Giornalisti, Bartoli: con digitale nuova importanza per informazione professionale

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In Italia, nel 2022, stando a uno studio dell’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano “su una spesa complessiva per i contenuti digitali pari a 3,317 miliardi di euro, sono stati spesi per il “gaming” 1,518 miliardi, per il “video entertainment 1, 358 miliardi, per audio” (musica, podcast e audiolibri) 277 milioni e per le “news” solo 82 milioni”.

Sono alcuni dei dati analizzati nel Report 2023 dell’Osservatorio per il giornalismo digitale, con il patrocinio della Fondazione Murialdi, presentato a Roma nell’incontro dal titolo ‘Tendenze e nuovi scenari per il giornalismo. Digitale. Artificiale?’.
Presenti Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti; Elisa Giomi, Commissaria Agcom; Alessia Pizzi, giornalista e digital marketing manager digitale; Guido Scorza, componente del Collegio del Garante Privacy; Antonio Rossano, giornalista e presidente dell’Associazione Media Studies; Lelio Simi, giornalista e Davide Bennato, professore Università di Catania e consulente scientifico dell’Osservatorio.

Bartoli: informazione professionale ha nuova importanza

Nel giornalismo digitale di oggi “tutto quello che eleboriamo vive in un tempo indefinito e può essere fruito in contesti, situazioni e tempi diversi”, ha rilevato Bartoli.
“Questo comporta uno sforzo di costruzione del nostro linguaggio e pone serissimi problemi deontologici. Ad esempio per quanto riguarda il diritto all’oblio: un elemento che oggi racconto come vero con l’evoluzione dei fatti potrebbe non esserlo più”.

Inoltre “senza disconoscere le grandi opportunità della rete, non possiamo ignorare gli effetti distorsivi che avvengono sui social media”, ha aggiunto.

“Viviamo in un gigantesco mercato mondiale dei dati personali gestito dalle grandi piattaforme che sfuggono, di fatto, a qualsiasi regola, perfino di natura fiscale. In questo quadro, l’informazione professionale assume una nuova importanza, il giornalismo può costituire un punto di riferimento per offrire serietà e trasparenza. Per questo il giornalista, nella nuova dimensione della comunicazione digitale, deve avere ancora più attenzione ai propri doveri: verifica rigorosa delle fonti, continenza nel linguaggio, accuratezza della narrazione, rispetto della persona”.

Il ruolo dell’AI

Fra i tanti temi del report, dal pluralismo alle fake news, grande spazio viene riservato anche al tema, particolarmente attuale, dell’intelligenza artificiale.
“I robot stanno per rubare il lavoro ai giornalisti? I vari report consultati e le interviste agli esperti sembrano rispondere negativamente a questa domanda”, ha commentato Pizzi, giornalista, citata da Ansa.
“Nella realtà dei fatti l’intelligenza artificiale è usata principalmente per velocizzare i flussi delle redazioni automatizzando le operatività come le trascrizioni e le traduzioni, per creare contenuti data-driven senza abbandonare i giornalisti tra le scartoffie, aggiunge, e soprattutto per personalizzare l’esperienza dell’utente e condurlo ad abbonarsi tramite l’analisi dei comportamenti online”.

Le macchine “non scrivono articoli di qualità in autonomia, e quando ci provano sbagliano. Il prezioso contributo dei giornalisti è tuttora insostituibile”. I sistemi AI “potrebbero togliere all’essere umano il lavoro che i giornalisti non vogliono fare, quello compilativo e ripetitivo, e non quello che sanno fare meglio, di analisi e di creazione”.
Resta da definire “lo scenario etico e deontologico in cui tali strumenti si collocano, ha aggiunto, oltre i vari aspetti relativi alla paternità dei contenuti, il diritto d’autore e, non meno rilevante, quello della protezione dei dati personali”.

Scorza (Privacy): ChatGpt aspirapolvere di dati personali

A proposito dell’intelligenza artificiale, nel suo intervento Scorsa del Collegio dei Garanti della Privacy ha parlato dell’intervento dell’authority su ChatGpt. “La mia sensazione sul caso è che l’urgenza fosse dettata dalle circostanze”, ha spiegato. “Si parla di un servizio utizzato da 250 milioni di persone nel mondo tra cui milioni di italiani. Un servizio che è un aspirapolvere di dati personali, anche perché ho l’impressione gli si racconti anche più di quello che raccontiamo di noi nella dimensione social che è già tantissimo”.

Con ChatGpt “si racconta troppo a un servizio di cui si conosce troppo poco”, ha aggiunto. “Ma soprattutto quell’algoritmo è stato addestrato pescando a strascico da internet, libri e una serie di altre fonti ignote”.
Una “quantità industriale di dati personali e non personali che oggi quell’algoritmo usa per fornire le risposte. Nessuno di noi della circostanza che questo sia avvenuto si è reso conto perché non siamo stati informati e a nessuno è stato chiesto se si volesse contribuire o no”.

Come “posso accettare da Garante che un servizio possa far suo ciò che è privato? Quando mi si dice che questa vicenda ha dato l’impressione che l’Italia non è per l’innovazione io mi spavento” ha sottolineato.
“Vuole dire che lo stato di dipendenza, rispetto a certi servizi è molto maggiore di quanto si pensi. L’innovazione che travolge i diritti e le libertà non è tale. Ora vediamo quello che succede. Certo le agenzie di stampa raccontano che la Germania sta per muoversi, la Francia ci sta pensando e negli Usa si potrebbe fare la stessa cosa”.

Giomi sul pluralismo informativo

Elisa Giomi, commissaria Agcom ha parlato del pluralismo informativo. “I ricavi da soli sono un indicatore povero dello stato del pluralismo informativo. Non andrebbe interpretato solo come pluralità degli operatori di mercato ma come una pluralità empirica, cioè la capacità dei media di dare adeguata rappresentazione della natura composita della società e anche come pluralità di tipo ideologico, cioè legato alla presenza di opinioni diverse che si hanno sulle società”. “Oggi, ha concluso, abbiamo delle proposte legislative molto avanzate che hanno recepito questo ragionamento. Modifiche che aprono la strada a una difesa del pluralismo più pregnante”.

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