Per che importo i paesi che storicamente hanno emesso più CO2 dovrebbero risarcire quelli che hanno emesso di meno per compensarli dei danni climatici subiti?
La risposta è 192.000 miliardi di dollari (192 trilioni), con un esborso medio pro capite di 940 dollari l’anno, in base alle emissioni dal 1960 in avanti. Cifre che variano se si fanno iniziare i calcoli da date precedenti o successive al 1960.
I risarcimenti ammonterebbero infatti a 109 trilioni di dollari in media (in una fascia compresa fra 80 e 170 trilioni), se si valutano le emissioni cumulate a partire dal 1992, e a 238 trilioni di dollari di media (in una fascia fra 175 e 371 trilioni) se si calcolano le emissioni dal lontano 1850.
È quanto emerge da uno studio, “Compensation for atmospheric appropriation”, pubblicato da Nature Sustainability e consultabile dal link in fondo a questo articolo.
Debitori e creditori climatici
Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Regno Unito devono circa due terzi della compensazione finanziaria totale come parte dei Paesi con emissioni in eccesso, indipendentemente dall’anno di inizio delle emissioni.
Al contrario, all’India e ai Paesi dell’Africa sub-sahariana spetterebbe circa la metà della compensazione finanziaria totale, indipendentemente dall’anno di inizio per il calcolo delle emissioni cumulative.
Per la Cina la situazione è invece più ambigua. Le stime dello studio sono più sensibili all’anno di inizio dei calcoli riguardanti il gigante asiatico.
Se si fanno partire dal 1992, risulta che la Cina abbia ecceduto del 2% la sua giusta quota di carbonio, mentre se si fanno partire i conteggi dal 1850, i ricercatori ritengono che la Cina resti del 16% al di sotto della propria quota emettibile di CO2.
In base al calcolo scelto, la Cina potrebbe passare da Paese risarcitore a Paese risarcito.
Emissioni e “colonialismo climatico”
Le emissioni globali di carbonio hanno continuato a crescere negli ultimi decenni e le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera sono aumentate drasticamente. Il limite planetario considerato “sicuro” per le emissioni, inteso come concentrazione atmosferica di 350 parti per milione (ppm) di CO2, è stato superato nel 1988.
Nel 2022, le concentrazioni atmosferiche sono risultate di 415 ppm e le temperature globali hanno superato di 1,1 °C il livello preindustriale. L’Accordo di Parigi impegna i governi mondiali a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, o ben al di sotto dei 2 °C.
I bilanci di carbonio rimanenti associati a questi limiti si stanno rapidamente esaurendo e i danni al clima stanno accelerando. E come detto, non tutti i Paesi sono ugualmente responsabili dell’esaurimento dei bilanci di carbonio: alcune nazioni hanno contribuito più di altre a causare questa crisi.
Anche in uno scenario virtuoso di “net zero”, il Nord del mondo supererebbe di tre volte la sua quota complessiva equa del budget di carbonio in uno scenario di surriscaldamento limitato a 1,5 °C, appropriandosi di metà della quota spettante al Sud del mondo.
Questa responsabilità storica sproporzionata pone dei problemi dal punto di vista della giustizia climatica, che riconosce l’atmosfera come un bene comune, di cui tutte le persone hanno diritto per un uso giusto ed equo.
Gli studiosi si sono basati su questo principio per sostenere che i bilanci del carbonio dovrebbero essere condivisi in modo equo e che le emissioni cumulative in eccesso rispetto alla quota equa di ognuno rappresentano una forma di appropriazione dei beni comuni dell’atmosfera.
Questi principi sono stati inquadrati nel linguaggio e in una logica di “debito climatico” e di “colonialismo climatico”.
Ed è in questa cornice che ricercatori e negoziatori sul clima hanno sostenuto che i Paesi che emettono troppo devono ripagare i Paesi che emettono poco per l’appropriazione dell’atmosfera e i danni legati al clima, che ricadono in modo sproporzionato sui Paesi più poveri, che hanno contribuito poco o nulla alla crisi.
Metodo empirico
Scopo della ricerca è stato quindi quello di offrire un metodo empirico per quantificare il risarcimento dovuto per l’appropriazione dei beni comuni atmosferici in uno scenario di azzeramento netto del carbonio in cui tutti i Paesi si decarbonizzino entro il 2050.
I prezzi del carbonio utilizzati sono stati quelli degli scenari prefigurati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che limitano il riscaldamento globale a 1,5 °C.
- Lo studio (pdf)