Idrogeno verde, una “risorsa scarsa” su cui investire con molta oculatezza

1 year ago 65

In Italia c’è molto fermento quando si parla delle potenzialità dell’idrogeno verde. Le iniziative in campo sono molte, 115 nel 2022 dalla produzione agli usi finali con 150 player coinvolti, ma quasi tutte sono ancora nelle fasi iniziali di sviluppo.

Inoltre, molti settori non sono pronti a essere convertiti a idrogeno o non c’è convenienza economica nel farlo.

Senza contare che servirà una produzione elettrica aggiuntiva da fonti rinnovabili molto consistente, solo per rendere green l’attuale consumo di idrogeno “grigio” (ottenuto da fonti fossili) nelle raffinerie e nel settore chimico e petrolchimico, pari a circa 500mila tonnellate annue.

E altra potenza rinnovabile sarà necessaria per produrre l’idrogeno a zero emissioni destinato alle acciaierie (altre 500mila ton/anno secondo le stime).

Si parla in totale di 50 TWh, circa il doppio dell’attuale produzione elettrica nazionale da fotovoltaico.

Le sfide in gioco sono quindi su più fronti, osserva l’Irex Annual Report 2023 di Althesys – di cui abbiamo già pubblicato i dati generali sulle rinnovabili – nel capitolo dedicato alla filiera italiana dell’idrogeno.

Secondo gli analisti, per diverso tempo l’idrogeno verde resterà “una risorsa scarsa”, perciò è molto importante focalizzare progetti e investimenti sugli usi più promettenti di questo vettore energetico, evitando quei settori – come il riscaldamento delle abitazioni in blending con il gas e i trasporti stradali – dove ci sono alternative più efficienti ed economiche, come le pompe di calore e i veicoli 100% elettrici.

Bisogna quindi creare una domanda crescente e duratura di idrogeno verde in settori specifici, come la produzione di acciaio; questo è uno dei settori cosiddetti “hard-to-abate”, dove è più difficile abbattere le emissioni di CO2 impiegando direttamente l’energia elettrica al posto dei combustibili fossili.

Per sviluppare una filiera nazionale dell’idrogeno, però, occorre puntare a progetti di maggiori dimensioni, economie di scala per ridurre costi e aumentare l’efficienza, innovazione tecnologica.

Il problema, si spiega nel rapporto, è che molte iniziative italiane per l’H2 verde sono a uno stadio iniziale, con progetti a livello di concept o preliminari, o riguardano la fase di ricerca e sviluppo.

Altre iniziative “sono di piccole dimensioni e/o relative a test e prototipi”, mentre “i progetti di ampiezza rilevante non sono numerosi e sono collegati ai fondi europei o in attesa di trovare un quadro maggiormente definito in merito alla domanda e alle misure di supporto”.

Tra i 51 progetti censiti nel 2022 in Italia nell’idrogeno verde, il 47% riguarda gli impieghi finali e il 32% la produzione di H2 con/senza destinazione d’uso già prevista. Poi ci sono progetti che riguardano le Hydrogen Valley (distretti industriali e produttivi), elettrolizzatori, trasporto e stoccaggio.

Tra le 40 iniziative di ricerca e sviluppo, le più numerose (37%) si concentrano sugli elettrolizzatori al fine di migliorare la loro efficienza e testare nuove modalità di produrre H2 a zero emissioni. Molte iniziative di R&S riguardano poi le possibili applicazioni finali dell’idrogeno in acciaierie, cementifici, vetrerie, trasporti.

Guardando poi alle iniziative focalizzate sugli usi finali, ben il 46% è destinato ai trasporti con una netta prevalenza dei trasporti stradali (70%).

Va detto però che nei trasporti, in molti casi, esistono tecnologie alternative più efficienti, in primis i veicoli con batterie. Anche la prospettiva di produrre i cosiddetti e-fuel, carburanti sintetici di origine rinnovabile, derivati dall’idrogeno, sembra tutt’altro che ottimale.

Nel rapporto gli e-fuel sono definiti “promettenti”, anche se non nel breve-medio termine. Diverse ricerche recenti, ricordiamo, mostrano che la produzione di e-fuel su vasta scala sarebbe costosa e avrebbe efficienze ampiamente inferiori, rispetto all’utilizzo diretto di energia elettrica per caricare le batterie dei veicoli.

Read Entire Article