Con la fiera K.EY di Rimini lo show delle rinnovabili che ripartono

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Dopo lunghi anni di “astinenza” le rinnovabili sono ripartite in Italia e saranno le regine a K.EY 2023 – The Energy Transition Expo, l’evento fieristico che si terrà a Rimini questa settimana (22-24 marzo).

Un segnale netto viene dai dati di Terna che ci ricordano come le richieste di connessione di nuovi impianti eolici e solari abbiano ormai raggiunto i 340 GW, di cui circa il 37% da solare e il 54% da eolico. Parliamo di valori 4 volte più elevati degli 85 GW ipotizzati da Elettricità Futura al 2030.

Il nostro paese lo scorso anno ha iniziato la rincorsa con 3 GW tra solare ed eolico; la strada è ancora lunga ma quest’anno ci aspettiamo almeno 5 nuovi GW.

Le rinnovabili corrono nel mondo

In realtà, larga parte del mondo si sta muovendo. Così, in Europa il fotovoltaico nel 2022 ha visto un boom di installazioni con 41 GW (+47% sul 2021). Nella panoramica dei paesi svetta la Germania (7,9 GW), incalzata dalla Spagna.

Lo scorso anno sono stati installati anche 19 GW eolici, un balzo rispetto al 2021 con in testa ancora una volta la Germania, seguita da Svezia, Finlandia e Francia.

Secondo l’energy think tank Ember la crescita dell’energia eolica e solare ha consentito alla Ue nel primo anno dall’aggressione russa all’Ucraina di risparmiare 12 miliardi di euro in minori spese per il gas. L’aumento della generazione eolica e solare dall’inizio della guerra ha raggiunto infatti 50 TWh.

Del resto, il giudizio di Fatih Birol, direttore esecutivo Iea, è netto: “questa crisi sta accelerando molto la transizione all’energia pulita e diversi paesi stanno vedendo le energie rinnovabili come una strada per far fronte alla richiesta di sicurezza energetica. Nei prossimi cinque anni la crescita delle rinnovabili sarà pari a quella che si è verificata negli ultimi venti”.

Insomma, l’onda è finalmente partita, ma per vincere la sfida dell’emergenza climatica occorre accelerare. E non solo sulle rinnovabili, ma anche sulla mobilità elettrica e sulla riqualificazione energetica degli edifici.

In effetti, siamo indietro rispetto agli obiettivi climatici al 2030. I paesi della UE hanno ridotto di un quarto le emissioni climalteranti rispetto al 1990, ma dovremmo tagliarle del 55% al 2030, cioè fra sette anni e mezzo. E gli effetti della siccità sotto i nostri occhi ci ricordano l’emergenza climatica che incombe.

Riqualificazione energetica degli edifici

Sulla proposta di direttiva sull’efficientamento degli edifici il governo italiano ha dimostrato di non comprenderne i vantaggi limitandosi a una mera opposizione. Per Salvini la spinta verso le case “green” sarebbe “una patrimoniale mascherata”.

In realtà la direttiva edifici riguarda direttamente le esigenze dei cittadini. La spinta a rendere le nostre abitazioni più efficienti consente di ridurre fortemente le bollette, migliora il comfort termico degli ambienti, valorizza gli immobili (un edificio di classe A vale almeno il 30% in più di uno di classe G).

Non è un caso che l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) condivida l’impostazione della direttiva ritenendo “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani e sottolineando contemporaneamente l’importanza di individuare le risorse necessarie.

Ovviamente gli incentivi ci saranno, come sono esistiti dal 2006, ma indubbiamente bisogna accelerare. Si stima che dobbiamo intervenire su 1,6 milioni di edifici, il che implica 160.000 riqualificazioni l’anno. Nell’ultimo ventennio in Italia, come nel resto d’Europa, il ritmo degli interventi è stato pari all’1% della superficie costruita, mentre noi dovremmo gradualmente raddoppiare questa percentuale.

Sono molti gli elementi interessanti della direttiva, ma ne ricordiamo uno: lo stop agli incentivi alle caldaie dal 2024. Eppure in Italia abbiamo continuato a sostenere questa tecnologia. Una tempestiva eliminazione delle caldaie a combustibili fossili consentirebbe di risparmiare l’8% delle importazioni di gas dell’Ue.

Ma quali trasformazioni ci aspettano?

Sempre l’Ance sottolinea una grave mancanza di manodopera. In realtà, la definizione di obiettivi ambiziosi comporterà la creazione di una quantità notevole di nuovi posti di lavoro.

Ma questa sfida impone anche una rivisitazione dei modelli di lavoro delle imprese del settore, fino ad arrivare ad una forte transizione, come proposto dall’industrializzazione della riqualificazione che accorcia tempi e costi secondo il modello Energiesprong, partito in Olanda e poi attecchito in altri paesi europei.

Lo spauracchio della mobilità elettrica

I commenti del nostro governo alla decisione di sospendere momentaneamente lo stop alla vendita di auto a combustione interna dal 2035 sono incredibili. Meloni: “È un nostro successo”. Il ministro Urso: “Abbiamo svegliato l’Europa”.

Ma secondo molti costruttori tedeschi abbandonare l’eliminazione dal 2035 dei motori a combustione sarebbe fatale per l’industria automobilistica che vuole certezze per gli investimenti colossali in atto.

Lo sconsiderato attacco del nostro governo alla transizione verso l’elettrico si accompagna all’inadeguatezza storica in questo campo che spiega il ruolo marginale dell’Italia in Europa.

Qualche dato sull’evoluzione in atto. Mentre nel 2022 in Germania le vendite delle auto elettriche sono aumentate del 32% e nel Regno Unito del 40%, da noi le immatricolazioni sono scese del 27%.

Ancora più significativo il dato sulla quota di mercato delle auto elettriche. In Germania siamo al 18%, nel Regno Unito al 17%, in Francia al 13% contro appena il nostro 4%.

Su scala mondiale si osserva una crescita inarrestabile: nel 2022 i veicoli elettrici hanno raggiunto il 13% del mercato (contro il 4% del 2020), con dieci milioni di auto vendute.

Questa accelerazione fa capire l’urgenza di avviare scelte coraggiose sul fronte industriale.

Salvini afferma che il blocco del 2035 sarebbe un regalo alla Cina. Ma è esattamente l’opposto. Pechino è oggi leader con oltre la metà del mercato mondiale e fa dunque bene l’Europa a darsi obiettivi ambiziosi per stimolare le proprie industrie dell’auto favorendo la costruzione di fabbriche di batterie (sono una trentina le gigafactories previste).

Peraltro, è significativo il fatto che, subito dopo lo stop dell’Europa, anche diversi Stati degli Usa, come la California e New York, abbiano adottato lo stesso obiettivo per il 2035. Un fatto che comporta due riflessioni.

La prima riguarda il ruolo di apripista e di sollecitazione dell’Europa. Come è già successo con le rinnovabili vent’anni fa, le scelte dell’Ue hanno importanti ricadute internazionali.

La seconda considerazione riguarda il fatto che ormai la rivoluzione della mobilità elettrica è partita. Basta ricordare che Volkswagen, che nel 2022 aveva deciso di investire 52 miliardi di euro fino al 2026, adesso alza il tiro annunciando ben 122 miliardi al 2027 per la mobilità elettrica e la digitalizzazione. A livello globale, secondo AlixPartners, gli investimenti sull’elettrificazione al 2026 hanno già raggiunto i 500 miliardi di dollari.

E in Spagna il governo ha previsto 3 miliardi di euro per un programma di incentivi (PERTE) per la produzione di veicoli elettrici. Analogamente la Germania e la Francia si stanno attrezzandosi anche per rispondere all’offensiva Usa dell’Inflation Reduction Act da 369 miliardi $.

La partita, insomma, è del tutto aperta, ma il nostro governo sembra fare come lo struzzo che infila la testa sotto la sabbia.

Quindi bisognerà capire se riusciremo a cavalcare l’onda o se subiremo le conseguenze a causa dei nostri ritardi e incertezze.

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