Fra le tante follìe del consumo del territorio ci sono le abitazioni vuote.
Non abitate, non utilizzate.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
10 MILIONI DI CASE “VUOTE”
I dati ISTAT 2019 sulle abitazioni occupate e non occupate dalla popolazione residente sono la prova del fallimento della “pianificazione urbanistica” e della “pianificazione edilizia” nel nostro paese: 10 milioni (!) di abitazioni non utilizzate, pari al 29,73% del totale delle case presenti sul territorio nazionale.
Tale fallimento, alla fine, è solo uno dei tanti sintomi della malattia chiamata “consumo di suolo”. Un fallimento condiviso fra tutta la classe politica, di destra e di sinistra, nazionale, regionale, comunale. Antonio Cederna ha scritto come l’espansione incontrollata del cemento a scopi abitativi si realizza “perché gli amministratori locali nei loro piani e programmi, per pressioni campanilistiche, elettorali e clientelari, tendono a moltiplicare per cinque o per cinquanta le capacità abitative dei loro comuni” e perché la timida difesa della “funzione sociale della proprietà privata”, operata dall’ articolo 42 della nostra Costituzione, non scalza l’equivoco di fondo secondo il quale il “diritto a edificare” è connaturato al “diritto di proprietà”.
Resta il fatto che, con il “trend demografico” in atto, l’invecchiamento della popolazione e la presenza di “abitazioni inutilizzate” in un numero con cifre a sette zeri(10.000.000), rilasciare permessi di costruire e licenziare Piani di Assetto del Territorio (PAT) con la previsione di nuove unità abitative diventa una forma di “abusivismo edilizio” praticato dalle istituzioni. L’atto di privare la comunità dei “servizi ecosistemici del suolo” attraverso una cementificazione immotivata è una forma di “abusivismo edilizio istituzionalizzato”: chiamiamo con il loro nome gli atti degli amministratori pubblici quando questi sacrificano una risorsa non rinnovabile senza una ragione plausibile.
Ancora oggi si continua a costruire nuove residenze su suolo libero, a dispetto del calo demografico, dell’invecchiamento della popolazione, dello spopolamento dei centri minori e del fenomeno che si sta già verificando in alcuni comuni: i decessi doppiano le nascite.
Leggendo l’elaborazione della società Openpolis dei dati ISTAT, che fotografa un trend presente in tutto il territorio nazionale, salta all’occhio come in Veneto la cementificazione residenziale diffusa sia proseguita e prosegua nonostante sia in vigore dal 2017 una legge per il “contenimento del consumo di suolo” che, con 16 deroghe, incrementa le dimensioni dell’emergenza ambientale del “consumo di suolo” che viene così indebolito delle sue “capacità ecosistemiche” di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Nei comuni veneti, nella elaborazione della società Openpolis dei dati ISTAT, la percentuale di abitazioni non occupate oscilla dal 10% al 38%. Ci sono percentuali più basse di abitazioni non utilizzate nei maggiori centri urbanizzati e nei comuni limitrofi, dotati di servizi e percentuali più alte di abitazioni non utilizzate nei paesi e borghi più periferici e con un sensibile processo di spopolamento in atto (li potremmo chiamare le “zone interne” del ricco Nord Est): una “dicotomia urbanistica”. Davanti a questa “dicotomia urbanistica” ancora una volta la “legge veneta per il contenimento del consumo di suolo” fa un buco nell’acqua, parlando di “rigenerazione urbana”, ma intesa solo come una declinazione urbanistica e architettonica e, nei fatti, localizzata nei centri dove la “rendita fondiaria” può fare facili profitti. La legge veneta per il “contenimento del consumo di suolo”, purtroppo, fa di più e di peggio: non considera “consumo di suolo per nuove unità abitative” qualora questo avvenga negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”. Abbiamo quindi, da un lato, un’ulteriore densificazione urbanistica nei centri maggiori con consumo di suolo in deroga (e sparizione del verde rimasto) e, dall’altro, lo “spopolamento” dei centri minori bisognosi di progetti di rigenerazione urbana, sociale ed economica utilizzando le cubature edilizie esistenti.
La regione Veneto rigira il coltello nella piaga quando con la legge ordinamentale n. 29 del 25 luglio 2019 riesce a inserire una ulteriore deroga (la diciassettesima) nei territori compresi nella “core zone” del sito Unesco delle colline del Prosecco per “realizzo di strutture ricettive in zona agricola con possibilità di ampliamento fino a 120 metri cubi”, esentando dal conteggio del consumo di suolo l’adibizione a dipendenze di albergo diffuso delle vecchie casere disseminate nelle colline e, questo, nonostante nei borghi e nei comuni degli stessi territori ci siano notevoli percentuali di immobili inutilizzati che dovrebbero ispirare, oltre a uno loro riqualificazione a scopo turistico, un profondo processo di “rigenerazione urbana” in termini edilizi, architettonici e di servizi (di trasporto, sociali, sanitari, negozi di prossimità, ecc.). Refrontolo, Follina, Valdobbiadene, Miane hanno percentuali di immobili inutilizzati che oscillano tra il 33% e il 37%: più di un’abitazione su tre risulta non utilizzata. Miane, ad esempio, a fronte di 2217 abitazioni totali dispone di 1400 abitazioni occupate e di 817 abitazioni non occupate che, almeno una parte, un appropriato processo di rigenerazione urbana potrebbe adibire a dipendenze di albergo diffuso, senza cementificare con strade e servizi le colline, il bosco e il paesaggio. Da notare come, teoricamente, 817 abitazioni non occupate, essendo 2,7 il numero medio di residenti per abitazione, una volta ristrutturate potrebbero fornire alloggio a 2205 persone (il 70% della popolazione attuale).
I dati ISTAT ci offrono diversi “spunti ribelli”:
Di base resta una profonda ignoranza della politica sul valore ecologico della risorsa delle risorse e come la partitocrazia sia allergica a pronunciare la parola “stop al consumo di suolo”, anzi, cerca di svicolare in tutte le maniere, magari parlando di “rigenerazione urbana” e assistendo passiva allo spopolamento di intere aree geografiche della regione. Quando l’ambientalismo veneto prenderà coscienza della necessità di raccogliere le firme per un “referendum abrogativo” della legge regionale veneta sul consumo di suolo e delle sue 16 deroghe? Solo lo “stop immediato” e un periodo di “moratoria” di alcuni anni sul nuovo consumo di suolo può costringere amministratori, imprenditori, geometri, architetti, urbanisti, cittadini a riusare e riqualificare l’esistente.
Dante Schiavon, socio GrIG Veneto
(foto D.S., M.F., archivio GrIG)