La bonifica dei siti inquinati d’interesse nazionale prosegue con lentezza e disorganizzazione.

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Chiocciola (ordine Stylommatophora), volgarmente chiamata Lumaca

Passano gli anni e la situazione complessiva migliora con l’elettrizzante velocità di una Lumaca.

siti di interesse nazionale per le bonifiche ambientali (S.I.N.) “sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali” (art. 252, comma 1°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.).

Sono puntualmente individuati con provvedimenti del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, originariamente erano 57 e attualmente sono 42.

In più ci sono anche i c.d. siti orfani, cioè quelli dove permangono nebulose le responsabilità, le procedure, le competenze per le bonifiche.

ISPRA, i Siti d’interesse nazionale per le bonifiche ambientali (S.I.N.) al 30 giugno 2024

La procedura di bonifica dei S.I.N. è attribuita alla competenza ministeriale che si avvale per l’istruttoria tecnica del Sistema nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e dell’Istituto Superiore di Sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.

Ma la concreta bonifica ambientale e le connesse misure risarcitorie procedono a rilento, in modo disorganizzato e lacunoso, come verificabile nel portale settoriale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Approfondisce l’argomento la recente Deliberazione Corte dei conti, Sez. centrale controllo Stato, 23 settembre 2024, n. 87/2024/G.

Intanto la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza Grande Sezione del 29 luglio 2024, ha stabilito in una pronuncia pregiudiziale che “una scissione societaria non può essere un mezzo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti commessi da un’impresa, a spese dello Stato o di altri soggetti” e ha condannato la società multinazionale LivaNova – che ha assorbito la Sorin s.p.a., già SNIAa risarcire lo Stato per un importo di 453 milioni di euro per l’inquinamento determinato dagli impianti industriali Caffaro a Brescia, Torviscosa e Colleferro.

Uno nuovo stimolo a procedere con razionalità e rapidità per le bonifiche ambientali.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Roma, Viale Mazzini, sede della Corte dei conti

dal sito web istituzionale della Corte dei conti, 9 ottobre 2024

AMBIENTE, CORTE CONTI: SERVONO INTERVENTI COORDINATI E URGENTI PER LA BONIFICA DEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE.

I Siti di interesse nazionale (SIN), aree del territorio italiano gravemente contaminate, richiedono un’azione congiunta sia a livello nazionale che regionale, con interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica da effettuare con investimenti adeguati, una migliore collaborazione tra enti e una solida gestione dei dati, considerati i gravi rischi sanitari, ecologici e socio-economici connessi.

E’ quanto emerge dal Rapporto sul Fondo per la bonifica e la messa in sicurezza dei Siti di interesse nazionale, approvato con Delibera n. 87/2024/G dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, prima indagine nazionale di ampia portata sulla situazione dei SIN, che mette in luce, tra l’altro, le criticità gestionali e procedurali nella gestione dell’emergenza. Tra questi, lo scarso coordinamento tra procedimenti di bonifica e misure risarcitorie contro i danni ambientali, a detrimento dell’efficacia degli interventi.

Nel solco degli obblighi europei in materia ambientale – si legge nel documento – il Fondo, istituito nel 2015 presso il Ministero dell’Ambiente, ha sostenuto bonifiche in aree ad alto rischio, come la Valle del Sacco, Brescia Caffaro, Fidenza, Porto Marghera, l’Officina Grande Riparazione ETR di Bologna e l’Area Vasta di Giugliano. Sul fronte PNRR, desta invece preoccupazione l’insufficienza dei fondi stanziati (500 milioni di euro) rispetto agli interventi necessari nelle aree per il cui inquinamento non è stato identificato un responsabile (cosiddetti “siti orfani”), a tutela dell’ambiente e della salute pubblica, ma anche per la ripresa economica delle zone interessate.

Per un coordinamento più strutturato tra Ministero dell’Ambiente, Regioni e Province Autonome, secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, e un potenziamento delle risorse umane e finanziarie degli enti locali – spesso in difficoltà nella gestione delle complesse procedure di bonifica – la Corte suggerisce la costituzione di Unità Operative regionali specializzate per garantire supporto alle attività tecniche di bonifica, maggiore trasparenza e il coinvolgimento delle comunità locali.

Corte dei conti
Ufficio stampa

qui la Deliberazione Corte dei conti, Sez. centrale controllo Stato, 23 settembre 2024, n. 87/2024/G

Taranto, acciaieria ex Ilva

da Thedotcultura, 24 ottobre 2024

Siti di interesse nazionale, la Corte dei Conti mette il problema sul tavolo.

Sono 42 i Sin in Italia che devono essere risanati. (Stefania Valbonesi)

La recente Deliberazione 23 settembre 2024, n. 87/2024/G della Corte dei Conti ha messo sul tavolo un problema mai affrontato veramente eppure sempre bollente nella storia nazionale, ovvero la questione dei Sin, Siti di interesse nazionale, ben 42 sul suolo italiano. Di cosa si tratta è presto detto: stiamo parlando di aree anche molto estese, individuate dallo Stato per legge, considerate ad alto rischio, in cui la quantità e pericolosità degli inquinanti presenti hanno un impatto sull’ambiente circostante sia sotto il profilo ecologico che sanitario.

 Il fatto che la determinazione dei Sin spetti alla legge, è riscontrabile dalla storia recente dell’istituto, dal momento che fino al 2013 si riscontravano  57 Sin, 28 dei quali posizionati sulla fascia costiera e presenti in tutta Italia. Con l D.M. 11 gennaio 2013, i Sin vennero contratti a 39, mentre le bonifiche dei siti declassati ricaddero sotto la competenza delle regioni. I 39 siti rimanenti sono poi aumentati nel corso degli anni arrivando al numero di 42 ad oggi rilevato. Si tratta di 170.000 ettari a terra e 78.000 ettari a mare, ovvero circa lo 0,6% del territorio italiano (0,4% se si considera solo i siti a terra). La necessità di giungere a una bonifica veloce di queste aree, che tuttavia per la particolare pesantezza dell’inquinamento subito devono continuare a essere monitorate per anni anche dopo le bonifiche, è stata messa nero su bianco dalla Corte dei Conti che consegna al legislatore, oltre all’emergenza, una sorta di ricetta per procedere in tempi brevi e soprattutto con efficacia, a partire dalla bonifica, al controllo e monitoraggio della salute pubblica e dell’ambiente per garantire l’efficacia delle misure, alla costruzione di una rete fra comunità locali, soggetti nazionali e in generale le parti interessate, che, dice la Corte, è “cruciale per il successo delle bonifiche”.

Andando a spulciare fra i dati emersi dalla ricerca di OpenPolis, emerge che i Sin sono presenti in quasi tutte le regioni italiane (l’unico che ne è esente è il Molise) ma la regione con più siti in attesa di bonifica è la Lombardia con 5 aree che presentano le caratteristiche di pericolosità previste dalla legge, seguita da Piemonte, Toscana, Puglia e Sicilia con 4 e dalla Campania con 3. Le altre regioni seguono con non più di due Sin a testa, tranne, come detto, il Molise. Da puntualizzare, secondo quanto rileva il sito Open Polis, che Lombardia e Piemonte contengono un sito a metà, per cui si può tranquillamente affermare che la Lombardia possiede 6 Sin e il Piemonte 5. O entrambe la quota di uno. Ma poco importa. il problema rimane: occorre al più presto procedere alle bonifiche.

Ma se la Lombardia ha il poco invidiabile primato della numerosità, non possiede quello della maggiore estensione delle aree inquinate. Al netto della precisazione che non solo le misurazioni possono portare alla scoperta di nuove aree inquinate, ma anche quelle già individuate possono vedere l’inquinamento “camminare” nel territorio allargandosi, Forse il più esteso Sin a livello di territorio è quello di Casale Monferrato, 73.895 ettari, 48 comuni interessati da materiali di costruzione che contengono amianto che provengono dallo stabilimento ex Eternit.  L’amianto è stato rilevato nei suoli e nei sedimenti. Ma non c’è solo la terra, a soffrire è anche il mare. E’ in Sardegna, la maggiore estensione marina avvelenata da attività umane: è l’area perimetrata del SIN “Sulcis Iglesiente Guspinese” che ha un’estensione delle aree a mare di circa 32415 ettari e di aree a terra di circa 19750 ettari, di cui 9100 ettari di aree minerarie.

Arbus, foce del Rio Irvi-Piscinas “rosso”

Cosa è successo nel  Sulcis – Iglesiente – Guspinese? Si tratta di un territorio che per secoli è stato interessato dall’attività mineraria, legata alla presenza di importanti risorse. La contaminazione in queste aree aree riguarda suoli e acque sotterranee ed è costituita da metalli pesanti, con valori di concentrazione superiori ai già elevati valori di fondo naturale. Il problema principale. come si legge nella scheda del Ministero dell’Ambiente, è costituito dalla presenza, diffusa nelle singole aree minerarie, di ingenti volumi di residui della lavorazione del minerale, naturalmente ricchi in metalli pesanti. Su questi per decenni si è consumata l’azione degli agenti atmosferici, che ha causato la dispersione degli inquinanti dell’ecosistema.

Tornando in generale ai Sin, uno dei problemi più pesanti sono le bonifiche da realizzarsi o che, anche realizzate, vanno monitorate e seguite e i danni ambientali da risarcire. Con quali fondi? Solitamente, l’Italia ha provveduto con fondi pubblici, ma il principio del “chi inquina paga”, sulla scorta anche del sostegno europeo, sta dando qualche buon risultato. Paradigmatico della questione, la vicenda del Sin Brescia-Caffaro, che in realtà è collegato agli altri due Sin di Torreviscosa in Friuli e Colleferro alle porte di Roma. La vicenda è stata risollevata recentemente dalla sentenza della Corte di Giustizia europea del 29 luglio 2024, resa nota solo pochi giorni fa.

Intanto, il Sin Brescia-Caffaro, consta di circa 262 ettari, comprendenti anche le rogge, ovvero il sistema di canali naturali e artificiali che innervano l’intera area del SIN, per uno sviluppo lineare di alcune decine di km e per le acque di falda (circa 2.100 ettari).
La perimetrazione suoli comprende: aree agricole (circa 100 ettari), aree residenziali (40 ettari), diverse aree pubbliche (tra cui il Parco Passo Gavia, l’Aiuola di via Nullo, la Pista Ciclabile di via Milano, il Campo sportivo Calvesi, l’area Materna Passo Gavia e scuola Elementare Divisione Acqui), le discariche “di via Caprera”, numerose aree produttive attive e dismesse (fra cui l’area dello stabilimento Caffaro) e, all’esterno del Comune di Brescia, le discariche  di Pianera e Pianerino (Comune di Castegnato) e l’ex cava Vallosa (Comune di Passirano). Il trait d’union fra Brescia, Torviscosa (Udine) e Colleferro (Roma) è la SNIA, o meglio, la controllata Caffaro, i cui stabilimenti, presenti nei tre Comuni, hanno contaminato con l’attività industriale chimica, il territorio con sostanze come il PCB (policlorobifenili), il cromo esavalente, il mercurio, le diossine e i metalli pesanti. Tutte cancerogene. Le spese per le bonifiche, iniziate, concluse e in corso, sono state sostenute dallo Stato o Enti pubblici (per fare un esempio, citiamo l’accordo di programma sottoscritto il 18 novembre 2020 tra il Ministero dell’Ambiente, il Commissario Straordinario SIN “Brescia Caffaro” e gli enti locali, “Per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica del Sito di Interesse Nazionale di Brescia Caffaro”, che ammonta a 80, 56 milioni) ,ma la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea il 29 luglio scorso, diffusa solo pochi giorni fa, potrebbe cambiare le carte in tavola, in ottemperanza al principio “Chi inquina paga”.

Sembra semplice, ma non lo è affatto. Infatti, in realtà la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 luglio 2024 asserisce un principio ancora più importante, che riguarda scorpori, divisioni, nuove società con divisioni di attività. La SNIA, protagonista principale di questa storia, nasce nel 1917 a Torino e negli anni divenuta una grande realtà industriale nei settori della chimica, fibre tessili e biomedicale. La Caffaro, l’altra grande protagonista, nasce a Brescia nel 1906 col nome  Società Elettrica ed Elettrochimica del Caffaro e viene assorbita nella SNIA diventandone una parte integrante. Integrante e importante. Lo si vede nel 2004, quando SNIA procede all’operazione che porta alla nascita di Sorin, operando uno scorporo in cui alla nuova società vengono date tutte le partecipazioni che la società madre SNIA-Caffaro deteneva nel campo biomedicale. Una dote ricca e soprattutto che vedeva una rosea situazione di mercato. La mossa per la Caffaro-SNIA, che aveva trattenuto le attività dell’ambito chimico che stavano andando male (la criticità della situazione fu inutilmente denunciata da sindacati, comitati e lavoratori) valse la dichiarazione di fallimento nel 2009 e l’entrata in amministrazione straordinaria nel 2010. Semplicemente, non c’erano più soldi per riparare i danni ambientali provocati non solo a Brescia, ma anche a Colleferro e Torviscosa.

emissioni industriali

Ma nel frattempo, altre cose erano accadute sotto il sole. Infatti, nel 2015, con la fusione fra Sorin e l’americana Cyberonics, era nata la multinazionale LivaNova. Nel 2021, la Corte d’Appello di Milano aveva inflitto una condanna alla giovane multinazionale, in cui si ingiungeva di pagare 453 milioni di euro allo Stato per i danni ambientali causati negli stabilimenti Caffaro di Brescia, Torviscosa e Colleferro. Per quanto riguarda la cifra, i giudici avevano tenuto conto, nel calcolo, delle considerazioni dei consulenti tecnici d’ufficio, che a loro volta si fondarono sui rapporti dell’ Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), sull’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpat) di Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Lazio e sul progetto di bonifica per il sito industriale di Brescia. La cifra andava ripartita fra Brescia per 250 milioni di euro , Torviscosa per 117 milioni di euro e Colleferro.per 86 milioni.

LivaNova però fece ricorso contro la sentenza d’Appello, rivolgendosi alla Cassazione. In sostanza, LivaNova opponeva il fatto che non si potesse imputare sotto forma di capitale passivo a Sorin i costi della bonifica e i danni ambientali, in quanto, al momento della scissione, non erano definiti. La Cassazione, sospendendo il giudizio, chiamò in causa la Corte di Giustizia Europea, sollevando la questione pregiudiziale ex art. art. 267 del TFUE attribuisce alla CGUE , ovvero la procedura che consente di chiedere alla corte europea di stabilire se un’interpretazione data da un giudice nazionale è conforme al diritto dell’UE, e può quindi essere applicata.

La sentenza della Corte di Giustizia europea del 29 luglio scorso, dando il placet all’interpretazione del giudice italiano, mette in chiaro un principio che farà scuola: se una società ha tenuto un comportamento illecito prima di una scissione, ne devono comunque rispondere sia la società scorporata sia la società beneficiaria. Nel caso in esame, LivaNova, deve rispondere dell’inquinamento ambientale e dei danni, assumendosi i costi derivati dalla condotta illecita tenuta dalla società precedente prima della scissione . Ora l’attesa è per la pronuncia della Cassazione, che non dovrebbe suscitare sorprese.

Una sentenza fondamentale anche in termini ambientalisti dunque, perché raffina il concetto “chi inquina paga”; che tuttavia non toccherà i cosiddetti “siti orfani”, ovvero di cui è impossibile individuare la paternità del disastro ambientale. Sono 126 sparsi in tutta Italia, secondo l’ultimo elenco ministeriale del maggio 2024, per 7.561.165 mq di superficie e per un costo complessivo di 500 milioni . Ma qui si apre un altro capitolo.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

(foto A.N.S.A., da mailing list ambientalista, S.D., archivio GrIG)

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