Gabriella Carmagnola / Non lo dire a nessuno

1 year ago 371

“Le statistiche parlano chiaro: l’80% degli abusi sessuali avviene in casa. E la famiglia nasconde tutto, nella speranza che la vittima possa dimenticare. Sapevo che non era facile affrontare un argomento del genere. Ma quel racconto, che mi aveva fatto cinque anni fa un’amica al tavolo di un ristorante, davanti al mare e agli scogli, mi tornava alla mente ogni volta che la stampa parlava di casi di abusi ai minori. Nel suo racconto buttava lì ricordi a flash, a volte evasiva e volte precisa nei dettagli. Io cercavo di saperne di più, lei rispondeva con frasi non sempre collegate, poi ha
concluso: “Tanto hai capito, sei una scrittrice, no?”. In realtà le avevo dato da leggere un mio romanzo, scritto anni prima, di una storia d’amore malato, dalle tinte forti e piuttosto drammatiche.

La sua quasi-provocazione mi ha spinto a scrivere questo romanzo. Ho letto parecchio sull’argomento e prima della pubblicazione ho fatto leggere le bozze a un neuropsichiatra di fama e a uno psicologo specialista in materia.
E ho capito che per uscire da un trauma bisogna far diventare il passato un ricordo che non fa più male. Dare un significato. Non coltivare più il rancore. Per questo po’ essere indispensabile un percorso di analisi. Ed è anche di aiuto la cultura, che ci fa capire che la nostra storia personale è simile a quella degli altri, di cui parlano scrittori, musicisti, registi. E poi la fede, in qualche cosa di più alto di noi, che ci fa guardare il prossimo con più compassione, e dare un senso al caos del mondo.
La prima domanda, quando ho iniziato a scrivere questo romanzo è stata: che donna sarà una bambina che ha subito violenza? L’ho fatto raccontare da lei, in prima persona, in modo da utilizzare un linguaggio più preciso e diretto.

E poi, una volta pubblicato il libro, ho trovato lettori insospettabili che mi hanno detto “anche me è capitato”, indicando un capitolo ognuno diverso di quell’infanzia, oppure situazioni sconvenienti sul lavoro, differenti fra loro.
Ho sempre pensato che scrivere era quello che volevo fare nella vita, e i miei amici di gioventù lo sanno bene. Temi in classe svolti come racconti, armadi pieni di appunti, brevi romanzi giovanili, un’interpretazione dei fatti orientata a rendere reale anche ciò che non è razionale.
Ma poi, dopo la laurea, mi ci voleva un mestiere serio, con cui essere sicuri di far tornare il conto economico e di esprimere anche la mia vena pratica, che ho sempre avuto. Un mestiere, quello della comunicazione, che ho praticato per tanti anni con entusiasmo, facendo quello che mi veniva più facile: allacciare i fili del dialogo fra mondi che spesso non si parlano, trovare i punti di interesse reciproco, cercare un linguaggio con cui ci si potesse capire.

Invece la scrittura creativa, a cui sono tornata, è di per sé un atto eversivo, uno strappo rispetto alla comunicazione istituzionale, un gesto che non guarda in faccia niente e nessuno, crudo e sfacciato, pronto a sbattere in faccia verità nascoste. Che crea stupore, che richiede giustificazioni. Perché scrivi? Domanda fatta a ogni scrittore: per me era un appuntamento che avevo preso con la mia vita, consapevole della gioia ma anche della fatica che avrei dovuto affrontare”. (Gabriella Carmagnola)

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