Il ruolo del citizen journalism nel caso FTX
La storia di come Sam Bankman-Fried, il trentenne fondatore di FTX, abbia guadagnato miliardi di dollari mentre affascinava i media e otteneva il favore di Washington, non ha sconvolto solo l’ecosistema delle criptovalute. È stato anche un momento di svolta per il panorama mediatico, facendo diventare un gruppo di influencer la fonte di riferimento per le persone affamate di notizie su FTX e SBF. Come riporta il Washington Post, questi influencer, tra cui l’ingegnere informatico e scettico sulle criptovalute Molly White e Stephen Findeisen, un creatore di contenuti che si fa chiamare Coffeezilla, sono emersi come fonti attendibili di notizie indipendenti, catalogando e spiegando alcuni dei maggiori casi di presunta frode nell’industria delle criptovalute. Pubblicazioni di nicchia come Dirty Bubble Media e Doomberg hanno sovrastato le fonti tradizionali richiamando l’attenzione su presunti illeciti, fornendo al tempo stesso accurate analisi. Inoltre, account anonimi su Twitter come @AutismCapital hanno postato senza sosta aggiornamenti sul crollo di FTX e uno YouTuber di nome Ben Armstrong è persino volato alle Bahamas nel tentativo di rintracciare Bankman-Fried di persona e parlargli. Tutta questa copertura dell’implosione di FTX è l’esempio più evidente di come il citizen journalism stia facendo concorrenza ai media tradizionali, catapultando una nuova classe di giornalisti indipendenti nel mainstream e dando vita a un gruppo di influencer che cercano a tutti i costi l’attenzione, a volte a discapito dell’accuratezza. Per anni, i tea accounts – così chiamati perché la parola “tè” è un termine gergale per indicare informazioni “succose” – sono stati i primi a dare notizie relative alla cultura pop e agli influencer. Le notizie economiche hanno subito questa tendenza in ritardo. Il termine citizen journalism è salito alla ribalta alla fine degli anni ’90, durante i primi giorni del blogging, quando Internet prometteva di dare voce a tutti. Di recente, però, miliardari e membri dell’élite della Silicon Valley, e i loro fan, hanno cercato di rivitalizzarlo e di posizionarlo come un’alternativa ai media tradizionali.
A volte bisogna cambiare narrativa
A distanza di quasi un anno dall’inizio del conflitto russo-ucraino, sembra che Putin stia cambiando la narrativa della guerra. Come riportato dal Financial Times, a partire dall’invasione dell’Ucraina, il messaggio di Putin è sempre stato quello di “proteggere” la società dai problemi del conflitto, garantendo che solo il governo se ne sarebbe occupato. Ma già da capodanno qualcosa è cambiato: il discorso del presidente russo alla nazione ha assunto toni più cupi e decisamente più militaristici. Ore dopo il suo discorso, missili ucraini si sono schiantati contro un istituto tecnico utilizzato come caserma temporanea per i militari russi a Makiivka, una città nell’Ucraina orientale occupata. Il Cremlino avrebbe potuto tentare di nascondere l’attacco, invece lo ha confermato. Anche Yegveny Prigozhin, il capo del gruppo paramilitare Wagner che ha inviato decine di migliaia di uomini in prima linea in Ucraina, ha iniziato a mostrarsi più sincero sulla natura brutale della guerra in alcuni video pubblicati online. Secondo gli analisti, questo cambiamento nel modo di raccontare il conflitto potrebbe servire per preparare la popolazione a futuri sacrifici, inclusa una possibile ulteriore mobilitazione di massa di uomini in età da combattimento. Allo stesso tempo, il Ministero della cultura è stato incaricato di organizzare proiezioni cinematografiche che mostrino l’andamento della guerra e l’avanzamento delle truppe. Altri esperti e studiosi affermano che l’unico modo per la Russia di vincere la guerra sarebbe quello di trasformarla in una guerra del popolo e di coinvolgere attraverso gli strumenti dell’informazione nuovi strati della società. Putin ora sembra sempre più diviso su due fronti: da un lato desidera condividere la responsabilità della guerra con la popolazione e, dall’altro, cerca in ogni modo di non spaventarla con gli sforzi e le perdite che il conflitto potrebbe ancora richiedere.
Appunti semplici per i media mainstream
Semplificare la forma, ma non il contenuto di una notizia. Questa la lezione che i media mainstreampossono imparare dai loro concorrenti schierati politicamente: a provarlo – come riporta NiemanLab – è uno studio condotto da Jessica F. Sparks e Jay Hmielovski su venti mezzi di comunicazione americani, che analizza circa seimila notizie. Dalla ricerca emergono tre dati rilevanti per capire come i “partisan media”, che spesso non rispettano le norme e il codice etico del giornalismo professionale, siano considerati da un certo pubblico fonte di informazione. Il primo: questi media comunicano con frasi più brevi e linguaggio meno formale rispetto agli organi di informazione mainstream, che, per contro (e questo è il secondo dato), si esprimono in maniera più complessa. Infine, i “hyperpartisan media” hanno un tono più negativo rispetto a quelli non schierati. Come osserva Sparks, questi mezzi di comunicazione parlano una lingua apprezzata dal pubblico in quanto più semplice, e tendono a presentare gli eventi in maniera semplificata, omettendo dettagli anche importanti e basandosi su schemi, come il noi-contro-loro, più facili da interpretare rispetto alla complessità di ciò che accade a Washington. Non è chiaro se questo comportamento sia intenzionale, ma resta un fenomeno in cui i media mainstream possono trovare una risorsa da sfruttare per attirare quel pubblico che oggi preferisce altre fonti di informazione. Una strada possibile, suggerisce Sparks, scegliendo di raccontare i fatti con in linguaggio più semplice, senza però rinunciare a metterne in evidenza le sfumature; e fare notare quando i media di parte presentano una notizia in maniera troppo semplificata.
I cinguettii più rumorosi del 2022
La società di analisi londinese BWC ha identificato i leader mondiali più influenti su Twitter nel 2022, che si sono distinti per autenticità e coinvolgimento. Come racconta Wired, infatti, gli utenti hanno premiato, ad esempio, i tweet didascalici di Biden e le smentite repentine di Zelensky. Scendendo nello specifico della classifica, al primo posto si posiziona il primo ministro indiano Narendra Modi, seguito dal presidente degli Stati Uniti e dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan. Nella Top 10 anche il presidente del Venezuela Nicolás Maduro, il neopresidente della Colombia Gustavo Petro, ma nessun leader africano o dell’Unione Europea. Da notare che nelle prime 50 posizioni della classifica non rientra nessun leader italiano. Assente anche il presidente russo Vladimir Putin, sempre più isolato internazionalmente, e il presidente cinese Xi Jinping, non iscritto a Twitter. Saper trasmettere genuinità e creare interazioni costituiscono il potenziale del successo ma, fa notare BWC, la popolarità sui social media non è direttamente proporzionale a quella interna e molti leader presenti in classifica hanno perso consensi o addirittura le elezioni durante il 2022.
I pilastri del potere cinese
La Cina è un esempio lampante di un modo di pensare e fare politica che vede nella menzogna uno degli strumenti chiave della propria propaganda. Come scrive Il Foglio la bugia fa parte della politica, anche della migliore politica. L’importante è come vengono raccontate, se vengono credute o no. In questo il Paese guidato da Xi Jinping si è dimostrato un perfetto esecutore nelle situazioni più complesse: dal Covid ai recenti terremoti, dalle mire su Taiwan ad una presunta volontà di raggiungere l’uguaglianza di genere promuovendola come principio fondamentale (vedi Editoriale 97). Una questione di credibilità disattesa che si riflette anche sui social, Tik Tok in primis. Il social cinese infatti è diventato strumento in grado di viziare l’informazione nascondendo un’intelligenza artificiale spaventosamente avanzata in grado di capire cosa piace alle persone e influenzandole con i propri contenuti (vedi Editoriale 91). Un’arma a doppio taglio quindi le menzogne che possono portare ad una completa mancanza di fiducia tra popolo e governo in grado di minare, oggi più che mai, il potere di chi governa aprendo le porte a vere e proprie proteste e reazioni dalla base del Paese.
*Storyword è un progetto editoriale a cura di un gruppo di giovani professionisti della comunicazione che con diverse competenze e punti di vista vogliono raccontare il mondo della comunicazione globalizzato e in costante evoluzione per la convergenza con il digitale. Storyword non è una semplice rassegna stampa: ogni settimana fornisce una sintesi ragionata dei contenuti più significativi apparsi sui media nazionali ed internazionali relativi alle tecniche e ai target di comunicazione, sottolineando obiettivi e retroscena. Per maggiori informazioni: https://www.storywordproject.com/
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