di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Ufo e folklore. Un accostamento che gli ufologi hanno fatto innumerevoli volte dal 1947 ad oggi. Di solito, per sostenere che i racconti su incontri tra esseri umani ed entità mitologiche, antiche o moderne, fossero un travestimento delle presunte “intelligenze Ufo”. Altre volte l’appaiamento è stato tentato in maniera più adeguata rispetto alle discipline che si occupano di studiare la capacità delle culture di creare verità poetiche e sempre nuove, sempre sorprendenti. Queste “verità” che sono con noi, qui ed oggi, vivacissime.
Quello su cui ci soffermeremo sembra un caso esemplare di questa vitalità: riguarda una storia di misteriosi esseri rapitori del folklore haitiano, somiglianti in una certa misura al mito contemporaneo dei rapimenti alieni.
Dall’ufologia all’antropologia
Negli anni ‘70 del secolo scorso, alcuni ufologi inglesi si staccarono in maniera radicale dalla credenza dominante nel loro ambiente, quella che gli UFO fossero velivoli extraterrestri, e persino dall’idea che la disciplina ufologica potesse avere una sua autonomia rispetto alle scienze dell’uomo. Occuparsi di “dischi volanti” voleva dire occuparsi delle forme che il folklore può assumere oggi.
Tale fuoriuscita dall’ufologia di alcuni appassionati britannici portò a una delle avventure intellettuali più fruttuose dell’intera storia della disciplina. Dal 1976 al 2009, questo gruppo di studiosi produsse una lunga serie di lavori nel campo dell’antropologia, del folklore, delle interpretazioni psicosociali e della storia delle idee, sia sugli UFO sia su altre presunte “anomalie”. I lavori furono pubblicati in una fanzine tanto modesta nella grafica quanto importante per il contenuto: una piccola testata che dapprima si chiamò MUFOB (da “Merseyside UFO Bulletin”), poi Magonia.
Alieni rapitori e vudù haitiano?
All’inizio degli anni ‘80 fra gli ufologi esplose la moda dei rapimento UFO, le cosiddette abductions. Non fu certo un fulmine a ciel sereno, ma a far decollare davvero la nuova mania di tanti ufologi fu Missing Time, un libro pubblicato nel 1981 da Budd Hopkins (1931-2011), un importante artista newyorkese che da allora si dedicò quasi a tempo pieno ai rapimenti.
Da parte sua, gli autori britannici di Magonia diedero un contributo originale alla grande attenzione di quel periodo per i “rapimenti”, offrendo il punto di vista delle scienze umane per l’analisi di quelle esperienze che stavano emergendo. Uno dei tanti spunti interessanti di Magonia al dibattito sul significato delle abductions arrivò proprio da uno da uno dei suoi principali animatori, Peter Rogerson (1951-2018), un intellettuale che si è occupato di molti aspetti dell’immaginario contemporaneo – e, fra questi, anche di ufologia.
Si tratta di un contributo pionieristico, seppur stringato: uscì nell’estate del 1979 su MUFOB, la prima versione di Magonia, quando il coperchio del pentolone delle abductions ancora non era saltato. Rogerson si era accorto che un antropologo importante, Alfred Métraux (1902-1963), specializzato nello sciamanesimo e nelle culture dei popoli dell’America centro-meridionale, aveva descritto una curiosa ondata di dicerie che circolavano ad Haiti negli anni ‘40. Lo aveva fatto in uno dei suoi lavori principali, Le vaudou haïtien (Gallimard, Parigi, 1° ed. 1958), frutto di ricerche che aveva condotto e poi diretto sull’isola tra il 1941 e il 1950.
Secondo Rogerson, quella descritta da Métraux era, nel senso ampio del termine, una “sindrome da rapimento”, una delle analoghe manifestazioni culturali delle quali anche le abductions Ufo contemporanee erano parte.
Le ricerche di Métraux
In effetti, dal punto di vista della struttura narrativa, il materiale raccolto da Métraux è suggestivo.
La cittadina di Marbial era terrorizzata dal fatto che le sue strade, durante la notte, erano percorse da una vettura i cui fari avevano una luce blu. Quel mezzo altro non era se non un’auto-zobop, cioè il veicolo con il quale agivano gli stregoni zobop. Nella capitale la voce era ancora più aggressiva che in provincia: a Port-au-Prince si diceva che gli zobop disponessero di un’auto-tigre che serviva per rapire le persone con l’uso di strumenti magici, per poterli poi sezionare e divorare con calma. Un amico di Métraux, sospettato di essere stato addestrato dagli zobop a guidare l’auto di cui si servivano, fu ridotto a malpartito da una folla che voleva linciarlo.
Una parte importante del dossier presentato da Métraux era costituita dal racconto fatto in prima persona da un “rapito”. Si trattava di un personaggio speciale, al contempo un privilegiato e una vittima – una percezione di sé intorno alla quale sovente oscillano anche i rapiti UFO. Si chiamava Divoine Joseph, e in creolo era quello che si chiama un dokté-fey, cioè un “dottore-delle-foglie”, un guaritore in grado di curare con le foglie e con la magia insegnatagli dagli lwa, divinità vudù.
Era appena stato a trattare un suo paziente, e, dopo aver avuto dei cattivi presagi:
Arrivato a breve distanza da Gosseline fui accecato da una luce blu. A quel punto persi i sensi per la paura. Quando rinvenni ero dentro un veicolo, circondato da individui mascherati e orribili. I miei guardiani mi offrirono del denaro perché non dicessi quello che mi era accaduto. L’auto si fermò e mi fecero scendere. Poi mi risvegliai nel mio letto.
A quanto pare in realtà era rientrato a casa in maniera autonoma, ma in stato di coscienza alterata. La sua compagna disse che sembrava un pazzo furioso. Minacciava tutti e a quanto pare aveva allucinazioni. A farlo tornare alla normalità ci pensò un sacerdote vudù, un oungan.
Métraux spiegava che la credenza negli zobop, stregoni che avevano ereditato conoscenze esoteriche di origine africana, era diffusissima sull’isola negli anni in cui lui si trovava ad Haiti. Di solito questi individui comparivano agli incroci, proprio come in migliaia di altri racconti d’incontro con esseri soprannaturali di tutto il mondo; avevano un aspetto spaventoso e potevano trasformare i rapiti in zombie, oppure in animali. A volte potevano utilizzare i rapiti per sacrifici umani, o per mangiarseli. Grazie alla magia potevano trasportare se stessi e chiunque altro da un luogo all’altro in maniera istantanea. A volte li si poteva vedere anche nel cielo, dove lasciavano una scia luminosa.
L’etnologo dava particolare importanza all’elemento dell’amnesia, che in diversi racconti da lui raccolti accompagnava i rapimenti degli zobop. Un contadino protestante, arcinemico del vudù, ad esempio, incontrò su una strada tre esseri misteriosi, perse conoscenza e si risvegliò qualche giorno più tardi con dei segni incisi sul torace. Erano quelli che marcavano la condizione del sacerdote vudù, cosa che diventò tempo dopo, abbandonando il Cristianesimo (Métraux, 1958, pp. 55-6).
Altre storie di rapimenti zobop
L’approccio folklorico e antropologico agli UFO privilegiato da Magonia ha un corrispettivo in diversi studiosi francesi. Il principale di questi è Bertrand Méheust (n. 1947), ma oggi ci interessa di più parlare del folklorista e storico Frédéric Dumerchat (n. 1954), che ha portato il suo approccio sulle pagine di OVNI-Présence – una rivista svizzera redatta da studiosi della dimensione mitica degli UFO e delle altre “anomalie”.
Dopo la fine del sodalizio di OVNI-Présence, nel 2011, Dumerchat ha riconsiderato gli zobop in relazione ai rapimenti UFO sulle pagine della Gazette Fortéenne, attraverso la quale ha offerto un quadro più ampio dell’antropologia degli zobop
In effetti – ha chiarito – molti altri, dopo Métraux, hanno presentato le storie dei misteriosi zobop e dei loro sistemi per rapire uomini con le loro vetture. Da una rassegna della letteratura è risultato più evidente che alcune categorie di rapitori ultraterreni, proprio come gli alieni, disponevano di gadget supertecnologici in grado d’influire sui malcapitati. A confermare l’ampia e recente presenza di questa dimensione è stato il maggior sociologo haitiano specializzato nel vudù, Laënnec Hurbon (n. 1940), che se ne è occupato in Le barbare imaginaire (Cerf, Parigi, 1988). Finalmente, con Hurbon è stato possibile ascoltare la voce degli studiosi haitiani discutere il panorama religioso e i miti correnti della loro società. Sentite dunque che cosa sono in grado di fare gli esseri che si aggirano per le vie dell’isola.
Gli champwèl (i “senzapeli”) sono malvagi. Quando li incontri, pensano soltanto a renderti ebete. Hanno una torcia elettrica, non ti mangiano, ma ti accecano; quando torni a casa, però, sei moribondo.
Gli champwèl hanno una luce che può richiamare l’angioletto buono (nel vudù, una delle anime dell’essere umano, NdR) della persona: è la koutlanp (abbaglia la persona con una lampada elettrica o a gas), e chi ne è colpito, quando riesce a tornare casa, cade malato.
Ma ancora più rilevanti sono le storie che in precedenza erano state raccolte dal prete cattolico Jean Kerboull in Vaoudou et pratiques magiques (Belfond, Parigi, 1977).
Un giovane aveva raccontato al sacerdote che, una notte, mentre attraversava a piedi una foresta, si era ritrovato faccia a faccia con un’auto dai fari abbaglianti. Uscito da un boschetto, gli era stato dato ordine di salire sui sedili posteriori. Più morto che vivo, aveva obbedito e si era ritrovato fra “due energumeni”. Il rimedio e la salvezza per il giovane arrivano in un modo davvero insolito: in molti racconti folkloristici moderni – ma precedenti la nascita dei dischi volanti, nel 1947 – anche in questo caso compare il motivo del guasto inspiegabile del motore, poi rapidamente inglobato nelle esperienze UFO contemporanee. Il giovane conosce alcune preghiere magiche: le recita, il motore dell’auto si guasta e allora gli esseri che l’hanno prelevato lo lasciano andare, dicendogli che è “troppo forte” per loro.
Sempre Kerboull, nel 1974 aveva raccolto un racconto ancora più strano, pure stavolta fatto in prima persona dal protagonista. È particolare, perché ha per protagonista un prete cattolico haitiano. Di notte, mentre il sacerdote stava rientrando nella cittadina di Jacmel, scorse i fari di un camion colossale che occupava tutta la strada. Aveva suonato il clacson, ed ecco accadere un fatto stupefacente: il camion aveva fatto un’inversione di rotta ad una velocità incredibile, in uno spazio strettissimo e, una volta che era parso allontanarsi, aveva continuato a mostrare i fari anteriori (cioè, senza che fossero visibili le luci posteriori! Un vero e proprio quasi-UFO…).
Da questo punto in poi, il protagonista aveva inserito nel suo racconto elementi di tipo più strettamente fantasmatico. Continuando a seguire il camion misterioso, infatti, l’uomo aveva incrociato una strana casetta che sembrava in fiamme, ma senza che mura e tetto si consumassero. Aveva pensato fosse un luogo di ritrovo di miscredenti, e si era allontanato. Il giorno dopo, tornato sul posto con un passeggero, non era riuscito più a trovare traccia dell’abitazione in fiamme. Alla fine, aveva attribuito tutto quanto gli era capitato la notte prima a un tentativo di rapimento da parte di “lupi mannari” dotati di mezzi magici.
“In prima persona”
Come si vede, un certo numero di racconti d’incontro con gli zobop o con altri esseri che ruotano intorno al vudù sono fatti in prima persona. Nel suo lavoro, Frédéric Dumerchat invita chi si accosta a questo genere di racconto, così come a quelli con esseri associati al mito UFO, a non farsi prendere dall’ingenuità della razionalizzazione a tutti i costi, e dal trascurarne i significati psicologici e culturali.
Per Dumerchat, tuttora gli specialisti delle varie scienze dell’uomo mancano di elaborazioni sufficienti a render conto di ogni aspetto di queste esperienze. Per questo, invita ad approfondire e a spiegare in modo adeguato e senza pretendere mai di chiudere i ragionamenti su ciò che questi prodotti culturali rappresentano sia sul piano individuale sia su quello collettivo. Poi, però, procede in avanti. La presa di coscienza del fatto che le tradizioni folkloristiche sono sovente trasmesse parlando in prima persona – ricorda – è una linea di lavoro che gli etnologi hanno chiara sin dagli inizi del Ventesimo secolo, in particolare grazie alla strada aperta dall’antropologo americano Walter Evans-Wentz (1878-1965).
Grazie alla sua voglia di ascoltare con rispetto ciò che le persone interpretavano quando si dicevano protagoniste di incontri con esseri mitici di ogni tipo, Evans-Wentz produsse un volume classico, The Fairy Faith in Celtic Countries (1911). Forse non a caso, negli anni ‘60 del Novecento proprio questo libro fu saccheggiato a piene mani e in modo a dir poco discutibile da ufologi influenti come l’americano Jacques Vallée, promotore dell’idea irrazionale di un mondo dominato da continui incontri con esseri incontrollabili – entità UFO incluse.
Perché l’automobile-UFO?
Un altro folklorista davvero importante per lo studio scientifico dei fenomeni anomali è il francese Michel Meurger (1946-). Meurger ha mostrato con chiarezza (Alien abduction: l’enlèvement extraterrestre, de la fiction à la croyance, Scientifictions, 1995) che le storie di rapimenti compiuti con mezzi tecnologici moderni o addirittura da fantascienza, prima di diventare folklore vissuto dagli uomini e dalle donne del Ventesimo secolo, hanno visto una lunga incubazione nella science-fiction, nella letteratura popolare e in quella d’anticipazione del secolo precedente.
Questo folklore vissuto in maniera individuale, come esperienza, s’inscrive però in maniera forte nelle subculture specifiche dei protagonisti, anche se tratti comuni di questa vasta categoria di storie sono la notte, l’azione di esseri mitici di vario genere, l’amnesia, il viaggio magico, la manipolazione dei corpi, la sessualità.
I mezzi dei “maghi” e il suo ruolo
Come appare evidente, in questi rapimenti – proprio come in altri “prelevamenti” moderni come quelli Ufo – non conta soltanto l’agente del rapimento (la strega, la fata, poi lo stregone vudù e l’alieno): sono importantissimi anche i mezzi tecnici con i quali l’azione viene compiuta. Anzi, forse nelle storie di rapimenti soprannaturali moderni il mezzo è diventato più importante del “mago”.
Nel caso degli zobop, ad esempio, al centro c’è l’automobile degli stregoni. Vero e proprio ambito liminale fra lo spazio privato e quello pubblico, fin dal suo apparire l’automobile è balzata al centro dell’immaginario dell’umanità, di solito come mezzo quasi-satanico, violento, inumano e al tempo stesso fornitore di capacità di spostamento e potenza senza precedenti. Vi rimandiamo, sul punto, a due articoli su veicoli “malvagi”, uccisori e rapitori: quello in cui è discusso il mito delle “auto nere” durante l’insurrezione bolscevica nella Russia del 1917, e un secondo sulle “ambulanze nere” usate nel 1990 in Italia, soprattutto al Sud, per rapire le vittime di presunti espianti forzati di organi.
Pure gli zobop sono motor, come indica il loro nome. In altri termini, questi esseri mitici non sarebbero così minacciosi e affascinanti, se nel Ventesimo secolo ancora si fossero spostati a piedi.
Dumerchat ha fatto notare che, al tempo in cui le credenze sui rapimenti vudù erano state scoperte da Métraux, ad Haiti – paese da sempre fra i più poveri del mondo – le automobili erano ancora assai rare: potevano dunque essere benissimo considerate come un qualcosa di enigmatico e di proveniente da “altrove”.
È all’intreccio fra queste dimensioni individuali e collettive che si colloca il folklore dei rapimenti mitici della modernità.
Le società segrete, regno di potenti iniziati
Infine, l’altro fattore importante per comprendere la struttura delle voci sull’auto-zobop haitiana è che i misteriosi individui che le guidano non sono isolati: sono esponenti di un vero e proprio mondo a parte. Questo genere di esseri può venire da un pianeta umanamente gelido e scientificamente avanzatissimo, oppure far parte di bande di rapitori, o anche, come nella società haitiana e in molte società africane, esser membri di società segrete composte da terribili iniziati. Nel caso di Haiti, peraltro, queste convinzioni erano in qualche misura una triste realtà in gruppi criminali sovente legati al potere dittatoriale della famiglia Duvalier, che dominò per decenni l’isola grazie anche alle milizie dei tonton-macoutes connesse agli ambienti dei credenti vudù.
Se considerati in un rapporto corretto e senza automatismi ingenui, il legame tra folklore e UFO risulterà evidente, e leggibile in maniera adeguata. I rapimenti UFO sono un genere di folklore proprio come le azioni perpetrate dai motor-zobop haitiani: nelle loro differenze, attingono a contenitori culturali e psicologici analoghi, ma producono risultati narrativi diversi, perché figli di contesti, possibilità e società diverse. Pensare che gli zobop esistano nel senso più piano del termine sarebbe ingenuo, come ingenuo è pensare che ogni giorno, sulla Terra, agiscano indisturbati alieni che ci sottopongono a vessazioni di ogni genere.
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