Greenpeace alla Cop16: «Di questo passo, proteggeremo il 30% degli oceani nel 2100 invece che nel 2030»

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Mentre i governi hanno iniziato i colloqui alla COP16 delle Nazioni Unite sulla biodiversità a Cali, in Colombia, un rapporto di Greenpeace International pubblicato ieri avverte che, al ritmo attuale, l’obiettivo di proteggere almeno il 30% degli oceani con aree marine protette (AMP) entro il 2030 (cosiddetto “obiettivo 30×30”), concordato da tutti i governi alla COP15, non sarà raggiunto prima del 2107.

«Mancano sei anni al 2030 e ancora non è stato fatto quasi nessun progresso verso la protezione del 30% degli oceani del mondo. Al ritmo attuale, non raggiungeremo il 30% di protezione in mare prima del prossimo secolo», ha dichiarato Megan Randles, Policy Advisor di Greenpeace UK, presente alla COP16 sulla biodiversità.

Il rapporto ha verificato lo stato di protezione della biodiversità marina, svelando che non è stato fatto quasi nulla da quando è stato raggiunto l’accordo internazionale ed evidenzia i principali problemi che impediscono di raggiungere l’obiettivo 30×30 nei tempi previsti. 

Nei trentadue anni trascorsi dal Vertice della Terra di Rio del 1992, in cui è stata istituita la Convenzione per la diversità biologica, solo l’8,4% dell’oceano globale è stato protetto. Di questo, soltanto il 2,7% risulta altamente protetto e sottoposto a rigide misure di conservazione, e la percentuale si riduce allo 0,9% per le aree d’alto mare, che sono al di fuori della giurisdizione nazionale. Per raggiungere il 30% nei prossimi sei anni, dovranno essere istituite ogni anno da qui alla fine del 2030 circa 23,5 aree marine protette delle dimensioni della Francia.

La situazione non cambia in Italia, dove meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaciUn’indagine di Greenpeace Italia pubblicata a luglio aveva evidenziato che solo le AMP e i Parchi Nazionali hanno regolamenti efficaci in grado di tutelare la biodiversità marina. Altre aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità, come ad esempio il Santuario Pelagos e i SIC (Siti di Interesse Comunitario), invece, rappresentano solo “parchi di carta”, aree in cui non vi è nessuna azione di mitigazione degli impatti antropici.

«Le aree marine protette possono generare enormi benefici, sia da un punto di vista biologico che socio-economico-culturale per le comunità locali, ma in Italia sono ancora troppo poche. Chiediamo che ne vengano istituite di nuove in aree ecologicamente e biologicamente importanti e che soprattutto vengano ben gestite e monitorate nel tempo, con azioni di controllo diretto delle attività di pesca e sfruttamento delle risorse» dichiara Valentina Di Miccoli, campaigner mare di Greenpeace Italia. «L’obiettivo del 30×30 può essere raggiunto solo con grandi sforzi sia nelle acque territoriali che in alto mare. I governi, incluso quello italiano, devono ratificare al più presto il trattato ONU per la protezione degli oceani, che ad oggi vede solo 13 ratifiche delle 60 necessarie per farlo entrare in vigore», continua Di Miccoli.

La COP16 delle Nazioni Unite sulla biodiversità rappresenta un momento cruciale per bloccare la perdita di biodiversità in corso, e fare le giuste scelte per salvaguardare il più grande patrimonio dell’umanità che abbiamo, gli oceani.

Valentina Di Miccoli è disponibile per interviste (in italiano). 

La delegazione di Greenpeace alla COP16 è disponibile per interviste (in inglese).

CONTATTIUfficio stampa Greenpeace Italia, 340 571 8019 / 342 5532207

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