[FRANCIA] Tre proposte politiche, l’una più reazionaria e anti-proletaria dell’altra

2 months ago 26

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui https://pungolorosso.com/):

Le elezioni anticipate in Francia a meno di un mese da quelle europee offrono tre alternative della stessa salsa nazionalista, e qualunque sarà il risultato, il prossimo governo francese proseguirà sulla strada del riarmo e dell’economia di guerra.

Riponiamo le nostre speranze non nella vittoria di un “nuovo fronte popolare” tutto interno al sistema, ma nella ripresa delle lotte sociali e nella presa di coscienza e mobilitazione internazionalista contro tutte le guerre del capitale, e contro il “nemico interno” che le prepara e alimenta.

Il risultato delle elezioni europee del 10 giugno 2024, in Francia, con l’affermazione del Rassemblement National i come primo partito, ha indotto il presidente Macron a sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni politiche per il 30 giugno. Un azzardo secondo molti, comunque un calcolo che si basa sulla speranza, forse mal riposta, di arrivare comunque al ballottaggio grazie a una maggiore affluenza alle urne ii , e di avere di nuovo i voti della sinistra contro la destra, quale “male minore”. iii

Macron accusa il colpo e gioca l’azzardo

Il risultato alle Europee non costringe Macron alle dimissioni, tuttavia lo indebolisce in Europa, dove i 13 seggi del suo partito Renaissance lo ridimensionano dentro Renew Europe, che scesa a 79 seggi è a sua volta socio di minoranza nella coalizione a guida Von der Leyen – PPE (Partito Popolare Europeo), 186 seggi, e S&D (Socialisti e Democratici), 135 seggi iv. Anche se il RN della Le Pen con i suoi 30 seggi è sì maggioranza in ID (Identità e Democrazia) che tuttavia coi suoi 59 seggi non ha i numeri per riunire una maggioranza alternativa v. Il voto europeo indebolisce quindi la posizione dell’imperialismo francese nel Parlamento UE, e indirettamente nel Consiglio e nella prossima Commissione Europea.vi

La sconfitta di Macron è il portato innanzitutto di un esteso malcontento dei vari strati del proletariato francese nelle sue varie stratificazioni: espresso dai gilets jaunes del 2018-19 dei lavoratori suburbani, dalle rivolte delle banlieues delle seconde generazioni immigrate in lotta contro le discriminazioni, dal movimento contro la riforma delle pensioni degli strati salariati più garantiti, alle recenti lotte a difesa del potere d’acquisto dei salari.

A questi variegati movimenti sociali si sono aggiunte le recenti proteste per la Palestina che in Francia hanno visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, molti studenti, un movimento che per la prima volta si oppone alla politica imperialista della Francia, anche se limitatamente a questo aspetto. Se Macron si illudeva di compensare il malcontento sociale con la promessa di una reiterata grandeur della Francia (nei suoi discorsi programmatici è immancabile l’impegno a rafforzare le Forze Armate francesi), ha avuto la “sfortuna” di aver subito le maggiori batoste dai tempi della cacciata dall’Algeria, con la cacciata dal Mali, dal Bourkina Faso e dal Niger – con il successivo ingresso di truppe russe (con malcelata soddisfazione degli imperialisti italiani, invitati a restare in Niger, a bilanciamento). Del resto, dicono i sondaggisti, alle europee, il 40% dei votanti ha votato sulla base di una decisione maturata negli ultimi 5 giorni e il 44% vuole soprattutto farla pagare a Macron e Attal. Un voto contro più che a favore.

L’azzardo delle elezioni anticipate (parallelo a quello di Sunak in Gran Bretagna) ha portato le forze politiche a raggrupparsi in tre coalizioni: a destra il RN della Le Pen su cui è costretta a convergere la concorrente Reconquête! di Zenmour (a partire dalla sua eletta Marion Marechal, nipote di Marine LePen), ma che sta anche attraendo settori del partito repubblicano; al centro Macron che fatica a tenere la coalizione che l’aveva portato alla vittoria alle presidenziali, mentre a “sinistra”, le elezioni hanno fatto il miracolo di riunire Partito socialista-Place Publique, France Insoumise, Verdi Ecologia, Partito Comunista (che hanno raccolto insieme il 31,6% dei voti alle Europee 2024)vii nel Nuovo Fronte Popolare (un nome che non è una garanzia viii) su posizioni… difficilmente distinguibili da quelle della destra.

Molto in sintesi, possiamo dire che “destra” e “sinistra”, oltre alla comune demagogia su pensioni e salari per attrarre i voti dei salariati (che sarà prontamente dimenticata qualora arrivassero al governo), hanno avuto una rapida conversione non solo sulla linea del riarmo francese (mai contestato), ma anche del sostegno militare all’Ucraina. France Insoumise, che nelle Europee aveva fatto campagna contro il genocidio a Gaza, ora ha dovuto allinearsi alla condanna di Hamas e rinunciare al suo esibito pacifismo ix in cambio del riconoscimento della Palestina (cioè dell’Autorità Palestinese legata mani e piedi con UE, USA e Israele) e della richiesta di sospendere l’invio di armi a Israele, sull’Ucraina il gruppo PS-Place Publique di Raphaël Glucksmann x ha imposto, sia a Melenchon che al PCF, l’appoggio incondizionato all’invio di armi (ovviamente “difensive”!) all’Ucraina.

Il programma del NFP promette infatti di “difendere senza tentennamenti la sovranità e la libertà del popolo ucraino”, “consegnando le armi necessarie”, cancellando il debito, sequestrando i beni degli oligarchi russi e aggiungendo persino “l’invio di forze di pace per mettere in sicurezza le centrali nucleari” (compresa, immaginiamo, quella di Zhaporizha, sotto controllo militare russo…). Il capolista di PS-Place publique per le elezioni europee, Glucksman, ha dichiarato: “È per evitare che l’intera Europa precipiti in una guerra che dobbiamo riarmare e armare la resistenza ucraina, in un momento in cui la prospettiva di un grande ritiro americano diventa più chiara”. Glucksmann ha accusato Macron di non aver mobilitato adeguatamente l’ industria per produrre le munizioni che servono all’Ucraina e “oggi siamo sul punto di perdere un conflitto da cui dipende la sopravvivenza dell’Europea” e abbiamo lasciato che “Putin si pulisca i piedi con la nostra sovranità”. E accusa Lega italiana, Le Pen, AFD di essere “patrioti da paccottiglia”. Melenchon, che dal ’22 alla nascita del Front Populaire ha tenuto una posizione campista, filorussa, di rifiuto di armare l’Ucraina, ha poi corretto con un “sostenere l’Ucraina” in vista della pace; e ha detto sì all’esercito europeo “sganciato dalla Nato”. FI sostiene che la produzione militare deve avvenire in Europa e arriva a chiedere un ”protezionismo industrial militare”. I Verdi sono per un forte esercito europeo, un commissario europeo per la difesa e un aumento delle spese militari purché prodotte in modo ecologico e in Europa (insomma armi a chilometro zero), e il programma del Nuovo Fronte Popolare chiede una “tassa chilometrica” … sulle importazioni: protezionismo, cioè guerra economica, in veste ecologica.

Tutti arruolati sotto il tricolore, e totale identificazione con gli “interessi nazionali” dell’imperialismo francese! Ovviamente in nome di una “pace nella sicurezza”, e neppure l’ombra dell’internazionalismo proletario e della lotta contro il “nemico in casa nostra”.

Non c’è da stupirsi, visto che lo stesso nome France Insoumise, più che l’idea di una rivolta sociale, esprime quella di un sovranismo nazionale, non molto diverso dal RN e dalla tradizione gaullista. Sia il RN che France Insoumise di Melenchon hanno abbandonato (con riserva?) le pulsioni filorusse (o meglio: pro blocco continentale europeo alternativo agli USA, nel quale includere la Russia) per allinearsi con i maggiori gruppi dell’imperialismo francese che non vedono alternativa alla linea imposta dagli americani con la involontaria (?) complicità dei russi via guerra in Ucraina. Una linea atlantista che ha sottomesso la Germania e che vede soumise anche la Francia. Restano per ora velleità i propositi di riscossa sia dei gruppi economici tedeschi che avevano costruito la Ostpolitik di Schroeder, e che hanno visto troncati, anche fisicamente (Nordstream 2) i canali della loro espansione, sia dei gruppi francesi, dalla Total (prima paralizzata nel megagiacimento Pars I dalle sanzioni all’Iran, poi da quelle contro la Russia) a Bolloré minacciato nel suo vicereame di Francafrique dalla cacciata dei francesi – dopo la Repubblica Centrafricana e il Mali, Bourkina Faso e Niger, il monopolio francese traballa anche in Senegal. xi

Lo stesso Partito Comunista Francese (ridotto nelle Europee al 2,36% inclusi gli alleati nella Gauche Unie) è all’interno dell’alveo nazionalista che abbraccia tutta la politica ufficiale francese. Nelle votazioni sulla spesa militare 2023 il suo portavoce Fabien Roussel chiedeva “un bilancio più consistente per proteggerci dalle minacce e dagli attacchi informatici, per investire nella ricerca e nelle nuove tecnologie: per permettere ai nostri soldati di essere meglio equipaggiati, di potersi addestrare, di avere un equipaggiamento modernizzato”.

Da destra abbiamo visto la stessa convergenza sulle linee di fondo dell’imperialismo francese. Almeno dal 2014 Le Pen ha attenuato la sua eurofobia, abbandonato l’idea di Frexit e di uscita dall’euro, pur continuando a parlare di “Europa delle nazioni”. La destra esprime un netto rifiuto ad ulteriori allargamenti della UE (“l’Europa a 35” proposta da alcuni paesi dell’Est come strumento per arginare l’espansionismo russo) che farebbe entrare fruitori netti di contributi, citando esplicitamente paesi balcanici, Turchia e soprattutto l’Ucraina. Anche F.I. è contraria a far entrare l’Ucraina.

Le Pen ha abbandonato le posizioni più apertamente filorusse (nel momento in cui i militari russi sostituiscono la loro bandiera a quella francese in Africa, una vera patriota doveva allinearsi …), e ora sostiene l’invio di armi all’Ucraina. Il suo delfino Bardella è arrivato a sostenere che Putin è una minaccia anche per la Francia. Ma come Salvini, Le Pen cerca di cavalcare elettoralmente la diffusa repulsione per la guerra accusando Macron di essere guerrafondaio per la sua proposta di intervento militare diretto NATO in Ucraina (gli “istruttori” occidentali sono già là). Quali prediche dal pulpito di chi lancia le crociate contro gli immigrati e sostiene senza riserve il riarmo!

Da tempo Macron cerca di intestarsi una politica di “Difesa europea”, sia in funzione di contenimento russo, che per ridurre la dipendenza politico-militare dagli Usa. In realtà quello che è in corso è un forte riarmo dei singoli Stati europei, militarmente collegati tramite la NATO, quindi sotto il controllo americano, mentre i differenti interessi nazionali hanno finora impedito una centralizzazione politica e militare a livello europeo. Macron lancia il riarmo francese in parallelo e in concorrenza con quello tedesco, forte di un’industria bellica di tutto riguardo che si è collocata al secondo posto nel mondo per esportazioni, dopo gli Usa e superando la Russia (che deve destinare gran parte della produzione al massacro sul fronte ucraino). xii Macron prospetta un’economia di guerra, un riarmo accelerato incentrato sull’industria militare nazionale come traino dell’intera economia: più cannoni e profitti per i venditori di morte, meno burro per le famiglie dei lavoratori. E con la velleità di affermare la guida politico-militare della “Francia potenza nucleare” in Europa rispetto alla Germania.

I tre poli elettorali, estrema destra, centro-destra e “sinistra” convergono di fatto nel nazionalismo e sulle scelte fondamentali dell’imperialismo francese: riarmo e appoggio militare all’Ucraina, mantenimento dell’influenza francese in Africa xiii (le opposizioni scaricando su Macron la responsabilità per le batoste subite), con distinzioni sul dosaggio rispetto all’Unione Europea (che anche la Le Pen ora accetta), e ai rapporti con USA, Russia e Cina, ma mai si pongono contro gli “interessi nazionali” dei grandi gruppi francesi che determinano la politica dell’imperialismo francese. D’altra parte anche Macron cerca di ritagliarsi un margine di manovra rispetto agli USA con i suoi pubblicizzati flirt con Xi Jinping, in Cina e in Francia, salvo poi sostenere i dazi UE sui veicoli elettrici cinesi, contro la stessa Germania.

Sul terreno economico-sociale, come accennato, le promesse sono tante, ridurre le tasse, sulla benzina e/o sui salari, aumentare il salario minimo, reintrodurre la scala mobile, revocare la riforma delle pensioni, costruire case popolari (100 mila il RN, 1 milione il NFP. Il NFP rilancia anche la tassa sui ricchi, sperando che i lavoratori abbiano dimenticato che quella introdotta dal socialista Hollande nel 2012 (il 75% sui redditi superiori a 1 milione) venne abolita dopo meno di due anni: aveva intaccato la “fiducia dei mercati”….

Già le associazioni imprenditoriali, come Afep, CPME, Medef xiv, hanno criticato “gli estremi” che con le loro promesse demagogiche avrebbero messo in crisi la Borsa. Tutte quelle spese (il “conto del RN si aggirerebbe sui 70 miliardi), dicono, aumenterebbero il debito francese, scoraggerebbero gli investimenti esteri, mentre i prossimi bilanci dello stato devono essere molto rigorosi, perché il crescente debito francese preoccupa l’Europa. Peccato che non dicano nulla sul progetto del primo ministro Attal di raddoppiare le spese militari entro il 2030 (circa 100 miliardi di €). L’aumento della spesa militare è al di fuori, o al di sopra, della contesa elettorale. E chiunque conquisti la maggioranza manterrà il riarmo al quale saranno sacrificate la spesa sociale e le promesse elettorali….

Non c’è che dire: anche in Francia il mercato elettorale offre tre proposte politiche una più reazionaria dell’altra, che diffondono il veleno del nazionalismo. Non sarà nel voto, ma solo nella ripresa delle lotte sociali e dell’internazionalismo contro il riarmo del “nemico in casa loro”, che i lavoratori anche in Francia potranno diventare protagonisti del loro futuro e non rimanere passivi fornitori di forza lavoro per i profitti dei padroni oggi, e domani di nuovo carne da cannone per i loro interessi. Auspichiamo che dalle manifestazioni per la Palestina, che vedono una partecipazione più numerosa che in Italia, nasca una riflessione e un sentimento internazionalista che porti a un movimento contro tutte le guerre del capitale, contro il capitalismo che le produce.

Note

i La Francia grazie al suo costante aumento demografico, aveva diritto a 81 seggi, due più che nel 2019, che sono stati così distribuiti: 8 alla France Insoumise con il 9,9% dei voti validi (aderente al gruppo europeo Left); 5 a Les Écologistes -EELV con il 5,5% (Verdi/Ale); 13 a Socialisti e Piazza Pubblica di Glucksmann, con il 13,8% (Socialisti & Democratici); 6 ai Repubblicani con il 7,2% (Partito Popolare Europeo); 7 a Renaissance di Macron con il 14,6% (Renew Europe); 5 a Reconquête! di Marion Marechal con il 5,5%; 30 al Rassemblement National di Le Pen con il 31,4% (Identità e democrazia). Per ottenere seggi la soglia di sbarramento è stata del 5% (ogni paese decide autonomamente la propria soglia di sbarramento, ad esempio in Italia è stata del 4%, in Germania nessuna).

ii In realtà con il 51,49 % dei votanti raggiunge il miglior risultato dopo il 1979, quando votò il 60,1%. La punta più bassa si toccò nel 2009 con il 40,6%; nel 2019 invece si ebbe il 50,12% e Le Pen conquistò 22 seggi contro i 21 di Macron; però votarono solo il 27% fra gli under 25. Questa volta gli under 25 avrebbero votato al 47%, solo 3 punti in meno della media. Fatto 100 il voto dei giovani, essi hanno votato al 32% per il RN, il 5% per i Repubblicani e il 4% per Reconquête!. D’altro canto il 20% ha votato per la France Insoumise, il 10% per Partito Socialista-PP di Gluksmann, l’8% per i Verdi. Il 5% ha scelto la lista di Macron.

iii Quindi come è avvenuto alle presidenziali del 2022. Finora il sistema uninominale francese non è mai stato favorevole a Le Pen. L’Assemblea nazionale viene eletta con un sistema uninominale maggioritario a doppio turno. Il Paese viene diviso in 577 collegi uninominali: ciascuno di questi collegi elegge un deputato proveniente da un partito o da una coalizione; l’elezione è legittima se ha votato almeno il 25% degli aventi diritto nel collegio. Se l’elezione è corretta, ma nessuno ha la maggioranza sono ammessi a un secondo turno i candidati che hanno avuto almeno il 12,5% dei voti validi. Quindi conta di più avere pochi candidati ma forti nei singoli collegi che una percentuale diffusa e alta di voti.

iv Nelle elezioni europee il voto, essendo proporzionale aumenta il tasso di dispersione e incentiva la moltiplicazione delle liste; una tendenza solo parzialmente corretta dalla soglia di sbarramento che oscilla fra lo 0 di Germania, Belgio Olanda, Danimarca e Irlanda al 5% di Francia, Polonia e Romania. Come correttivo i partiti nazionali che ottengono almeno un seggio aderiscono ai Partiti Politici Europei. In teoria questi partiti dovrebbero essere omogenei in base alle convinzioni politiche e ai programmi, funzionare quindi da primo livello di sintesi politica e per prassi i parlamentari dello stesso raggruppamento politico, appartenenti a paesi diversi, votano in modo omogeneo (non c’è obbligo). Per far prevalere le loro indicazioni, i partiti prevalenti dei paesi prevalenti cercano di pesare nel partito europeo di appartenenza, ad es. ottenendone la presidenza e contrattando coi paesi minori. Due partiti di peso dello stesso paese europeo evitano, per lo più, di stare nello stesso partito europeo, in modo che le loro manovre abbiano effetti positivi anche rispetto alle questioni interne del loro paese. Questo spiega perché ad esempio i tre partiti di destra italiani sono in tre partiti politici europei diversi (Forza Italia nel PPE, Fratelli d’Italia in ECR, la Lega in ID).

v La maggioranza nel Parlamento Europeo necessaria per esplicare le sue funzioni è 361. Se al governo andasse l’attuale patto di coalizione formato da PPE, S&D e Renew EU, anche se tutti i deputati repubblicani oggi nel PPE migrassero verso Le Pen il totale dei voti sarebbe di 388. Viceversa sulla carta Le Pen parte dai 58 seggi di ID (comprensivi degli 8 seggi della Lega di Salvini e dei 6 del FPÖ austriaco), dovrebbe accaparrarsi i voti di ECR (Conservatori e Riformisti Europei), in cui ci sono Fratelli d‘Italia, Vox e il PIS polacco (totale 73 seggi), e se poi riuscisse a riunire a sé i Repubblicani francesi (6), Reconquête! (5), e l’ungherese Fidetz (11), il ceco ODS (4) e persino la tedesca AFD (15), di cui ha richiesto l’espulsione da ID di recente, arriverebbe comunque a meno della metà della maggioranza richiesta.

vi Fra le prossime scadenze che il parlamento europeo deve affrontare ci sono la nomina del Presidente, dei vicepresidenti e dei questori del Parlamento stesso. Gli europarlamentari si collocano nei gruppi politici (che possono creati o modifiati in qualsiasi fase). Poi spetta al Parlamento votare il Presidente della nuova Commissione europea indicata dal Consiglio e i nuovi commissari.

vii Durante le presidenziali del 2022 era stato Melenchon a fare da capofila a una coalizione di sinistra detta Nupes (Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale). La coalizione si era sciolta qualche mese fa per contrasti nelle posizioni rispetto alla crisi di Gaza, su Hamas e il massacro dei Palestinesi.

viii Il riferimento storico è alla Francia del 1936, quando cominciò la guerra civile spagnola e le sinistre francesi si riunirono in nome dell’antifascismo. Presero il potere, ma fecero ben poco per salvare la democrazia spagnola, si dimenticarono di dare il diritto di voto alle donne, proseguirono la dura politica coloniale e, dopo l’invasione tedesca, moltissimi parlamentari eletti sotto quell’etichetta votarono i pieni poteri al maresciallo Pétain nel 1940.

ix Melenchon in realtà nel 2022 criticava Macron perché lesinava le spese militari per l’esercito francese. Durante le Europee 2024 dichiarava “Se non volete la guerra votate per noi!” e si è pronunciato contro il riarmo dell’Europa, cfr. https://euractiv.it/section/capitali/news/lestrema-sinistra-francese-giura-di-affrontare-i-guerrafondai-in-vista-delle-elezioni-europee/ ma soprattutto ha chiesto il disallineamento con la Nato. Sia France Insoumise che il PCF sono accusati di essere filo russi più che pacifisti. E, come abbiamo spiegato nel testo, più che essere filorussi, sono a favore di un blocco continentale delle potenze europee con la Russia, all’interno del quale prevedono un maggiore peso della Francia.

x Raphaël Glucksmann, classe 1979, è stato consigliere politico del presidente georgiano Saak’ashvili e successivamente di altri politici georgiani anti russi e filooccidentali. Nel 2018 ha fondato Place Publique. Ha cercato di diventare un punto di riferimento unificatore della sinistra moderata ed europeista. Alle Europee 2019 si è collegato ai Socialisti e ai Radicali, mentre è stato boicottato da Melenchon e Verdi. La lista ha ottenuto 6 seggi e Glucksmann è stato eletto. Si è occupato delle ingerenze straniere nelle elezioni in Europa ed è stato sanzionato dalla Cina per la sua campagna pro Iuguri. Nel 2022 ha fatto campagna contro l’import di gas e petrolio dalla Russia e a favore di armare l’Ucraina. Insomma, come nazionalista aggressivo e difensore degli interessi dell’imperialismo francese, un curriculum di tutto rispetto.

xi E’ ormai di pubblico dominio che dietro il “tradimento” del repubblicano Ciotti, passato armi e bagagli alla coalizione di Le Pen, c’è la regia del magnate Bollorè, che non ha mai perdonato a Macron di averlo costretto nel 2022 a cedere la sezione logistica del suo potentissimo gruppo in Africa a MSC (quella che ci “delizia” con i suoi spot pubblicitari sulle crociere, ma è in realtà la prima azienda mondiale di logistica, attualmente impegnata, in collaborazione con la israeliana Zim, a trasportare armi verso Israele). Bolloré ha tuttora grossi interessi in Africa in settori come trasporti, telecomunicazioni agricoltura, in cui ha fatto affari d’oro durante la presidenza Sarkozy, quando l’esercito francese interveniva direttamente a difendere i suoi interessi.

Nell’attuale campagna elettorale non sono citati ma pesano i gruppi d’interesse legati alla Francafrique. Con cui ha sempre avuto strettissimi rapporti il Front National del patriarca Jean Marie Le Pen, che è stato per anni foraggiato dai peggiori autocrati africani, un legame proseguito fino ad oggi. Si veda al riguardo anche https://www.famigliacristiana.it/articolo/la-francafrique-o-i-tesori-segreti-di-marine-le-pen.aspx del 2017 e il recente https://www.lemediatv.fr/emissions/2023/francafrique-la-folle-rumeur-sur-marine-le-pen-et-le-senegal-Q_XWNWmuR5uVs-AEgni60Q (2023) o https://www.revolutionpermanente.fr/Le-Pen-au-Senegal-des-discours-hypocrites-pour-se-poser-en-garante-de-la-Francafrique

xii https://valori.it/armi-mercato-europa-usa-cina-mediooriente-sipri/

Facendo 100 l’export mondiale di armi , la Francia nel periodo 2014-2018 aveva il 7,2% delle esportazioni globali, nel periodo 2019-23 ha raggiunto l’11% (mentre la Russia è scesa dal 21% all’10,9% anche, ovviamente, a causa delle sanzioni occidentali); nell’ultimo quinquennio ha rifornito 64 paesi; l’India è stata di gran lunga il più grande destinatario, rappresentando il 29% dell’export di armi francesi. L’Italia nel quinquennio era al 6° posto con il 4,2% dell’export mondiale.

xiii Melenchon non ha trascurato gli interessi francesi in Africa dove è aperto sostenitore del nuovo premier senegalese Ousmane Sonko, e ha accusato Macron di sostenere in Africa i peggiori dittatori, come in Gabon, Mali, Ciad, Niger, e di andare a fare lezione ai premier africani come fossero scolaretti. Accusa inoltre Macron di complicità con il Rwanda contro il governo del Congo Kinshasa. Per dimostrare che, se riuscisse a diventare presidente, sarebbe un ottimo interlocutore per un ritorno in forze un un’area strategica per la Francia. Ma è dubbio che i militari dei paesi che hanno cacciato i francesi, li farebbero rientrare se rappresentati da Melenchon.

xiv Afep riunisce 117 grandi imprese (tra cui Total Energies, Société Générale, Airbus o Danone) con il 12% dei salariati, versa il 20% delle tasse e produce il 15% del PIL francese. Medef è l’equivalente di Confindustria, mentre CPME riunisce le piccole medie imprese.

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