L’Autonomia Differenziata spiegata bene impatta infatti su un ostacolo: come moltissime volte accade in Italia, la norma detta il principio, cui seguiranno ulteriori norme sull’attuazione. Possiamo quindi spiegare quello che esiste, non dirimere i dubbi su quello che sarà.
In Italia, sovente, quello che sarà è un qualcosa del quale neppure i più saggi sanno prevedere ogni esito.
L’Autonomia Differenziata spiegata bene (o al meglio che si può)
L’Autonomia Differenziata, cavallo di battaglia della Lega (prende infatti il nome di “Legge Calderoli”), legge dello Stato che ormai aspetta solo la firma del Presidente della Repubblica e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale attribuisce alle Regioni a Statuto Ordinario facoltà di decidere in modo indipendente su ben 23 materie.
Elenco comprendente la sanità, l’istruzione, l’ambiente, l’energia, lo sport, i trasporti, il commercio estero e la cultura, e che ovviamente non si ferma solo a queste.
Come contraltare alla possibilità che questo comporti la creazione di una Italia a doppia, se non a diverse trazioni, tredici di queste materie (le norme generali sull’istruzione; la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; la tutela e sicurezza del lavoro; l’istruzione; la ricerca scientifica e l’innovazione; la salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; il governo del territorio; i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali) richiederanno l’introduzione dei LEP, ovvero Livelli Essenziali delle Prestazioni.
Cominciano ad apparire le prime criticità: i LEP sono previsti dall’Art 117 della Costituzione ma non ancora definiti e misurati, tampoco misurabili (mancano i criteri con cui calcolarli).
Una Commissione tecnica dei fabbisogni standard dovrà farlo successivamente: fino a quel momento otto temi potranno invece essere ceduti rapidamente alle regioni che lo vorranno (rapporti internazionali delle regioni con l’Unione Europea; commercio con l’estero; professioni; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario)
In assenza del LEP, il criterio base sarà quindi la “spesa storica”: cosa che assicurerebbe finanziamenti maggiori alle regioni tradizionalmente inclini ad allocare più risorse (quindi potenzialmente le più ricche, non solo le più “virtuose”) e minori alle regioni più parche (quindi dal portafoglio più ridotto).
In assenza delle ulteriori leggi di attuazione, diventano sfumati ed aleatori gli altri confini: non ci sono modalità sacramentali (ancora) per stabilire le intese tra Stato Centrale e Regioni, su cui al momento il Parlamento non sembra avere ulteriore voce in capitolo, sono da venire il calcolo del LEP e non essendovi requisiti particolari, non sono previsti meccanismi sanzionatori o di esclusione per Regioni prive di conti in ordine o con problemi di commissariamento sulle materie citate.
Criticità a parte, come sempre in Italia ci aspetta un periodo di “rodaggio” del quale il risultato non è di facile soluzione.
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