Gli italiani hanno bocciato il nucleare con due referendum (1987 e 2011) ma secondo Lei dovremmo riaccendere i reattori. Perché?
«Perché il mondo è completamente cambiato dall’epoca dei referendum: abbiamo un problema che si chiama gas serra e l’unica fonte in grado di fornire quantità consistenti di energia, in modo continuo e a potenza costante, è il nucleare, che garantisce circa 8.000 su 8.700 ore all’anno di produzione. Quindi chi si batte contro l’effetto serra e dall’altra contro il nucleare vive una contraddizione logica di cui non si capisce la ragione».
La prima obiezione riguarda la sicurezza.
«La Commissione europea ha commissionato uno studio al Joint Research Center, che ha realizzato un’analisi completa di tutta l’evoluzione del nucleare negli ultimi trenta, quarant’anni, arrivando alla conclusione che resta di gran lunga la fonte meno pericolosa».
Poi c’è il problema di cosa ne facciamo delle scorie.
«Il problema delle scorie è assolutamente sopravvalutato. Fra l’altro in Italia abbiamo scorie nucleari depositate in vari siti, in parte come risultato della chiusura delle vecchie centrali, in parte prodotte, perché i rifiuti radioattivi non derivano solo dall’attività nucleare ma, ad esempio, anche dalle attività mediche. È una questione che tutti i Paesi hanno affrontato: non si è mai verificato un problema relativo allo stoccaggio delle scorie».
Costruire una centrale, però, richiede molto tempo…
«Guardi, costruire una centrale richiede molto tempo in Italia e in molti Paesi europei. Negli altri Stati al mondo, lasciamo stare la Cina, ma prendiamo ad esempio gli Emirati Arabi Uniti o altre nazioni, le centrali nucleari si costruiscono in cinque, sei anni, tranquillamente. Certo, se le procedure autorizzative richiedono un altro decennio, le tempistiche arrivano a 15 anni».
…e molto lavoro.
«Ma crea molti posti di lavoro. Nella fase di costruzione si crea occupazione nell’industria elettromeccanica, nella componentistica, nell’industria edilizia. E sono tutti lavori ad alta specializzazione, perché il cemento armato usato nelle centrali nucleari non è certo quello che usiamo a casa nostra».
Servono comunque ingenti investimenti.
«Con l’inserimento come tecnologia sostenibile nella tassonomia europea, si potrà accedere anche ai finanziamenti europei. Ma, secondo le classificazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), la fonte nucleare può essere una di quelle più a basso costo. Tra l’altro, il ministro (dell’Ambiente, ndr) Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che i nuovi impianti non verrebbero costruiti con soldi pubblici ma con fondi privati. E questi sapranno fare i conti: non vanno certo a investire quattrini se non c’è un ritorno. Anche i costi però dipendono molto dalle procedure autorizzative, perché ovviamente se una procedura si allunga, la spesa tende ad aumentare: dobbiamo soltanto farle le cose. L’Italia è capace di sostituire il Ponte Morandi in un anno e di mettercene trenta per una linea ferroviaria di venti chilometri, dobbiamo solo decidere da che parte vogliamo stare».
Ma non converrebbe spendere queste risorse per le rinnovabili, investendo ad esempio in batterie per lo stoccaggio energetico, pannelli solari, pale eoliche, inverter fotovoltaici, etc?
«Non c’è una contrapposizione: le fonti rinnovabili vanno sviluppate. Ma l’ipotesi di un’Italia alimentata al 100 per cento da fonti rinnovabili, da una parte non ha senso e dall’altra sarebbe estremamente costosa».
Perché?
«Intanto perché in Europa non produciamo né pannelli solari né pale eoliche, quindi è tutta roba che dobbiamo importare. Nemmeno le batterie: sono tutti prodotti realizzati fondamentalmente in Cina. Ma poi soprattutto per compensare la variabilità delle rinnovabili: su 8.700 ore totali in un anno, in Italia abbiamo circa duemila ore di vento e, quando va bene, 1.800 di sole. Quando non soffia il vento non abbiamo produzione dall’eolico e, ovviamente, di notte non si produce nulla dal solare. Per questo, accanto alle rinnovabili, bisogna prevedere tutta una serie di elementi aggiuntivi, come ad esempio lo stoccaggio con le batterie o una moltiplicazione degli investimenti sulle reti di trasmissione, tutte ipotesi estremamente costose».
Ci fa un esempio?
«Tenga conto che d’inverno, quando raggiungiamo il picco nei consumi elettrici, un impianto fotovoltaico produce un terzo dell’energia generata in estate. Allora nella stagione fredda bisognerà investire tre volte quanto serve per l’estate. Il tutto passando da situazioni di penuria a condizioni di eccesso di produzione di energia elettrica. Sarebbe un sistema estremamente costoso, che infatti nessun Paese al mondo persegue».
Quale dovrebbe essere l’obiettivo da perseguire, secondo Lei?
«Una combinazione tra fonte nucleare – che potrebbe garantire fino al 20, 30 per cento dell’energia cosiddetta di base, ossia quella che ci serve sempre, a qualsiasi ora del giorno e della notte, in ogni stagione – e il resto con le rinnovabili, è uno scenario credibile».
Affidandosi alle nuove tecnologie come i nuovi, piccoli reattori?
«Il nucleare per il momento resta quello che esiste già e che sta conoscendo un piccolo boom nel mondo. Persino gli Emirati Arabi Uniti si stanno affidando all’energia nucleare e non è che a loro manchino le materie prime. Ma gli Small modular reactors (Smr), questi piccoli reattori, rappresentano di certo una tecnologia molto promettente. Addirittura alcuni colossi statunitensi come Google e Apple si sono già impegnati ad acquistare energia da questi impianti in un orizzonte di quattro o cinque anni. Poi, sullo sfondo, c’è il grande orizzonte della fusione nucleare, che però appare ancora, onestamente, abbastanza lontana nel tempo».
Ma quanto ci vorrebbe per tornare al nucleare?
«Un mio vecchio professore, quando gli si domandava quanto tempo ci volesse per fare qualcosa, rispondeva sempre: il tempo che ci vuole se cominci oggi, se cominci domani, il tempo che ci vuole più un giorno».