Professore, il nucleare sta cambiando?
«Più che il nucleare, sta cambiando il vento sul nucleare. Ovviamente la ricerca in questi anni è andata avanti, ma quello che noto innanzitutto è che c’è una nuova enfasi su questa tecnologia. E questo principalmente per tre ragioni».
Iniziamo dalla prima.
«Dopo le crisi degli ultimi anni c’è una forte ricerca di stabilità e sicurezza nelle forniture di energia e materie prime. Il nucleare viene percepito come una fonte che posso “farmi in casa” – così da non dover dipendere da Paesi terzi – e che – a differenza delle rinnovabili – non è intermittente ma, appunto, stabile».
La seconda ragione?
«Stiamo assistendo a un’impennata nella domanda di elettricità che nei prossimi anni sarà ancora più marcata a causa della crescente elettrificazione del consumo energetico. Mi riferisco al passaggio dal gas all’elettricità nelle industrie, alla mobilità elettrica, ma anche ai piani di produzione di idrogeno tramite elettrolisi. Il tema riguarda da vicino anche le Big Tech, proprietarie dei data center, che come noto sono infrastrutture altamente energivore: non a caso, negli ultimi mesi Amazon, Google e Microsoft hanno siglato accordi per lo sviluppo o l’acquisto di mini-reattori. Queste aziende sono preoccupate, da un lato, di decarbonizzare il proprio consumo elettrico e, dall’altro, di essere in grado di riuscire a soddisfarlo, quel consumo».
E la terza ragione per cui il vento rispetto al nucleare sta cambiando?
«È quella più importante: la necessità di centrare gli obiettivi climatici, quindi di ridurre fino a determinate soglie le emissioni di gas climalteranti entro il 2030 e poi entro il 2050».
Il nucleare è la strada giusta per farcela?
«Il problema principale riguarda i tempi. Se abbiamo degli obiettivi climatici da centrare entro il 2030 ma per costruire una centrale ne servono quindici, allora c’è poco da fare. Poi c’è il tema dei costi: negli ultimi quindici anni il prezzo delle rinnovabili a livello mondiale è sceso in media da 360 a 60 dollari al megawattora, mentre il prezzo del nucleare è aumentato da 120 a 180 dollari».
Lo prendo come un no.
«Provo a spiegarmi meglio. Le centrali che si costruiscono in questa fase sono quelle di terza generazione. In Europa ce ne sono tre: una completata in Finlandia e due in costruzione in Francia e in Inghilterra. Si tratta di una tecnologia più moderna e più sicura perché messa a punto dopo la crisi di Fukushima, ma proprio per questo i costi sono letteralmente esplosi. Tutti gli impianti hanno richiesto 10/12 anni in più rispetto alle stime iniziali e il relativo budget è quadruplicato».
Mi faccia qualche esempio concreto.
«Per l’impianto in costruzione in Inghilterra, la centrale di Hinkley Point, i lavori inizialmente avrebbero dovuto essere completati entro il 2017, ma adesso la scadenza è stata spostata al 2031. Questa centrale nei piani originari sarebbe dovuta costare 18 miliardi di sterline, mentre oggi si stima un costo di 35 miliardi, cifra che tenendo conto dell’inflazione sale a 47 miliardi. E aggiungo un’altra cosa».
Prego.
«Almeno in Europa, ad oggi tutti i progetti realizzati sono stati mostruosamente sussidiati. Nel caso della Finlandia dagli energivori, nel caso di Francia e Inghilterra dallo Stato. Da soli questi progetti non stanno in piedi».
Intanto però la tecnologia nucleare sta progredendo.
«Oggi si parla della quarta generazione: sarebbe una tecnologia più sicura e con un minor problema di rifiuti radioattivi, perché in alcuni casi questi impianti utilizzeranno le scorie come combustibile per l’impianto nucleare. C’è però un piccolo particolare: ad oggi la quarta generazione ancora non esiste».
E i mini-reattori?
«Gli SMR? Neanche quelli esistono. Ci sono alcuni progetti in via di sviluppo nel mondo, ma i primi vedranno la luce, se tutto va bene, nel 2030. Stiamo parlando di tempi lunghi, almeno se guardiamo agli obiettivi climatici che ci siamo dati. Che poi…».
Cosa?
«Il nome “mini-reattore” lo trovo infelice. Un impianto nucleare tradizionale produce tra i 1.000 e i 1.600 megawatt. Gli SMR dovrebbero produrre circa 300 megawatt: insomma, parliamo comunque di “bei giocattoloni”… Occuperebbero grossomodo la superficie equivalente di quella dello stadio di San Siro».
Quindi neanche sugli SMR ha senso puntare?
«Se questa tecnologia spiccasse il volo, ben venga. Sarebbe molto utile, visto che abbiamo bisogno di elettrificare velocemente i consumi e di decarbonizzare l’energia. Ma gli SMR, ad oggi, non ci sono. Ci sono nel mondo ottanta diversi disegni di SMR, che differiscono tra loro per sistema di raffreddamento, combustibile e sistemi di sicurezza. E poi manca ancora tutto l’aspetto della regolamentazione».
Non mi ha ancora parlato della questione della sicurezza degli impianti nucleari.
«Da quel che mi risulta, le centrali di terza generazione sono sostanzialmente inaffondabili. Dopo il disastro di Fukushima, si è investito molto nel migliorare la sicurezza degli impianti. Proprio per questo i costi oggi sono astronomici».
Anche gli SMR garantiscono dal punto di vista della sicurezza?
«Il fatto stesso che siano più piccoli li rende più sicuri. Il tema della sicurezza nucleare rimane, a mio avviso, più un tema di mentalità legata a episodi del passato che non alla effettiva situazione attuale. La tecnologia di oggi credo di poter affermare che è sicura».
Insomma, il suo scetticismo è legato principalmente alla questione delle tempistiche.
«Assolutamente sì. Il problema dei costi, volendo, si può anche risolvere, dopotutto è una questione di scelta politica. Ma sui tempi non si può bluffare: da quelli non si scappa. Certo, il ruolo delle Big Tech potrebbe sparigliare le carte. Parliamo delle aziende con la maggior capitalizzazione di borsa al mondo e fra le più innovative in assoluto, quindi se c’è qualcuno in grado di fare la differenza possono essere loro: il fatto che stiano scendendo in prima linea su questa tecnologia mi fa pensare che dobbiamo tenere gli occhi aperti. Attenzione: non è che ci azzeccano sempre, anche loro fanno errori, ma ricordiamoci che la crescita esponenziale delle rinnovabili negli Stati Uniti è stata guidata in gran parte proprio dalle Big Tech».
Le rinnovabili possono sostenere da sole il peso dell’intera domanda energetica mondiale?
«No, non è fattibile. Magari lo fosse! Le rinnovabili hanno un ruolo fondamentale perché funzionano, costano sempre meno e consentono di aumentare l’elettrificazione. Ma in alcuni ambiti l’elettrificazione non arriva: la mobilità pesante su strada è ancora indietro, quella navale molto indietro, quella aerea nemmeno ne parliamo… Ma penso anche ad alcuni processi industriali… Le rinnovabili sono fondamentali, ma in certe “sacche di resistenza” bisogna arrivarci con altre soluzioni, come l’idrogeno, l’efficienza energetica, l’ammoniaca, le tecnologie per la cattura dell’anidride carbonica».
Ma non il nucleare.
«Ad oggi quella del nucleare è decisamente una scommessa. È una tecnologia che assorbe una enorme quantità di soldi, molto spesso soldi pubblici. E va bene, perché bisogna investire nella ricerca, ma è evidente che la coperta è corta: quel che stanzio da una parte non lo stanzio da un’altra».
E la fusione nucleare? Potrebbe essere una soluzione nel lungo termine?
«Quella sarebbe energia pulita e pressoché infinita: la panacea di tutti i nostri problemi. Ora se ne parla perché qualche mese fa, per la prima volta, tramite la sperimentazione, si è riusciti a produrre più energia di quella che si è utilizzata per dar vita alla fusione. Gli esperti parlano del 2050, ma al momento non è una tecnologia che possa aiutarci in maniera significativa ad affrontare la grande sfida climatica, e nemmeno quella dell’indipendenza energetica».