Questa mattina Greenpeace ha portato in dono al Ministero dell’Agricoltura un cesto natalizio pieno di pane e altri prodotti da forno realizzati dal cuoco di fama internazionale Pietro Parisi con grano tenero altrimenti destinato a diventare mangime per gli allevamenti intensivi. Con questo gesto l’associazione ambientalista ha voluto rimarcare che, mentre anche in Europa si riaccende il timore per la sicurezza alimentare e i prezzi del pane schizzano alle stelle, non ci possiamo più permettere di destinare oltre il 60% dei cereali e due terzi dei terreni agricoli europei all’alimentazione degli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi. Il grano deve essere utilizzato in via prioritaria per le persone, abbassando l’altissima domanda di cereali proveniente dalla zootecnia e riducendo gli attuali livelli di produzione di carne, per un sistema agroalimentare più equo e con minori impatti sul clima e sulla salute del pianeta.
“In un momento storico che impone un impiego oculato di risorse naturali sempre più scarse, non è pensabile utilizzare la maggior parte dei terreni agricoli e dei cereali per promuovere un consumo eccessivo di prodotti animali o per conquistare nuovi mercati, spesso a beneficio solo della fasce sociali più ricche. È necessario un piano sul medio periodo per una nuova efficienza alimentare che tuteli i bisogni delle persone e il pianeta”, dichiara Simona Savini, campagna agricoltura di Greenpeace Italia.
La guerra in Ucraina ha già messo in crisi l’accesso ai cereali in Medio Oriente e in Nord Africa, mentre in Italia l’inflazione sui beni alimentari ha toccato il picco più alto degli ultimi 40 anni, colpendo in particolar modo proprio i cereali, la farina e il pane. A poche settimane dall’inizio del conflitto, Greenpeace ha calcolato che una riduzione dell’8% nell’uso di cereali per l’alimentazione animale nell’Unione Europea avrebbe consentito di risparmiare una quantità di frumento immediatamente disponibile per il consumo umano in grado di compensare il deficit previsto a causa della guerra (pari a circa 13 milioni di tonnellate). Ridurre la produzione e il consumo di carne – secondo il principio “meno e meglio” – consentirebbe inoltre di rendere disponibile una maggior quantità di terreni per produrre beni alimentari con tecniche agroecologiche che preservino la produttività dei suoli.
La conversione delle coltivazioni in mangimi per animali è infatti in gran parte inefficiente: secondo stime della FAO e dell’OMS, un ettaro coltivato a cereali fornisce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di mangimi per l’allevamento da carne, mentre i legumi ne forniscono dieci volte di più. Il cesto regalato oggi da Greenpeace al Ministro Lollobrigida dimostra che è possibile invertire subito la rotta, tutelando insieme il diritto al cibo e l’ambiente. Ridurre le tutele ambientali, invece, non aumenta affatto la sicurezza alimentare, minacciata proprio dai cambiamenti climatici, come ci ha ricordato la siccità che quest’anno ha afflitto l’Italia.
“Se il ministro Lollobrigida, come lui stesso ha dichiarato alle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato, è realmente contrario agli allevamenti intensivi, abbia il coraggio di rompere il tabù dell’aumento di produzione di carne a ogni costo, a favore di prodotti di origine vegetale coltivati in modo ecologico e di allevamenti ecologici con meno animali, anche a beneficio dei redditi degli agricoltori, sempre più in crisi. È necessaria una transizione profonda del nostro sistema agroalimentare e la sovranità alimentare passa anzitutto da qui”, conclude Savini.
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