È opinione comune che sia preferibile bere acqua con basso residuo fisso, poiché si pensa che contenga meno sodio. È noto, infatti, che una dieta ricca di sale sia una delle cause principali di ipertensione arteriosa, calcoli urinari e osteoporosi. Da anni siamo bersagliati da pubblicità di aziende che commercializzano acque minerali in bottiglia, evidenziando le loro presunte proprietà benefiche per la salute. Inoltre, non mancano testimonial o medici che consigliano di bere acqua povera di sodio per le persone che soffrono di ipertensione arteriosa. Sia chiaro, questo articolo non intende demonizzare le aziende del settore, ma vuole semplicemente chiarire la questione dal punto di vista scientifico.
Classificazione e caratteristiche delle acque minerali
Per iniziare a capirci qualcosa in più, è utile spiegare in maniera semplice come vengono classificate le acque minerali. Uno dei parametri più utilizzati è il cosiddetto residuo fisso (o secco), cioè la quantità di sali espressa in milligrammi che rimane dopo l’evaporazione di un litro d’acqua a 180°. Quanto più alto è questo valore, più l’acqua contiene sali. In base a questo parametro è possibile distinguere quattro tipi di acque minerali:
- Minimamente mineralizzata: meno di 50 mg/L
- Oligominerali: tra 50 e 500 mg/L
- Minerali: tra 500 e 1500 mg/L (o medio-minerali)
- Ricche in minerali: più di 1500 mg/L
È bene specificare che il residuo fisso non corrisponde alla quantità di sodio, poiché in esso sono presenti altri ioni, come il calcio e il magnesio, che definiscono la durezza dell’acqua. Se si vuole scegliere un’acqua con poco sodio è bene leggere nell’etichetta la quantità di sodio piuttosto che il residuo fisso. Alcune acque, infatti, hanno un residuo fisso di 350 mg/L e contengono 5 mg/L di sodio, mentre altre possono avere un residuo fisso di 150 mg/L e 8 mg/L di sodio. I due parametri non sono direttamente o inversamente proporzionali, ma totalmente slegati tra loro. Inoltre, è importante specificare che le indicazioni ministeriali riguardo la qualità delle acque indicano come unico parametro massimo consigliato il valore di 1500 mg/L. Non vengono fornite ulteriori raccomandazioni sulla scelta di determinati tipi di acqua per pazienti affetti da particolari condizioni o patologie croniche. Tenendo presente questo aspetto, dovremmo già capire che c’è qualcosa che non torna rispetto alle raccomandazioni che spesso sentiamo nelle campagne pubblicitarie.
L’acqua a basso residuo fisso è utile per prevenire o eliminare i calcoli urinari?
Molte persone pensano che un’acqua più “dura” possa facilitare la formazione di calcoli renali, ma in realtà si tratta di un falso mito. Nei pazienti con calcoli renali, la dieta deve garantire un apporto normale di calcio. Ciò che favorisce la calcolosi renale è la quantità di calcio eliminata con le urine, proporzionale al sodio che consumiamo. Ne consegue che un paziente con calcoli renali dovrebbe seguire una dieta povera di sodio piuttosto che di calcio. Inoltre, la quantità di calcio introdotta con gli alimenti è significativamente maggiore di quella fornita dall’acqua: in 2 litri troviamo circa 80-100 mg di calcio, pari soltanto all’8-10% del fabbisogno giornaliero. Quindi, considerando che nella dieta media di un italiano l’apporto di calcio è solitamente inferiore rispetto alle raccomandazioni, appare insensato ridurne ulteriormente l’assunzione giornaliera bevendo acqua “più leggera”.
L’acqua iposodica è essenziale per le persone che soffrono di ipertensione arteriosa?
Anche per le persone che soffrono di ipertensione arteriosa è utile un approfondimento per comprendere quanto questo aspetto venga spesso frainteso. Per seguire una dieta iposodica, consigliata particolarmente per gli ipertesi, è inutile scegliere un’acqua con residuo fisso molto basso se poi non si è attenti nella scelta degli alimenti. Le raccomandazioni del Ministero della Salute consigliano di consumare meno di 5 grammi di sale al giorno, tra quello già presente negli alimenti e quello aggiunto, quanto un cucchiaino da tè, corrispondenti a circa 2 grammi al giorno di sodio (come indicato nelle linee guida dell’OMS). La quantità di sodio che si introduce mediamente con un’acqua oligominerale è veramente irrilevante, indipendentemente dal brand scelto. Facciamo un esempio: un’acqua oligominerale con un residuo fisso di 150 mg/L e 8 mg/L di sodio. Bevendone 2 litri, si assumono 16 mg di sodio, circa lo 0,008% dei 2 grammi raccomandati. In confronto, bevendo 2 litri di un’acqua minimamente mineralizzata con un residuo fisso di 22 mg/L e una concentrazione di sodio di 1 mg/L, si assumono solo 2 mg di sodio. Sebbene la quantità di sodio nel primo caso sia circa otto volte superiore, rimane comunque talmente bassa da influire poco sulla quantità complessiva di sodio assunta durante la giornata.
Ora paragoniamo la minima quantità di sodio presente nell’acqua con quella di alcuni comuni alimenti che si consumano quotidianamente. I salumi, ad esempio, contengono in genere attorno a 2 grammi di sodio per 100 grammi; i formaggi circa 1 grammo per 100 grammi di prodotto. Per rendere bene l’idea, sarebbe necessario bere circa 25 litri di acqua minerale con 80 mg/L di sodio per assumere i 2 grammi di sodio presenti in 100-120 grammi di salame o in 200 grammi di formaggio.
Conclusioni
Per limitare il sale nella dieta, insomma, non è importante il tipo di acqua che si beve, mentre è invece fondamentale evitare troppi alimenti lavorati o inscatolati, leggere la quantità di sodio nelle etichette, prediligere la frutta, la verdura e i cibi non processati, non salare i cibi (un cucchiaino di sale contiene circa 1 grammo di sodio), condire con spezie, mangiare preferibilmente a casa (nei ristoranti è difficile quantificare quanto sale viene messo nei cibi), ed evitare il più possibile aperitivi e snack. L’importante è bere almeno due litri di acqua al giorno, e che provenga dal rubinetto o dalla bottiglia fa davvero poca differenza.
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