Il giorno in cui gli UFO uccisero un eroe di guerra

1 year ago 74

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Si chiamava Thomas Mantell, era un eroe di guerra. Nel gennaio del 1948 finì sui giornali di mezzo mondo a causa della sua tragica fine: era rimasto vittima dell’incontro con un disco volante, uno di quei velivoli di provenienza sconosciuta che dall’anno prima solcavano i cieli degli Stati Uniti e di molti altri paesi. O questo, almeno, sembrava essere accaduto…

Un eroe di guerra

Il capitano Thomas Mantell verso la fine della Seconda Guerra Mondiale.Il capitano Thomas Mantell verso la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Thomas Francis Mantell Jr. era nato il 30 giugno del 1922 a Franklyn, una cittadina di tremila abitanti del Kentucky, al confine con il Tennessee. Aveva frequentato la High School della vicina Louisville. Poi, il 7 dicembre del 1941, i giapponesi avevano attaccato Pearl Harbor, e gli Stati Uniti erano entrati nella Seconda Guerra Mondiale. Arruolato in aviazione, era diventato un pilota di aerei da trasporto C-47 e si era coperto di onore nelle campagne europee, nel 1944-45. Fu tra quelli che nel giugno del 1944 lanciarono sulla Normandia, durante lo sbarco alleato, l’avanguardia delle forze americane, la 101° Divisione aviotrasportata.

Finita la guerra, preferì rimanere nell’esercito. Seguì i corsi per pilota da caccia, e il 16 febbraio del 1947 entrò nell’Aviazione della Guardia Nazionale del Kentucky con il grado di capitano. Pilotava un potente turboelica F-51D Mustang, un aereo che aveva notevoli prestazioni sino a certe quote, ma le cui capacità degradavano rapidamente man mano che saliva verso l’alto. Si era sposato presto, come molti americani, e agli inizi del 1948, a venticinque anni e mezzo, aveva già due figli con sua moglie Peggy. Stava per diventare, in maniera tragica, uno dei protagonisti assoluti della storia del mito degli UFO

Qualcosa di altissimo nel cielo

Erano le 13.20 di venerdì 7 gennaio 1948. Il sergente istruttore Quinton Blackwell, un addetto alla torre di controllo dell’aeroporto Godman, una parte delle strutture di Fort Knox (Kentucky) dove sono custodite le riserve auree statunitensi, prese una telefonata. Era la polizia militare, stava ricevendo dalla controparte civile notizie su numerose segnalazioni di un oggetto volante non identificato visibile nel cielo di Marysville, nel vicino Ohio. Poi ne arrivarono altre, da città più vicine al campo Godman. L’oggetto in cielo, che secondo i testimoni poteva avere un diametro di 75 o anche di 100 metri, si spostava lentamente verso l’installazione militare, cioè verso Fort Knox! Alle 13.45 lo scorse anche Blackwell, insieme ad altri. Sembrava un grande paracadute illuminato dal Sole, oppure un corpo rotondo, bianchissimo.

Arrivano gli aerei

Mentre dall’aeroporto l’oggetto era seguito coi binocoli, ecco l’evento determinante dell’intera tragedia. Nei pressi della base stavano per transitare quattro F-51D del 165° Squadrone caccia della Guardia Nazionale del Kentucky. Il comandante del gruppo era il capitano Mantell. 

Tre F-51D “Mustang” del 165° Squadrone da Caccia della Guardia Nazionale del Kentucky, la stessa unità del cap. Mantell. (Libero dominio, dagli archivi dell’USAF, foto 091216-F-5707M-001 dal sito storico del 104th Fighter Wing).

Blackwell chiamò i piloti e chiese di cercare di identificare l’oggetto. Uno dei quattro, a corto di carburante, proseguì, ma gli altri tre si misero a caccia del misterioso corpo volante. Mantell comunicò alla base Godman che sembrava metallico, o che perlomeno rifletteva il Sole. Secondo lui andava alla sua stessa velocità, un po’ meno di 300 km/h. 

Dopo qualche minuto, preoccupati per la diminuzione dell’ossigeno dovuta alla quota sempre più elevata (erano ormai a 6100 metri), due dei tre indossarono le maschere. Mantell però voleva capire che cos’era quell’oggetto distante che si librava più in alto di loro, e comunicò agli altri di voler salire sino ad almeno 7500 metri. L’ossigeno però continuava a calare, e dopo qualche minuto i compagni di Mantell annunciarono al comandante di essere costretti a scendere di quota, dirigendosi verso la loro destinazione. Erano le 15.15: Mantell fu visto mentre continuava, in maniera sicuramente pericolosa, a salire più in alto: aveva detto agli altri di voler rimanere per dieci minuti a quota elevata. L’annuncio dei compagni di volo di dover rientrare perché il rischio di ipossia non ebbe alcuna risposta dal capitano.

La tragedia

Non più tardi di un minuto dopo l’abbandono della caccia da parte degli altri aerei, un abitante delle campagne della cittadina di Franklyn sentì il rumore di un velivolo: gli dava l’idea che il pilota stesse andando in picchiata, per poi rialzarsi. Finalmente lo vide, e si accorse che l’aereo compiva dei cerchi, come se giocasse. Era molto in alto, ma il testimone si rese conto che, lentamente, l’aereo scendeva di quota roteando: molto probabilmente già a quel punto Mantell aveva perso i sensi a causa dell’altezza cui aveva spinto il Mustang, e il velivolo era ormai privo di governo. 

Il rumore diventò quello di una picchiata finché, ad un certo punto, lo vide scoppiare e rompersi in più tronconi. Da una fattoria vicina, una donna sentì il botto, corse fuori e fece in tempo a vedere la fusoliera dell’F-51 schiantarsi al suolo. I vigili del fuoco, subito accorsi, trovarono Mantell parzialmente decapitato. Il suo orologio era fermo sulle 15.18. Il quotidiano locale, il Louisville Courier, stampò in fretta e furia un’edizione serale con un titolo a caratteri cubitali: 

Un F-51 e il capitano Mantell perduti mentre davano la caccia a un disco volante.

Nel frattempo, verso le 15.50, il presunto UFO era sparito alla vista degli osservatori che lo seguivano dalla torre di controllo della base Godman. Avvistamenti da parte di altre persone che si trovavano in località anche molto distanti fra loro, tuttavia, continuarono sino al tramonto.

La triste realtà

La morte di Thomas Mantell ebbe un immediato impatto mondiale. Arrivò subito sui giornali di un gran numero di paesi, Italia compresa. Il “caso Mantell” costituisce uno dei miti di fondazione dell’ufologia moderna. Anche senza arrivare agli estremi (ad esempio, alla convinzione che l’aereo fosse stato abbattuto dal raggio mortale di un disco volante extraterrestre, come s’inventò lo scrittore inglese Harold T. Wilkins nel suo libro del 1954 Flying Saucers on the Attack), il fatto che ci fosse di mezzo la morte poco chiara di un pilota militare fu all’origine delle prime letture cospirazionistiche del mistero.

L’ufologia ha sempre avuto una perniciosa tendenza al cospirazionismo. Soltanto, per un certo periodo, essa fu contenuta, per motivi diversi, da due tipi diversi di ufologi. 

Il primo era costituito da quegli studiosi del fenomeno che credevano a qualche tipo di complotto anti-UFO, di solito da parte del governo americano (stiamo parlando di idee come quella secondo cui le autorità tacevano sull’esistenza dei dischi volanti per non scatenare il panico). Per non passare per squinternati o per sovversivi, tuttavia, queste persone preferivano evitare di fare dichiarazioni al riguardo in pubblico – pur avendo in testa l’idea della “congiura del silenzio”.

Il secondo gruppo, invece, più risoluto, era composto da una minoranza di ufologi che cercava di accostare la loro disciplina ai modi di ragionare della scienza, e dunque aveva escluso l’idea dei complotti dai propri ragionamenti. Oggi queste due componenti del mondo dell’ufologia sono diventate del tutto marginali sotto il profilo numerico.

Nel caso della morte di Mantell uno dei “papà” di quella disciplina, il giornalista Donald E. Keyhoe, fu tra i primi a sospettare una sinistra congiura. Nel gennaio del 1950 firmò un articolo di enorme successo sul mensile True in cui, fra le altre cose, si occupava della morte di Mantell. Dall’altra parte della barricata, quasi subito l’Aeronautica ascoltò il parere (del tutto erroneo) di un astronomo che usava come consulente, Josef Allen Hynek, che molti anni dopo diventerà una sorta di portabandiera degli ufologi: secondo lui, Mantell poteva aver scambiato il pianeta Venere, a volte visibile di giorno, per un misterioso oggetto ad altissima quota. L’altra possibilità esplicativa era che si fosse trattato di un grande pallone.

Keyhoe non ci credeva: per lui l’oggetto si muoveva troppo velocemente: forse Mantell era entrato in collisione con l’UFO, oppure – più probabilmente – l’UFO lo aveva messo fuori combattimento. Gli sembrava che l’Aeronautica volesse nascondere la realtà di quanto accaduto.

La spiegazione

In realtà, quanto accaduto al povero Mantell è abbastanza chiaro da parecchi anni. Sono invece i dettagli, per vari motivi, a essere stati messi a fuoco soltanto in tempi più recenti. Nel 1952, rendendosi conto che l’ipotesi che Mantell avesse scambiato Venere per un disco volante non quadrava, il capitano Edward Ruppelt, capo del Progetto Blue Book (un piccolo gruppo di analisi sugli avvistamenti UFO dell’Aeronautica), concluse correttamente che doveva trattarsi di un grande pallone stratosferico. Il punto delicato era che quel pallone era uno Skyhook, cioè parte di un programma per esperimenti e ricerche importanti di fisica delle particelle, dell’atmosfera, di fisica solare che ai tempi della morte di Mantell era iniziato da appena tre mesi e mezzo, ma che in realtà aveva anche risvolti importanti di tipo militare – la ricognizione strategica sul territorio di paesi potenzialmente avversari.

Ruppelt ebbe il merito di capire la causa dell’evento, ma non era stato l’unico. Almeno un astronomo e un astrofilo – il primo attraverso un binocolo, dalla sede della Vanderbilt University di Nashville, Tennessee, il secondo con un telescopio da Madisonville, nel Kentucky – avevano seguito il pallone ad alta quota dopo che Mantell aveva incontrato la sua triste sorte, fra le 16 e le 16.45 di quel giorno. I due avevano capito rapidamente di che cosa si trattava, come documentato dallo storico dell’aeronautica e dell’astronautica Curtis Peebles (Watch the Skies! A Chronicle of the Flying Saucer Myth, Smithsonian Institution, Washington, 1994, pp. 20-24).

Ruppelt però non aveva tutti i dati per comprendere davvero di quale lancio si era trattato e da dove era partito il pallone. Aveva pensato ad un esperimento fatto dalla Marina dalla base aerea di Clinton County, presso Wilmington, nell’Ohio, ma aveva torto: da quell’aeroporto, i lanci dello Skyhook cominciarono soltanto tre anni e mezzo dopo. 

Finalmente, nel 1994 due ufologi documentati e prudenti, Barry Greenwood e Robert G. Todd, cacciatori di documenti d’archivio sulla storia degli UFO, riuscirono a scovare il vero colpevole: uno Skyhook decollato alle 8 di mattina del 6 gennaio 1948 (dunque il giorno prima del caso Mantell) da Camp Ripley, area addestrativa del Minnesota, presso Little Falls. Le prove furono pubblicate da Just Cause, la fanzine dell’associazione di appassionati di documentalistica UFO di cui i due erano fra i principali attivisti (nn. 39 e 40, marzo e giugno 1994).

Cosa resta di Mantell

Non sempre avere quasi tutto chiaro di un caso ufologico è sufficiente per farne tramontare la fama. Per evidenti motivi, la storia di Mantell continuò ad esercitare un grande effetto emotivo su generazioni di ufologi. Parecchi fra loro – i meno ingenui e quelli più interessati a capire se gli UFO esistono davvero o no – si erano resi conto, sia pur con lentezza, che il corpo che aveva volato sul Midwest non era un granché, come UFO. Un oggetto più o meno sferico, ad alta quota, che riflette il Sole, visibile per ore da grande distanza e che scompare quando il Sole tramonta: tutto era coerente con l’ipotesi di un pallone. Al netto degli errori nelle rievocazioni e nelle descrizioni del fatto, si trattava più che altro di far luce su alcuni fra i più classici difetti dei casi UFO, quelli che permisero il solidificarsi del mito di Thomas Mantell come pilota abbattuto da un disco volante.

Il primo fu l’errore commesso dal consulente dell’Aeronautica, l’astronomo Hynek, che pensò potesse trattarsi di Venere: una spiegazione che l’Aeronautica accettò con la superficialità propria di chi sta svolgendo un compitino noioso e di routine come l’identificazione degli avvistamenti UFO. Il secondo errore fu dovuto al fatto che i palloni Skyhook erano legati al programma segreto di ricognizione strategica dal cielo di paesi ostili, e quindi erano circondati da un’aura di segretezza: persino l’Aeronautica, per un certo periodo, non si rese conto che molti dati sui lanci erano comunicati con grande difficoltà ad altre branche delle forze armate. Il terzo fattore che contribuì al “successo” del caso, infine, fu il fatto che ci volle parecchio tempo per capire sul serio quando, da dove e a che ora era partito il lancio Skyhook che era stato fatale a Thomas Mantell. 

Ma, a parte la tristezza per la tragica fine dell’uomo, è bene che i miti siano privati della loro aura, e che si guardi in faccia la realtà.

Immagine in evidenza: la targa che indica il luogo in cui cadde l’aereo di Mantell. Foto di Mark S. Hilton, rilasciata in licenza CC BY-SA-4.0, via Wikimedia Commons

Read Entire Article