DOSSIER LIBANO

2 months ago 47

di Gilbert Achcar

Pubblichiamo l’ultima intervista rilasciata da Gilbert Achcar e pubblicata da “L’Anticapitaliste” , organo dell'”NPA-Anticapitaliste”, e un suo articolo intitolato “I calcoli sbagliati di Hezbollah”.

“Israele ora si scaglia contro il Libano per mettere in sicurezza la sua frontiera nord”

Dal 23 settembre, i bombardamenti dell’esercito israeliano sul Libano hanno provocato la morte di oltre mille persone, la partenza verso la Siria di centomila persone e lo sfollamento di un milione sui quasi cinque di abitanti libanesi. 

D. C’è da temere che gli attacchi di metà settembre in Libano rappresentino una nuova fase della guerra iniziata a Gaza nell’ottobre 2023…

R. Da quando Israele ha grossomodo concluso la fase più intensa della distruzione di Gaza, si è rivolto contro il Libano, contro Hezbollah per mettere in sicurezza la sua frontiera nord. Lo fa non lasciando a Hezbollah che la scelta della capitolazione, ritirandosi lontano dalla frontiera o subire una guerra totale. Gli israeliani hanno iniziato una escalation di violenza via via sempre maggiore che è sfociata nella decapitazione di Hezbollah, compreso l’assassinio del suo leader Hassan Nasrallah e il rifiuto di tutte le proposte di cessate il fuoco. Una capitolazione pura e semplice dell’organizzazione è comunque poco probabile, quindi bisogna prepararsi al proseguimento dell’escalation, compreso un intervento di terra con operazioni precise, che hanno l’obiettivo di infliggere quanti più danni possibile all’organizzazione e smantellare le sue infrastrutture.

D. Quello che sta avvenendo oggi, in cosa è diverso dai conflitti precedenti: 2006, 1982?

R. Nel 1982 aveva invaso la metà del Libano fino alla capitale Beirut, attaccata dalle truppe israeliane nel settembre. Molto rapidamente, la resistenza, iniziata dai comunisti, fece indietreggiare l’esercito israeliano che restò in una porzione del Libano del Sud per diversi anni (diciotto anni di occupazione) finché fu costretto ad abbandonarlo nel 2000. In questo caso Israele subì una sconfitta politica. Tanto la guerra segnò un punto di vantaggio per Israele contro l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che dovette evacuare da Beirut nel 1982, tanto Israele si è dimostrato vulnerabile di fronte alla resistenza che si sviluppò in Libano. Nel 2006, Israele tenne conto della lezione del 1982 e non mirò ad una occupazione permanente. Ci fu un’incursione di truppe che si scontrarono con una resistenza feroce, più costosa (per Israele. N.d.T.) del previsto. Anche quella guerra finì con un fiasco per Israele, perché Hezbollah, lungi dall’essere distrutto, ne uscì alla fine rafforzato, ricostituì il suo arsenale, ampliandolo considerevolmente. La lezione che l’esercito israeliano ha tratto dal 2006, è quella di non correre il rischio quando interviene in zone come Gaza o il Libano, soprattutto in quelle popolate, ma di distruggere tutto prima di entrarvi, cosa che si è tradotta nella terribile distruzione di Gaza e il carattere genocidario della guerra condotta contro la Striscia.

In Libano, non sono ancora arrivati a questo stadio, ma minacciano apertamente di trasformare parti di Libano in un’altra Gaza. 

D. Dopo la morte di Hassan Nasrallah, cosa rappresenta Hezbollah in Libano?

R. L’organizzazione è stata molto indebolita non solo dall’uccisione di Nasrallah, ma anche dallo smantellamento della sua rete di comunicazione interna e l’assassinio di diversi quadri militari. L’organizzazione è stata veramente decapitata. Si ricostruirà e cercherà di ricostruire il suo arsenale anche se Israele rende la cosa sempre più difficile bombardando in Siria le vie di trasporto attraverso cui le armi possono arrivare dall’Iran a Hezbollah.

Anche sul piano politico c’è un indebolimento considerevole dell’organizzazione. Certo, Hezbollah conserva la sua base sociale, di cui una gran parte dipende finanziariamente dall’organizzazione. Ma tra la popolazione libanese c’è una grande disaffezione iniziata con l’intervento di Hezbollah in Siria al fianco di Assad. Questo intervento ha cambiato molto l’immagine di Hezbollah in Libano e nella regione: dal combattere Israele, l’organizzazione è passata a combattere in difesa di un regime sanguinario. Hezbollah è apparso più che mai e prima di tutto come un vassallo dell’Iran.

Oggi, una gran parte della popolazione libanese rimprovera a Hezbollah di coinvolgere il Libano in una guerra con Israele in nome della solidarietà con Gaza, anche se questo elemento è limitato, sempre puntando il dito contro la Siria, che si ritiene faccia parte dello stesso “asse della resistenza” e che pur avendo certamente molti più mezzi di Hezbollah non fa assolutamente nulla. Allo stesso modo, l’Iran, leader di questo “asse” non fa granché, al di là dei discorsi. Una volta sola, in rappresaglia contro l’assassinio di dirigenti iraniani a Damasco nell’aprile scorso, l’Iran ha lanciato missili e droni con un preavviso tale che ha contribuito a renderne minimo l’impatto.

In molti in Libano si chiedono, quindi “perché noi, piccolo Paese, il più debole della regione, dovremmo subire le conseguenze al posto dell’Iran?”. Questo genere di argomento oggi è diventato molto forte. Fino a questo punto, Hezbollah rivendicava il fatto di costituire una sorta di scudo, una garanzia di sicurezza per il Libano di fronte a Israele, ma questo argomento viene smentito grandemente dalla dimostrazione di come Israele usa in modo spettacolare la sua grande superiorità militare, tecnologica e di servizi di informazione. 

D. Effettivamente, con il rischio di vedere il Libano distrutto…

R. Una piccola parte di Libano, perché Israele mira specificamente contro Hezbollah, le regioni dove questo è presente. (Israele, N.d.T.) Punta sugli scontri confessionali e su quelli interni agli stessi sciiti che in Libano sono divisi in due campi alleati, ma ben distinti: Hezbollah da una parte e dall’altra Amal. Il movimento Amal non è coinvolto nella battaglia in corso contro Israele e non dipende dall’Iran come Hezbollah. Israele quindi punta su questo e prende di mira in modo specifico le regioni e le zone controllate da Hezbollah. È forte il timore che la minaccia di ridurre questa parte del Libano come Gaza possa essere messa in atto.

D. Come costruire la solidarietà per gli anticapitalisti e gli anticolinialisti pur non condividendo i progetti politici delle forze in campo?

R. Se domani ci fosse un’offensiva di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran, bisognerebbe mobilitarsi in maniera possente contro di questa in quanto aggressione imperialista, senza per questo sostenere “incondizionatamente” il regime iraniano e ancor meno appoggiarlo contro il suo popolo se questo dovesse sollevarsi in quella occasione. Nello stesso modo, nel 1990-’91, bisognava mobilitarsi contro l’aggressione imperialista contro l’Iraq, senza per questo sostenere il regime di Saddam Hussein, e ancora di meno la sua repressione sanguinosa delle popolazioni del sud e del nord del Paese che si sollevarono in quella occasione. Non bisogna cadere né in un tranello né nell’altro. Ci sono persone a sinistra che, a causa della natura di Hezbollah come organizzazione confessionale e integralista legata strettamente al regime iraniano dei mullah, hanno un atteggiamento neutrale, che sfiora a volte il sostegno a Israele. Questo deve essere combattuto con forza: non bisogna assolutamente esitare a mobilitarsi contro l’aggressione israeliana, quella di uno Stato coloniale, oppressore e predatore. Quali che siano le direzioni politiche dominanti in campo, la resistenza all’aggressore coloniale è giusta. Ma non bisogna cadere nell’altro tranello che consiste nel fare di Hezbollah o Hamas – o peggio degli Houti in Yemen che sono equivalenti ai talebani – dei campioni progressisti. Si tratta di forze che sul piano sociale e culturale possono essere del tutto reazionarie e delle dittature come lo sono i regimi iraniano e siriano.

Intervista raccolta da Fabienne Dolet   Tratto da: www.lanticapitaliste.org

Traduzione di Cinzia Nachira


L’errore di calcolo degli Hezbollah

La scorsa settimana ci siamo chiesti “se l’improvvisa escalation di quella che abbiamo definito ‘strategia israeliana di intimidazione’ stia preparando la strada a un’aggressione su larga scala contro il Libano, che includerebbe bombardamenti pesanti indiscriminati su tutte le aree in cui è presente Hezbollah, compreso il popoloso sobborgo meridionale di Beirut”. Questo ci ha portato ad un’altra domanda: il Presidente degli Stati Uniti Biden “farà pressione su Netanyahu con sufficiente fermezza per evitare la guerra… o asseconderà ancora una volta l’impresa criminale del suo amico, anche se accompagnata da un’espressione di rammarico e risentimento volta a allontanare la colpa nel suo solito modo ipocrita e del suo Segretario di Stato Blinken?”. (“Riflessioni strategiche sull’escalation dell’intimidazione israeliana in Libano”, 24/9/2024).

La risposta a queste due domande interconnesse non si è fatta attendere: il ministero israeliano dell’Aggressione (falsamente chiamato ministero della “Difesa”) ha annunciato mercoledì scorso che il suo direttore generale ha ricevuto un nuovo pacchetto di aiuti del valore di 8,7 miliardi di dollari durante la sua visita al comando militare statunitense al Pentagono. 

Il ministero ha commentato la notizia affermando che essa conferma “la forte e duratura partnership strategica tra Israele e gli Stati Uniti e il ferreo impegno per la sicurezza di Israele”. 

Due giorni dopo, nella notte di venerdì, l’attuale assalto delle forze armate sioniste a Hezbollah è culminato con l’assassinio del segretario generale del partito Hassan Nasrallah e di alcuni suoi leader, completando quella che si è rivelata una decapitazione sistematica dell’organizzazione dopo averne sabotato la rete di comunicazione, in preparazione di nuovi passi sulla strada di un attacco globale alle aree del partito che finora ha incluso un bombardamento intensivo e concentrato e la graduale espansione di un’invasione di terra che, secondo fonti israeliane, rimarrà “limitata”.

Diventa quindi chiaro che l’appello dell’amministrazione statunitense per un cessate il fuoco di tre settimane tra Hezbollah e lo Stato sionista, lanciato dopo le sollecitazioni francesi e annunciato insieme a Parigi, non era affatto sincero, poiché non era accompagnato da alcuna effettiva pressione statunitense. 

A questo proposito, vale la pena ricordare che il Washington Post ha pubblicato mercoledì scorso un’inchiesta che mostrava come le opinioni sul cessate il fuoco fossero diverse all’interno dell’amministrazione Biden, con alcuni dei suoi membri che vedevano nell’escalation militare israeliana “un mezzo potenzialmente efficace per degradare il gruppo militante libanese”. 

La risposta dell’amministrazione all’assassinio di Hassan Nasrallah, a partire dallo stesso Biden, è stata quella di applaudire e lodare l’operazione, descrivendola come “una misura di giustizia”, bollando Hezbollah e il suo Segretario generale come terroristi. 

Questa reazione ha confermato la totale complicità militare e politica di Washington nell’assalto in corso contro il Libano, dopo la sua palese complicità nella guerra genocida in corso a Gaza.

L’ipocrisia dell’amministrazione Biden ha raggiunto un nuovo livello, poiché etichettare il partito libanese come organizzazione terroristica è in netto contrasto con i negoziati che ha condotto con esso per diversi mesi, alla ricerca di quella che veniva definita una “soluzione diplomatica” al conflitto tra il partito e lo Stato sionista. 

Come può Washington negoziare con un “gruppo terroristico”, attraverso la mediazione del presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, alleato politico (ma non militare) di Hezbollah, e cercare una soluzione diplomatica con un tale gruppo? Per non parlare del fatto che non esiste alcun tipo di atto che possa essere definito terroristico che lo Stato sionista non abbia commesso con un’intensità e una brutalità omicida che superano tutto ciò che Washington ha descritto e continua a descrivere come terroristico (ignorando ciò che esso stesso ha commesso, ovviamente).

Ecco ancora una volta, dopo la guerra genocida a Gaza, una giustificazione maliziosa per una guerra che mira a sradicare un’organizzazione di massa che ha diversi parlamentari eletti e supervisiona un grande apparato quasi-statale civile, bollandola nel suo complesso come terrorista, senza nemmeno distinguere tra la sua ala militare e le sue istituzioni civili. 

A differenza del caso di Hamas, la cui operazione “Diluvio di Al-Aqsa” è stata ampiamente sfruttata per appiccicarle questa etichetta, Hezbollah sotto la guida di Hassan Nasrallah non ha compiuto alcun atto che potesse essere definito terroristico nel senso di attaccare deliberatamente civili o non combattenti israeliani o statunitensi. 

Sono stati quindi ricordati gli attentati del 1983 che hanno preso di mira l’ambasciata statunitense e le truppe statunitensi e francesi che partecipavano alla “Forza multinazionale” in Libano, attribuendoli addirittura a Hassan Nasrallah, che all’epoca non faceva parte della leadership del partito e aveva solo 23 anni! 

In realtà, Nasrallah ha supervisionato la trasformazione del partito verso l’impegno nella vita politica libanese, partecipando per la prima volta alle elezioni parlamentari nel 1992, anno in cui ha assunto la carica di Segretario generale.

La settimana scorsa abbiamo descritto come il calcolo di Hezbollah di condurre una battaglia limitata contro Israele a sostegno di Gaza abbia iniziato a ritorcersi contro, trovandosi “intrappolato in una deterrenza reciproca, ma ineguale” con l’esercito sionista. 

La verità è che il partito è caduto nella trappola tesa da Israele, insistendo nel continuare a scambiare fuoco “fino al cessate il fuoco a Gaza”, mentre diventava chiaro che il peso della battaglia si stava spostando dalla Striscia devastata al Libano. 

Sarebbe stato più appropriato per il partito annunciare pubblicamente l’accettazione dell’appello franco-statunitense per un cessate il fuoco di tre settimane (soprattutto perché aveva un estremo bisogno di riprendere fiato e di ripristinare il suo apparato dirigenziale dopo l’esplosione della sua rete di comunicazione) e la cessazione delle operazioni militari da parte sua, cosa che avrebbe messo in imbarazzo il governo sionista e lo avrebbe esposto a un’intensa pressione internazionale che lo avrebbe esortato a seguire il suo esempio.

Gli ultimi giorni hanno chiarito che la percezione di Hezbollah della “deterrenza reciproca” tra lui e lo Stato sionista non teneva sufficientemente conto della natura diseguale di questa deterrenza (un errore di calcolo simile a quello di Hamas, anche se molto meno grave), e che anche la percezione dell’impegno del suo sponsor a Teheran nel difenderlo era illusoria, dato che l’Iran ha risposto ai ripetuti attacchi che Israele ha lanciato direttamente contro di lui solo una volta, lo scorso aprile, e in modo quasi più simbolico che dannoso.

Sembra che Hezbollah abbia confermato la sua volontà di tornare ad applicare la risoluzione 1701 del 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede il ritiro delle sue forze a nord del fiume Litani, riconoscendo così lo squilibrio di potere con lo Stato sionista e accettando la condizione che gli era stata imposta con la mediazione degli Stati Uniti. Questa volontà è stata confermata dal primo ministro libanese ad interim, Najib Mikati, dopo il suo incontro con Nabih Berri. Vale quindi la pena chiedersi l’utilità di insistere nel continuare a combattere fino al raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza, dando così al governo sionista un pretesto per intensificare ulteriormente il suo attacco contro il Libano e contro Hezbollah in particolare.

Traduzione dall’inglese della Redazione di Rproject. Originale arabo pubblicato da Al-Quds al-Arabi il 1° ottobre 2024.

Tratto da: www.gilbert-achcar.net

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