Il gasdotto “Rete Adriatica”, va realizzato per permettere all’Italia di diventare l’hub del gas per l’Europa.
“Passa da un piano in tre mosse la stretta che è decisa ad imprimere il governo Meloni per realizzare in tempi record, 2-3 anni al massimo il rafforzamento della Linea Adriatica e l’allargamento del tubo tra Abruzzo e Umbria. Attingere ai fondi europei del Pnrr, dare un taglio secco a burocrazia e autorizzazioni e affidare la missione della corsia superveloce a un commissario”.
La strategia è chiara, ormai pubblicizzata senza remore: il gasdotto serve per vendere il gas in Europa.
Pur essendo tuttora in corso la procedura di consultazione pubblica, imposto dall’Autorità di regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (ARERA) alla Snam Rete Gas s.p.a., titolare dell’opera, dev’essere realizzato senza se e senza ma per garantire profitti incalcolabili a ENI e SNAM.
Il gasdotto “Rete Adriatica” è il ben noto gasdotto dei terremoti, visto che il tracciato assurdamente prescelto riesce – oltre che a provocare un immane scempio ambientale sull’Appennino – a interessare buona parte delle zone a maggiore rischio sismico a livello europeo.
Il progetto Snam di gasdotto “Rete Adriatica” ha caratteristiche pesantemente impattanti: una lunghezza complessiva di km. 687 (tubazione di diametro 1.200 mm. a mt. 5 di profondità, servitù di mt. 40), un unico tracciato dal Sud (Massafra, Prov. Taranto) fino all’Italia settentrionale (Minerbio, Prov. Bologna).
Un progetto suddiviso in cinque tronconi (Massafra-Biccari; Biccari-Campochiaro; centrale di compressione Sulmona; Sulmona-Foligno; Foligno-Sestino; Sestino-Minerbio) che attraversa ben dieci Regioni (Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Emilia-Romagna), interessando aree di rilevante importanza naturalistica (3 parchi nazionali, 1 parco naturale regionale, 21 siti di importanza comunitaria)[1], aree a gravissimo rischio sismico (Abruzzo, Lazio, Umbria, Marche) e idrogeologico, senza che sia stato effettuato un unico procedimento di valutazione di impatto ambientale (direttive n. 85/337CEE e n. 97/11/CE) come richiesto da normativa e giurisprudenza comunitaria (vds. es. Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) né una procedura di valutazione ambientale strategica (direttiva n. 01/42/CE). Disattese anche altre disposizioni normative specifiche relative al procedimento di V.I.A. e alla corretta redazione dello studio di impatto ambientale.
Il costo dell’opera è stimato ormai in 2,4 miliardi di euro.
E tuttora non sono scandalosamente definiti i due ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica pendenti avverso i tronconi Sulmona-Foligno e Foligno-Sestino.
Lo stesso Gruppo Snam ammette che nel 2030 si avrà un consumo di circa 60-65 milioni di metri cubi di gas naturale all’anno a fronte di una capacità di complessiva di gestione da parte delle infrastrutture (gasdotti e rigassificatori) di 90 miliardi di metri cubi all’anno.
Per un terzo, quindi, saranno inutilizzate opere la cui costruzione grava e graverà sulle tasche degli Italiani.
L’Italia dispone di infrastrutture metanifere di trasporto e di distribuzione interna che sonosovradimensionate rispetto al fabbisogno nazionale. Nel tempo i consumi di gas sono scesisensibilmente passando da 86 miliardi e 200 milioni di metri cubi del 2005, che evidentemente sonostati consegnati agli utenti con le infrastrutture esistenti, ai 69 miliardi del 2022 (71 miliardi sevogliamo considerare la media degli ultimi 5 anni), con un trendin futura netta diminuzione.
Il gasdotto “Rete Adriatica” è strategico soltanto per gli interessi del Gruppo ENI e del Gruppo Snam.
La tragica guerra in Ucraina continua a esser un pretesto: il vergognoso aumento delle bollette per gli utenti è dovuto fondamentalmente non alla carenza di gas ma alle manovre finanziarie delle grandi società che dominano il mercato, il solo Gruppo ENI nei primi 9 mesi del 2022 ha quadruplicato gli utili da 2,6 a 10,80 miliardi di euro.
Il gas all’Italia non è mai mancato, tant’è che nel corso del 2022 (fino a ottobre) ne sono stati esportati oltre 3 miliardi e 400 milioni di metri cubi, cosamai accaduta in passato: un quantitativo che è superiore a quello che il Governo vorrebbe ricavareda nuove trivellazioni in mare e sulla terraferma.
Pertanto, al pari di altri comitati e associazioni, il GrIG ha chiesto l’eliminazione del gasdotto Rete Adriatica dall’elenco delle opere strategiche nazionali, con tutte le conseguenze del caso.
Ma il gasdotto si deve fare, non per gli interessi degli Italiani, ma per gli interessi economici di ENI e SNAM.
Sono loro che decidono la politica energetica nazionale.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Il Messaggero, 26 febbraio 2023
Gasdotto della linea Adriatica, lo sprint dell’Italia: finirà in cima al Pnrr. Tempi tagliati: 2 o 3 anni per finire i lavori.
Tabarelli: «Indispensabile per portare il metano in tutta Europa».
Attingere ai fondi europei del Pnrr, dare un taglio secco a burocrazia e autorizzazioni e affidare la missione della corsia superveloce a un commissario. Passa da un piano in tre mosse la stretta che è decisa ad imprimere il governo Meloni per realizzare in tempi record, 2-3 anni al massimo rispetto ai 4 previsti dal piano Snam, il rafforzamento della Linea Adriatica, l’allargamento del tubo tra Abruzzo e Umbria che può rimuovere il collo di bottiglia che ora limita il trasporto di gas dal sud al nord del Paese. Senza questa opera, già bollata come «strategica» anche dall’Europa, è impossibile realizzare il progetto di hub europeo tanto caro alla premier Giorgia Meloni: la ricca dote aggiuntiva di gas algerino, il raddoppio del gas che arriva dall’Azerbaigian via Tap, e il nuovo metano che può arrivare dalla nuova produzione nazionale in Sicilia e da rigassificatori come Gioia Tauro e Porto Empedocle, non potrebbero arrivare nemmeno in Austria e Germania.
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LE RISORSE
Quei 170 chilometri di tubi che dovrebbero connettere Sulmona a Foligno servono a far decollare le potenzialità dell’arteria del gas che da Massafra, vicino Taranto, dovrebbe far risalire la dorsale adriatica per oltre 690 kilometri attraversando dieci Regioni fino a Minerbio, dalle parti di Bologna. Dunque è per questo motivo che il raddoppio della Linea Adriatica è l’opera numero uno nella lista dei nuovi dossier energetici da inserire nel Pnrr. Il governo Meloni presenterà la sua proposta definitiva in Europa entro fine marzo. Si tratta di un pacchetto più ampio di progetti che deve tenere conto dei nuovi scenari aperti dalla crisi energetica e dei fondi aggiuntivi del RepowerEu. Dei 20 miliardi destinati a tutta l’Europa, all’Italia spetteranno 2,5-3 miliardi secondo le stime di chi conosce a fondo il dossier. Si arriva a quasi 9 miliardi con i 5,5 miliardi che si possono recuperare da altri strumenti, come il Fondo europeo per sviluppo rurale per la Pac (Politica agricola comune). Non è poco. Mentre oggi la Linea Adriatica prevede un investimento di 2,4 miliardi, di cui poco più di 100 milioni, è inserita nell’attuale piano industriale di Snam.
GLI INTOPPI
Il primo progetto di raddoppio della Dorsale è stato presentato nel lontano 2004, con la prima Valutazione di impatto ambientale che risale al 2011. Ma il processo è stato riavviato di fatto a dicembre scorso per mano del Consiglio dei ministri, dopo il blocco degli ultimi quattro anni. Ora manca l’autorizzazione per il terzo tratto di gasdotto, quello tra Sestino e Foligno. Ma se inserito nel Pnrr, come nelle intenzioni del governo, progetto e lavori dovranno cambiare completamente passo. Non più traguardo al 2027, come previsto finora nei piani Snam, ma chiusura entro il 2026, in linea con i tempi del Pnrr. E anche l’Arera, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, sta per aggiornare il suo piano decennale. Il via libera con tanto di analisi costi-benefici, è atteso a giorni, dopo la chiusura della processo di consultazione concluso da Snam il 20 gennaio. Una volta che l’Europa avrà approvato le modifiche del Pnrr, con tanto di inserimento anche del capitolo Dorsale Adriatica, si passerà al taglio delle procedure autorizzative e alla nomina di un commissario. Va detto che al momento la via del commissario modello Genova è considerata quella più efficace per ridurre al massimo i rischi di blocchi autorizzativi e stop dai territori. Già, perché, è cruciale un dialogo con il territorio che eviti i veti maturati negli anni. Ad avanzare l’idea del commissario, a quanto riferiscono fonti bene informate, è stato lo stesso ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. «Se serve per accelerare un’opera così strategica, ben venga», avrebbe detto a chi avanzava qualche dubbio sull’ennesimo strumento di emergenza. Ma è evidente che sarà il Consiglio dei ministri e in prima linea il premier Meloni a dire l’ultima parola dopo l’ok sul Pnrr atteso ad aprile. Mentre una nuova cabina di regia sul Piano è attesa i primi giorni di marzo. «Ci sono ancora delle interlocuzioni con le imprese convocate la settimana scorsa che hanno indicato i progetti da inserire», ha spiegato al Messaggero il viceministro dell’Ambiente, Vannia Gava, «ma la Linea Adriatica è sicuramente una priorità e va accelerata». A sottolineare la forza del progetto tra Abruzzo e Umbria è poi lo stesso documento consegnato da Snam all’Arera. Lo sdoppiamento del corridoio di importazione da sud, è scritto, incrementare la capacità di trasporto lungo la direttrice Sud-Nord (10 miliardi all’anno) a valori compatibili all’aumento delle importazioni da Africa, Caspio e produzioni nazionali fino a 150 milioni di metri cubi al giorno.
Gasdotto Italia, Tabarelli: «Così il nostro Paese può diventare l’hub per tutto il Continente. Ma Bruxelles migliori la rete».
Il presidente di Nomisma: se non blocchiamo questa infrastruttura il piano Mattei non decolla.
Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, perché la Linea Adriatica è cruciale per far decollare il piano “Mattei” del governo che disegna l’Italia come hub europeo del gas?
«Se non sblocchiamo questa strozzatura tra Abruzzo e Umbria rischiamo di lasciare nel Sud Italia tutto il nuovo gas che arriverà dall’Algeria e dall’Azerbaijan, a partire dai 19 miliardi di gas che serviranno a sostituire il gas russo. Invece i maggiori consumi del nostro Paese, quest’anno 69 miliardi di metri cubi, sono al Nord, dove ci sono i due terzi della popolazione e del Pil, le fabbriche, le centrali termoelettriche e anche le temperature più rigide. Non dimentichiamoci che il gas di Mosca arrivava direttamente al Nord dal Friuli. E ancora, ampliare la capacità del gasdotto può permettere di esportare il gas in eccesso nel resto d’Europa».
Sono verosimili le stime sul tavolo del governo, e cioé che possano transitare dal nostro Paese a pieno regime circa 140 miliardi di metri cubi di metano, compresi i 50 miliardi di gas naturale liquefatto?
«Possiamo esportare almeno quanto consumiamo. Ma sia chiaro, un hub non è solo un’infrastruttura che fa il servizio di trasporto del gas verso l’Europa».
Cosa intende?
«Serve una rete europea. Se facciamo lo snodo europeo, dobbiamo essere anche capaci di attraversare le Alpi e quindi utilizzare le due grandi linee esistenti oltre il confine».
Quindi servono anche interventi europei?
«La prima grande linea è quella che passa dalla Svizzera e arriva dall’Olanda, passando dalla Germania, e dalla Francia (il gasdotto Tenp). In questo caso è già stato fatto il potenziamento per permettere oltre al flusso nord-sud anche quello contrario, il cosiddetto “reverse flow”. Da qui possono passare 15 miliardi di metri cubi all’anno, ma andrebbe ulteriormente potenziati».
E la seconda linea?
«È il Tag, che arriva giù da Tarvisio attraverso l’Austria: è quella che tutt’ora ci fa arrivare un minimo di metano dalla Russia, passando da un grande snodo europeo di Baumgarten, al confine tra Austria e Repubblica Ceca. Andrebbe però realizzato il reverse flow per dirottare il metano verso nord».
Creare una nuova autostrada europea presuppone però una rotta comune tra i Paesi Ue. Un’impresa difficile. Quale sarebbe il vantaggio comune di hub che ha il cuore in Italia?
«Un hub del gas serve per creare competizione tra molti operatori con l’obiettivo di far scendere il prezzo. Il modello è l’Henry Hub degli Stati Uniti, forte dei suoi 3.000 produttori e dei sui prezzi molto bassi. L’obiettivo dell’Italia, al centro ora dei flussi in arrivo dal Mediterraneo, ma anche dell’Europa dovrebbe essere quello di avere prezzi allineati ai costi. Ricordo che nonostante in crollo dei prezzi, siamo ancora su livelli pari a oltre il doppio di quelli pre-guerra».
Qual è la distanza tra i nostri prezzi e quelli Usa al momento?
«I nostri 50 euro per megawattora sono ben lontani dai 9-10 degli Usa. Mentre i costi di produzione del gas in Italia, in Algeria e nel resto del mondo, si aggirano intorno ai 5 euro per megawattora».
Eppure, nonostante la spinta del governo Meloni verso la produzione nazionale, il nostro traguardo non va oltre i 6-7 miliardi di metri cubi all’anno, rispetto ai 3 miliardi dell’anno scorso. Sprechiamo delle potenzialità o è ancora troppo complicato tornare a investire sull’estrazione di metano nazionale?
«Abbiamo enormi potenzialità che vanno sfruttate assolutamente agevolando le autorizzazioni, ma anche superando anche i veti territoriali. Si può arrivare almeno a 10-15 miliardi di metri cubi prodotti in Italia, tra Adriatico, Sicilia e Basilicata. Invece noi compriamo dall’estero e trasferiamo fuori confine anche pezzi di Pil».
E la capacità di stoccaggio?
«Va potenziata, Il progetto di Alfonsine già in campo, va in questa direzione, tempi permettendo. Ma c’è altro spazio».
(foto da mailing list ambientalista, S.L., J.I., A.L.C., S.D., archivio GrIG)