Gli eventi climatici estremi in Europa non dipendono dal cloud seeding in California

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Nelle ultime settimane sono circolati su TikTok gli screenshot di un articolo de Il Messaggero e diversi video di un servizio del TG5 secondo i quali un «bombardamento delle nuvole in California» avrebbe avuto un effetto dannoso per il clima in Europa. Nel servizio del TG5, infatti, viene detto che in California «per far piovere si usa una tecnica speciale che avrebbe conseguenze sul clima in Europa». 

Il contenuto della notizia è fuorviante in quanto privo del contesto necessario alla sua comprensione. 

Sia l’articolo de Il Messaggero sia il servizio del TG5, diffusi entrambi il 23 giugno 2024, mancano del contesto necessario alla comprensione della notizia. La «tecnica speciale» a cui fa riferimento il servizio del TG5 è il cloud seeding, ossia un metodo per alterare le precipitazioni inserendo nelle nuvole particelle chimiche che agiscono come nuclei di condensazione, stimolando così la formazione di pioggia o neve. L’efficacia di questo metodo, tuttavia, è contestata da parte della comunità scientifica che ne ha messo in dubbio i reali risultati.

La teoria secondo cui tale tecnica utilizzata in California influenzerebbe il clima in Europa si basa su un articolo scientifico pubblicato su Nature Climate Change il 21 giugno 2024. L’articolo, titolato in inglese “Diminuita efficacia dello schiarimento delle nubi marine [cloud seeding, ndr] regionali in un mondo più caldo”, è opera di un team di scienziati con prima firmataria la dottoranda Jessica S. Wan dell’Istituto oceanografico Scripps dell’Università di San Diego, negli Stati Uniti. Secondo questo studio, nelle condizioni attuali, la pratica del cloud seeding alle medie latitudini e in quelle subtropicali ridurrebbe il rischio di esposizione al calore estivo rispettivamente del 55 per cento e del 16 per cento su scala regionale.

Al momento, nella zona della California meridionale è stato effettivamente lanciato da dicembre 2023 un programma pilota quadriennale di cloud seeding che riguarda quattro aree montane della regione. L’obiettivo è aumentare la disponibilità di acqua nel bacino idrografico del fiume Santa Ana, il più grande della regione. 

Tuttavia, il cloud seeding praticato in California non può influenzare le precipitazioni in Europa. Infatti, l’Istituto oceanografico Scripps sottolinea in un comunicato stampa che i ricercatori nel loro studio hanno delineato, in base ad alcune simulazioni, ciò che potrebbe accadere nel 2050 se il cloud seeding fosse portato avanti su scala regionale. Secondo i ricercatori, il metodo funzionerebbe a livello locale, riducendo il rischio di esposizione al calore pericoloso di oltre il 50 per cento nella parte occidentale degli Stati Uniti. Nel 2050, la strategia inizierebbe però a essere controproducente e tra i possibili effetti ci sarebbe il rallentamento della Circolazione meridionale atlantica (Amoc), causando possibili ondate di calore in Europa, come dichiarato da Jessica Wan al Guardian

È necessario sottolineare che lo studio si è basato su simulazioni eseguite con l’utilizzo di modelli computerizzati del sistema Terra nel 2010 e nel 2050, e non costituisce una prova che il programma pilota di cloud seeding in California influenzi le precipitazioni in Europa ad oggi nel 2024. Infatti, nel comunicato stampa, la ricercatrice Jessica Wan ha affermato che i risultati dello studio dimostrano «cosa potrebbe accadere nel peggiore dei casi, ovvero praticando un approccio [ndr: al cloud seeding] che inizialmente funziona come progettato ma che poi fallisce a causa di condizioni fisiche future». 

Inoltre, c’è un’altra considerazione da fare, ovvero che il cloud seeding non ha la forza di causare eventi climatici estremi a livello locale, come dimostrato in un articolo di febbraio 2024 pubblicato dai colleghi di Politifact sui temporali in California. Sentito da Facta a maggio 2023, il ricercatore del l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e coautore di alcuni report dell’IPCC Sandro Fuzzi aveva spiegato che «questa tecnica viene generalmente fatta su dei sistemi nuvolosi molto più ristretti e che si estendono per uno o due chilometri al massimo».

In conclusione, gli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti sono legati al cambiamento climatico. Come spiegato in passato a Facta da Vincenzo Levizzani, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bologna, «i modelli climatici ci dicono che le piogge da ora in avanti, soprattutto in zone come quella del Mediterraneo che è un hotspot climatico, saranno sempre più localizzate e sempre più intense». 

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