Il potere regolamentare dei Comuni in materia di impianti produttivi di emissioni elettromagnetiche.

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ripetitore per telefonìa mobile

Il Consiglio di Stato ha recentemente ribadito gli ambiti del potere regolamentare riconosciuto dall’Ordinamento ai Comuni per disciplinare l’inserimento degli impianti tecnologici per la telefonìa mobile e gli altri impianti produttivi di campi elettromagnetici.

La sentenza Cons. Stato, Sez. VII, 16 ottobre 2023, n. 8989 ha voluto indicare principi, criteri, limiti e modus operandi della facoltà per le Amministrazioni comunali di dotarsi di strumenti urbanistici di cui all’art. 8, comma 6°, della legge n. 36/2001 e s.m.i. per il migliore inserimento di tali impianti nel territorio comunale.

In particolare, ha osservato il Consiglio di Stato, “l‘art. 8 in parola permette ai Comuni di individuare siti nel territorio comunale in cui è vietata l’installazione di impianti di telecomunicazione, per la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici, ma tale potere regolamentare non può sostanziarsi in divieti generalizzati di installazione degli impianti in intere zone urbanistiche predefinite e, anche laddove preveda limiti, deve comunque salvaguardare una possibile localizzazione alternativa degli impianti, così da permettere una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8894; id. 3 giugno 2019, n. 3679)”.

Si tratta, comunque, di un “potere regolamentare … distinto dalla tutela igienico-sanitaria in senso proprio – esaurientemente assicurata dalla fissazione, ad opera dello Stato, di livelli massimi di esposizione inderogabili – riconducendolo al generale potere di pianificazione delle utilizzazioni del territorio, in questo caso specificamente rivolto a conseguire finalità ulteriori di tutela paesaggistica e culturale (‘corretto insediamento urbanistico e territoriale’ degli impianti) e di tutela ambientale (‘minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici’) sull’intero territorio comunale”.

Quartu S. Elena, ripetitore per telefonìa mobile in area sportiva frequentata da minori

La stessa procedura per la predisposizione del regolamento comunale non può che prevedere il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati al tema, in relazione alla forte presenza di necessarie valutazioni scientifiche e tecnologiche: “l’esercizio dei poteri di pianificazione previsti (implicitamente) dall’art. 8, comma 6, ed in particolar modo la localizzazione dei siti di installazione degli impianti di radiotelefonia mobile, alla luce della qualificazione giuridica e delle caratteristiche delle reti di tale servizio pubblico, non può avvenire applicando i procedimenti urbanistici ordinari, ma richiede la previa valutazione di compatibilità con le esigenze operative del servizio, attraverso un confronto dialettico con i gestori delle reti (i quali sono in possesso delle informazioni e conoscenze tecniche necessarie) e la loro partecipazione propositiva (Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2073)”.

Già la sentenza Cons. Stato, Sez. II, 13 luglio 2020, n. 4521 aveva disegnato con puntualità il potere regolamentare in capo ai Comuni in base all’art. 8, comma 6°, della legge n. 36/2001 e s.m.i., secondo cui “i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

Tale potestà, di natura urbanistica, secondo il Consiglio di Stato, “deve tradursi nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio ambientale, paesaggistico o storico-artistico (ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche), ma non può trasformarsi in limitazioni generalizzate alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa”.

Sì, quindi, all’individuazione di motivate zone di rispetto (es. aree di valore ambientale, scuole, ospedali, ecc.) con esclusione di divieti generalizzati su vaste aree senza il supporto di adeguata motivazione.

 Almeno finora.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Cagliari, ripetitori per telefonìa mobile in area densamente abitata

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 28 novembre 2023

Consiglio di Stato Sez. VII n. 8989 del 16 ottobre 2023
Elettrosmog. Installazione impianti e poteri del comune.

L’art. 8 della legge 36\2001 permette ai Comuni di individuare siti nel territorio comunale in cui è vietata l’installazione di impianti di telecomunicazione, per la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici, ma tale potere regolamentare non può sostanziarsi in divieti generalizzati di installazione degli impianti in intere zone urbanistiche predefinite e, anche laddove preveda limiti, deve comunque salvaguardare una possibile localizzazione alternativa degli impianti, così da permettere una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni . Detto potere regolamentare va tenuto distinto dalla tutela igienico-sanitaria in senso proprio – esaurientemente assicurata dalla fissazione, ad opera dello Stato, di livelli massimi di esposizione inderogabili – riconducendolo al generale potere di pianificazione delle utilizzazioni del territorio, in questo caso specificamente rivolto a conseguire finalità ulteriori di tutela paesaggistica e culturale (“corretto insediamento urbanistico e territoriale” degli impianti) e di tutela ambientale (“minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici”) sull’intero territorio comunale. L’esercizio dei poteri di pianificazione previsti (implicitamente) dall’art. 8, comma 6, ed in particolar modo la localizzazione dei siti di installazione degli impianti di radiotelefonia mobile, alla luce della qualificazione giuridica e delle caratteristiche delle reti di tale servizio pubblico, non può avvenire applicando i procedimenti urbanistici ordinari, ma richiede la previa valutazione di compatibilità con le esigenze operative del servizio, attraverso un confronto dialettico con i gestori delle reti (i quali sono in possesso delle informazioni e conoscenze tecniche necessarie) e la loro partecipazione propositiva.

N. 08989/2023 REG.PROV.COLL.

N. 08559/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8559 del 2019, proposto da Wind Tre S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tommaso Gulli, 11;

contro

il Comune dell’Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico De Nardis, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo n. 174/2019.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune dell’Aquila;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm.;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Vista l’istanza di passaggio in decisione da remoto depositata da parte appellante in data 4 ottobre 2023;

Nessuno presente per le parti all’udienza straordinaria del giorno 6 ottobre 2023, tenutasi in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società appellante ha impugnato la sentenza del TAR Abruzzo n. 174 del 29 marzo 2019 nel giudizio promosso per l’annullamento della nota prot. 77415 del 2 settembre 2015, con la quale il dirigente del settore attività produttive del Comune di L’Aquila ha invitato Wind e gli altri gestori ad integrare la documentazione come previsto dall’art. 8 del Regolamento comunale per la “localizzazione e gestione degli impianti di telefonia mobile” approvato con delibera del Consiglio comunale n. 106 del 23 ottobre 2014, nonché dello stesso Regolamento con riferimento a specifiche disposizioni.

Il TAR ha accolto esclusivamente la censura avverso la nota impugnata, ravvisandone l’illegittimità nella previsione, di cui la nota è attuazione, dell’art. 8 del Regolamento, anch’esso annullato; viceversa ha respinto tutte le altre censure.

La società ha impugnato la suddetta sentenza nella parte contenente tutte le statuizioni reiettive del ricorso, ed ha formulato i seguenti motivi:

1) il TAR avrebbe errato nel ritenere legittima la previsione di cui al combinato disposto degli artt. 4 e 5, rispettivamente rubricati “Localizzazione” e “Aree sensibili” in quanto il richiamo, ivi contenuto, a categorie generiche ed eterogenee renderebbe l’imposizione del vincolo non correlata all’introduzione di un consentito criterio localizzativo, come ritenuto dal TAR, traducendosi piuttosto in un vero e proprio limite, rigorosamente vietato, alla localizzazione degli impianti sul territorio.

Infatti il regolamento del Comune dell’Aquila non conterrebbe, a differenza dei regolamenti approvati da altri Enti locali, un’elencazione specifica dei singoli siti che, ritenuti sensibili, potrebbero formare oggetto di speciali misure di protezione, bensì una generica descrizione dei siti sensibili per macrocategorie di riferimento (art. 5.lett. b, strutture scolastiche e sanitarie, relative pertinenze, aree a verde, aree di particolare densità abitativa).

L’art. 5 sarebbe illegittimo anche nella parte in cui afferma che gli impianti, risultanti non conformi al sopravvenuto regolamento, dovranno essere rimossi e ricollocati a semplice richiesta dell’amministrazione, salva la procedura di cui all’art. 4, comma 2. Tale previsione sarebbe illegittima sia in quanto strettamente correlata alla presupposta disposizione che pone limitazioni alla localizzazione degli impianti (limitazioni poste tramite il riferimento a divieti di installazione in siti, non previamente individuati, riconducibili a generiche macrocategorie di siti ritenuti sensibili), sia perché recante una disposizione avente effetti retroattivi e incidente su titoli ed affidamenti già consolidati, contemplando uno strumento non riconducibile, a rigore, né alla revoca, né all’annullamento d’ufficio;

2) il TAR avrebbe errato nel non rilevare l’illegittimità anche dell’art. 10 del Regolamento, a norma del quale le installazioni di nuovi impianti e le modifiche di quelli esistenti sono sottoposte ad autorizzazione comunale, prevedendosi un regime di Segnalazione certificata solo per gli impianti con potenza inferiore a 5 Watt: tale norma si porrebbe in contrasto con la fonte sovraordinata ovvero con gli artt. 87 e ss. D.Lgs. 259/03, che disciplinano i titoli e i procedimenti in subiecta materia;

3) il TAR avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità dell’intero articolato regolamentare in ragione della sua approvazione senza previo coinvolgimento partecipativo dei gestori. Sarebbe errata l’affermazione contenuta in sentenza per cui l’adozione del regolamento non sarebbe dovuta essere preceduta dal coinvolgimento della ristretta platea dei gestori interessati.

Il Comune dell’Aquila si è costituito nel presente grado di giudizio depositando memoria con cui ha resistito ai motivi di appello precisando, quanto al terzo motivo, che la tematica della pretesa violazione dei diritti partecipativi non sarebbe stata presente nel ricorso introduttivo sicché il TAR non avrebbe commesso alcun errore nel non esaminare tale questione.

In vista della trattazione l’appellante ha depositato memoria conclusiva ribadendo le proprie tesi e, con separato atto, ha chiesto la decisione della causa sugli scritti.

All’udienza straordinaria del 6 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Va preliminarmente inquadrato il potere esercitato dal Comune e ne vanno declinati i limiti.

L’art. 4, comma 1, lett. a) della L. n. 36/2001 prevede che «Lo Stato esercita le funzioni relative: a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall’articolo 3, comma 1, lettera d), numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo 1».

L’art. 8, comma 1 lett. a) della citata legge n. 36 dispone che: «Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 5».

Il successivo comma 6 dispone: «I Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici».

L’art. 8 in parola permette ai Comuni di individuare siti nel territorio comunale in cui è vietata l’installazione di impianti di telecomunicazione, per la protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici, ma tale potere regolamentare non può sostanziarsi in divieti generalizzati di installazione degli impianti in intere zone urbanistiche predefinite e, anche laddove preveda limiti, deve comunque salvaguardare una possibile localizzazione alternativa degli impianti, così da permettere una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8894; id. 3 giugno 2019, n. 3679).

Detto potere regolamentare va tenuto distinto dalla tutela igienico-sanitaria in senso proprio – esaurientemente assicurata dalla fissazione, ad opera dello Stato, di livelli massimi di esposizione inderogabili – riconducendolo al generale potere di pianificazione delle utilizzazioni del territorio, in questo caso specificamente rivolto a conseguire finalità ulteriori di tutela paesaggistica e culturale (“corretto insediamento urbanistico e territoriale” degli impianti) e di tutela ambientale (“minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici”) sull’intero territorio comunale.

L’esercizio dei poteri di pianificazione previsti (implicitamente) dall’art. 8, comma 6, ed in particolar modo la localizzazione dei siti di installazione degli impianti di radiotelefonia mobile, alla luce della qualificazione giuridica e delle caratteristiche delle reti di tale servizio pubblico, non può avvenire applicando i procedimenti urbanistici ordinari, ma richiede la previa valutazione di compatibilità con le esigenze operative del servizio, attraverso un confronto dialettico con i gestori delle reti (i quali sono in possesso delle informazioni e conoscenze tecniche necessarie) e la loro partecipazione propositiva (Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2017, n. 2073).

Osserva il Collegio che la rilevata diversità dei due procedimenti pianificatori e, segnatamente, delle specifiche finalità che la localizzazione dei siti di installazione degli impianti di radiotelefonia mobile persegue, rende non condivisibile la tesi del TAR secondo cui, ai sensi dell’art. 13 della legge 7 agosto 1990, n. 241, le norme sulla partecipazione procedimentale non trovano applicazione in relazione ad atti generali e di pianificazione, tra i quali le regolamentazioni e i piani per l’allocazione delle stazioni radio base, essendo diretti a definire una disciplina generale della materia.

È stato condivisibilmente affermato che «la sede nella quale i Comuni possono, e debbono, far valere la propria esigenza di assicurare il corretto insediamento urbanistico degli impianti o di tutelare determinate zone del territorio comunale dai campi elettromagnetici è quella dei procedimenti deputati alla approvazione di regolamenti ex art. 8 della L. 36/2001, perché è solo in quella sede che viene assicurato un adeguato confronto con le imprese che utilizzano gli impianti, il cui contributo è essenziale per verificare se i siti individuati dall’ente locale siano idonei alla trasmissione del segnale» (Cons. Stato, Sez. VI, 6 luglio 2022, n. 5629).

Quanto precede depone per la fondatezza del terzo motivo di appello, con il quale si lamenta che il regolamento impugnato sia stato adottato in assenza di qualsivoglia partecipazione dei gestori.

A tale proposito non coglie nel segno l’eccezione formulata dal Comune, atteso che il suddetto motivo non solo era stato proposto nel ricorso introduttivo, ma sullo stesso il TAR si è espressamente pronunciato.

La necessità di coinvolgere i gestori interessati (soggetti ben individuati) nel procedimento di localizzazione degli impianti discende, non solo dalla ratio della normativa di settore (art. 41, comma 2, della legge n. 166/2002; art. 4, commi 2 e 3, e art. 86, comma 2, del Codice delle comunicazioni elettroniche) ma anche dai principi generali in tema di partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti, introdotti nell’ordinamento dalla L. n. 241/1990: soggetti che, nel caso di specie, sono facilmente individuabili rappresentando una ristretta platea di operatori.

Quantunque di natura regolamentare, quello in esame è, infatti, un atto diretto ad indirizzare l’attività imprenditoriale di ben individuati soggetti, tenuti ad apprestare un pubblico servizio.

È evidente che un corretto confronto, sorretto da adeguata istruttoria tecnica e scientifica, può condurre a soluzioni condivise che, contemperando gli interessi pubblici e quelli privati, risultino satisfattive per entrambe le parti.

Tanto è sufficiente per disporre l’accoglimento dell’appello e l’annullamento del regolamento impugnato.

3. Per completezza, tuttavia, anche al fine di conformare la successiva attività pianificatoria che dovrà avvenire nel rispetto delle suindicate garanzie procedimentali, devono esaminarsi le specifiche censure formulate, la prima delle quali riguarda la asserita introduzione, nel Regolamento per cui è causa, di limiti generalizzati alla localizzazione di impianti per telefonia.

3.1. In proposito devono richiamarsi le pronunce della Corte costituzionale che, nell’esaminare la legittimità costituzionale di disposizioni legislative che prevedevano distanze minime da una serie di categorie di siti sensibili, ha affermato, con le sentenze n. 331/2003 e n. 307/2003, il principio secondo il quale tali disposizioni sono illegittime se pongono limiti generali i quali, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i “criteri di localizzazione” si trasformerebbero in “limitazioni alla localizzazione”. Mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se comunque consentono “una sempre possibile localizzazione alternativa” e non determinano invece “l’impossibilità della localizzazione”.

Coerentemente a tali indicazioni, la consolidata giurisprudenza, che il Collegio condivide, ha ritenuto che:

– non sono legittimi limiti alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile di carattere generale e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa, né limiti di carattere generale giustificati da un’esigenza di tutela generalizzata della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili (cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 aprile 2014 n. 1955), il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici;

– il Regolamento comunale previsto dall’art. 8, comma 6, della legge 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall’esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali etc.), ma non può imporre limiti generalizzati all’installazione degli impianti se tali limiti sono incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete del territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2014 n. 723);

– invece deve ritenersi consentito ai Comuni, nell’esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell’impatto elettromagnetico, ai sensi dell’ultimo inciso del comma 6 dell’art. 8, cit., prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 23 gennaio 2015 n. 306); di conseguenza possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono (in generale) la localizzazione degli impianti nell’area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole ed ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 18 giugno 2015, n. 3085).

«Non si tratta in tal caso di un vero e proprio limite alla localizzazione (in quanto tale non superabile e quindi non consentito), bensì di un criterio di localizzazione il quale consente un’adeguata modularità fra le diverse opzioni in campo e consente altresì all’operatore di dimostrare la preferibilità di una determinata scelta localizzativa rispetto a quella indicata come prioritaria dal Comune» (Cons. Stato, Sez. VII, 25 gennaio 2023, n. 821).

In sintesi, dunque, la pianificazione comunale di settore può interdire agli impianti anche ampie aree, purché ciò sia riconducibile ad uno degli interessi previsti dalla norma e purché ciò, consentendo localizzazione in aree alternative, non determini difficoltà di funzionamento al servizio – circostanze che devono essere verificate in concreto attraverso il confronto con gli operatori.

Osserva il Collegio che, salva ed impregiudicata la futura attività che emergerà dal confronto fra le parti, le norme regolamentari censurate appaiono rispettose dei criteri innanzi indicati in quanto l’art. 5 individua due aree cd. sensibili prescrivendo soltanto “particolare cautela”: a) aree di interesse storico-architettonico (centri abitati) e paesaggistico ambientale, nelle quali devono essere ridotti gli impatti di tipo visivo degli impianti; b) strutture a destinazione scolastica e sanitaria e loro pertinenze, aree a verde attrezzate, aree destinate all’infanzia, aree di particolare densità abitativa.

L’art. 4 precisa che non sono previste aree per l’installazione di torri e/o tralicci per la localizzazione di nuovi impianti all’interno delle aree sensibili di tipo b), ma che, al fine di consentire il servizio all’interno di queste aree, potranno essere redatti specifici progetti, da concordare con l’amministrazione comunale, nel rispetto dei limiti di esposizione previsti dalla legge e dai più attenti principi di minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, fermo restando l’adeguamento delle stazioni radio base esistenti.

Aggiunge la disposizione, per quanto in questa sede di interesse, che i nuovi impianti devono, di norma, essere situati su fabbricati a destinazione non residenziale, su aree ed infrastrutture di proprietà comunale o di altre società a prevalenza di capitale pubblico (ad esempio, torri per la pubblica illuminazione, impianti tecnologici esistenti, ecc…); ove ciò non sia possibile, potranno essere posti su immobili a destinazione preferibilmente non residenziale di proprietà di privati, valutando prioritariamente quelle localizzazioni tali da considerarsi le migliori possibili, sia da un punto di vista tecnico per minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici sia da un punto di vista estetico ambientale per ridurre l’impatto visivo.

A ben vedere le disposizioni richiamate non introducono un divieto generalizzato in determinate zone ma, con riferimento alle zone individuate, chiariscono che la “particolare cautela” da adottare consiste nel previo confronto fra operatori e amministrazione al fine di individuare le migliori localizzazioni possibili, specificando che la finalità è quella di “minimizzare l’esposizione ai campi elettromagnetici sia da un punto di vista estetico ambientale per ridurre l’impatto visivo”.

Diversamente da quanto sostiene la parte appellante le disposizioni in parola non introducono un divieto generalizzato, come tale illegittimo, e, dunque, devono ritenersi immuni da censure.

3.2. Quanto all’ulteriore censura riguardante la rilocalizzazione degli impianti esistenti, la giurisprudenza innanzi richiamata ha chiarito che «tale approccio metodologico – tenuto conto che si tratta di tutelare interessi costituzionalmente rilevanti (ambiente, paesaggio) e che la disciplina conformativa prevede comunque un punto di equilibrio tale da salvaguardare la libertà di iniziativa economica – riguarda non soltanto le installazioni di nuovi impianti, ma anche la (eventuale) rilocalizzazione di quelli esistenti.

Gli impianti esistenti non possono ritenersi esenti da qualunque intervento conformativo.

Al contrario, la tutela della concorrenza e la rilevanza del legittimo affidamento degli operatori sulla possibilità di continuare a svolgere nel tempo l’attività autorizzata, si traduce nella necessità di una specifica motivazione in ordine alla possibilità di reperire siti di installazione alternativi, dove rilocalizzare gli impianti, a condizioni tecnicamente ed economicamente sostenibili» (Cons. Stato, n. 2073/2017 cit.).

In ogni caso, l’individuazione di siti alternativi e la valutazione sulla loro idoneità, quantunque il Regolamento preveda che ciò debba avvenire a richiesta dell’amministrazione, di fatto non può che prendere avvio dall’iniziativa dei gestori, i quali, nel confronto procedimentale con i Comuni, sono gli unici soggetti in possesso di adeguate conoscenze sulle esigenze del servizio e sui margini di “elasticità” di organizzazione delle proprie reti, e quindi in grado di proporre delle soluzioni alternative adeguate (ovvero di far constare la mancanza di esse e la conseguente necessità di mantenere le installazioni esistenti).

3.3. Una ulteriore censura investe l’art. 10 del Regolamento.

La disposizione in parola prevede che le installazioni di nuovi impianti e le modifiche di quelli esistenti sono sottoposte a autorizzazione comunale, ai sensi della legislazione vigente, aggiungendo che gli impianti con potenza inferiore a 5 Watt per la telefonia mobile devono essere segnalati con SCIA entro 30 giorni dall’entrata in vigore del regolamento e devono rispettare in ogni caso i limiti di esposizione fissati dalla legge.

L’appellante sostiene che imporre il rilascio di un’autorizzazione comunale sia in contrasto con la normativa sovraordinata e, segnatamente, con gli artt. 87 e seguenti del Codice delle comunicazioni elettroniche.

L’art. 87 bis del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, rubricato “Procedure semplificate per determinate tipologie di impianti” nel testo applicabile ratione temporis dispone: «Al fine di accelerare la realizzazione degli investimenti per il completamento della rete di banda larga mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo 87 nonchè di quanto disposto al comma 3 bis del medesimo articolo, è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all’allegato n. 13. Qualora entro trenta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell’ente locale o un parere negativo da parte dell’organismo competente di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, la denuncia è priva di effetti».

La disciplina recata dal Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo del 1 agosto 2003, n. 259) rappresenta la riorganizzazione di normativa in gran parte dettata da direttive comunitarie: la direttiva 2002/19/CE del 7 marzo 2002, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (direttiva accesso); la direttiva 2002/20/CE del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni); la direttiva 2002/21/CE del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro); la direttiva 2002/22/CE del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale); la direttiva 2002/77/CE del 16 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica.

L’art. 4 del Codice, rubricato “Obiettivi generali della disciplina di reti e servizi di comunicazione elettronica” al comma 2, stabilisce che «La disciplina delle reti e servizi di comunicazione elettronica è volta altresì a: a) promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l’adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».

Osserva il Collegio che la disciplina statale, di diretta derivazione europea, è improntata alla massima semplificazione e celerità e non contempla provvedimenti autorizzativi del Comune bensì la semplice presentazione di una SCIA.

L’intento semplificatorio è, peraltro, ulteriormente declinato con la modifica introdotta dall’art. 40, comma 5, del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77 (“Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, a tenore del quale «fino al 31 dicembre 2026, gli interventi di cui al presente articolo, sono realizzati previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale, corredata da un’autocertificazione descrittiva degli interventi e delle caratteristiche tecniche degli impianti e non sono richieste le autorizzazioni di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, purché non comportino aumenti delle altezze superiori a 1,5 metri e aumenti della superficie di sagoma superiori a 1,5 metri quadrati. Gli impianti sono attivabili qualora, entro trenta giorni dalla richiesta di attivazione all’organismo competente di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, non sia stato comunicato dal medesimo un provvedimento negativo».

Pertanto la disposizione regolamentare censurata, laddove prevede che le installazioni di nuovi impianti con potenza superiore a 5 Watt e le modifiche di quelli esistenti sono sottoposte a autorizzazione comunale, deve ritenersi illegittima e, quindi, deve essere annullata per contrasto con la normativa primaria.

Conclusivamente, per quanto precede, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento integrale del ricorso introduttivo, deve essere annullato il Regolamento comunale per la “localizzazione e gestione degli impianti di telefonia mobile” approvato con delibera del Consiglio comunale n. 106 del 23 ottobre 2014.

4. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate stante il complesso quadro giurisprudenziale e normativo di cui si è dato conto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie integralmente il ricorso introduttivo, disponendo come da motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2023, in collegamento da remoto, con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Giovanni Tulumello, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore

Rosaria Maria Castorina, Consigliere

Brunella Bruno, Consigliere

 
 
L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Laura MarzanoGiovanni Sabbato
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

pubblicata il 16 ottobre 2023

Iris planifolia, variante bianca

(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)

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