Pronuncia di rilevante interesse del Consiglio di Stato in materia di poteri del Consiglio dei Ministri riguardo la composizione degli interessi pubblici nell’ambito della tutela dell’ambiente e della produzione dell’energia.
La vicenda processuale è sorta in occasione del procedimento di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) relativo al “potenziamento del parco eolico esistente, e attualmente in esercizio, con la sostituzione delle 51 pale eoliche (con sostegno a traliccio, aventi un’altezza totale pari a 76 metri, per una potenza complessiva di 43,35 MW) con 27 pale eoliche (con tecnologia monopalo, di altezza totale pari a 180 metri, per una potenza complessiva pari a 121,5 MW), con un conseguente aumento di potenza elettrica pari a circa 78 MW”.
Il contrasto sorto fra il Ministero della Cultura (parere negativo) e il Ministero dell’Ambiente e della Transizione Ecologica, ora Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (orientamento favorevole) nell’ambito del giudizio di compatibilità ambientale in sede di procedura di V.I.A. veniva rimesso al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 5, comma 2°, lettera c-bis), della legge n. 400/1988 e s.m.i., secondo cui “il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 95, primo comma, della Costituzione … può deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti”.
Il Consiglio dei Ministri, “nella comparazione degli interessi coinvolti, individuati da un lato nella tutela paesaggistica, e dall’altro nello sviluppo della produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché nella valenza imprenditoriale ed economica dell’opera in argomento, considerava prevalente l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili e alla realizzazione dell’opera di cui trattasi, facendo propria, con delibera del 10 marzo 2022, la posizione espressa dal MITE, a condizione che fossero rispettate le prescrizioni espresse nel parere n. 3136 del 4 ottobre 2019 e nel parere n. 3305 del 17 aprile 2020 della Commissione Tecnica VIA. Il MITE adottava, conseguentemente, il giudizio positivo di compatibilità ambientale prot. n. 174/2022”.
Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 29 novembre 2022, n. 814, con la sentenza Sez. IV, 8 aprile 2024, n. 2403, ha delineato i contorni del potere di composizione degli interessi pubblici contrastanti in capo al Consiglio dei Ministri.
Secondo il Giudice d’Appello, nel Consiglio dei Ministri, quale “vertice dell’apparato amministrativo (nazionale)”, viene individuata “la figura chiamata a comporre il dissenso attribuendo ad esso una ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, resa possibile dalla collocazione istituzionale dell’organo decidente, il cui orizzonte è tale da poter considerare, in un’ottica di sintesi, tutte le diverse posizioni di interesse (quelle ambientali, paesaggistiche, energetiche, urbanistiche, industriali, ecc.). La disposizione, in altri termini, esprime una tipica regola di sussidiarietà verticale, realizzando un’allocazione del meccanismo di coordinamento che coniuga il profilo dell’attività con quello dell’organizzazione”, come da giurisprudenza sul tema (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3106; Cons. Stato, Sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3112).
Il Consiglio dei Ministri non deve svolgere una nuova istruttoria, perchè “non compete al Consiglio dei Ministri l’accertamento dei fatti e la verifica di coerenza tra gli atti interni al procedimento amministrativo di competenza dei Ministeri di settore e neppure dare attuazione ad eventuali giudicati di annullamento di atti e provvedimenti della sequenza procedimentale che vincolano gli organi amministrativi procedenti né può ritenersi vincolato da giudicati che confermano la legittimità di provvedimenti di diniego e, conseguentemente, la sussistenza delle esigenze di tutela presidiate dal vincolo, come accaduto nel caso di specie”.
Invece, “in tali ipotesi si limita a prendere atto dell’esistenza di ‘valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti’ per poi decidere ‘ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti’ necessaria ad assicurare ‘l’unità di indirizzo politico ed amministrativo’ di cui è responsabile il Presidente del Consiglio dei Ministri cui spetta deferire la questione”.
Gli interessi pubblici in conflitto sono valutati dalle singole amministrazioni pubbliche titolari, mentre “al Consiglio dei Ministri compete verificare la possibilità di trovare una regola di composizione del conflitto ed, in mancanza, di decidere quale degli interessi debba prevalere nel caso di specie, esercitando la funzione ordinativa degli interessi propria della potestà di governo, nel rispetto delle priorità che discendono sia dal programma di governo, come definito nell’ambito del rapporto di fiducia con il Parlamento, sia dagli obblighi eventualmente assunti in sede internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.”.
Il provvedimento del Consiglio dei Ministri è un atto di alta amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale soltanto qualora sia stato adottato in assenza dei requisiti oggettivi (presenza di valutazioni contrastanti) ovvero se la composizione degli interessi sia manifestamente irragionevole o arbitraria in relazione alla natura del potere di composizione: “in altri termini la delibera del consiglio dei ministri non deve contenere la confutazione tecnica ed analitica delle ragioni ostative opposte dall’organo tutorio del vincolo ma piuttosto deve rendere ragione del giudizio di prevalenza dell’interesse ambientale in un caso problematico in cui l’esistenza dell’interesse paesaggistico, sebbene positivamente accertato, è giudicato recessivo, operando una valutazione ‘complessiva’ dei due interessi antagonisti”.
In particolare, osserva il Consiglio di Stato, “in sintesi, a fronte di una perdita secca e rilevante di energia da fonti rinnovabili, obiettivo primario della politica energetica nazionale in linea con impegni assunti a livello internazionale, il pregiudizio al paesaggio è stato accertato in termini di possibile incremento differenziale rispetto alla situazione esistente”.
Nel caso di specie, trattandosi di un intervento di rinnovo e potenziamento di un impianto di produzione energetica da fonte eolica già esistente, il paesaggio e il contesto storico-culturale risultano già almeno in parte compromessi (“anche a voler ritenere che il progetto determinerà un maggior impatto visivo, è un dato oggettivo che il paesaggio si presenta già alterato rispetto alla sua configurazione originaria proprio per la presenza dell’impianto in discussione e di altri due impianti limitrofi”).
La delibera del Consiglio dei Ministri, quale atto di alta amministrazione, ha, quindi, limiti ben stretti e rigorosi riguardo la sindacabilità in sede giurisdizionale.
dott. Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
N. 03203/2024 REG.PROV.COLL.
N. 10016/2022 REG.RIC.
N. 00217/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10016 del 2022, proposto da Erg Wind Energy S.r.l. ed Erg Wind Sardegna S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Carlo Comandè, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pompeo Magno, 23 A;
contro
Regione Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mattia Pani, Andrea Secchi e Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE (già Ministero della Transizione Ecologica e Ministero dell’Ambiente e del Territorio), Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale Via e Vas, Comune di Nulvi, Comune di Ploaghe, Comune di Osilo, non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 217 del 2023, proposto dal MASE – Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Regione Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mattia Pani, Andrea Secchi e Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Erg Wind Energy S.r.l., Erg Wind Sardegna S.r.l., Comune di Nulvi, Comune di Ploaghe, Comune di Osilo, Provincia di Sassari, non costituiti in giudizio;
per la riforma
in entrambi i ricorsi n. 217 del 2023 e n. 10016 del 2022 della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (sezione Seconda) n. 00814/2022, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Sardegna in entrambi gli appelli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società ERG Wind Sardegna s.r.l. in data 1 agosto 2018 ha presentato al Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare istanza per l’avvio della procedura di Valutazione di impatto ambientale (“VIA”) riferita al progetto di potenziamento del “Parco eolico Nulvi Ploaghe”, localizzato nei comuni di Nulvi, Ploaghe e Osilo (SS), con potenza complessiva pari a 121,5 MW.
Con atto del 22 luglio 2021 Erg Wind Sardegna s.r.l. ha conferito il ramo di azienda che ricomprende tale iniziativa imprenditoriale ad Erg Wind Energy s.r.l..
Il progetto prevedeva il potenziamento del parco eolico esistente, e attualmente in esercizio, con la sostituzione delle 51 pale eoliche (con sostegno a traliccio, aventi un’altezza totale pari a 76 metri, per una potenza complessiva di 43,35 MW) con 27 pale eoliche (con tecnologia monopalo, di altezza totale pari a 180 metri, per una potenza complessiva pari a 121,5 MW), con un conseguente aumento di potenza elettrica pari a circa 78 MW.
Nel corso dell’istruttoria svolta dal MITE, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS, esprimeva un primo parere favorevole (parere n. 3136 del 4 ottobre 2019), confermato con il successivo parere del 17 aprile 2020 (parere n. 3305), in cui modificava una propria prescrizione relativa alle terre e rocce di scavo.
La CT-VIA rappresentava come l’area di progetto, identificata dagli strumenti di pianificazione territoriale dei comuni di Nulvi e Ploaghe come zona E agricola (p. 6 parere), si presentasse di tipo collinare e caratterizzata per la maggior parte da pascoli e terreni incolti e, in minima parte, da seminativi, non risultando sottoposta a particolari vincoli ambientali, architettonici o paesaggistici.
Nel medesimo parere rappresentava che il progetto, modificato a seguito delle risultanze degli approfondimenti archeologici condotti che determinava lo spostamento di 6 aerogeneratori rispetto al layout iniziale (p. 15 parere):
– rispettava i limiti dell’impatto acustico;
– non aveva effetti significativi sulla fauna e sulla componente botanico-vegetazionale del sistema di aree protette prossime all’area di intervento, comunque distanti circa 7 chilometri;
– quanto agli impatti cumulativi, era compatibile con i due vicini impianti eolici esistenti (il Parco eolico “Nulvi Tergu” con 35 aerogeneratori ed una potenza complessiva di 29, 75 MW, che si trova a 4,6 km, ed il Parco eolico “Sedini”, con 43 aerogeneratori ed una potenza complessiva di 64,50 MW, che si trova ad 8,8 km).
Imponeva, in ogni caso, il rispetto di 5 articolate prescrizioni.
Con le note prot. n. 38636 del 23 dicembre 2019 – recante il preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 – e n. 7830 del 28 febbraio 2020 il Ministero per la Cultura (MIC) esprimeva parere negativo, ritenendo che le opere previste, pur non ricadendo direttamente su aree tutelate ai sensi di decreti di dichiarazione di notevole interesse pubblico, incidessero negativamente sui valori caratterizzanti il paesaggio.
Il MIC rappresentava che tutti gli aerogeneratori progettati sarebbero risultati di dimensioni sproporzionate rispetto alle alture del contesto di localizzazione e che nel bacino visivo di 9 km dal progetto (calcolato in proporzione all’altezza degli aerogeneratori) si collocavano beni vincolati, tra cui la S.S. Trinità di Saccargia, l’area di scala di Giocca e la terrazza di San Pietro di Silki.
Inoltre evidenziava che l’area di progetto doveva considerarsi classificata dalla Regione Sardegna come “non idonea” all’installazione di impianti alimentati da fonti di energia eolica di grande taglia (cfr. deliberazione della Giunta regionale n. 40/11 del 7 agosto 2015) in quanto gli aerogeneratori in questione sarebbero stati posizionati ad una distanza inferiore a 1600 metri da beni archeologici, fra i quali numerosi nuraghe e il complesso archeologico di Fiorosa, composto da un nuraghe e dalla “tomba di giganti”.
La Società proponente impugnava il parere tecnico istruttorio negativo reso dal Ministero della Cultura con la menzionata nota prot. n. 7830 del 28 febbraio 2020 dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna che, con sentenza n. 647 del 26 novembre 2020, respingeva il ricorso, ritenendo il parere legittimo.
La predetta sentenza veniva appellata dalla ERG Wind Sardegna S.r.l. dinanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza 31 dicembre 2021 n. 8754, respingeva l’appello.
Al contempo, alla luce del parere tecnico istruttorio negativo del MIC, con nota n. 7593 del 16 aprile 2021, rinnovata con le note n. 8927 del 30 aprile 2021 e n. 9771 dell’11 maggio 2021, il MITE chiedeva di rimettere alla valutazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988 n. 400, il contrasto emerso fra lo stesso Dicastero e il Ministero della Cultura, in merito alla conclusione del predetto procedimento di VIA.
Con nota del 25 maggio 2021, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo convocava una riunione per il 31 maggio 2021 al fine di acquisire i necessari elementi istruttori utili alla valutazione della questione in esame da parte del Consiglio dei Ministri, ai sensi del richiamato articolo 5 della legge n. 400 del 1988, e per vagliare la sussistenza di eventuali margini per una possibile composizione del dissenso.
Nel corso della riunione del 31 maggio 2021 il MITE e il MIC ribadivano le proprie posizioni e non si perveniva al raggiungimento di un accordo per il superamento delle posizioni contrastanti.
In particolare, il MIC evidenziava il rilevante impatto che il progetto avrebbe avuto sull’area che, sebbene non sottoposta a provvedimenti di tutela archeologica ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, né a procedimenti in itinere di tutela, ai sensi degli artt. 10, 13, 14 e 45 del citato decreto legislativo, era ricca di insediamenti e di testimonianze di epoca antica che rappresentavano un importante patrimonio archeologico da tutelare.
Dall’altro lato, il MITE confermava l’interesse pubblico all’incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili, quale permanente obiettivo primario a livello nazionale e comunitario, al cui rispetto avrebbe contribuito anche la realizzazione dell’impianto in esame.
Il Consiglio dei ministri, nella comparazione degli interessi coinvolti, individuati da un lato nella tutela paesaggistica, e dall’altro nello sviluppo della produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché nella valenza imprenditoriale ed economica dell’opera in argomento, considerava prevalente l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili e alla realizzazione dell’opera di cui trattasi, facendo propria, con delibera del 10 marzo 2022, la posizione espressa dal MITE, a condizione che fossero rispettate le prescrizioni espresse nel parere n. 3136 del 4 ottobre 2019 e nel parere n. 3305 del 17 aprile 2020 della Commissione Tecnica VIA.
Il MITE adottava, conseguentemente, il giudizio positivo di compatibilità ambientale prot. n. 174/2022.
La Regione Sardegna impugnava dinanzi al T.a.r. per la Sardegna la delibera del 10 marzo 2022 ed il decreto VIA n. 174/2022, unitamente agli atti endoprocedimentali presupposti, contestandone la legittimità.
Con sentenza n. 814/2022 il T.a.r. accoglieva in parte il secondo motivo di ricorso ed annullava gli atti impugnati e, in particolare, la delibera del Consiglio dei ministri “per difetto di istruttoria, travisamenti dei fatti e conseguente difetto di motivazione, in ragione dell’insufficienza e assenza di riscontro fattuale degli elementi istruttori sulla cui base la deliberazione è stata adottata, anche in considerazione degli accertamenti definitivi contenuti nella sentenza del Consiglio di Stato n. 8754/2021 e del T.A.R. Sardegna n. 646/2020”. Dichiarava inoltre assorbita la restante parte del secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso.
In particolare il T.a.r. per la Sardegna, pur ritenendo legittimamente avviato il procedimento di cui all’art. 5, comma 2, lett. c-bis) in seno al Consiglio dei Ministri, evidenziava, al punto 12 della motivazione, che gli elementi istruttori posti a fondamento della decisione palesavano: “ad avviso del Collegio, il difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti di fatto in cui è incorso il Consiglio dei Ministri nella propria valutazione, anche ed in particolare alla luce di quanto già affermato tanto da questo T.A.R. con la sentenza n. 647/2020 che dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8754/2021” (§ 12 della sentenza), in quanto gli elementi fattuali ivi acclarati non sarebbero stati né valutati dal Consiglio dei Ministri né si sarebbe argomentato nella deliberazione circa la possibilità di superarli.
Con distinti ricorsi rubricati sub NRG n. 10016 del 2022 e n. 217 del 2023 Erg Wind Energy S.r.l. e Erg Wind Sardegna S.r.l., da un lato, e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’altro, hanno chiesto la riforma della sentenza del T.a.r. per la Sardegna n. 814 del 2022 in quanto errata in diritto.
Si è costituita in giudizio la Regione Sardegna per resistere agli appelli, concludendo per la loro reiezione nel merito con conferma integrale della sentenza appellata.
In via subordinata ha riproposto parte del secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso, dichiarati assorbiti dal T.a.r..
Ha anche eccepito la inammissibilità dell’appello del MASE e della Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto proposto in via autonoma anziché in via incidentale, secondo quanto previsto dall’art. 96 c.p.a.
All’udienza pubblica del 13 luglio 2023 entrambi gli appelli sono stati trattenuti in decisione, previo deposito di memorie conclusive con cui le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei due appelli in quanto proposti avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 96 c.p.a.
L’appello RG 10016 del 2022 è fondato.
In via preliminare devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dalla difesa regionale.
In primo luogo la Regione lamenta l’inammissibilità del ricorso in appello poichè, a suo dire, limitandosi ad evocare generici quanto indeterminati argomenti incentrati sul perimetro dei poteri esercitabili dall’organo giudicante, in nessun modo dimostrerebbe l’erroneità degli assunti cui perviene la sentenza impugnata.
L’eccezione è infondata in quanto nella parte in cui si incentra sul difetto di prova e sulla pretesa inconcludenza delle argomentazioni addotte per sostenere la tesi impugnatoria, attiene, evidentemente, alla fondatezza e non alla ammissibilità del motivo di appello. Quanto alla dedotta genericità del motivo, l’eccezione è infondata in quanto le appellanti hanno chiarito con dovizia di riferimenti la critica mossa alla sentenza appellata, censurando il ricorso ad una tecnica di sindacato ritenuta non confacente alla natura degli atti di alta amministrazione adottati ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett c-bis della legge n. 400 del 1988 che, pur restando certamente soggetti al sindacato giurisdizionale, si limitano, nell’esercizio di un’ampia discrezionalità, a risolvere un conflitto tra Ministeri, attraverso una valutazione complessiva degli interessi, nell’esercizio della funzione ordinativa degli interessi pubblici necessaria ad assicurare l’unità dell’indirizzo politico amministrativo dell’azione di governo ma senza operare una analitica rivisitazione dell’attività di verifica ed accertamento tecnico degli accadimenti procedimentali, rimessa alle amministrazioni di settore.
Con un secondo argomento la Regione eccepisce l’inammissibilità dell’appello per genericità, indeterminatezza e carenza di interesse nella parte in cui ha contestato il mancato esame da parte del T.a.r. degli argomenti contenuti nel parere prot. 3136 del 2019 reso dal MITE in seno al procedimento di VIA, recante le valutazioni di materia ambientale, favorevoli all’intervento.
Precisa che tali valutazioni della Commissione VIA – VAS sarebbero infatti errate ed illegittime e, quindi, inutili ed inutilizzabili per sostenere le tesi difensive delle appellanti.
L’eccezione è infondata poiché la rilevanza o meno del mancato esame da parte del T.a.r. del predetto parere è questione che attiene al merito dei motivi di appello; si tratta, in ogni caso, di un richiamo puntuale e pertinente, astrattamente utile a sostenere gli argomenti difensivi delle appellanti, in quanto finalizzato ad evidenziare una possibile incompletezza della motivazione del T.a.r. in relazione a risultanze istruttorie idonee a sostenere la legittimità della delibera del Consiglio dei Ministri e del decreto VIA impugnati.
Con un terzo argomento la difesa regionale eccepisce, infine, l’inammissibilità dell’appello a motivo della omessa impugnazione del capo della sentenza in cui il T.a.r. ha affermato che “L’atto impugnato in questa sede è senz’altro un atto di alta amministrazione, ma non per questo sfugge al sindacato giurisdizionale in ordine ai fatti posti a fondamento della decisione, in particolare in merito alla correttezza e completezza dell’istruttoria e della motivazione”.
L’eccezione è infondata poiché le appellanti non contestano la natura di atto di alta amministrazione della delibera del Consiglio dei Ministri e la sua pacifica assoggettabilità al sindacato giurisdizionale, quanto la modalità con cui il T.a.r. avrebbe operato il controllo, non avendo tenuto in debita considerazione la peculiare natura del potere esercitato dal Consiglio dei Ministri nella fattispecie controversa.
Esaminate le eccezioni preliminari, può ora passarsi alla trattazione del merito dei motivi di gravame.
Con un unico complesso motivo di appello Erg Wind Energy S.r.l. ed Erg Wind Sardegna S.r.l. hanno dedotto: “Erroneità della sentenza impugnata laddove, nei capi 8.3, 9, 10, 11, 12, 12.1, 12.2, 12.3, 12.4, 12.5, 13, 14, 14.1, 14.2, 14.3, 15, 16, 17 ha accolto il ricorso promosso dalla regione Sardegna – inammissibilità del ricorso di prime cure – travisamento assoluto dell’art. 5, comma 2 lett. c-bis, della l. n. 400/1988 e dell’art. 95 della costituzione.”.
Le appellanti insistono sulla eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per come articolato dalla Regione Sardegna non potendo, a loro dire, essere configurabili vizi di eccesso di potere, nei termini prospettati, in relazione ai peculiari caratteri del potere esercitato e lamentano, al contempo, l’errore in cui sarebbe incorso il T.a.r. per avere applicato una tecnica di sindacato sull’eccesso di potere, valorizzando figure sintomatiche quali il travisamento dei fatti, il difetto di istruttoria e la contraddittorietà dell’azione amministrativa, in assenza di motivazione rafforzata, che non si attaglierebbero alla peculiare natura di atto di alta amministrazione della delibera del Consiglio dei Ministri, adottata ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. c-bis, della legge n. 400 del 1988, in attuazione dell’art. 95 Cost., per garantire l’unità dell’indirizzo politico del Governo, in una fattispecie di contrasto insorto tra due Ministeri; tale potere non sarebbe assimilabile all’esercizio di una ordinaria potestà amministrativa finalizzata ad assicurare il coordinamento tra interessi pubblici primari, come accade ad esempio nell’ambito del funzionamento della Conferenza di servizi in tutti i casi in cui il Consiglio dei Ministri è chiamato ad intervenire in presenza di dissensi qualificati opposti da amministrazioni preposte alla tutela di interessi pubblici a garanzia procedimentale c.d. rafforzata, come tali insuscettibili di compressione, anche a fronte di posizioni prevalenti di segno contrario emerse in conferenza.
Aggiungono che nessun obbligo di motivazione rafforzata, pertanto, sarebbe configurabile in capo al Consiglio dei Ministri per superare il dissenso manifestato dal MIC, neppure nel caso in cui la legittimità del parere negativo reso sia stata confermata in sede giurisdizionale, come accaduto nel caso di specie, poiché il giudicato amministrativo, con la sua efficacia vincolante di indirizzo, rileverebbe nelle sole ipotesi di riesercizio del potere, vincolando l’amministrazione procedente a conformarvisi, ma non nelle diverse fattispecie in cui la legittimità del parere negativo rappresenta il mero presupposto per la decisione di indirizzo politico del Governo, al fine di comporre il contrasto insorto mediante la individuazione di una soluzione condivisa o, in mancanza, dell’interesse pubblico prevalente.
In ogni caso il T.a.r. non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le motivazioni rese dal MITE nel parere prot. 3136/2019 che, in quanto richiamato dalla delibera del Consiglio dei ministri, darebbe ampiamente conto delle ragioni del giudizio di prevalenza espresso.
Il motivo è fondato per ragioni che tuttavia palesano un errore in iudicando del T.a.r. più che un profilo di inammissibilità del ricorso, secondo una prospettazione delle appellanti che sul punto non può essere condivisa.
La deliberazione del Consiglio dei Ministri impugnata è stata infatti adottata a seguito di richiesta avanzata dal MITE volta a superare il contrasto venutosi a determinare con il Ministero della Cultura (MIC), nell’ambito di una procedura di VIA nazionale, atteso che, come noto, il decreto V.I.A. deve essere reso dal MITE, previo concerto del MIC, ai sensi dell’art. 25 comma 2, lett. c-bis del d. lgs. n. 152/2006.
Nella specie la questione è stata rimessa al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. c-bis, della legge n. 400/1988, a mente del quale, “Il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 95, primo comma, della Costituzione: ….c-bis) può deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti”.
Giova rammentare che l’art. 95, comma 1, della Costituzione prevede, a sua volta, che: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.”.
Sulla natura del potere esercitato in siffatta fattispecie dal Consiglio dei Ministri, questo Consiglio si è già pronunciato affermando principi dai quali non v’è motivo per discostarsi.
In particolare con sentenza 15 aprile 2021, n. 3106 questa Sezione ha osservato che: “16.1. La norma poc’anzi citata enuclea un potere di composizione dei conflitti (“armonizzazione”) nell’ambito del Governo, consentendo attraverso una deliberazione collegiale del Consiglio dei Ministri, organo competente a determinare i princìpi essenziali dell’indirizzo politico e amministrativo del Governo, sollecitata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di esprimere in maniera unitaria quella che è la sintesi degli interessi coinvolti nella vicenda devoluta all’esame del Consesso di vertice del Potere Esecutivo dello Stato.
16.2. Il Consiglio dei Ministri è, infatti, competente a fissare l’indirizzo politico-governativo ed è, pertanto, anche competente a valutare quale, fra due o più posizioni in contrasto, garantisca meglio gli interessi pubblici coinvolti e le priorità della politica governativa, dovendo dunque prevalere.
In sostanza, mediante l’adozione dell’atto di alta amministrazione contemplato dalla norma in esame, il Consiglio dei Ministri può apprezzare unitariamente quelli che sono gli interessi coinvolti nella vicenda e operarne, se del caso, una sintesi, individuando, altrimenti, ove questo tentativo fallisca, quello o quelli prevalenti.
16.3. Nell’ambito di un ordinamento amministrativo che, sul versante organizzativo, in ragione della complessità del sistema normativo e dei molteplici, e talvolta antitetici, interessi chiamati a dover essere gestiti, si connota per essere, sempre più, come è stato icasticamente affermato, una “costellazione multilivello e policentrica di apparati”, risulta oltremodo necessario un momento di delibazione finale e definitiva, ove si decida qual è l’interesse che debba prevalere, da perseguire non soltanto a vantaggio dello Stato, ma nel “preminente interesse nazionale” (arg. ex art. 118 Cost., che alloca la funzione amministrativa richiamando i principi di sussidiarietà e adeguatezza, e, con riferimento alla normativa vigente ratione temporis, ex art. art. 14-quater Legge del 07 agosto 1990, n. 241, che puntualizza che “Se l’intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata”. Adesso, si cfr. art. 14-quinquies e, in particolare, il sesto comma).
16.4. Si individua, insomma, “nel vertice dell’apparato amministrativo (nazionale) la figura chiamata a comporre il dissenso” attribuendo ad esso “una ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, resa possibile dalla collocazione istituzionale dell’organo decidente, il cui orizzonte è tale da poter considerare, in un’ottica di sintesi, tutte le diverse posizioni di interesse (quelle ambientali, paesaggistiche, energetiche, urbanistiche, industriali, ecc.). La disposizione, in altri termini, esprime una tipica regola di sussidiarietà verticale, realizzando un’allocazione del meccanismo di coordinamento che coniuga il profilo dell’attività con quello dell’organizzazione” (cfr. nello stesso senso Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3112).
Come fondatamente rilevato dalle appellanti, nella presente vicenda contenziosa il T.a.r. ha esercitato il sindacato giurisdizionale su di un atto di alta amministrazione, qual è la delibera del Consiglio dei Ministri adottata ai sensi dell’art. 5, comma 2 lett c-bis della legge n. 400 del 1988, secondo i principi che governano la verifica circa il rispetto delle regole della c.d. deontologia della discrezionalità valevoli per gli atti ed i provvedimenti amministrativi, privi di una qualche rilevanza politica qualificata, in quanto espressione di poteri solo indirettamente riferibili alla potestà di governo in senso stretto.
Tuttavia ai sensi delle disposizioni attributive del potere in esame, non compete al Consiglio dei Ministri l’accertamento dei fatti e la verifica di coerenza tra gli atti interni al procedimento amministrativo di competenza dei Ministeri di settore e neppure dare attuazione ad eventuali giudicati di annullamento di atti e provvedimenti della sequenza procedimentale che vincolano gli organi amministrativi procedenti né può ritenersi vincolato da giudicati che confermano la legittimità di provvedimenti di diniego e, conseguentemente, la sussistenza delle esigenze di tutela presidiate dal vincolo, come accaduto nel caso di specie.
Il Consiglio dei Ministri, infatti, in tali ipotesi si limita a prendere atto dell’esistenza di “valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti” per poi decidere “ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti” necessaria ad assicurare “l’unità di indirizzo politico ed amministrativo” di cui è responsabile il Presidente del Consiglio dei Ministri cui spetta deferire la questione.
Il modo con cui si atteggiano, in concreto, gli interessi pubblici in conflitto, all’esito dell’attività conoscitiva posta in essere nell’ambito delle verifiche istruttorie disposte nel corso del procedimento, è questione riservata alle amministrazioni di settore.
Al Consiglio dei Ministri compete verificare la possibilità di trovare una regola di composizione del conflitto ed, in mancanza, di decidere quale degli interessi debba prevalere nel caso di specie, esercitando la funzione ordinativa degli interessi propria della potestà di governo, nel rispetto delle priorità che discendono sia dal programma di governo, come definito nell’ambito del rapporto di fiducia con il Parlamento, sia dagli obblighi eventualmente assunti in sede internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost..
Tale verifica è condotta, tuttavia, non alla luce dei principi che governano lo svolgimento dinamico del potere nel paradigma della funzione ma attraverso una valutazione di tipo globale e sintetico che la legge, non a caso, definisce come “complessiva”, proprio perché il Consiglio dei ministri assume il caso problematico, nella ricostruzione fornita dalle amministrazioni in conflitto, così come precisato nei fatti rilevanti e pertinenti selezionati, anche all’esito di eventuali contenziosi e dei criteri di azione indicati dal giudice amministrativo e, muovendo dai dati del problema amministrativo come prospettati e verificati, accerta l’esistenza di margini per una ricomposizione in unità delle alternative decisionali prospettate o, in mancanza, sceglie la soluzione ritenuta maggiormente coerente con l’indirizzo politico amministrativo generale, assicurando in tal modo l’unità dell’azione di governo.
Non si tratta solamente di assicurare il coordinamento tra interessi pubblici affidati a diversi centri di imputazione o a diversi livelli territoriali di governo, a fini di semplificazione, come accade ad esempio nella conferenza di servizi, ma di decidere, di volta in volta, quali siano le priorità dell’azione di governo stabilendo il criterio ordinativo degli interessi pubblici necessario ad assicurare l’unitarietà dell’azione di governo: ciò è confermato dal fatto che il potere di devoluzione della questione non è rimesso, nel caso di specie, genericamente all’autorità procedente, come accade nella conferenza di servizi, ma direttamente in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri che, mediante il suo esercizio, in base all’art. 95 Cost., compie un atto di direzione della politica generale del Governo confermando o innovando le priorità di azione, assicurando l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri.
Da quanto precede emerge che nessuna efficacia preclusiva o in altro modo condizionante può discendere dal giudicato formatosi sulle sentenze del T.a.r. per la Sardegna n. 647 del 2020 e del Consiglio di Stato n. 8754 del 2021 che hanno respinto il ricorso avverso il diniego di concerto espresso dal MIC con nota prot. n. 7830 del 28 febbraio 2020 poiché la legittimità di tale atto, accertata in sede giurisdizionale in via definitiva, lungi dal poter evidenziare un profilo di contraddittorietà della decisione di diverso avviso assunta dal Consiglio dei ministri, in mancanza di una motivazione rafforzata idonea a dar conto della prevalenza dell’interesse ambientale, rappresenta piuttosto il presupposto per la legittima devoluzione della questione al Consiglio dei ministri, dando evidenza della effettiva esistenza di un conflitto reale tra i due Ministeri, in mancanza del quale la rimessione non è consentita.
In relazione a tale peculiare potere di alta amministrazione, al giudice amministrativo spetta accertare se lo stesso sia stato esercitato in presenza dei presupposti previsti dalla legge (esistenza di “valutazioni contrastanti”) e se la regola di composizione del conflitto palesi o meno profili di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà ma non rispetto alle risultanze dell’istruttoria procedimentale in senso stretto, quanto piuttosto rispetto alla finalità indicata dalla disposizione attributiva del potere, quella cioè di assicurare una “complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti” necessaria a garantire “l’unità di indirizzo politico ed amministrativo”: è entro tali limiti che deve essere assolto l’obbligo di motivazione – cui anche gli atti di alta amministrazione sono pacificamente soggetti – e non rispetto alle risultanze dell’istruttoria procedimentale, come invece prescritto dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 ed erroneamente ritenuto dal T.a.r.; in altri termini la delibera del consiglio dei ministri non deve contenere la confutazione tecnica ed analitica delle ragioni ostative opposte dall’organo tutorio del vincolo ma piuttosto deve rendere ragione del giudizio di prevalenza dell’interesse ambientale in un caso problematico in cui l’esistenza dell’interesse paesaggistico, sebbene positivamente accertato, è giudicato recessivo, operando una valutazione “complessiva” dei due interessi antagonisti.
E’, in definitiva, una motivazione sull’atto di indirizzo in cui si sostanzia il giudizio di prevalenza.
Nel caso di specie, pacifica essendo la sussistenza di valutazioni contrastanti da parte del MIC e del MITE in merito al progetto di repowering, con la delibera impugnata il Consiglio dei ministri ha operato la valutazione “complessiva” dei due interessi pubblici comprimari pervenendo, in assenza di margini di composizione, ad un giudizio di prevalenza dell’interesse ambientale su quello paesaggistico che non evidenzia profili di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà e ciò ha fatto palesando in modo piano e coerente le ragioni della scelta, avendo chiarito che:
1. sebbene l’intervento di repowering in esame preveda l’introduzione di aerogeneratori aventi altezza più che doppia rispetto a quelli esistenti e, conseguentemente, una maggiore estensione dell’area da valutare ai fini dell’impatto paesaggistico, il progetto comporta, allo stesso tempo, una sensibile riduzione del numero degli stessi (dagli attuali 51 a 27) e quindi del c.d. “effetto selva”, con un significativo risparmio di suolo occupato;
2. a prescindere dal fatto se il repowering, nel caso di specie, possa integrare un impianto nuovo o una modifica di quello esistente, non è contestabile che il territorio interessato non possa essere qualificato come “originario”, in quanto nell’area sono presenti, oltre all’impianto in questione, altri due impianti limitrofi, tutti ormai assorbiti nell’osservazione delle visuali panoramiche; quindi l’intervento in esame va comunque ad inserirsi in un territorio già alterato nella propria naturalità. Anche a voler ritenere che il progetto determinerà un maggior impatto visivo, è un dato oggettivo che il paesaggio si presenta già alterato rispetto alla sua configurazione originaria proprio per la presenza dell’impianto in discussione e di altri due impianti limitrofi;
3. è un dato oggettivo quello per cui l’area oggetto di intervento risulta caratterizzata per la maggior parte da pascoli e terreni incolti e in minima parte da seminativi, non è sottoposta a tutela paesaggistica né a vincoli diretti o indiretti, sebbene l’impianto comporterà impatti sul patrimonio archeologico e sul paesaggio con riferimento a siti limitrofi in quanto:
a) nel bacino visivo di 9 km. dal progetto si collocano alcuni beni vincolati;
b) gli aerogeneratori ricadono ad una distanza inferiore a 1600 metri dall’area ove insistono beni archeologici.
Tuttavia nelle immediate vicinanze degli aerogeneratori e delle opere ad essi annesse non sono presenti beni architettonici di interesse culturale e nessuno degli aerogeneratori ricade direttamente su aree tutelate.
4. la Commissione Tecnica VIA ha comunque prescritto il rispetto di interventi di mitigazione e lo spostamento di sei aerogeneratori rispetto al progetto originario. Tale spostamento, dunque, ha pacificamente determinato che tutte le turbine si trovino all’esterno rispetto alle aree vincolate.
5. la classificazione dell’area come “non idonea”, operata dalla D.G.R. n. 40/11 del 10 settembre 2015 non ha natura di distanza minima inderogabile e determina nei siti e nelle aree individuati solo un’elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione.
6. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili risponde anche all’esigenza di rispettare la normativa dell’Unione Europea e gli impegni internazionali assunti, nel comune intento di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e di promuovere la tutela ambientale.
Il quadro fattuale sinteticamente richiamato, se ha consentito la legittima espressione di un diniego di concerto da parte degli organi preposti alla tutela paesaggistica, dall’altro non palesa alcun profilo di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà nella scelta compiuta dal Consiglio dei Ministri di dare prevalenza alla tutela ambientale poiché, a fronte della significativa maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili assicurata dal nuovo impianto, in linea con gli impegni assunti a livello internazionale, emerge la possibile compromissione di valori paesaggistici in un contesto tuttavia già fortemente antropizzato per la presenza di analoghi impianti in funzione ed in assenza di un pregiudizio diretto a beni vincolati che risultano attinti nei soli elementi di contesto connessi all’ampliamento del bacino visivo, in ragione della maggiore altezza delle torri eoliche.
In sintesi, a fronte di una perdita secca e rilevante di energia da fonti rinnovabili, obiettivo primario della politica energetica nazionale in linea con impegni assunti a livello internazionale, il pregiudizio al paesaggio è stato accertato in termini di possibile incremento differenziale rispetto alla situazione esistente e ciò rende la decisione assunta immune dai vizi denunciati dalla Regione Sardegna, anche alla luce del parere favorevole del MITE prot. n. 3136 del 4 ottobre 2019 che ha motivatamente escluso impatti ambientali, ribadendo la necessità degli interventi di mitigazione proposti ed evidenziati nel SIA (Studio di Impatto Ambientale) e del rispetto delle ulteriori prescrizioni imposte.
Ne discende che il motivo di appello è fondato e sul punto la sentenza appellata deve essere riformata.
Deve ora procedersi all’esame di parte del secondo motivo e del terzo motivo di ricorso dichiarati assorbiti dal T.a.r. e riproposti dalla Regione Sardegna con la memoria di costituzione in giudizio del 13 gennaio 2023, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a.
Con riferimento al secondo motivo, nella parte non esaminata e riproposta, la Regione Sardegna lamenta che il parere del MITE, utilizzato a presupposto della deliberazione del Consiglio dei Ministri, sarebbe illegittimo in quanto adottato:
a) senza assicurare la indispensabile partecipazione regionale;
b) senza adeguatamente motivare in merito alle ragioni per cui sarebbe possibile discostarsi dai molteplici pareri negativi pervenuti (non solo, dunque, quello del MIBACT ma pure quelli plurimi regionali resi con la nota prot. n. 41324 del 21.11.2018 dell’ARPAS, doc. 8, prot. n. 16616 del 23.10.2018 dell’Assessorato dell’agricoltura, doc. 9, e prot. n. 44280 del 21.11.2018 dell’Assessorato dell’urbanistica, doc. 10, nota del Corpo Forestale prot. n. 26179 del 27.11.2018 e prot. n. 72752 del 19.11.2018, doc. 11 di primo grado);
c) senza spiegare sulla base di quale potere un organo deputato alle valutazioni di VIA-VAS ha, invece, in concreto reso valutazioni paesaggistiche.
Le tre doglianze sono infondate.
La prima, poiché se è vero che il rappresentante regionale, nella persona della dottoressa F. Leuzzi, non ha effettivamente partecipato alla seduta del 4 ottobre 2019 in cui è stato adottato il parere favorevole conclusivo n. 3136 da parte della Commissione Tecnica VIA, in quanto collocata in quiescenza sin dal 31 dicembre 2014, è altrettanto vero che la Regione Sardegna, a fronte di specifica eccezione sul punto, non ha dimostrato e neppure allegato di avere designato e comunicato al MITE altro rappresentante in sostituzione, sicchè l’assenza del rappresentante regionale è imputabile alla Regione medesima e non può integrare una violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, neppure in relazione alle speciale autonomia di cui gode la Regione Sardegna.
Quanto alla mancata partecipazione del rappresentante regionale alla seduta della Commissione Tecnica VIA del 17 aprile 2020, – fermo restando quanto osservato circa la mancata nomina del nuovo rappresentante regionale – rileva il Collegio che si è trattato di una riconvocazione finalizzata a chiarire una prescrizione in materia di terre da scavo, con l’intento di integrare, in parte qua, il parere favorevole prot. 3136 del 4 ottobre 2019, come pure altri pareri resi dalla medesima Commissione.
Il dispositivo del parere così dispone “che, relativamente ai pareri n. 3134 del 27.09.2019, n. 3136 del 04.10.2019, n. 3091 del 19.07.2019, n. 3028 del 07.06.2019 e n. 3020 del 31.05.2019, la prescrizione relativa alle terre e rocce da scavo: “il proponente, almeno 90 giorni prima dell’inizio dei lavori, dovrà presentare richiesta di autorizzazione redatto secondo le specifiche del DPR 120/2017” vada sostituita con la seguente: “il proponente, prima dell’avvio dei lavori, dovrà trasmettere al MATTM ed all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, gli esiti delle attività eseguite ai sensi del comma 4 dell’art. 24 del D.P.R. 120/2017”;”.
In relazione a tale chiarimento di dettaglio, la Regione nulla ha potuto evidenziare circa il pregiudizio subito dalla mancata partecipazione del proprio rappresentante sicchè la doglianza deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse, trattandosi invero di una mera rettifica finalizzata a richiamare l’osservanza di obblighi informativi già autonomamente previsti dalla legge.
La seconda doglianza, incentrata sulla presunta, immotivata pretermissione dei pareri negativi regionali, è parimenti infondata, poiché nel parere conclusivo prot. 3136 del 4 ottobre 2019, reso dalla Commissione Tecnica VIA, si dà atto delle relazioni istruttorie, delle richieste di chiarimenti e di integrazione documentale, oltre che dei pareri resi dagli uffici regionali mediante espresso richiamo alle note della Regione Sardegna prot. 25179 del 27 novembre 2018 e prot. 502 del 10 gennaio 2019.
Si menziona anche la richiesta di approfondimenti in materia di tutela ambientale avanzata dalla Provincia di Sassari, settore 5.
Si tratta di relazioni che, accanto alle criticità di carattere paesaggistico, hanno evidenziato carenze nella documentazione presentata a corredo del progetto, sollecitando integrazioni da parte della società proponente sia per quanto riguarda i profili di tutela paesaggistica che di tutela ambientale.
A tali richieste ha tuttavia prontamente risposto la società proponente inviando la documentazione e i chiarimenti analiticamente elencati in 17 punti alle p. 4 e 5 del parere prot. 3136 del 4 ottobre 2019 che, in sede di parere finale, sono stati evidentemente ritenuti, nel complesso, esaustivi o comunque suscettibili di integrazione mediante le prescrizioni indicate nel parere medesimo (per quanto riguarda ad esempio il monitoraggio dell’avifauna, l’impatto acustico, la realizzazione delle strade di servizio).
Non risponde al vero pertanto che il contributo istruttorio della Regione sia stato del tutto pretermesso in sede di parere poiché, trattandosi di relazioni o pareri non negativi bensì orientati alla richiesta di approfondimenti istruttori, gli stessi sono stati riscontrati dalla società proponente, consentendo di pervenire ad un parere conclusivo favorevole integrato con talune prescrizioni.
A confutare quanto precede non vale il mancato riscontro agli approfondimenti richiesti in materia di usi civici e di compatibilità dell’altezza degli impianti con le azioni di contrasto agli incendi.
Quanto agli usi civici infatti l’istruttoria regionale ha solo evidenziato che i Comuni dove saranno localizzati gli impianti sono interessati da provvedimenti in materia di usi civici ma non è emerso che le particelle interessate dai lavori sono gravate da usi civici.
Era onere degli uffici regionali circostanziare la presenza di criticità in tal senso, a fronte della documentazione e delle relazioni illustrative presentate dalla società proponente.
Quanto alle misure di contrasto agli incendi, l’istruttoria condotta ha già evidenziato che non sarà possibile intervenire per via aerea data l’altezza delle torri eoliche e pertanto sarà necessario approntare diverse misure di intervento, mediante opere di difesa passiva lungo le strade di accesso e a protezione delle torri eoliche (cfr. parere della Direzione generale del Corpo Forestale e della vigilanza ambientale del 19 novembre 2018).
Il parere tuttavia è stato reso in termini di mera opportunità (“per tali opere si ritiene opportuna la stesura di elaborati integrativi”) e lo stesso Assessorato regionale, nella relazione riepilogativa contenuta nella nota prot. 25179 del 27 novembre 2019, nulla prescrive al riguardo né sollecita particolari approfondimenti.
Il tema potrà pertanto essere ulteriormente approfondito nelle successive fasi dell’iter autorizzatorio.
Infondata è anche la terza doglianza, incentrata sulla espressione di valutazioni di valenza paesaggistica da parte della Commissione tecnica VIA e nel decreto di VIA e che secondo la Regione Sardegna non sarebbe ammesse in sede di VIA: osserva il Collegio in senso contrario che è proprio la disciplina nazionale a prescrivere che nell’ambito delle verifiche istruttorie finalizzate alla VIA debbano essere presi in considerazione anche gli impatti sul paesaggio, tant’è che anche l’istruttoria regionale ha dedicato ampio spazio al tema.
In particolare l’allegato VII alla parte seconda del d. lgs. n 152 del 2006, nel descrivere il contenuto dello studio di impatto ambientale di cui all’art. 22, prescrive al n. 8 “la descrizione degli elementi e dei beni culturali e paesaggistici eventualmente presenti, nonché dell’impatto del progetto su di essi, delle trasformazioni proposte e delle misure di mitigazione e compensazione eventualmente necessarie”.
Correttamente pertanto la Regione Sardegna ha disposto istruttoria sul punto (cfr. la nota della Direzione generale della pianificazione urbanistica territoriale del 21 novembre 2018) ed altrettanto correttamente la Commissione tecnica VIA ha dato atto nel parere conclusivo anche dell’impatto paesaggistico dell’opera.
In ogni caso il fatto che il parere reso dalla Commissione Tecnica il 4 ottobre 2019 possa avere minimizzato l’impatto paesaggistico dell’intervento è questione superata dagli ulteriori approfondimenti condotti dalla Soprintendenza che hanno evidenziato, con dovizia di particolari e di riferimenti, in un parere di 90 pagine, l’impatto paesaggistico della proposta, determinando il diniego di concerto, poi superato dalla delibera del Consiglio dei Ministri.
Da altra angolazione la Regione contesta il parere n. 3136 del 4 ottobre 2019 nella parte in cui avrebbe dato atto della acquisizione dei pareri “favorevoli” asseritamente rilasciati dall’Assessorato dei Trasporti (nota 10553 del 16 novembre 2018) e dal Comune di Nulvi (nota prot. 8980 del 29 novembre 2018).
Il motivo è infondato poiché il sindaco ha effettivamente anticipato un “possibile parere favorevole” pur rappresentando l’opportunità di prevedere misure compensative a beneficio dei Comuni interessati dalla localizzazione dell’impianto.
Inoltre l’assessorato ai Trasporti, se effettivamente non ha reso un parere favorevole, tuttavia non ne ha reso neppure uno contrario, limitandosi a rappresentare la necessità di acquisire i pareri da parte degli enti preposti competenti (ENAC e ente gestore dell’infrastruttura ferroviaria) nelle successive fasi dell’iter autorizzatorio per verificare le possibili interferenze peraltro puntualmente segnalate negli studi della società proponente, in particolare con l’aeroporto Alghero-Fertilia.
L’imprecisione riportata nel parere è dunque sostanzialmente irrilevante.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso riproposto dalla Regione Sardegna.
Con tale motivo ha dedotto: “Violazione dell’art. 9, 41 e 116 della Costituzione, dell’art. 1 e 4 dello Statuto Sardo e delle relative norme di attuazione. Violazione del paragrafo 1, dell’art. 6, della direttiva 2011/92/UE. Violazione dell’art. 12, comma 4, del d.lgs. 387/2003 dall’art. 8, d.lgs. 152/2006. Eccesso di potere per errore di fatto, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, irragionevolezza, carenza dei presupposti, contraddittorietà, insufficienza e perplessità dell’istruttoria, omessa motivazione, assenza dell’interesse pubblico. Manifesta illogicità, irragionevolezza ed arbitrarietà. Violazione del principio di leale collaborazione”.
In sintesi lamenta la violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa in materia di competenze riservate alle regioni a statuto speciale in tema di produzione di energia da fonti alternative e di paesaggio e, soprattutto, il mancato coinvolgimento effettivo degli uffici regionali nell’istruttoria condotta dal MITE nell’ambito del procedimento di VIA.
Quanto al mancato coinvolgimento degli uffici regionali ed alla omessa valorizzazione procedimentale dell’istruttoria condotta dalla Direzione generale dell’Ambiente della Regione Sardegna, si rinvia a quanto osservato nella disamina del secondo motivo di ricorso.
Quanto alla pretesa lesione delle competenze statutarie della Regione Sardegna in materia di paesaggio e di energia, il motivo è inammissibile poiché la Regione, nella sovrabbondanza dei richiami di giurisprudenza costituzionale ed amministrativa in materia di riparto di competenza legislativa tra lo Stato e Regioni a statuto speciale, non ha potuto indicare alcun precedente o specifico parametro normativo per mettere in discussione la competenza statale esclusiva in materia ambientale, e ciò a fortiori in un caso di VIA di interesse statale e cioè di un’opera che per la sua rilevanza compete agli organi statali istruire, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale.
Il motivo deve pertanto essere respinto in quanto infondato e, con esso, l’appello nel suo complesso.
Anche l’appello RG 217 del 2023 – con il quale il MITE ha proposto censure sostanzialmente identiche – è fondato per le medesime motivazioni illustrate nella disamina dell’appello RG n. 10016 del 2022, pertanto va accolto, previa reiezione dell’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dalla Regione Sardegna per non essere stato proposto nelle forme dell’appello incidentale ma in via autonoma, quando l’appello proposto da Erg Wind Energy S.r.l. e da Erg Wind Sardegna S.r.l. era già stato notificato al MITE ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in violazione di quanto previsto dall’art. 333 c.p.c.: l’eccezione è infatti infondata in quanto il principio di unità del giudizio di impugnazione è comunque assicurato dall’obbligo di disporre la riunione delle impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza ai sensi dell’art. 96, comma 1 c.p.a.; inoltre il rinvio all’art. 333 contenuto nell’art. 96, c.p.a. non è accompagnato dal richiamo espresso alla sanzione della decadenza ivi prevista per il caso di mancata proposizione della impugnazione autonoma, in via incidentale, con conseguente impossibilità di applicare in via analogica la sanzione processuale; infine per il principio del raggiungimento dello scopo, è comunque ammessa la conversione, previa riunione, dell’appello autonomo in appello incidentale improprio (cfr. Cass. civ, n. 30775 del 2019) qualora sia rispettato il requisito temporale di proposizione del gravame incidentale, nella specie specificamente osservato (l’appello delle due società è stato infatti notificato al MITE ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 23 dicembre 2022 mentre l’appello di questi ultimi è stato notificato alla Regione Sardegna in data 10 gennaio 2023 quindi nel termine di 60 giorni previsto dall’art. 96, comma 3, c.p.a.).
Alla luce delle motivazioni che precedono i due appelli devono pertanto essere accolti e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso proposto dalla regione Sardegna dev’essere respinto in quanto infondato.
Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto dalla Regione Sardegna.
Condanna la Regione Sardegna alla rifusione delle spese del doppio grado che si liquidano complessivamente in euro 8.000,00 in favore della Erg Wind Energy S.r.l. e di Erg Wind Sardegna S.r.l., nella misura del 50% ciascuna, ed in ulteriori euro 8.000,00 in favore del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica con la Presidenza del Consiglio dei ministri, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Paolo Marotta, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Luca Monteferrante | Luigi Carbone | |
IL SEGRETARIO
pubblicata l’8 aprile 2024
(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)