, sicurezza sociale, ecc.) e di riduzione dei programmi di privatizzazione. In secondo luogo, un tale modello politico autocratico produce continuamente frustrazioni, perché non può realizzare ciò che promette. Non riuscendo a dare una legittimazione (divergenza tra convinzioni conservatrici e valori di sopravvivenza), rende evidente la violenza bolsonarista, che, una volta smascherata, può essere bloccata.

La crisi di Covid-19 è stata quindi una delle cause principali della perdita del consenso elettorale di Bolsonaro. Questo ha influito sulla sconfitta subita alle ultime elezioni. Nel Sud-Est, una regione caratterizzata da una maggiore scolarizzazione e da un’ampia fascia di elettori a medio reddito, il PT, alle ultime elezioni, ha ottenuto 7,7 milioni di voti in più rispetto alle elezioni del 2018. La riduzione del vantaggio di Bolsonaro spiega la vittoria di Lula (Couto 2022). A San Paolo, nonostante abbia ancora una volta, ottenuto più voti del candidato del PT, l’attuale presidente, negli ultimi 4 anni, ne ha persi 1,1 milioni (Sampaio 2022). A Minas Gerais è stato sconfitto. Questi dati suggeriscono che, nelle aree urbane e in quelle abitate dalla classe media, c’è stato un ritorno al PT da parte dell’elettorato. Tuttavia, ciò non è sufficiente per sconfiggere Bolsonaro in queste aree.

5. Conclusione: un’ipotesi sulle elezioni del 2022 e il monito di E. P. Thompson al PT

L’ipotesi che suggerisco è la seguente: l’effetto à court terme della crisi del Covid-19 sul progetto autocratico bolsonarista di sovra-espropriazione è stato l’indebolimento del suo consenso sociale ed elettorale tra le classi medie, ma non la definita perdita di attrazione del suo progetto presso questi ceti. Attrazione prodotta dalle conseguenze di lunga durata del regime finanziario di espropriazione. Il suo ampio voto e il successo dei suoi alleati sono innegabili. Bolsonaro continua ad essere un’alternativa politica ai deficit di legittimità e alla richiesta di violenza che l’espropriazione finanziaria richiede. I conflitti generati dalla pandemia sono stati sufficienti per eleggere Lula, non per cancellare Bolsonaro. Questi conflitti aprono la possibilità di progetti universali egualitari, in grado di competere con il bolsonarismo per la riduzione della delusione sociale stimolata dal funzionamento del regime finanziario espropriativo. Ma  tali progetti non sono mai stati realmente appoggiati dal PT, una volta al governo. Al contrario, il PT ha contribuito al funzionamento del regime espropriativo, generando, con le sue politiche, insoddisfazione.

In questo senso è necessaria un’ultima osservazione. Nel Nordest, i risultati dell’ultima elezione presidenziale, tanto al primo quanto al secondo turno, hanno mostrato un leggero calo di voti a favore del PT rispetto all’elezioni del 2018 (Folha de S. Paulo 2022). Questo potrebbe indicare la tendenza dei segmenti popolari a spostarsi dal PT verso l’estrema destra. Già da tempo in contatto con il mondo del credito, questi segmenti potrebbero passare dalla fase in cui si sentono “un po’ meglio” all'”esperienza catastrofica” con il debito. Lula dovrebbe prendere seriamente il monito di E. P. Thompson se intende evitare che il bolsonarismo si rafforzi ulteriormente nel 2026. Per farlo, però, dovrà opporsi alle sue vecchie politiche che hanno dato centralità all’espropriazione finanziaria e dimostrare che la richiesta di emancipazione emersa dalla pandemia va in direzione contraria alla continua espansione del mercato.

Testo originariamente pubblicato in Revista Rosa vol. 6, n. 2

* Professore di Sociologia del Diritto Università Statale di Rio de Janeiro (UERJ)

1) Ringrazio Luciano Nuzzo non solo per l’accurata traduzione, ma anche per lo stimolante dialogo che ha contribuito alle riflessioni presenti in questo saggio. Ringrazio anche Bianca Bulcão Lucena per i suoi preziosi commenti.

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