Spesso e volentieri nel corso della storia attività umane di grande o piccola estensione hanno causato disastri ambientali che hanno avuto effetti devastanti su habitat, economia, società, comunità locali.
Eppure ancora non s’impara molto. Anzi.
I sistemi dittatoriali hanno maggior facilità per realizzare disastri, perchè si giovano dell’assenza di opposizione.
Negli anni ‘50 del ‘900 una delle prime campagne della nuova Cina comunista lanciate in occasione del Grande balzo in avanti, il piano per la crescita economica cinese, fu la lotta contro i quattro flagelli (Zanzare, Ratti, Passeri, Mosche) e, in particolare, la campagna uccidi i passeri (1958-1962), volute da Mao Zedong in persona.
Secondo il Grande Timoniere, i Passeri – soprattutto la Passera mattugia (Passer montanus) – dovevano essere sterminati perché mangiavano i cereali.
Dopo anni di sterminio e di distruzione dei nidi, i geniali dirigenti cinesi si accorsero che miriadi di insetti – prima mangiati dai Passeri – avevano distrutto i raccolti di riso.
La Cavallette, in particolare, fecero festa.
Il folle squilibrio ecologico è stato indicato tra le cause che provocarono la grande carestia cinese durante la quale oltre 30 milioni di persone sarebbero morte letteralmente di fame. Un successone.
Fu piuttosto curiosa la conclusione della campagna di derattizzazione: essa venne improvvisamente sospesa nel momento in cui emerse che i contadini allevavano i Ratti per avere la piccola ricompensa stabilita dallo Stato per ogni carcassa di ratto consegnata.
Eppure la conclamata realizzazione di disastri ambientali non ha insegnato molto allo Stato cinese: un nuovo disastro ambientale strisciante è dato dall’enorme consumo di sabbia per la realizzazione di cemento, in crescita esponenziale: il 60% del consumo mondiale, + 437% nell’arco di vent’anni.
Il Lago Poyang, la più grande riserva di acqua potabile del Paese, ormai è sempre più spesso a secco, grazie al dissesto provocato dagli ingenti prelievi di sabbia, ben 236 milioni di metri cubi l’anno.
Per non parlare della bolla speculativa immobiliare di questi ultimi anni determinata dall’immane massa di palazzi, palazzoni, ville, centri commerciali, città intere costruiti e invenduti.
Territorio, suoli agricoli, litorali distrutti insieme ai risparmi di decine e decine di milioni di cinesi.
E ancora non se ne vede la fine.
Ma è l’allora Unione Sovietica il teatro di quel che forse rappresenta il più devastante disastro ambientale dei tempi recenti, il lento assassinio del Lago (o Mare) di Aral.
A partire dagli anni ’50 del secolo scorso L’Unione Sovietica decise di realizzare alcuni canali di approvvigionamento idrico dai fiumi Amu Darya e Syr Darya, immissari del Lago di Aral, un lago salato di origine oceanica, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpakstan) e il Kazakistan, allora facenti parte dell’Unione Sovietica.
L’acqua prelevata da canali non impermeabilizzati (venne perso il 30-75% della risorsa idrica trasportata per evaporazione e dispersione) doveva irrigare grandi coltivazioni di cotone. Il Lago, una volta divenuto palude salmastra, sarebbe dovuto diventare un’unica distesa di coltivazioni di riso.
A oggi si è verificato un vero e proprio disastro ambientale: la superficie lacuale è ridottissima, la fauna ittica è pressoché scomparsa, il clima è diventato sempre più caldo e arido, i campi, battuti dal vento, sono ormai salati.
Non solo: la base militare sovietica su quella che una volta era l’isola di Vozroždenie, dove venivano condotti esperimenti per la realizzazione di armi biologiche, oggi è abbandonata e raggiungibile da chiunque, con le ovvie conseguenze. Attualmente è in corso un programma di emergenza sostenuto da fondi internazionali che ha condotto alla neutralizzazione di 100-200 tonnellate di antrace. Troppo poco, tuttavia.
Il Kazakistan, disperatamente, sta cercando, mediante un programma finanziato all’85% dalla Banca Mondiale, di ricreare per quanto possibile il Lago, per ora con risultati modesti. Le autorità dell’Uzbekistan, invece, ritengono la situazione compromessa e stanno puntando sul rimboschimento dell’area di propria competenza: in 10 anni sperano di creare 300 mila ettari di boscaglia di Haloxylon ammodendron, un arbusto noto anche con il nome di Albero del sale, in grado di vivere in ambienti aridi e dalla salinità elevata.
Sono solo alcuni esempi, ma abbiamo imparato qualcosa?
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
(foto Stefano Bottazzo, La Stampa, S.D., archivio GrIG)