di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Questo è un processo per omicidio intentato contro un fulmine globulare, accusato di aver ucciso il fisico Georg Wilhelm Richmann. A dire il vero si tratta di un cold case – anzi, di un very cold case, visto che il fatto di cui è imputato risale alla metà del Settecento – ma siccome il nostro è un tribunale scientifico e non penale, abbiamo deciso che quel genere di reati non cade mai in prescrizione. Procederemo dunque con la nostra istruttoria.
Alle soglie dell’era elettrica
A metà Settecento la teoria dell’elettricità stava cominciando a prendere forma tra i fisici di diversi paesi. Non ne capivano ancora granché, tanto è vero che non gli era chiaro se i fulmini avessero la stessa natura di altri fenomeni elettrici che stavano cominciando a generare con le prime macchine elettrostatiche – quelle, ad esempio, ideate nel 1660 dal tedesco Otto von Guericke. Nel 1729 il chimico francese Charles du Fay capì che l’energia elettrica poteva essere positiva e negativa, mentre nel 1745 in Germania e in Olanda aveva fatto capolino il primo rudimentale condensatore, la bottiglia di Leida.
Dal 1750, la fama, la capacità sperimentale e l’ampio spettro di relazioni internazionali di Benjamin Franklin accelerarono le indagini in tutto l’Occidente. La Russia, in pieno periodo illuminista e governata da sovrani di quell’orientamento culturale, non rimase indietro, grazie alla presenza di corti e di circoli scientifici strettamente legati all’uso del tedesco e del francese.
Un personaggio che, pur non essendo di cultura russa, lavorò in quel paese a metà secolo è proprio colui la cui morte è stata attribuita da una lunga tradizione a quel fenomeno complesso, controverso e ancora dibattuto che è il fulmine globulare. Un fenomeno sul quale le testimonianze negli ultimi 250 anni sono innumerevoli, ma sulla cui natura (e, a volte, sulla cui stessa esistenza) la comunità scientifica continua a dibattere, proponendo per il suo funzionamento modelli teorici che sembrano elidersi l’uno con l’altro.
Questo scienziato si chiamava Georg Wilhelm Richmann, ed era nato l’11 luglio 1711 a Pärnu, nell’odierna Estonia, allora parte del Regno di Svezia.
Uno scienziato entusiasta, persino troppo
Essendo di cultura e lingua tedesca, Richmann studiò fisica e matematica presso le università di Halle e di Jena, ma poi si trasferì nella capitale dell’Impero russo, San Pietroburgo, la cui Accademia delle scienze stava rapidamente crescendo per prestigio e mezzi a disposizione. Nel 1745 vi divenne professore di fisica. Fu anche stretto collaboratore e amico del grande fisico Michail V. Lomonosov, le cui ricerche sulle teorie cinetiche del calore e dei gas e – soprattutto – la formulazione nel 1748 di una prima versione del principio di conservazione della massa lo avevano già reso una stella di prima grandezza nel firmamento scientifico del tempo.
Fu Lomonosov a incoraggiare e a sostenere Richmann nel suo entusiasmo per le ricerche sulla natura dell’elettricità – e sarà sempre lui uno dei primi scienziati a piangerlo, quando, nell’estate del 1753, morì durante un esperimento. A ucciderlo sarebbe stato un fenomeno verificatosi mentre, durante un temporale, stava lavorando a una macchina di sua invenzione volta a misurare l’intensità delle correnti elettriche.
Georg Richmann – deceduto in modo tragico per la scienza – è proprio la vittima di questo “processo” che vede fortemente sospettato un fulmine globulare. Noi però vogliamo spingere sul proscenio un altro protagonista di questa storia. Meno illustre di Richmann, ma – a ben vedere, dal punto di vista che ci riguarda – il personaggio più importante della nostra istruttoria.
Si chiamava Ivan Alekseevich Sokolov, ed era nato a Mosca intorno al 1717. Fu un pittore importante – ancora oggi le sue opere sono ben quotate – ma fu soprattutto un grande incisore su rame e un insegnante di quest’arte, in cui i russi eccelsero per buona parte del Settecento. Lavorò anche per la corte imperiale, in particolare sotto l’imperatrice Elisabetta Petrovna. Visse e operò a San Pietroburgo, dove morì il 4 febbraio del 1757.
Sokolov (nelle fonti ne troveremo il nome traslitterato in Sokolow, alla tedesca, come per il russo si è fatto a lungo) nel nostro processo è il testimone-chiave. Richmann non può dirci più nulla, e sul luogo del delitto c’era solo lui, Sokolov. Mentre era in corso una seduta dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, infatti, si scatenò un tremendo temporale, e Richmann, presente alla seduta insieme all’artista, gli chiese di correre a casa con lui, per fargli uno schizzo mentre lavorava alla macchina autocostruita per lo studio dell’elettricità, e trarne poi un’incisione.
La dinamica dei fatti verificatisi negli appartamenti di Richmann è passata alla storia soltanto grazie al racconto di Ivan Sokolov. Quasi tutto, insomma, dipende da lui.
Resoconti laconici, persino troppo
La fonte principale dell’accusa – quella che chiama in causa il fulmine globulare, che avrebbe ucciso Richmann – è un articolo apparso sulla maggior rivista scientifica del tempo, le Philosophical Transactions della Royal Society di Londra (vol. 48, 1753-54, pp. 765-772) a firma del fisico britannico William Watson.
La morte tragica di Richmann aveva suscitato grande scalpore tra gli scienziati di ogni parte d’Occidente. Così un fisico americano, John Lining, aveva chiesto alla Royal Society di preparare una relazione sull’accaduto raccogliendo le migliori notizie disponibili. Watson si prese l’incarico di redigerla e poi di leggerla pubblicamente durante una seduta della Società, cosa che fece il 4 luglio del 1754.
In quella relazione il giorno della morte di Richmann è fissato al 5 agosto dell’anno precedente, ed è questa la data che oggi s’incontra più spesso quando s’incappa nella storia di Richmann. In realtà, come vedremo, ci sono incertezze persino su questo particolare (la data più probabile è un’altra).
Il testo, come molti altri del periodo immediatamente successivo all’incidente di San Pietroburgo, non è per niente prodigo di dettagli sulle caratteristiche insolite del fulmine. A dire il vero, ed è un ostacolo non da poco per chi intende attribuire senz’altro la morte di Richmann a un fulmine globulare, nessun documento sull’episodio dice granché sull’aspetto del fenomeno.
I motivi per questa laconicità sembrano essere due: il primo – determinante – è che, a parte l’emozione per la sorte dello scienziato – il dibattito era centrato quasi tutto sul funzionamento delle macchine per lo studio del fluido elettrico che, sulla scia di Franklin e dei suoi aquiloni, si stavano sperimentando in Europa.
Dall’anno precedente alla morte di Richmann, per studiare la natura dell’energia dei fulmini, il fisico francese Thomas-François Dalibard aveva cominciato a usare verghe di metallo piantate nel terreno. Uno dei problemi gravissimi di questi esperimenti era che in quel momento i fisici non avevano ancora ben chiari i principi della messa a terra, cioè i sistemi per portare al potenziale elettrico del terreno gli oggetti in metallo in contatto con dispositivi elettrici. Insomma, non sapevano bene come fare per difendersi dall’elettricità naturale dei fulmini atmosferici. In mancanza di protezioni, il rischio di morte durante gli esperimenti era elevatissimo.
Il secondo motivo per il quale la descrizione del tipo di scarica che uccise Richmann non è particolarmente ricca, è che – semplicemente – i fulmini globulari non erano ancora oggetto di dibattito scientifico. Nessuno, intorno al 1753, aveva ancora attirato in modo chiaro l’attenzione degli studiosi su questi presunti fenomeni, tanto più che la stessa natura dei fulmini lineari e dell’elettricità atmosferica era ancora largamente ignota. Lo sarà fino alla vasta opera di divulgazione e di raccolta della casistica fatta dal francese François Arago, a partire dal 1838.
La macchina
A questo punto non sorprenderà che la relazione di Watson fosse accompagnata da una serie di belle tavole nelle quali lo “gnomone elettrico”, così chiamava Richmann lo strumento da lui costruito (pare nel 1752), era mostrato in maniera dettagliata. La descrizione della macchina che c’era a San Pietroburgo proveniva dall’astronomo tedesco Gottfried Heinsius, professore a Lipsia, al quale Richmann l’aveva inviata.
Lo “gnomone elettrico” era composto da una barra di metallo (indicata con CD nell’immagine qui sopra), da una bottiglia di vetro, da un filo di lino di un metro a una cui estremità c’era un peso in piombo e da un quadrante. La barra era immersa nella bottiglia, nella quale c’era della limatura di ferro. Quando si avvicinava il filo di lino alla barra e l’apparato non era elettrificato, il filo rimaneva perpendicolare. Una seconda parte dell’apparato (nell’immagine qui sotto) era quella che portava al passaggio della corrente: una bottiglia di vetro posta, attraverso una tegola, sul tetto della casa di Richmann, con dentro un’altra barra metallica. A un’estremità c’era una catena in ferro, che poi passava in alto, attraverso la stanza in cui si trovava la parte alla quale trasmettere l’elettricità. La catena era collegata alla prima parte con un altro filo di metallo. Quando la parte sul tetto subiva l’azione dei fulmini atmosferici, il filo in lino si muoveva, indicando così in maniera approssimativa l’intensità della corrente grazie a tacche poste a eguale distanza sul quadrante.
Una prima rappresentazione della macchina, meno bella ma ancora più chiara, era stata pubblicata ancora prima, nel 1752, mentre Richmann era ancora in vita, sulla principale rivista dell’Accademia delle scienze di San Pietroburgo, i Novi commentarii Academiae Scientiarum Imperialis Petropolitanae. Eccola qui:
A vederla oggi, non avremmo dubbi: si trattava di una trappola mortale per chi si fosse trovato troppo vicino all’apparato. Se si aggiunge che Richmann aveva perfezionato il suo strumento accoppiandovi una bottiglia di Leida (il condensatore primitivo inventato pochi anni prima dal fisico olandese Pieter van Musschenbroeck), che permetteva l’accumulo di voltaggi piuttosto alti, i guai erano quasi garantiti. Grazie al suo strumento, dal maggio 1753 Richmann ottenne effetti sempre più intensi, con produzione di botti udibili anche a notevole distanza.
La morte di Richmann
Ma ecco la descrizione della tragedia:
L’ingegnoso e industre professor Richmann ha perso la vita il 5 agosto del 1753, mentre stava osservando insieme al sig. Sokolow, incisore presso la Reale Accademia di Pietroburgo, gli effetti dell’elettricità sul suo gnomone durante un temporale. Non appena si seppe della sua morte, si pensò che il fulmine fosse stato condotto in modo così preciso nella sua stanza attraverso il summenzionato apparato. Tuttavia, quando la vicenda fu indagata, tale opinione apparve mal fondata, giacché il sig. Sokolow aveva visto un globo di fuoco azzurro grande come il suo pollice saltar fuori dall’asta dello gnomone destro, CD (si veda l’illustrazione: il riferimento è alla parte connessa al filo di lino e a al quadrante, NdA), muoversi verso la fronte del professor Richmann, che in quel momento, ad una distanza di circa un piede, stava osservando l’indice elettrico. Questo globo di fuoco che colpì il professor Richmann fu accompagnato da un colpo forte come quello di una pistola.
L’apparato andò in pezzi, la porta della stanza fu scardinata. Il fulmine proseguì la sua corsa lungo la catena di metallo. Nella sua relazione Watson ci teneva a scagionare l’apparato di Richmann da una possibile accusa di aver provocato la morte dello scienziato: era infatti perfettamente isolato dal suolo – e in questo modo confermava di non aver chiara l’idea della messa a terra.
In fondo all’articolo di Watson però c’erano altre notizie di un certo interesse per noi. L’incidente mortale era già stato discusso dal grande fisico russo Michail V. Lomonosov (1711-1765), che al momento dei fatti insegnava chimica all’Accademia di San Pietroburgo. Come abbiamo anticipato, tutta l’opinione pubblica russa e anche Lomonosov erano rimasti assai colpiti dalla morte di Richmann. Per questo, quando nel novembre del 1753 Lomonosov presentò all’Accademia la sua teoria sull’elettricità con la Oratio De Meteoris Vi Electrica Ortis, non poté esimersi dal discutere quanto accaduto pochi mesi prima. In quel lavoro, la data dell’episodio era anticipata dal 5 agosto al 26 luglio, ma il guaio per noi è un altro: nella descrizione dell’incidente il piccolo “globo di fuoco azzurro” non è menzionato in nessun modo!
Descrizioni discrepanti
Proprio questo è uno dei problemi fondamentali del rapporto fra la morte dello scienziato e i fulmini globulari. Alcuni fra i documenti importanti del tempo citano il presunto fenomeno in poche righe, altri nemmeno quello. Il 5 marzo del 1754 la Pennsylvania Gazette, per la quale scriveva Benjamin Franklin, pubblicò un estratto di un rapporto sull’accaduto trasmesso poche settimane dopo l’evento dall’Accademia di San Pietroburgo alla corte imperiale russa. Sembra plausibile che lo stesso Franklin abbia avuto parte nella stesura dell’articolo della Gazette.
A giudicare dall’ago, secondo il quale la tempesta si trovava a grande distanza, il professore assicurò il sig. Sokolaw (sic) che non c’era pericolo. Il sig. Richmann stava a circa un piede dalla barra e osservava l’ago con attenzione. Subito dopo il sig. Sokolaw vide, mentre la macchina restava intatta, un globo di fuoco blu e biancastro, di un diametro di circa quattro pollici (circa 10 cm, NdA), schizzare dalla barra contro la fronte del sig. Richmann, che cadde all’indietro senza emettere grido. La cosa fu seguita da un’esplosione come quella di un piccolo cannone, che gettò anche il sig. Sokolaw sul pavimento, mentre sentiva come se gli avessero dato dei colpi alla schiena. Si trovò che il filo si era rotto, che alcuni frammenti lo avevano colpito da dietro e che sui vestiti c’erano segni di bruciatura. Ripresosi un po’, si alzò e appoggiandosi contro la credenza diresse lo sguardo verso il sig. Richmann, che pensava fosse soltanto svenuto, ma vedendo che del fitto fumo proveniva dal suo volto, pensò che la casa avesse preso fuoco e corse fuori per chiamare la guardia di picchetto. La signora Richmann sentì i rumori, corse nel corridoio e la trovò piena di fumo. Il sig. Sokolaw era intanto corso fuori.
Insomma, tutto ciò che abbiamo sono alcuni resoconti che, al contrario di parecchi altri, riferiscono della brevissima osservazione del piccolo globo fatta da Ivan Sokolov, dopo che, colpito anche lui dalla scarica, era subito caduto al suolo semisvenuto. Plausibilmente, tutto si svolse nel giro di qualche secondo.
Se ancora non bastassero le variazioni sull’aspetto di ciò che colpì Richmann, di nuovo le Philosophical Transactions (vol. 49, 1755-56, pp. 61-69) pubblicarono un altro resoconto sulla morte dello scienziato che, tradotto dal tedesco, purtroppo dà una mano a confondere ancora di più le idee.
Dopo aver spiegato che la scarica elettrica, potentissima, era stata osservata da altri che si trovavano all’esterno dell’edificio mentre si scaricava sulla struttura – ma senza cenni far a “globi” o a cose del genere – il resoconto descriveva così il momento della morte di Richmann:
Non ci sono dubbi, dunque, che questo stesso fulmine, o la sua scarica, debbano aver colpito le sbarre di ferro che si trovavano sopra il tetto della casa del sig. Richmann, e che a partire da quelle una gran parte della forza elettrica fu condotta, attraverso la catena, al suo “espositore elettrico”… Secondo la relazione dell’incisore Sokolow, il sig. Richmann aveva piegato la testa verso l’espositore per osservare a quale grado la forza si trovava, e mentre si trovava in posizione piegata, ecco che fra la testa del signor Richmann e l’espositore apparve un gran fuoco bianco e bluastro. Al contempo apparve una specie di scia, o di vapore, che intorpidì interamente l’incisore e lo fece cadere al suolo, così che non poté sentire l’intenso scoppio prodotto dal tuono.
Ecco dunque che nel giro di un tempo relativamente breve ci troviamo con tre (tutte brevissime!) descrizioni differenti di ciò che colpì Georg Richmann causandone la morte per fulminazione: “un globo di fuoco azzurro grande come il pollice” (di Sokolov), oppure “bianco e azzurro, del diametro di circa dieci centimetri”, o ancora “un gran fuoco bianco e bluastro”, oppure, in molte altre fonti, semplicemente niente: in molti casi, il fenomeno che sarà poi identificato in un fulmine globulare sulla base delle non troppe fonti che menzionano la piccola sfera, semplicemente non figura. Optare per l’una o per l’altra versione, a questo punto, è faccenda altamente soggettiva.
Un’immagine di successo, persino troppo
In realtà, la morte tragica di Richmann da molto tempo non è legata solo alla testimonianza resa a suo tempo da Sokolov (con le sue varianti), ma anche a un documento visivo – e non ci riferiamo ai dettagli della tavola comparsa nel 1756 nei Philosophical Transactions. In tempi recenti questa seconda immagine ha preso ad accompagnare spesso il racconto dell’evento del 1753.
Si tratta di questa incisione:
Visto tutto quello che abbiamo detto circa il testimone d’accusa Sokolov, si potrebbe pensare che questa immagine possa entrare agli atti del processo contro il fulmine globulare come un elemento destinato a circostanziare meglio il suo resoconto. Detta più seriamente, si potrebbe credere che l’incisione che mostra il il momento della morte di Richmann, con una sfera luminosa di discrete dimensioni che compare dall’asta, colpisce lo strumento che regge in mano lo scienziato e poi finisce contro la sua testa sia stata prodotta da Ivan Sokolov (che, dunque, nell’incisione è l’uomo in secondo piano, che cade per terra mentre il tricorno che portava in testa gli vola via).
Non è così. Per quanto ne sappiamo, non si ha traccia di una rappresentazione prodotta dall’artista russo in seguito all’incidente. Anche questa è un’incisione, certo, ma… fu realizzata centoventisei anni dopo il fatto da un altro artista, il francese Camille Gilbert, per un libro del chimico, divulgatore e pioniere dell’aviazione Gaston Tissandier (1843-1889), Les Martyrs de la science, uscito a Parigi nel 1879 (p. 9 per l’immagine e 15-16 per la citazione). Si tratta di un’opera agiografica che saluta negli scienziati e nei tecnologi gli araldi di una nuova era di progresso, lamentandone spesso le sorti poco felici.
L’illustrazione di Gilbert, peraltro, pare completamente di fantasia se raffrontata con il vero aspetto dello “gnomone elettrico” e con quello degli ambienti teatro della tragedia, ossia quelli dei Philosophical Transactions del 1755-56. Di immagini del “globo” coeve all’evento non ne conosciamo: come abbiamo visto, le fonti dell’epoca sono assai più interessate al funzionamento dello “gnomone elettrico” di Richmann che alle caratteristiche di dettaglio della scarica mortifera.
Le altre illustrazioni
Questa è soltanto la più nota delle immagini con le quali è stata rappresentata la morte di Richmann. Ce ne sono diverse altre, e vale la pena ricordarle, perché – proprio come il racconto – anche quelle sono contraddittorie. E lo sono, perché, proprio come i documenti, molte non mostrano il presunto fulmine globulare. Prendiamo questa immagine apparsa nel 1867 (dunque dodici anni prima di quella del libro di Tissandier) in Les merveilles de la science, ou descriptions populaire des inventions modernes – Volume 2, opera di Louis Figuier. Come si vede, non mostra il “globo”, ma soltanto lo zigzag di un fulmine “normale” (la si trova poi anche in un’altra opera sua, Les grandes inventions, del 1870).
Invece, ecco che la sfera luminosa comprare in questa figurina della serie francese “Les victimes de la science”, edita dalla Chocolaterie d’Aiguebelle ma – anche se non siamo certi della sua datazione – quasi di certo si tratta di un’immagine successivo di diversi anni all’incisione realizzata nel 1879 per il libro di Tissandier.
Anche se naturalmente è impossibile risalire a tutte le ricostruzioni grafiche ideate da metà Ottocento in poi, proprio come per le fonti documentarie, l’impressione è che anche la presenza nei disegni del “globo” sia iniziata in un momento ben preciso – cioè quando i fulmini globulari erano già da un pezzo un fenomeno discusso, popolarizzato e ben noto alle persone colte. Ce lo conferma un’immagine tarda, che trovate qui, presente in un altro libro francese del 1901, A travers l’électricité, testo divulgativo di Georges Dary pubblicato a Parigi. Ora, nella litografia, il fenomeno è una sfera bianca, nettissima, dall’alone rosso: un fenomeno magnifico e, finalmente, a colori.
A quel punto, la tragica morte di Richmann era definitivamente entrata nel mito e, in una certa misura, date le caratteristiche sconcertanti ormai attribuite in quegli anni ai fulmini globulari dalle descrizioni che ne circolavano sui periodici scientifici e sui giornali, era stata ormai trasferita alla categoria moderna del “fatto misterioso”.
In tempi recenti la morte di Richmann è attribuita senza grandi esitazioni a un fulmine globulare da testi standard sul fenomeno, come quello del fisico Mark Stenhoff, Ball Lightning: An Unsolved Problem in Atmospheric Physics (1999, p. 75), oppure da quello di Stanley Singer (The Nature of Ball Lightning, 2012).
Ma non sempre le cose sono filate così lisce: nel 2013, proprio esaminando la natura non univoca delle fonti del tempo e il ruolo svolto in tempi successivi dalla rappresentazione grafica dell’evento, il fisico James Barry (Ball Lightning and Bead Lightning, Springer) ha concluso che:
[…] un esame attento dell’evidenza disponibile… suggerisce che non si sia verificato nessun fenomeno del tipo fulmine globulare.
Il verdetto della corte
A questo punto, signori della corte, la nostra istruttoria è conclusa. E le nostre conclusioni sono per una richiesta di assoluzione per insufficienza di prove nei confronti dell’imputato fulmine globulare. Non soltanto la stessa identità dell’imputato è incerta, ma le testimonianze a suo carico sono rare e discordanti, e talora appaiono segnate da una cattiva disposizione d’animo nei suoi confronti. Sebbene nel corso del tempo gli siano stati attribuiti altri misfatti, e gravi ferite anche mortali nei confronti di alcuni individui, in questo processo non sono emersi elementi sufficienti per una sua condanna.
Siamo dunque fiduciosi, signori della corte, che vorrete concordare con noi sull’opportunità di assolvere l’imputato, ammesso che la scienza sia riuscita a capire quali ne siano le vere generalità.