Esisteva un gesto comune ai ragazzini degli anni ’80, quando gli home computer erano ancora la norma e i Personal Computer ancora da venire. L’Atari era ancora nei negozi, anche se in America era ormai alla frutta, la seconda generazione di Console per mille ragioni era alla fine e cominciava la terza. Ma cominciava con NES e Master System ancora da venire, e cominciava da un Home Computer, il Commodore 64.
E cominciava da un gesto rituale: andare in edicola a comprare le “cassette”. Ignorando che nella maggioranza dei casi quello che portavi a casa coi soldi della paghetta, o che i tuoi genitori ti portavano assieme al giornale era un “bootleg”, un tarocco di livello cosmico.
Un mondo dove potevi comprare “Etruschi” e illuderti per decenni che gli Etruschi fossero un popolo di bizzarri individui seminudi che saltano sulle Ziggurat prima di scoprire di aver comprato “Aztec Challenge” rimarchiato. O dove “Judoka” poteva essere “Karateka” o “Way of the Exploding Fist”, a seconda.
Il mondo del bootleg ma “legale”.
Cassette da edicola: quando la pirateria era la norma
Partiamo da una serie di fattori: c’è stato un tempo in cui nessuno aveva idea di cosa fosse un videogame, dal punto di vista legale si intende. Dal punto di vista tenico del resto i videogames esistevano solo dal 1958, e prima di avere delle release commerciali su computer bisognerà almeno aspettare almeno gli anni ’70 per il gioco su console e gli home computer negli anni ’80 con le prime distribuzioni di Zork e altri iconici capolavori.
E in Italia quantomeno esiste una cosa chiamata divieto di analogia juris nel penale: puoi essere punito per un reato, ma ovviamente non per “qualcosa che ci somiglia”, anche abbastanza. L’alternativa sarebbe vivere in un mondo in cui non esiste più la certezza di ciò che è punibile o meno, nel quale potrai in ogni momento essere punito per qualcosa che “non è un reato ma ci va abbastanza vicino”.
Il Diritto d’Autore è normato dalla Legge 633 del 16 Luglio 1941, nata anni prima del concetto stesso di videogame.
Ciò posto, finché il mondo del videogioco era in mano alla prima generazione delle console, che non avevano giochi intercambiabili ma solo “in memoria” (cosa che abbiamo bene visto) e alla seconda generazione, dipendente dalle cartucce non vi era alcun problema.
Non diciamo che la pirateria è nata solo col Commodore 64: i pirati riuscivano a clonare intere schede arcade per cominciare. E cartucce di ogni tipo, ma il Commodore 64 (e prima di lui il Vic20, e durane lo Spectrum) resero le cose assai più facili.
Partiamo quindi dall’ecosistema legale: un mondo in cui il diritto d’autore comprendeva le opere dell’ingegno umano ma i videogames erano “aggeggi nati per sollevare dalla noia gente sfaccendata” (Pretura di Torino, 25 maggio 1982), non menzionato dalla nora del 1941 e quindi immeritevole di tutela e, quando lo furono, inizialmente lo divennero per questione di concorrenza e non ancora dirito d’autore. Non proteggevi il diritto d’autore alla base dei videogames, proteggevi il diritto di una ditta di non farsi fare concorrenza sleale da altre ditte che “tagliavano le curve” della ricerca.
Il mercato delle schede arcade si scontrò però presto coi suoi limiti: un “cantinaro” doveva smantellare un cabinato pezzo per pezzo, riprodurlo e scoprire che, magari, le sue opere erano arrivate in America attirando l’attenzione dell’FBI.
In questo ecosistema arriva il fenomeno “cassettina da edicola”.
La cassetta da Edicola vs la pirateria comune e gli originali
Esiste un ideale confine nel mondo degli anni ’80. Un confine più rigido e invalicabile del muro di Berlino: il muro tra i paesi che adottarono per il Commodore 64 il floppy drive 1541 come unico mezzo di storage e coloro che restarono tenacemene stretti intorno alle cassette.
E questo rese la pirateria italiana un mercato ubiquo, onnipresente e del tuttto legale.
Clonare un cabinato arcade costava e non poco: clonare una cassetta costava molto, molto meno, come ricorda per VICE il dottor Carlo Santagostino, docente e fondatore di Retrocampus.
Non era comunque un’impresa facile, e i pirati si avvalevano di una infrastruttura tecnica degna di un apparato legittimo.
Al principio la pirateria fu quella che sarebbe stata negli anni anni ’90 fino alla sua graduale scomparsa nel 2000 e la sua trasformazione in digitale: il negozietto che sottobanco ti copiava la cassetta o, se eri così ricco da permetterti un lettore floppy, il dischetto dagli originali in suo possesso o, negli anni immediatamente successivi, così ricco da permettersi l’accesso ad una BBS per scaricare i programmi craccati dagli hacker del nord Europa.
Ma un ragazzino non poteva mettersi a cercare negozi compiacenti, e gli originali spesso erano fuori dal suo budget. Avrebbe potuto convincere i genitori a comprargli un gioco originale, merce diffusa in pochi negozi, distanti dalle periferie e dal costo variabile dalle 5mila alle 15mila lire in un’epoca precedente ad Internet in cui solo riviste come Zzap! potevano fornirti un’anticipazione.
Farsi comprare un gioco costoso e scoprire che era una schifezza comportava il rischio di lamentarti coi tuoi genitori e non vedere mai più un gioco nella vita, oppure restare a suppurare e macerare nella sofferenza umana.
Ovviamente non stiamo giustificando la pirateria, anzi, ma stiamo spiegando cosa rendeva la pirateria appetibile. E lo spiegheremo con un esempio, anzi una storia di vita.
Arriva la pirateria: il lato dell’utente
Sei un ragazzino di otto anni o giù di lì. Hai una paghetta, vai in edicola a comprarti Tiraemolla, Topolino, il Giornalino o altri giornaletti per l’edificazione del fanciullo dell’epoca.
Atttira la tua attenzione un “blister” colorato, con promesse come “cinque giochi per sole ottomilalire” o, più avanti nelle storia, “stecche” di cassette varie pubblicate negli anni precedenti per un costo di poco inferiore.
Cassette con un numero di giochi maggiore di quelle nei pochi originali: se una confezione originale aveva un gioco per cassetta, la “cassetta da edicola” aveva dai cinque ai venti giochi, sparsi per i due lati della cassetta.
Talora, con un po’ di fortuna, trovavi anche cassette doppia faccia con un lato dedicato ad un computer ed uno all’altro (ad esempio i rivali Commodore 64 e Spectrum, o Commodore 64 e 16, o Commodore 64 ed MSX…), il più delle volte trovavi giochi praticamente indistinguibili dagli originali perché erano gli originali con un nome diverso, come “Gnam” per Super Pacman o “Lawman” per Batman.
Giochi con nomi follemente diversi, e con lore, storie ricostruite dalla fantasia di chi probabilmente non conosceva la lingua di Albione abbastanza per leggere i manuali reali o voleva distanziarsi dal prodotto.
Rimrunner diventava così “Older“, storia ambientata sull’omomino pianeta.
Ma Lode Runner, capolavoro della Broderbund e inizio della saga dell'”Impero dei Bungeling” (ostili robot apparsi in Lode Runner, Choplifter e Raid on Bungeling Bay) diventava a seconda dei casi “Fugone“, storia di un “fugone” da degli “ometti maledetti”, oppure “Transformers”, storia di tale Roderick, vero e proprio Orlando spaziale che dopo aver combattuto i Mori (!!!) scopre che l’amata Guendalina (!!!) è stata rapita da alcuni alieni che possono essere sconfitti dal “Transformer”, una nota arma Gedi (!!!), per non parlare di “Remigio” storia alternativa in cui sei un bizzarro anziano disegnato male col potere della “fiamma sacra”.
Ma non ti importava: saresti tornato in edicola perché, del resto, erano giochi legittimi, spesso con tanto di bollo SIAE, non avevi mai visto tanti originali in vita tua da poter fare paragoni e l’edicolante era una persona di cui fidarsi.
Avresti continuato a comprare “pirata” per diverso tempo senza avere la minima cognizione di quello che stavi facendo. Crescendo, dal 1986, probabilmente avresti cominciato a comprare Zzap! scoprendo solo allora che “Danger Source” era in realtà “Rick Dangerous”, e che lì fuori esisteva un mondo di originali venduti in un modo diverso.
Ma a quel tempo semplicemente aveva smesso di importartene. Eri pirata nel 1983, lo saresti stato fino alla fine di tutto negli anni ’90, con la prima cassetta da edicola uscita a dicembre 1983 per lo Spectrum (RUN), e l’ultima fu la COM64 di dicembre 1993 dedicata al Commodore 64. Avresti comprato le raccolte di invenduti uscite fino al 1996, le “stecche”, anche se probabilmente negli anni ’90 avevi già un lettore floppy per poter “copiare da te” e il mercato stava cambiando.
Anche se nel 1988 era arrivata Simulmondo, e il mercato Italiano si arricchì di una casa editrice italiana pronta a capitalizzare non più sul “bootleg”, sul facile pirata, ma nel portare in edicola e sullo schermo degli Home Computer le grandi Proprietà Intellettuali Italiane, da Diabolik a Dylan Dog.
Dietro il bancone: i segreti della fabbrica del bootleg legale
Dietro ogni cassetta da edicola c’erano riviste. Riviste che troverete censite sull’eccellente portale “Edicola 8-bit by Sovox”.
Riviste iconiche, parte della storia dell’Informatica Italiana, come “Pirata”, “Game 2000”, “Special Program” e le celeberrime cassette “Armati”, ditta poi passata al “lato chiaro” per mettere a disposizione distribuzione e risorse per ditte lecite come la citata Simulmondo.
La rivista aveva enormi vantaggi: era perfettamente lecita e originale, in quanto ovviamente vendevi una rivista con una cassetta nel cellophane, non una “cassetta pirata”, peraltro godendo della fiscalità migliore destinata a riviste e quotidiani.
Come ci ricorda il citato Santagostino, la mancanza di norme chiare (una riforma in tal senso si sarebbe fatta attendere fino al 1992) non impediva ai detentori di diritti di provare a far valere la loro tutela, ancorché con forme farraginose e lente. Adivi il tribunale per la concorrenza sleale, e talora ci riuscivi: ma intanto passavano i mesi, e anche se veniva disposto il sequestro di un lotto di giochi, erano già diventati “storia vecchia”.
Valigette di giochi comprati all’estero arrivavano dai programmatori, pronti a “smantellarle” a rimontarle in nuove forme: il mercato della pirateria non era di qualità, ma di quantità, sempre pronto ad inseguire gli ultimi titoli, i più semplici e facili da tradurre.
Una sfida al “gatto e topo” con gli originali portava a creare cassette che caricavano più velocemente degli originali (vedi Turbo Tape), con le schermate di caricamento sostituite da goffi disegni fatti in proprio e con un numero maggiore di giochi. Ci guadagnava l’acquirente, che come abbiamo visto con pochi spicci si creava una collezione, ci guadagnava la “rivista”, che con una singola uscita produceva più giochi, ci perdeva il già assente mercato del “gioco originale”, con ditte come Miwa Trading sconfitte dall’indotto del bootleg.
Non pensiate però sia stato facile creare quelle riviste/cassette un po’ sfacciate, con custodie istoriate a Chuck Norris, Paperini con scritte irripetibili e goffe descrizioni dei giochi in vendita del tutto inventate: la duplicazione delle cassette ad esempio era sovente affidata agli stessi impianti professionali che si occupavano della musica.
Del resto Turbo Tape e sistemi simili aumentavano esponenzialmente il “difetto” tipico delle cassette, l’incubo del giocatore: il bisogno di un lettore ben tarato su cassette ben registrate incise a loro volta su unità ben tarate per evitare il “problema dell’azimuth” (la testina che “non aggancia” il segnale”).
Non era infrequente che l’editore delle “cassette da edicola” stampasse avvisi lodando la perfezione tecnica delle sue cartucce invitando eventuali acquirenti insoddisfatti a provare piuttosto a prendersi cura dei propri Datassette pulendo le testine con cura e, nell’era della pirateria su floppy disk, invitando a sbattere con forza floppy usurati da un cattivo trasporto sulla scrivania provando a “raddrizzarli” prima di restituirli.
Ovviamente a questo punto si potevano perdonare differenze di fattura fisica tra un lotto di cassette e l’altro: ovviamente venivano copiate tra una hit musicale e l’altra.
E ovviamente potevi perdonare traduzioni imperfette o carenti, come nel caso di Usagi Yojimbo diventato “Kendo-San” (quando il personaggio di Stan Sakai era ancora poco noto in Italia e per evitare contestazioni) con i dialoghi del gioco inizialmente tradotti e poi semplicemente saltati in quanto non necessari alla prosecuzione dell’avventura.
Eccezione era per alcune cassette a distribuzione “carbonara”, ovvero meno organizzata, come le “Napoletane”: la distribuzione più ristretta consentiva politiche più sfacciate. Le “Napoletane” avevano ad esempio i nomi originali ma anche crack e trainers, ovvero trucchi incorporati nella programmazione per avere vantaggi, vite illimitate o poter saltare livelli, e sia le “Napoletane” che le “Siciliane” attingevano a piene mani dalle BBS.
Ovviamente il “creatore” diventava il programmatore/cracker che si occupava di sproteggere, modificare e copiare il gioco: in caso di recriminazioni legali, la rivista avrebbe avuto un margine per negare.
Un censimento porta a contare centotrenta collane per i diversi sistemi 8 bit (Commodore 64, Spectrum, MSX, Vic 20, Commodore 16), a cui si vanno ad aggiungere un minimo di dieci collane pirata su floppy disk, solitamente con cadenza mensile o bimestrale.
Questo, naturalmente, escludendo le citate “Napoletane” e “Siciliane”.
Fine dei giochi
Nel 1993 entrò in vigore una nuova Legge sul Diritto d’Autore: le cassettine da edicola erano esplicitamente vietate ora.
Ma esattamente come il Dendy (il clone russo del NES) non fu fermato dalla legge ma dall’arrivo dei prodotti ufficiali, semplicemente nel 1993 le cassette da edicola erano fuori tempo massimo.
La prova che forse non sarebbe bastata una riforma legislativa a spazzarle via l’abbiamo con l’esistenza delle “valigette” e delle “stecche” coi fondi di magazzino vendute nel 1996.
Ma semplicemente nel 1993 Commodore era andata fallita, spegnendo per sempre i riflettori sull’era degli Home Computer: si sarebbe passati al Personal Computer, al clone IBM, e dalle cassettine da edicola si era arrivati alle scatole da edicola, sempre Jackson e di altri volti noti, ma con giochi economici ma legali.
La pirateria non era sparita, era diventata diversa: non c’era più il pirata che raccoglieva fondi per comprare giochi da sproteggere e distribuire, ma ragazzini che raccoglievano le diecimila lire per una “scatola gioco” per poi copiarsela a vicenda comprando in cinque o sei il gioco di uno quando non decidevano di giocare sporco restituendo un gioco appena copiato millantando un malfunzionamento per ottenere in cambio un secondo gioco da copiare.
La pirateria “nuova” non era più quella delle cassette da edicola, ma del “mantero”, l’ambulante coi suoi CD masterizzati per la PlayStation “modificata” per accettare giochi pirata, un miscuglio di originali e bizzarri bootleg a base di Pokemon dove non dovevano esserci, versioni di Quinta Generazione del “Somario” di terza.
La pirateria di quarta e quinta generazione era chiaramente illegale, sapeva di essere illegale e neppure provava più a vestire i panni della legittimità.
E presto, finì anche l’era carbonara del “CD tarocco dell’ambulante”, con l’era moderna che rende la pirateria un semplice click sulla banda larga, ancorché col rischio di trovarsi bannati dai servizi online delle principali piattaforme che ora sono il sangue e la vita di ogni giocatore e infestati da virus e malware piazzati da un cracker burlone o male intenzionato.
La cassettina nell’immaginario e negli effetti pratici
Ma in fondo è stato bello finché è durato, ed ha lasciato in una intera generazione un ricordo.
Il gioco News Stand per Commodore 64 si basa proprio su questo: un ipotetica ucronia in cui droni e schermi piatti compaiono in un mondo dove il “rito della cassettina” è ancora presente e lo scopo del tuo personaggio è evitare amici importuni e turiste vogliose per correre in edicola prima che le cassette finiscano, ed anche il romanzo “Inseguendo un Super Santos verso l’Infinito” vede nel rito della “cassetta da edicola” una parte dell’esperienza anni ’80.
All’atto pratico, la cassetta pirata ha sia ostacolato la creazione di un mercato del videogioco ufficiale made in Italy che posto le condizioni per l’esplosione della cultura dell’home computer: del resto un ecosistema è buono quanto la sua vitalità, ed è innegabile che per almeno un decennio abbiamo seguito la stessa rotta vista in Russia col Dendy.
Un’industria del bootleg sulla quale i detentori dei diritti avrebbero molto da dire, e tutto giustamente, ma che nel canalizzare il mercato software in una direzione completamente irriguardosa del concetto stesso di proprietà intellettuale contribuì a popolarizzare l’hardware.
Certo, abbiamo visto come la seconda generazione di console sia tramontata anche perché gli scaffali erano ormai invasi da cassette di giochi di qualità infima, e di certo non stiamo dicendo che ogni “titolo da edicola” era accuratamente scelto tra quelli che oggi chiameremmo “triple A”, anzi non ci rimangeremo quanto detto sulla scelta tra i titoli più semplici da copiare, taroccare alla bisogna e infilare in cassette, stecche di cassette e valige di cassette.
Stiamo dicendo che per un ragazzino degli anni ’80 italiano il Commodore 64 era un oggetto del desiderio anche perché veniva bombardato in edicola da riviste che ai suoi occhi erano del tutto legittime (o meglio “non illegali”) che gli promettevano una intera collezione di giochi al prezzo con il quale con un Atari 2600 avrebbero avuto una singola cartuccia, forse senza arrivare a raccogliere tutta la somma.
Riviste colorate con gadget ulteriori, come magliette e adesivi incitavano il ragazzino a chiedere un home computer, convinto della diffusione dei titoli, e avere cassette “stampate professionalmente” aveva un impatto psicologico diverso rispetto alla pirateria carbonara dell’amico col registratore doppia piastra o del negoziante con due lettori floppy a catena o il doppio disco MSD Super Disk nel retrobottega o del futuro CD-R TDK o Basf col “gioco per PC o Playstation” venduto dall’ambulante qualche anno dopo.
Non è un caso se storie di grande imprenditoria del gioco Italiano, come Simulmondo, partano da un pubblico cresciuto col mercato del bootleg, trovando dinanzi a loro sia una strada spianata che un pubblico abituato a copiare, con un vantaggio e un detrimento assieme.
Probabilmente, concordiamo con l’analisi di Santagostino, il concetto stesso di “passatempi per sfaccendati”, del gioco come una cosa vile e minima priva di impegno nasce dalle cassette da edicola: se l’importatore di bootleg sceglie solamente giochi “minimi” e facili da craccare, se le modifiche introducono bug ed errori anche ortografici nei nuovi testi, se il prodotto finale ha un’aria un po’ “ruspante”, tu, pubblico, ti convinci che in fondo il videogioco non possa essere di più che quel “passatempo economico da poche lire in edicola”. Convinzione tanto più forte quanto era parte degli stessi Tribunali, il luogo dove, per definizione, ti viene detto cosa è degno di tutela e cosa non lo è e per diverso tempo il videogame non lo è stato.
E aggiungo che se in tutto il mondo la lotta alla pirateria informatica è sempre presente, in Italia quel confine sfumato negli anni ’80 ha lasciato ad una intera generazione di ragazzini che ora sono padri un vago senso di “ma cosa vuoi che sia piratare un gioco? Non è peccato, ai miei tempi non lo era”.
Molti degli hacker e dei cracker alla base di questo fenomeno alla fine diedero però origine ad un altro fenomeno: ricordate le goffe grafiche che abbiamo visto?
Anche da queste nacque l’impulso per la “scena Demo”: chi disegnava immagini elaborate e musichette per “arricchire” quelle cassette pirata potè anche disegnarle “per amore dell’arte stessa”, per lo stesso fenomeno per cui dai graffiti vandalici si passa all’arte.
Perché conservare le cassettine?
Sono bootleg, sono tarocchi, chiamali anche falsi se vuoi, ma ci sono portali dedicati all’archiviazione ed alla preservazione in formato digitale delle “cassettine da edicola”.
Edicola 8Bit, Dump Club 64: appassionati che, senza fine di lucro, cercano nei mercatini e tra altri appassionati le “cassettine da edicola” per digitalizzarle e preservarle, scansionare le confezioni e le riviste e rendere utilizzabili i programmi in esse contenute.
In fondo, potresti pensare che non hai bisogno di conservare “Casa dolce Casa” se CSDb ha censito 37 versioni anche craccate di “Henry’s house”, il suo originale, ma il punto è anche questo.
Conserviamo le versioni craccate con lo spirito con cui portiamo anche i graffiti, nuovi e antichi nei musei, perché ogni scritta, ogni disegno “aggiunto”, ogni menzione di un gruppo di hacker era un pezzo della storia dell’epoca.
Ogni goffa immagine “loader”, spesso ridisegnata in modo non solo goffo, ma assurdamente buffo, ogni numero di telefono inserito nei menù di caricamento nelle “Napoletane da Edicola”, ogni numero della rivista del blister erano pezzi di una storia e di tempi che difficilmente torneranno.
Aggiungiamo il fatto che, non essendo Zzap! diffuso in tutte le case, molti nostalgici non riescono ad associare i giochi della loro memoria agli originali senza un aiuto.
Chi avrebbe mai pensato che “Roll Skate”, ovvero “Hop”, ovvero “Super Skating” era in realtà 720 Degrees? Quale associazione di mente porterebbe “Rimrunner” a diventare “Older” con tanto di una “lore” inventata sull’omonimo pianeta?
Grazie a iniziative come Edicola 8Bit e Dump Club oggi possiamo rintracciare gli “originali” di quei giochi, o anche conservare il bagaglio di modifiche nei bootleg, ricostruendo l’era delle “cassettine”.
Le cassette in edicola ora? Non più, ma la storia vive ancora
In edicola non troverete più cassettine. Non troverete più bootleg, ma talora giochi originali “vecchi” venduti in sconto, in blister rosi dal tempo perché il digital delivery ha anche ucciso il mercato della “scatola gioco”.
Ma troverete riviste come Retrocomputer, bimestrale che vede tra le sue penne e tra i suoi creatori e ispiratori proprio il brillante genio di Santagostino che nel primo numero parlerà del lato della storia che per brevità non abbiamo descritto, le storie di coloro che hanno portato il bootleg da edicola in Italia e come.
Non potevamo dirvi tutto, ma vogliamo promuovere una iniziativa editoriale al centro dei ricordi e delle emozioni, ma con grande perizia e tecnica.
In copertina: Scene da “News Stand” e composizioni di bootleg tratte da Edicola 8Bit
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