In questi giorni sono state avviate le procedure per gli espropri inerenti il progetto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, ma il progetto è tutt’altro che approvato.
Una tipica vicenda italiana, un pericoloso scempio ambientale e finanziario annunciato e in parte già realizzato, voluto per ragioni di carattere politico ed economico, ma tutt’altro che per perseguire oculati interessi pubblici.
Se ne parla da secoli e da decenni si sprecano soldi pubblici nelle attività inconcludenti della società concessionaria Stretto di Messina s.p.a. e nei tanti studi e progetti che non hanno mai portato a risultati concreti.
Nel 2012 l’allora Governo Monti decise giustamente (decreto-legge n. 179/2012, convertito nella legge n. 221/2012) di chiudere la ben poco virtuosa vicenda e, in base alla legge di bilancio 2013, sono stati stanziati ben 342 milioni di euro in favore della Società concessionaria per il pagamento di penali e risarcimenti a cui si devono aggiungere oltre 130 milioni di euro spesi negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso per studi e progettazioni varie. A questi si sommano ulteriori spese derivanti da vari contenziosi in corso (per esempio, quello inerente i 657 milioni di euro richiesti per illegittimo recesso dal progettista dell’opera Consorzio Eurolink, a cui partecipa anche WeBuild, di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti, in mano statale).
Il progetto del ponte (2011) prevede una campata unica lunga 3.300 metri, tre corsie stradali per senso di marcia, due corsie di servizio e due binari ferroviari, serviti da 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari (l’80% dei quali sviluppati in galleria) che collegheranno il ponte, dal lato Calabria, all’autostrada del Mediterraneo e alla stazione ferroviaria di Villa S. Giovanni e, dal lato Sicilia, alle autostrade Messina-Catania e Messina-Palermo nonché alla nuova stazione ferroviaria di Messina.
Spese pubbliche stimate minimo in 13,5 miliardi di euro.
Tuttavia, la procedura di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) del progetto Attraversamento stabile dello Stretto di Messina e collegamenti stradali e ferroviari sui versanti Calabria e Sicilia, promosso dalla Soc. Stretto di Messina s.p.a., si concluse con il parere di compatibilità ambientale Commissione VIA/VAS n. 1185 del 15 marzo 2013, contenente giudizio di impossibilità di esprimere valutazione di compatibilità ambientale e valutazione di “incidenza negativa sugli habitat prioritari del SIC ITA03008 Capo Peloro – Laghi di Ganzirri e sull’avifauna appartenente a specie di interesse conservazionistico comunitario della ZPS IT9350300 Costa Viola e ZPS ITA030042 Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antennamare e Area marina dello Stretto”.
Il 24 febbraio 2024 è stata approvatala relazione del progettista sul progetto definitivo e sono state avviate le procedure di esproprio, ma non sussistono valide autorizzazioni ambientali.
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha, quindi, inviato (8 aprile 2024) una specifica istanza per chiedere la decadenza del procedimento di V.I.A. per infruttuoso decorso del tempo (ben 11 anni!) e mancata conclusione positiva, coinvolgendo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e la Commissione Europea.
La recente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 19 giugno 2020, n. 3937; T.A.R. Toscana, Sez. II, 20 maggio 2022, n. 702; T.A.R. Umbria, Sez. I, 20 maggio 2022, n. 120) afferma che tutte le pronunce di compatibilità ambientale al termine del procedimento di V.I.A. hanno durata quinquennale, in particolare se la procedura è stata avviatadopo della riforma del Codice dell’ambiente del 2008, come nel caso in argomento.
Correnti marine, elevatissima sismicità dell’area, habitat naturali terrestri e marini, contesti economico-sociali, priorità ignorate c’è davvero l’imbarazzo della scelta degli argomenti che dovrebbero far consegnare al passato un progetto di opera pubblica inutile e devastante.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
(foto S.D., archivio GrIG)