Come pulcini e api ci aiutano a studiare la mente umana: la conferenza di Giorgio Vallortigara al CICAP Fest 2023

1 year ago 55

di Emanuela Pasi

Api, rospi, pesci, cani, pulcini, tartarughe e scimmie: al CICAP Fest 2023  il cortile di Palazzo Moroni è stato trasformato in un immaginario zoo. Durante l’incontro “Che cos’è la coscienza?” Giorgio Vallortigara, professore di Neuroscienze presso l’Università di Trento, ha cercato di guidare il pubblico in un viaggio attraverso i meccanismi neurali della cognizione animale. Per lui, studiare le menti “è un’impresa più generale, che studiare semplicemente la mente umana”. Proprio di questi argomenti il neuroscienziato ha scritto un recentissimo libro chiamato ​​Il pulcino di Kant (Ed. Adelphi, 2023).

Nonostante la moderatrice Claudia Di Giorgio abbia anticipato che in quella circostanza non avrebbero dato una risposta definitiva alla domanda del titolo, ha cercato di strappare al professore una definizione base di “coscienza”, funzionale per la discussione. 

La coscienza è un termine polisemico: la coscienza morale del teologo, l’anestesista che ci  dice se il paziente ha perso coscienza, ma dal punto di vista del neuroscienziato il problema difficile da spiegare è il concetto di esperienza”, ha detto Vallortigara.

Facendo il giocoliere con il microfono, il ricercatore ha mostrato che “esistono molte cose che sappiamo fare senza che siano accompagnate da una consapevolezza esplicita”, senza saper spiegare esattamente il processo che abbiamo fatto per apprenderle.  “Una sorta di istinto“, ha commentato Di Giorgio. Per il neuroscienziato, questi “istinti, o meglio predisposizioni biologiche,  sono al servizio dei processi di apprendimento”. 

Il professore ha chiarito che queste predisposizioni riguardano il modo con cui una creatura riconosce che nel mondo c’è un qualcosa di vivente. Questo avviene grazie ad una serie di “rilevatori di vita“,  che  fanno capire come distinguere un essere vivente dalla materia inerte. Ad esempio, comprendere come una creatura si muove, le rapide variazioni di velocità e riconoscere qualcosa che sembra una faccia. 

Una serie di studi sulla visione ha mostrato come questo tipo di conoscenza è già presente nei piccoli dei vertebrati, esseri umani compresi.  Vallortigara spiega:”Considerate l’idea innata del volto della mamma alla nascita senza aver mai visto alcun volto. Cosa serve? Ci vorrebbe troppo tempo ad imparare per prove di errore. I pulcini sono soggetti all’imprinting e rischierebbero di considerare come madre le prime cose che vede al mondo come pietre o alberi. Quindi la selezione naturale ha predisposto questi istinti per ridurre il tempo all’apprendimento”. 

I ricercatori del gruppo del professore hanno studiato i pulcini appena nati, di cui hanno potuto controllare tutto: cosa hanno sentito o visto fin dentro l’uovo. Prendono questi animali, che non hanno visto nulla nel mondo, e per la prima volta gli fanno osservare sullo schermo due immagini. Una con una faccia schematica, in cui ci sono due dischi in alto e uno in basso, messe a triangolo rovesciato.  L’altra invece,  al contrario, come triangolo canonico. Fisicamente sono lo stesso stimolo, ma i pulcini preferiscono avvicinarsi all’immagine che simboleggia la faccia. Addirittura, in questi giorni stanno registrando i segnali dei  singoli neuroni dentro l’uovo e vedono delle attività che rispondono già a questo “simulacro di faccia”. “La codifica o capacità di sentire, avviene già a livello di singole cellule, rispetto a reti di neuroni”, afferma entusiasta il professore.

Approfondendo il concetto di cervello semplice e cervello complesso, Vallortigara ha spiegato che il ganglio cefalico dell’ape, corrispettivo del nostro cervello, conta meno di un milione di neuroni. “È sorprendente che con così pochi neuroni si riesca a fare così tanto. Noi ne abbiamo 86 miliardi nella stima attuale. Il problema interessante è capire cosa ce ne facciamo noi dei neuroni che ci avanzano.  La mia idea è che quei neuroni in eccesso  non servano molto per le attività cognitive, ma siano solo grandi magazzini di memoria.” 

Di Giorgio ha quindi provocato Vallortigara chiedendogli cosa secondo lui distingua l’essere umano dagli altri animali. Lui ha risposto: “Prendendo sempre l’esempio del riconoscimento dei volti, potrei addestrare facilmente un’ape a riconoscere una faccia che voglio. Il punto complesso è ricordarsi più volti. Noi siamo capaci di riconoscere un numero enorme di volti grazie ai magazzini di memoria.  Stime dicono circa  5000 facce. Un’ape non saprebbe farlo, ma non ne ha bisogno, perché vive nel buio dell’alveare e ha un’organizzazione sociale diversa da quella degli esseri umani. Invece per noi è fondamentale perché la nostra vista si basa su relazioni”.

Vallortigara conclude dicendo che un altro motivo per cui siamo speciali  è l’aver sviluppato il linguaggio, che è specie specifico. “Questo ci ha consentito di portare fuori dal cranio la nostra intelligenza. Non è che abbiamo cervelli così intelligenti da altri vertebrati, ma quello che abbiamo imparato lo possiamo facilmente trasmettere agli altri, di generazione in generazione”. 

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