La sensazionale notizia per la natura del nostro Bel Paese era del dicembre 2018: dopo cinque secoli, il Castoro europeo (Castor fiber) era ritornato in Italia.
Massacrato dalla caccia per ragioni alimentari e, soprattutto, per la calda pelliccia, il Castoro europeo è stato reintrodotto in numerosi Stati dell’Europa centro-settentrionale, fra i quali l’Austria.
Il Castoro, afferma Luca Lapini zoologo del Museo friulano di storia naturale di Udine, “è un moltiplicatore di biodiversità. Se anche si stabilisce in un tratto di fiume montano molto povero di vita, comincia subito a costruire sbarramenti che trasformano il rio, moderano la corrente che magari prima era un po’ troppo impetuosa. Il risultato finale è una serie di bacini palustri interconnessi da aree umide, dove la vita prolifera in un modo impressionante. Nell’arco di due anni la biodiversità aumenta del 200 o anche del 300 per cento. Vengono attirati un sacco di insetti, un sacco di piante preziose”.
Dalla Carinzia proviene quasi certamente anche l’esemplare avvistato in Val Canale, chiamato da naturalisti e giornalisti Ponta.
Nell’estate 2023 in zona è stata avvistata una coppia.
La speranza è che possa esser seguito da altri Castori così da poter riavere una colonia vitale in un’area naturalisticamente importantissima, la Foresta demaniale di Tarvisio, tanto da veder già il ritorno dell’Orso bruno (Ursus arctos) e della Lince europea (Lynx linx).
Nel 2020 un altro esemplare è stato osservato in Val Pusteria (BZ), anch’egli quasi certamente proveniente dall’areale austriaco.
Ma lasciano decisamente sbalorditi i successivi avvistamenti di Castori nell’Italia centrale, in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, sull’Appennino meridionale.
Alcune piccole colonie (5-10 esemplari) sono presenti nei boschi della Valtiberina, una fra Montalcino e Monticiano, l’altra nell’Aretino.
Presenze anche nell’alto corso del Tevere, a Città di Castello, nel Pesarese, a Civitella Paganico (GR), nel Senese, nel Reatino, fra Campania e Molise.
Molto probabilmente sono già avvenute riproduzioni e sarebbero le prime in Italia da cinque secoli.
Non è certamente plausibile che il Castoro sia arrivato dai nuclei ormai presenti in Austria dalle reintroduzioni effettuate negli anni ’70 del secolo scorso, distanti circa 500 chilometri.
Nemmeno è ragionevole pensare a esemplari di Castoro riferibili a colonie rimaste “nascoste” per secoli e sopravvissute all’estinzione del XVI secolo.
L’unica ipotesi sensata è quella della reintroduzione clandestina operata da mani ignote.
Ma chi, possessore o comunque collegato a un centro riproduttivo di fauna selvatica, può aver interesse a liberare esemplari di Castoro?
Un estremista animalista? Un allevatore di animali per pellicce ormai deluso dall’investimento sballato?
No, pare di no.
Maurizio Menicucci, giornalista scientifico, è autore di un interessante reportage sul ritorno del Castoro in Italia e fa delle considerazioni molto serie: “l’ultimo censimento, che ha portato i ricercatori di ‘Rivers with Beavers’ a battere anche i più piccoli corsi d’acqua dell’Italia di mezzo … suggerisce anche, lo studio sul campo, che chi li ha liberati ha seguito un progetto scientifico, e lo ha fatto molto bene, come solo un esperto saprebbe fare. Ha selezionato esemplari selvatici geneticamente impeccabili, della sottospecie ovest europea, che nulla hanno a che fare con gli individui in cattività in alcuni bioparchi locali, come lo zoo di Poppi, dai quali, perciò, non possono essere usciti. Inoltre, li ha distribuiti in un territorio vasto, scegliendo aree nascoste e poco frequentate, dove potessero moltiplicarsi prima di essere scoperti, ma, troppo lontane, una dall’altra, almeno all’inizio, per immaginare che si siano irradiati da soli.
La dispersione naturale può essersi verificata in seguito, seguendo gli assi fluviali, soprattutto il Tevere e l’Ombrone, ma è chiaro che ‘l’Operazione Castoro’ è partita puntando subito su numerosi siti, per avere maggiori probabilità di successo. Ed è perfettamente riuscita.
Secondo le ultime stime, oggi sarebbero una cinquantina e se lasciati tranquilli, hanno tutte le possibilità di colonizzare altre zone”.
Ma chi può aver curato la reintroduzione del Castoro nell’Italia centrale?
Mistero, per ora.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) e l’Università degli Studi “Statale” di Milano hanno condotto l’importante studio Idoneità ambientale e potenziale espansione dell’areale del castoro eurasiatico in Italia, pubblicato nel settembre 2023 sulla rivista internazionale Animal Conservation della Zoological Society of London.
Lo studio si è occupato di analizzare i primi dati sulla ricomparsa del Castoro in Italia, l’areale di potenziale espansione, i possibili conflitti con le attività umane, le soluzioni proponibili.
Nei mesi scorsi, invece, l’Associazione Teriologica Italiana aveva proposto l’adozione di “un piano per la rimozione degli animali”, perché “l’accettazione della presenza dei castori eurasiatici in Italia centrale, in quanto verosimilmente frutto di immissioni illegali, costituisca un pericoloso precedente in grado di innescare analoghe iniziative nel futuro”.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), pur essendo contrario a immissioni di specie animali non autoctone o clandestine, non condivide assolutamente posizioni così drastiche in casi come questo, perché si tratta comunque di specie di fauna selvatica storicamente presenti in Italia e, specificamente nell’Italia centrale.
Il Castoro è specie faunistica presente negli allegati II e IV della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e seminaturali, la fauna e la flora e nell’allegato III della Convenzione internazionale di Berna, esecutiva con la legge n. 503/1981, mentre in Italia è da considerarsi specie “particolarmente protetta” per la legge n. 157/1992 e s.m.i.
In un precedente caso verificatosi in Spagna nel 2018, sebbene i nuclei originati da rilasci illegali non siano automaticamente tutelati, la Commissione europea ha verificato che “le ultime informazioni disponibili mostrano che, quindici anni dopo la sua reintroduzione in bacino dell’Ebro, il castoro è stato naturalizzato in quel territorio. Pertanto, dovrebbe essere applicabile la direttiva relativa alla protezione e alla conservazione di questa specie nel territorio spagnolo. La Commissione ha recentemente confermato questa interpretazione alle autorità spagnole e ha chiesto loro di adottare le misure necessarie per istituire un sistema di rigorosa tutela nonché di proporre SIC per le specie nel proprio territorio, come previsto ai sensi rispettivamente degli articoli 12 e 4 della direttiva”, per cui “le rigorose disposizioni di protezione di cui all’articolo 12 della Direttiva Habitat, nonché le disposizioni per designare i Siti di Importanza Comunitaria ai sensi dell’articolo 4 della direttiva, sono applicabili alla popolazione residente dell’Unione europea castoro presente nel territorio spagnolo. Si aspetta pertanto che le autorità spagnole prendano le misure necessarie a tempo debito per adempiere a queste disposizioni”.
La presenza del Castoro nei piccoli nuclei dell’Italia centrale dovrebbe essere oggetto di monitoraggio ambientale e, se ben inserita sul piano naturalistico, dovrebbe ricevere la necessaria tutela in vista di una futura e auspicabile espansione dell’areale.
Così la pensa – e ci conforta – anche Franco Tassi, storico direttore del Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise e naturalista di grande fama: “Condividiamo pienamente le osservazioni del Gruppo di Intervento Giuridico, corroborate anche dall’analisi di Luca Lapini, riferita all’effetto moltiplicatore del Castoro sulla Biodiversità. Confermato dalla ‘Cascata Trofica’ constatata al Parco Nazionale di Yellowstone dopo l’arrivo del Lupo, che allontanando i Cervi dai torrenti ha fatto poi rinascere la vegetazione riparia, favorendo il ritorno del Castoro, e la conseguente formazione di dighe, con acque ferme anziché scorrenti, e quindi il progressivo continuo arrivo di Rettili, Anfibi, Insetti di ogni genere.
Del resto, il Castoro era presente in Italia fino a tempi non remotissimi, e secondo alcuni il bel Lago di Posta Fibreno (Riserva satellite del Parco d’Abruzzo, nella Val Comino, che ospita anche altri notevoli endemismi, come la Trota Salmo fibreni) trarrebbe il nome proprio da Castor fiber.
Nel valutare situazioni del genere, ci sembrerebbe più appropriato considerare l’ecosistema nel suo equilibrio dinamico, e nella continua evoluzione, anziché limitarsi agli aspetti statici teorici”.
Insomma, grande attenzione, monitoraggi scientifici e salvaguardia di una specie faunistica di grandissima importanza naturalistica.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dal sito web istituzionale del C.N.R., 11 ottobre 2023
Dopo 500 anni torna il Castoro in Italia.
Uno studio congiunto dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicato su Animal Conservation, sancisce il ritorno del castoro europeo sul territorio italiano dopo 500 anni: un esempio di ritrovata biodiversità, che necessita di strumenti di monitoraggio per ridurre i possibili danni dovuti alle attività del castoro
Le attività di reintroduzione e “rewilding” sono alcuni degli strumenti principali usati nel campo della biologia della conservazione per cercare di mitigare gli impatti dell’uomo sull’ambiente e riportare gli ecosistemi ad uno stato più naturale. Queste azioni possono talvolta comportare alcune sfide, in particolare quando le specie coinvolte sono grandi carnivori, grandi erbivori, o “ingegneri ecosistemici”, specie che con le loro attività possono modificare notevolmente gli habitat ed il paesaggio.
Fino a pochi anni fa, il castoro europeo (Castor fiber) era totalmente assente dall’Italia, in quanto caccia e perdita di habitat avevano portato all’estinzione tutte le popolazioni presenti sul territorio nazionale. Dopo più di 500 anni di totale assenza, questa specie ha recentemente iniziato la ricolonizzazione dell’Italia a causa di espansione naturale dall’Austria verso Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia e di reintroduzioni (non autorizzate) in Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche).
Nello studio pubblicato su Animal Conservation, i ricercatori dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret) di Sesto Fiorentino (Firenze) hanno raccolto tutti i dati di presenza disponibili per il castoro in Europa, tramite l’utilizzo di database di distribuzione delle specie (iNaturalist, GBIF) e tramite ricerche mirate sul campo finanziate dal fondo Beaver Trust (UK).
Le attività sono state coordinate dal Cnr-Iret, beneficiario italiano del fondo del Beaver Trust per la ricerca sul castoro in Italia: “Abbiamo curato le attività di monitoraggio, raccolta dei campioni per le analisi genetiche, monitoraggio dei punti di presenza, eventuali analisi necroscopiche e determinazione degli effetti sugli ecosistemi forestali”, afferma Emiliano Mori (Cnr-Iret), principal investigator del progetto con Andrea Viviano (Cnr-Iret).
Sono stati, quindi, utilizzati modelli di distribuzione delle specie per stimare l’idoneità ambientale per il castoro in Europa. Successivamente, tramite l’applicazione di modelli di connettività gli esperti hanno valutato quali fossero le aree d’Italia in cui l’espansione del castoro fosse più probabile nel prossimo futuro. La mappa risultante dal modello di connettività è stata sovrapposta a mappe di coltivazioni arboree e presenza di canali artificiali, per andare ad indentificare le aree in cui le attività di costruzione di tane/dighe dei castori potrebbero causare conflitti con le attività umane.
“Ampie zone d’Italia risultano essere idonee per la stabilizzazione del castoro e, mentre le popolazioni settentrionali sembrano essere più isolate, in centro Italia abbiamo riscontrato un maggiore potenziale di espansione della specie. Le aree di potenziale conflitto con l’uomo sono principalmente distribuite in centro Italia (soprattutto in Toscana, Umbria e Marche), e in Trentino Alto-Adige, dove i castori potrebbero avere accesso ad aree con presenza di piantagioni arboree o infrastrutture sensibili alle attività della specie. I modelli suggeriscono invece aree di potenziale conflitto molto limitate in Friuli Venezia-Giulia” spiega Mattia Falaschi, ricercatore zoologo dell’Università Statale di Milano e primo autore dello studio.
Se da una parte la presenza del castoro può ridurre il rischio idraulico, mitigando l’intensità degli eventi di piena, in altri casi le attività di foraggiamento/rosicchiamento del castoro possono causare danni alle coltivazioni. Inoltre, la costruzione di dighe e tane può talvolta ridirezionare il flusso d’acqua causando danni ad infrastrutture umane come canali artificiali, strade e ponti. È quindi fondamentale una attenta attività di monitoraggio nelle zone più a rischio, in modo da applicare prontamente misure di gestione che possano arginare o mitigare i possibili danni dovuti alle attività del castoro. Tra questi metodi troviamo ad esempio la protezione dei campi agricoli con recinzioni invalicabili al castoro, e il drenaggio di eventuali aree umide derivanti dalle attività di costruzione di dighe, quando queste minacciano infrastrutture umane.
(foto Wikipedia, S.L., archivio GrIG)