Nell’ottobre 2024 il Comune di Sant’Antonio Abate (NA) ha avviato le operazioni di sgombero del complesso edilizio Grand Hotel La Sonrisa, noto al pubblico televisivo come Il Castello delle Cerimonie, teatro dell’omonimo seguito programma televisivo di Real Time.
Il complesso edilizio è frutto di una lottizzazione abusiva, secondo quanto riconosciuto dalla sentenza Cass. pen., Sez. III n. 37369 del 14 ottobre 2024.
Sul piano giuridico, prescritte le responsabilità personali, il caso concreto ha offerto l’occasione per un’ampia e argomentata motivazione della pronuncia della Suprema Corte, in particolare sulle caratteristiche e il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva (artt. 30 L e 44 L del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 23 ottobre 2024
Cass. Sez. III n. 37369 del 14 ottobre 2024 (UP 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Polese
Urbanistica. Lottizzazione abusiva caratteristiche e momento consumativo del reato.
Fattispecie relativa alla realizzazione in area a destinazione agricola di struttura ricettiva
(n. 14 massime all’interno del documento con riferimento alle pagine della motivazione)
MASSIME
1) le opere integranti una illecita lottizzazione siccome in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione, per potere essere condonate devono essere necessariamente ricomprese, ai sensi dell’art. 29 della medesima legge 47/1985, in una apposita variante, ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica, con la conseguenza che il rilascio di più titoli abilitativi nell’area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita tale attività e consegue a maggior ragione che il titolo abilitante sopravvenuto legittima soltanto l’opera edilizia che ne costituisce l’oggetto, ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica. I manufatti abusivamente eseguiti, in attuazione del fine lottizzatorio e nell’ambito della lottizzazione, possono essere, dunque, “sanati”, previa valutazione globale dell’attività lottizzatoria secondo il meccanismo previsto dagli artt. 29 e 35, comma 13, della legge n. 47/1985, ma l’effetto estintivo non si estende al reato integrato dall’attività illecita di lottizzazione (mancando pure ogni previsione nella tabella predisposta per il calcolo dell’oblazione), per il vulnus portato alla pianificazione urbanistica (cfr. tra le altre Sez. 3, n. 8557 del 20/12/2002 Ud. (dep. 21/02/2003 ) Rv. 224167 – 01). (Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007 (dep.2008), Rv. 238983; Sez. 3, n. 28532 del 23/6/2009, Rv. 244441). Corte Costituzionale, sentenza n. 107/1989
2) in presenza di una lottizzazione abusiva deve escludersi la possibilità di sanatoria in senso stretto, disciplinata dall’art. 36 del Testo Unico dell’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), e non dal cd. condono, delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo conseguente ad accertamento di conformità, dal momento che dette opere sono senz’altro non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, sicché le stesse non sono sanabili, così come la lottizzazione abusiva (Sez. 3 – , n. 44517 del 17/07/2019 Rv. 277261 – 01; Sez. 3, n. 28784 del 16/5/2018, Rv. 273307, con richiami ai prec.)
3) il rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nell’area interessata da una lottizzazione abusiva “non rende lecita un’attività che tale non è: la concessione non ha, infatti, una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio” (Cass., Sez. 3, 21.4.1989, n. 6160, Greco). p.12
4) in tema di elemento psicologico della lottizzazione (dolo o colpa), non occorre che la volontà dell’agente sia protesa a vanificare le finalità di tutela della norma incriminatrice, essendo sufficiente che egli compia attività rivolte alla trasformazione di terreni, non solo con inizio di opere edilizie o di urbanizzazione, ma anche soltanto con atti giuridici indirizzati a realizzare l’edificazione, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite da leggi statali o regionali. Il reato si connette sempre e soltanto all’inosservanza delle “prescrizioni” urbanistiche anzidette, sicché il proprietario di un terreno non può predisporne l’alienazione in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui esso è situato, ed il soggetto che acquista un fondo per edificare deve essere cauto e diligente nell’acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona riferite all’area in cui vuole costruire; il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell’acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore.
Consegue anche che il tardivo intervento repressivo dell’amministrazione comunale, è inidoneo a configurare alcuna incolpevole presunzione di legittimità come questa Suprema Corte ha pure precisato. p. 13 e 43
5) in caso di vincolo di inedificabilità assoluto e sopravvenuto rispetto alla disciplina di condono di riferimento lo stesso vincolo, seppur inteso in senso relativo, deve comunque essere considerato in sede di rilascio della sanatoria ( per tutte cfr. Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 23/03/2023) 21-04-2023, n. 4071)
6) non è prevista alcuna necessaria pedissequa elencazione tecnica degli interventi di urbanizzazione correlati alla lottizzazione abusiva, essendo piuttosto più che adeguato un giudizio sulla rilevanza dell’intervento rispetto a una riserva di pianificazione urbanistica che, se riconosciuta alterata, non può che risentirne anche sul piano degli interventi di urbanizzazione a farsi ( da affidarsi poi eventualmente a tecnici) p. 33
7) nella lottizzazione abusiva viene in rilievo la necessità inevitabile non solo di interventi di urbanizzazione quantitativamente imponenti, ma anche qualitativamente qualificati (come tali non affidabili a privati), sia sul piano di una loro previsione e predisposizione proveniente solo dall’ente pubblico competente, sia nel senso di un loro raccordo organico con le circostanti aree, anche esso non in grado di prescindere da una pianificazione pubblica, e non è necessario, per configurare il reato, specificare accanto agli interventi edili già di per sé incidenti sulla riserva di pianificazione, precisi e analitici interventi di urbanizzazione a farsi, che peraltro, ben possono avere già integrato, anche essi, la fattispecie lottizzatoria. p. 34.
8) assumono rilievo per la prosecuzione della lottizzazione abusiva, non soltanto quelle condotte che si concretizzano nella realizzazione di interventi edilizi o che comunque aggravino lo stravolgimento dell’assetto attribuito al territorio dagli strumenti urbanistici, ma anche ogni altra condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente. P. 48
9) L’illecito lottizzatorio si realizza allorquando sia completo dei requisiti necessari e sufficienti per la integrazione della fattispecie incriminatrice e il momento consumativo perdura nel tempo fino a quando l’offesa tipica raggiunge, attraverso un passaggio graduale da uno stadio determinato ad un altro ad esso successivo, una sempre maggiore gravità; in ciò la lottizzazione, quale reato progressivo nell’evento, partecipa alla medesima disciplina del reato permanente, anche mutuandone ricadute giuridiche, e del quale ha in comune la struttura unitaria, la instaurazione di uno stato antigiuridico ed il suo mantenimento, ma ha in aggiunta un progressivo approfondimento dell’illecito attraverso condotte successive, dirette ad aggravare l’evento del reato. Nella ipotesi di lottizzazione mista, la permanenza del reato si protrae finché dura l’attività negoziale o di edificazione, e cioè, in tale ultima ipotesi, fino al completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti, oggetto del frazionamento). (cfr. in motivazione Sez. 3, Ordinanza n. 24985 del 20/05/2015 Rv. 264122 – 01; Cass. 13/6/2014, n. 25182 (Sez. 3 – n. 12459 del 13/01/2021 Rv. 281576 – 01).
10) in tema di lottizzazione il momento consumativo del reato, che segna la decorrenza del termine di prescrizione, si individua nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l’utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica. (cfr. in motivazione Sez. 3, Ordinanza n. 24985 del 20/05/2015 Rv. 264122 – 01; Cass. 13/6/2014, n. 25182 (Sez. 3 – n. 12459 del 13/01/2021 Rv. 281576 – 01).P. 49
11) non è sufficiente che la contestazione del reato di lottizzazione, per sua tipica natura comprensiva di interventi particolarmente imponenti e complessi, siccome idonei a stravolgere la pianificazione e programmazione pubblica del territorio, comprenda in sé singoli interventi edilizi di per sé considerati e come tali meno rilevanti, sul piano materiale e – peraltro – inevitabilmente, anche sul piano della significatività urbanistica, per sostenere, solo per questo, la coincidenza delle decisioni, come tale rilevante ex art. 649 cod. proc. pen. in ordine al principio di cui al brocardo ne bis in idem. P. 50
12) la possibilità di verificare il rispetto del principio di proporzionalità attraverso la eventuale praticabilità di una reazione, di tipo demolitorio e diversa da quella della confisca, trova coerente e condivisibile risposta, in senso negativo, circa l’applicabilità di tale misura demolitoria, in un quadro di ricostruzione di sistema della disciplina edilizia e urbanistica interna, amministrativa e penale, nonché nella prospettiva dell’affidamento, comunque, alla discrezionalità del Legislatore nazionale, del compito di rinvenire le soluzioni ritenute più adeguate per la tutela del territorio e, inevitabilmente, dell’ambiente, pur nel rispetto dei beni patrimoniali dei singoli e quindi del principio di proporzionalità. Corte Cost. sentenza dell’8 luglio 2021, n. 146, P. 58
13) ai fini del giudizio di proporzionalità tra la confisca lottizzatoria e il diritto di proprietà, il peso specifico dell’esigenza della tutela del territorio, di fatto implicante la protezione non solo del territorio in sé ma anche di altri beni inevitabilmente sempre più interconnessi, anche alla luce, per quanto di interno interesse, delle più recenti riforme costituzionali in materia di tutela dell’”Ambiente”, appare progressivamente crescente anche in un contesto normativo europeo, ove si consideri, da ultimo, il rilievo che si evince per tali beni attraverso l’adozione, recente, del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 giugno 2024 on nature restoration and amending Regulation (EU) 2022/869, recante norme sul ripristino degli ecosistemi al fine di garantire il recupero di una natura ricca di biodiversità e resilienza in tutto il territorio dell’Unione. Disciplina, questa, che appare certamente sintomatica di un progressivo sempre maggior rilievo, anche nel quadro dei cambiamenti climatici da fronteggiare, della tutela degli assetti naturali e programmati del territorio.P. 59
14) in materia di lottizzazione abusIva la confisca presenta natura amministrativa e ripristinatoria ( e non punitiva). Essa assieme all’ordine di demolizione si inserisce in un complesso sistema normativo di ripristino del territorio, costruito dal legislatore nella sua ormai riaffermata discrezionalità e sviluppato con varietà di iniziative tutte comunque dirette alla funzione di riassetto del territorio e della legalità urbanistica violata, rispetto al quale la stretta correlazione, sul piano funzionale, dei due predetti rimedi, non può che portare a riconoscere ad entrambi il carattere di misure amministrative ripristinatorie e non di pena (cfr. consolidata giurisprudenza di legittimità, Corte EDU, Sez. I, 12 settembre 2024, n. 35780/18 – L. c. Italia, Corte Costituzionale, con sentenza dell’8 luglio 2021, n. 146, P. 61)
SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 giugno 2022, la Corte di Appello di Napoli a seguito di appello proposto da Polese Agostino, Greco Rita e Polese Maria Rosaria riformava parzialmente la sentenza del 8.11.2016 del tribunale di Torre Annunziata, con la quale Polese Agostino e Greco Rita erano stati condannati in relazione al reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44 lett. c) del DPR 380/01, mentre Polese Maria Rosaria era stata assolta per non aver commesso il fatto, dichiarando non doversi procedere nei confronti di Polese Agostino per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione e nei confronti di Greco Rita per intervenuta morte del reo, e confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la predetta sentenza Polese Agostino e Polese Maria Rosaria, tramite i difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo sei motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo deducono vizi di violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b), e il vizio della mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza della lottizzazione abusiva. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in vizi di violazione di legge e di mancanza di motivazione non essendosi confrontata con le doglianze difensive riguardanti i seguenti punti: a) la insussistenza, sull’area interessata, di alcun vincolo di inedificabilità assoluta; b) l’intervenuto rilascio di una concessione in sanatoria, numero uno, del 1988, (cd. condono) che avrebbe assoggettato la struttura di riferimento ad un vincolo di destinazione turistico-ricettiva di cui all’articolo otto della legge numero 217 del 1983; c) la mancanza, a supporto della tesi dell’imponenza della struttura, di ogni riferimento alla violazione di oggettivi parametri normativi; d) l’assenza di prova di un intervento pubblico volto alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria conseguenti all’insediamento alberghiero.
Con riferimento al punto a), si esclude l’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, osservando che l’articolo cinque della legge regionale numero 35 del 1987 avrebbe stabilito solo una misura di salvaguardia, per impedire il rilascio di concessioni edilizie ai sensi della legge numero 10 del 1977 fino all’approvazione o adeguamento dei piani comunali alle prescrizioni del PUT, di cui alla predetta legge numero 35 e quindi, tale previsione, impositiva, invero, di un limite al solo rilascio di concessioni ex L. 10/1977, non poteva impedire le procedure di condono di cui alla legge numero 47 del 1985 e numero 724 1994.
Posto che il predetto piano prevederebbe vincoli di inedificabilità assoluta per zone diverse da quella, numero sette, in cui insistono le opere di interesse, si aggiunge che anche a voler ammettere che la predetta misura di salvaguardia abbia imposto un vincolo di inedificabilità assoluta sull’area della ritenuta lottizzazione, il nucleo originario della struttura ricettiva sarebbe rimasto comunque condonabile ai sensi dell’articolo 33 della legge numero 47 del 1985. Ciò perché il Put sarebbe entrato in vigore nel luglio del 1987, e quindi dopo la realizzazione delle predette opere, realizzate tra il 1979 e il 1983 e come tali pertanto sanate con la predetta concessione in sanatoria numero otto del 1988.
Neppure potrebbe ricavarsi l’inedificabilità assoluta dell’area dalla circostanza che il Comune di Sant’Antonio Abate fosse privo della carta dell’uso agricolo del suolo, siccome la subordinazione del rilascio di concessioni in zona agricola alla predetta carta sarebbe stata disposta con l’articolo uno della legge regionale numero 38 del 1994, attraverso l’introduzione del comma due, attualmente tre, dell’articolo cinque del Put. Anche a voler ammettere che con la citata legge numero 38 si sarebbe introdotta la necessità della carta dell’uso agricolo del suolo per il rilascio di concessioni in zona agricola nei comuni di cui alla zona numero sette del Put, con correlata introduzione di un vincolo di inedificabilità assoluta sull’area di interesse, si dovrebbe comunque considerare che tanto sarebbe stato disposto con legge del 1994, entrata in vigore molto dopo il rilascio della concessione in sanatoria numero otto del 1988 e del successivo rilascio del nulla-osta paesaggistico del 1992.
Da tale quadro emergerebbe un vizio di violazione di legge, laddove la sentenza avrebbe richiamato l’articolo 146 del decreto legislativo numero 42 del 2004 per escludere la rilevanza giuridica, ai fini della concessione in sanatoria del 1988, del successivo nulla-osta, mero requisito di efficacia della concessione in sanatoria e non autonomo presupposto per il rilascio del predetto titolo, prescritto dall’articolo sette della legge numero 1497 del 1939. Sul punto la corte sarebbe rimasta silente.
Dalla rilevata circostanza per cui la legge numero 38 avrebbe introdotto solo nel 1994 un’ inibitoria temporanea al rilascio di titoli edilizi e non quindi un vincolo di inedificabilità assoluta, discenderebbe anche la piena legittimità degli ulteriori provvedimenti di condono, numero uno del 1998 e numero 21 del 2009, trattandosi di vincolo introdotto dopo la realizzazione delle opere abusive, avvenuta entro il termine del 31/12/1993 come fissato dall’articolo 39 della legge numero 724 del 1994.
Riguardo al punto di cui alla lettera b) sopra anticipato, si sostiene che a seguito della concessione in sanatoria numero otto del 1988 la struttura interessata sarebbe stata assoggettata ope legis, ai sensi dell’articolo otto della legge numero 217 del 1983, ad un vincolo di destinazione alberghiero, poi trasformato, ai sensi di legge regionale numero 16 del 2000, in un vincolo di destinazione provvisorio ex articolo tre, nelle more dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e fino all’approvazione delle relative varianti per la definizione di quello definitivo. Il predetto vincolo si estenderebbe anche ad altre parti della struttura alberghiera costituenti elementi integrali della stessa, e quindi riguarderebbe l’intero complesso dei ricorrenti. Con l’ulteriore conseguenza che gli ampliamenti della struttura alberghiera, poi oggetto di altri due provvedimenti di condono, non potrebbero ritenersi realizzati in area agricola, con l’effetto per cui l’intervento edilizio realizzato, stante ormai l’esistenza di un vincolo di destinazione alberghiera, non avrebbe impresso al territorio una destinazione in contrasto con le prescrizioni di programma della pubblica amministrazione.
Per quanto poi attiene all’argomento di cui alla suindicata lettera c), si sottolinea il vizio di carenza di motivazione perché generica, rispetto al giudizio di imponenza della struttura in questione ed ai suoi riflessi sulle opere di urbanizzazione. Si sottolinea che secondo l’indice di edificabilità per insediamenti alberghieri, previsto dall’articolo 21 del Put, sull’area di interesse si sarebbe potuta realizzare una struttura alberghiera molto superiore a quella oggetto di contestazione e pari a circa 12.000 metri quadri rispetto a 40.000 mq realizzabili. La corte d’appello avrebbe formulato un giudizio apodittico, fondato sulla mera valorizzazione dei metri quadri occupati dalle superficie delle opere realizzate senza comparazione con l’estensione – pari ad oltre 40.000 mq. – dell’area asservita alla struttura alberghiera. La criticata imponenza della struttura neppure potrebbe essere desunta dal riferimento a rilievi aerofotogrammetrici. Inoltre, la disciplina di condono di cui alla legge numero 47 già citata non poneva, attraverso il combinato disposto degli articoli 31 e 34, alcun limite di consistenza plano-volumetrica, solo differenziando il pagamento dell’oblazione in ragione della destinazione d’uso e delle dimensioni.
Quanto all’argomento di cui alla lettera d) sopra indicata, e quindi al tema dell’individuazione delle opere di urbanizzazione necessarie, la corte di appello non si sarebbe confrontata con i motivi di gravame e non avrebbe specificato la tipologia delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria necessaria rispetto alle strutture realizzate.
4. Con il secondo motivo si deducono vizi di violazione di legge anche processuale e vizi di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico anche ai fini della statuizione di confisca dei beni. Si osserva che la corte avrebbe tradito un implicito convincimento della comprovata insussistenza del dolo, e che nel contempo vi sarebbe la percezione, da parte della Corte medesima, di un “intento lottizzatorio” quale conseguenza della tendenza di leggere la vicenda, sotto il profilo materiale e temporale, come un fatto unico, trascurando che la parte più significativa del complesso alberghiero sarebbe stata realizzata ben prima del 1995 per cui, ai fini della valutazione dell’”animus lottizzatorio”, i giudici avrebbero dovuto prendere in considerazione non il momento rappresentativo dell’ultimo evento, di rilievo minore, bensì quello precedente, in cui l’attività edilizia assumeva rilevanza penale a fini lottizzatori, atteso che quello, – già anteriore al marzo 1998 -, era il momento in cui l’agente si sarebbe autodeterminato valutando le possibili conseguenze del proprio agire. In proposito, allora, si osserva che all’epoca dell’intervenuto stravolgimento dell’area il diritto vivente contemplava quale elemento soggettivo della lottizzazione soltanto il dolo. Solo dal 2004 la Suprema Corte di cassazione ha stabilito che la condotta lottizzatoria può essere commessa anche con colpa. Quindi, l’esame dell’elemento soggettivo avrebbe dovuto essere svolto secondo il parametro della volontà dolosa. Si sarebbe dovuto pervenire, così, ad un giudizio di assoluzione ostativo all’adozione di misure ablative.
In ogni caso, viene censurato anche il giudizio dei giudici circa la sussistenza della colpa in capo agli imputati. Colpa che invece i ricorrenti escludono alla luce della circostanza per cui l’attività edilizia in questione sarebbe stata oggetto di diverse iniziative amministrative, citate in ricorso, di natura repressiva o di sanatoria nonchè di accertamenti giudiziari, senza che mai si sia fatto riferimento ad un’ipotesi di lottizzazione abusiva, così che la corte di appello avrebbe dovuto valutare se i ricorrenti avessero agito in concreto con l’effettiva scienza e coscienza del fatto che la condotta realizzata potesse essere riconducibile alla fattispecie di lottizzazione abusiva. Profili rimasti trascurati nella sentenza impugnata.
5. Con il terzo motivo, si deducono vizi di cui all’articolo 606 comma 1 lett. b) c) ed e) cod. proc. pen. Si osserva che la corte di appello, a fronte di deduzioni relative al tema della prevedibilità del precetto, si sarebbe limitata a richiamare alcune decisioni di legittimità riguardanti la differente tematica della prevedibilità della riqualificazione. Si aggiunge che proprio la sentenza impugnata confermerebbe la fondatezza della deduzione difensiva nella parte in cui si sostiene che l’originaria previsione di lottizzazione abusiva, di cui all’articolo 42 della legge numero 1150 del 1942, per come formulata sarebbe stata priva di capacità informativa in ordine agli elementi della fattispecie criminosa, con incidenza quindi sul tema sopra indicato. Sul piano, poi, del profilo soggettivo della questione, si sottolinea come per lungo tempo il reato sia stato configurato come una contravvenzione dolosa, sicché l’estensione anche all’elemento soggettivo della colpa integrerebbe un mutamento giurisprudenziale con effetti peggiorativi, che come tale sarebbe soggetto a principi di cui all’articolo sette della convenzione EDU, tra i quali quello di irretroattività. Si osserva, in tale quadro, che la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con il canone fondamentale del predetto articolo sette della convenzione EDU, atteso che essa avrebbe aderito ad un’interpretazione analogica in malam partem del combinato disposto di cui agli articoli 30 e 44 lett. c) del d.p.r. numero 380 del 2001, laddove con la nozione di atti equivalenti sarebbero state valorizzate opere le quali non hanno alcuna incidenza con la trasformazione urbanistica dei terreni, quale essenza dell’ipotesi di lottizzazione abusiva. Ed in tal senso si richiama la valorizzazione, per la condotta abusiva rilevante, di opere effettuate su di un torrino. Inoltre, la stessa sentenza avrebbe trascurato gli effetti dell’intervenuto overrulling in malam partem quanto alla configurabilità della lottizzazione anche colposa. Si ribadisce, quindi, da una parte, che i giudici, rilevando come l’articolo 30 del d.p.r. 380 del 2001 presenterebbe una formula residuale avrebbero attestato una violazione dei principi di tassatività e di legalità sub specie dell’esigenza di una base legale chiara e prevedibile di cui all’articolo sette della convenzione EDU, e dall’altra, si riafferma la criticità del tema della prevedibilità del precetto punitivo, nel caso concreto ritenuta rilevante sotto il profilo dell’imputazione e della ascrizione personale e colpevole del fatto, così da non potersi ritenere validamente orientata la condotta del soggetto agente.
E si sottolinea, altresì, la conseguenza della assenza del necessario coefficiente soggettivo di supporto alla fattispecie contestata.
6. Con il quarto motivo deducono vizi di violazione di legge e il vizio di motivazione nella parte in cui è stata confermata la misura della confisca. Si afferma che la confisca non poteva essere disposta, per avvenuta estinzione del reato prima della conclusione del giudizio di primo grado e, anzi, già in apertura del dibattimento, attesa la risalenza degli interventi edificatori integranti il nucleo delle vicende in contestazione. In particolare, si contesta che si possano valorizzare, come momenti di prosecuzione della lottizzazione, le vicende che hanno riguardato interventi sul cosiddetto torrino di un edificio nonché interventi afferenti un cosiddetto locale deposito di un piano seminterrato di un immobile. Con conseguente illegittimità della confisca. Quanto alla vicenda riguardante il torrino, si osserva che si trattava di attività di mera sostituzione di materiali e quindi da ritenersi del tutto estranea ad ogni condotta lottizzatoria. Inoltre, si osserva che sarebbe intervenuta una statuizione passata in giudicato con cui sarebbe stata esclusa ogni inerenza della vicenda rispetto alla fattispecie di lottizzazione abusiva. Quanto poi alla realizzazione dell’intervento edilizio in un piano seminterrato, si osserva che le risultanze dibattimentali escluderebbero che alla data del 19 aprile 2011 fossero in corso opere, come invece sostenuto in sentenza, con travisamento della prova. Ciò in quanto dalla comunicazione di notizia di reato risulterebbe solo l’indicazione per cui erano stati eseguiti lavori edili privi di titolo abilitativo, senza che nella stessa informativa vi sia stata alcuna indicazione di lavori in corso alla data del 19 aprile 2011. Si cita anche una testimonianza secondo cui, con riferimento alle opere in parola, non vi erano attività in corso. Si ribadisce quindi che le vicende in esame non potrebbero essere riferite all’epoca successiva all’anno 2009 e anzi le stesse, sulla base degli atti processuali e delle sentenze impugnate (in particolare in ragione di quanto riportato a pagina 87 e 99 della prima sentenza), sarebbero di molto antecedenti sul piano temporale, per cui la prescrizione sarebbe maturata già all’atto di apertura del dibattimento, avvenuta il 2 aprile del 2013
7. Con il quinto motivo si deducono vizi di violazione di legge anche processuale e vizi di motivazione con riguardo all’art. 649 del codice di procedura penale, con riferimento alla parte della sentenza che ha confermato la confisca sebbene i medesimi fatti fossero già stati valutati nell’ambito di altri procedimenti penali. Si osserva che la contestazione attuale integrerebbe la summa riassuntiva di tutte le contestazioni riportate in provvedimenti giudiziari precedenti, che si enucleano nel ricorso. Si osserva, quindi, che le vicende oggetto dei predetti provvedimenti integrerebbero un idem fattuale rispetto alle vicende contestate nel presente procedimento, come tale fondante le prospettive difensive. E si aggiunge che nelle sentenze pregresse, citate più volte, vi sarebbe stata contestazione di fattispecie lottizzatoria con sussistenza del cd. idem legale. In ogni caso, la valorizzazione dell’idem legale quale criterio idoneo ad escludere la violazione del canone di cui al brocardo del ne bis in idem è in contrasto con il principio per cui, ai fini del rispetto di quest’ultimo, ciò che rileva è il fatto storico-naturalistico.
8. Con il sesto motivo rappresentano vizi di violazione di legge anche processuale e vizi di motivazione in relazione alla confermata confisca, siccome assunta in violazione di canoni che impongono una base legale nonché il rispetto del principio di proporzionalità in ordine alla misura stessa e alla sua applicazione. Si sottolinea come l’adozione della confisca in questione richieda l’esistenza di una base legale, e il rispetto del canone di proporzionalità in ordine agli atti limitativi o privativi del godimento di beni in proprietà. I predetti principi sarebbero stati disattesi con la sentenza impugnata: quanto alla necessità di una base legale questo principio sarebbe violato con riguardo ai beni, confiscati, riconducibili a Maria Rosaria Polese, la quale è stata pienamente assolta già in primo grado dalla fattispecie lottizzatoria, e tuttavia sia il primo che il secondo giudice hanno disposto la misura della confisca anche nei suoi riguardi, e nei confronti della medesima non sussisterebbe alcun accertamento oggettivo- soggettivo circa la prospettata fattispecie lottizzatoria, ma esisterebbe un dictum di segno contrario. Analoghe osservazioni si formulano con riferimento a Greco Rita, per la quale è intervenuta l’assoluzione ai sensi dell’articolo 150 codice penale e quindi la corte non avrebbe potuto confermare la misura ablativa nei confronti della stessa, perché la sua cognizione in tema di confisca risulta tassativamente limitata per legge, ai sensi dell’articolo 578 bis codice di procedura, ai soli casi di intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e amnistia. Le duplici suindicate osservazioni sì riverbererebbero negativamente anche sul piano della proporzionalità della confisca. La corte d’appello inoltre, avrebbe anche trascurato i criteri essenziali da valutarsi al fine di stabilire la sussistenza o meno della proporzionalità della confisca. Tanto premesso, si evidenzia come la superficie della parte edificata sia di entità contenuta rispetto all’insieme dell’area in questione ed inoltre che l’indice di fabbricabilità dell’area in parola era tale da consentire interventi superiori a quanto oggetto di contestazione; si aggiunge che oltre alla sussistenza di aree inedificate e di aree di spettanza di soggetti terzi rispetto agli attuali ricorrenti, per le quali si imponeva l’assoluta esclusione di qualsivoglia misura ablativa, risulterebbe dalla sentenza di primo grado che parte dei fabbricati in questione sarebbero suscettibili di uso agricolo, quale circostanza che quindi renderebbe infondata l’affermazione della corte d’appello circa un asserito stravolgimento urbanistico e renderebbe necessaria anche l’esclusione di queste aree da ogni misura ablativa. Si osserva, altresì, che alla luce della prima sentenza la proprietà degli immobili in questione sarebbe riconducibile oltre che ad una persona fisica mai imputata per lottizzazione abusiva, quale Polese Sabato, anche a tre compagini sociali, la Sonrisa S.p.a., la IPOL S.p.a. e la Polfra S.a.S., che risultano titolari di vari fabbricati e terreni oggetto del procedimento in questione, le quali ultime non sarebbero state parti nè sarebbero state coinvolte nel procedimento stesso e quindi sotto tale aspetto la misura ablativa sarebbe violativa di garanzie convenzionali di cui all’articolo uno del Protocollo addizionale numero 1 alla convenzione EDU. Si osserva, ancora, che solo di recente il Comune di Sant’Antonio Abate si sarebbe dotato del piano urbanistico comunale, così evidenziandosi una inadempienza degli organi pubblici in sede di programmazione territoriale, i cui effetti non possono essere posti in capo ai consociati, delineandosi una situazione che non può non rilevare quantomeno sul piano della non proporzionalità della misura disposta nell’ambito del procedimento in parola. Tanto più che a fronte della successione nel tempo di numerose concessioni edilizie in sanatoria, e persino di una sentenza del Tar del Lazio che avrebbe annullato un provvedimento di diniego, da parte della soprintendenza, in ordine a talune delle suddette concessioni in sanatoria, sussistono decisioni di autorità pubbliche che hanno ingenerato la fondata aspettativa del pieno e legittimo godimento dei beni e della correlata disponibilità economica degli immobili, da valutarsi in relazione alla misura disposta, secondo canoni di stretta proporzionalità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo attiene a vizi di violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b), e al vizio della mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza della lottizzazione abusiva. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in vizi di violazione di legge e di mancanza di motivazione non essendosi confrontata con le doglianze difensive riguardanti i seguenti punti:
a) la insussistenza sull’area interessata di alcun vincolo di inedificabilità assoluta; b) l’intervenuto rilascio di una concessione in sanatoria numero uno del 1988 che avrebbe assoggettato la struttura di riferimento ad un vincolo di destinazione turistico-ricettiva di cui all’articolo otto della legge numero 217 del 1983;
c) la mancanza, a supporto della tesi dell’imponenza della struttura, di ogni riferimento alla violazione di oggettivi parametri normativi;
d) l’assenza di prova un intervento pubblico volto alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria conseguenti all’insediamento alberghiero.
1.1. I quattro profili, tra loro omogenei siccome tesi ad escludere l’ipotesi di una lottizzazione abusiva, devono essere esaminati congiuntamente.
1.2. La prospettiva difensiva, muovendosi sul piano dell’analisi della concreta realizzazione delle condotte edilizie e della loro legittimità, ritenuta dai ricorrenti sussistente, ancorchè acquisita in via postuma, tende innanzitutto a rappresentare la intervenuta sanatoria, per condono, delle opere, con quindi esclusione, in ultima analisi, della lottizzazione; a partire da un primo provvedimento di condono n. 8/88, che peraltro, secondo la tesi difensiva come espressa dal consulente tecnico di riferimento, avrebbe impresso all’opera e a tutte quelle correlate e realizzate in prosecuzione, una destinazione urbanistica di tipo alberghiero, come tale in grado anche di escludere, attraverso tale intervenuta legittimazione all’uso turistico – alberghiero della intera struttura originaria e della connessa zona di interesse, ogni ipotesi di lottizzazione abusiva, attesa la sopraggiunta piena conformità tra le opere realizzate e la sopraggiunta nuova destinazione di uso dell’intera area di interesse.
1.3. Rispetto a tale impostazione, occorre premettere che questa Corte (cfr. anche in motivazione, Sez. 3 n. 9982 del 21/11/2007 (dep. 05/03/2008) Rv. 238982 – 01; Sez. 3 – n. 44517 del 17/07/2019 Rv. 277261 – 01) ha già fornito precise indicazioni in ordine alla questione relativa al rapporto tra la confisca obbligatoria delle opere abusivamente costruite sul terreno lottizzato ed un’eventuale sanatoria delle stesse per “condono edilizio”. La L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 13, dispone – al riguardo – che “per le costruzioni ed altre opere di cui all’art. 31, comma 1, (quest’ultimo riferito al condono, ndr) realizzate in comprensori la cui lottizzazione sarebbe dovuta avvenire a norma della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 8, il versamento dovuto per l’oblazione di cui all’art. 31 non costituisce titolo per ottenere il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, che resta subordinata anche all’impegno di partecipare pro – quota agli oneri di urbanizzazione dell’intero comprensorio in sede di stipula della convenzione”. In particolare, questa Corte, alla luce della predetta previsione ha spiegato che il sopravvenuto rilascio di un permesso di costruire a titolo di condono può eventualmente legittimare, ricorrendone i presupposti, soltanto le opere che costituiscono oggetto della lottizzazione, ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica, con la conseguenza che il rilascio di più titoli abilitativi nell’area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita tale attività (Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007 (dep.2008), Rv. 238983; Sez. 3, n. 28532 del 23/6/2009, Rv. 244441). E’ in tal senso, ha precisato il Supremo Collegio, che va letta la previsione normativa prima riportata letteralmente, di cui al citato art. 35, comma 13 della legge 47/1985, osservando che tale norma è sostanzialmente riferita a quegli interventi che sarebbero stati realizzabili soltanto in seguito alla preventiva approvazione di un piano di lottizzazione e che sono stati viceversa effettuati in carenza di tale strumento attuativo. Si aggiunge, da parte della medesima Suprema Corte, che, invece, gli interventi edificatori che si inseriscono in una lottizzazione illecita in quanto, per le loro connotazioni oggettive, si pongono in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione – come nel caso di specie -, per potere essere condonati devono essere necessariamente ricompresi, ai sensi dell’art. 29 della medesima legge 47/1985, in una apposita variante per il recupero degli insediamenti abusivi. E in proposito va ricordato sia che ciò è stato evidenziato anche dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 107/1989 – nella quale si è affermato che “il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, per edifici compresi in una lottizzazione illegale, è subordinato alla sanatoria della stessa lottizzazione, attraverso l’approvazione di una variante agli strumenti urbanistici, secondo il disposto della L. n. 47 del 1985, art. 29 e L. n. 47 del 1985, art. 32, lett. b)” — sia richiamando il contenuto del comma 3 del citato art. 29 L. 47/1985, il quale prevede che: “gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte abusivamente, fermi restando gli effetti della mancata presentazione dell’istanza di sanatoria previsti dall’art. 40, possono formare oggetto di apposite varianti agli strumenti urbanistici al fine del loro recupero urbanistico, nel rispetto comunque dei principi di cui al comma 1 e delle previsioni di cui alle lett. e), f) e g) del precedente comma 2”. La Suprema Corte è giunta pertanto alla conclusione che l’eventuale mero rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nell’area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita un’attività che tale non è, perché la concessione non ha una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio, e nel contempo i manufatti abusivamente eseguiti, in attuazione del fine di lottizzazione e nell’ambito della lottizzazione, possono essere, invece, “sanati”, soltanto previa valutazione globale dell’attività lottizzatoria, secondo il rigoroso meccanismo in precedenza descritto.
Procedura, quest’ultima, che, nella fattispecie, non risulta attuata e gli stessi ricorrenti si limitano a richiamare la mera presentazione di tre domande di condono che essi assumono legittime – ma erroneamente -, come appresso pure sarà illustrato.
Dunque, solo ove sussistano i presupporti per il condono di opere all’interno di una lottizzazione abusiva (con esclusione, comunque, si noti bene, di ogni effetto di automatica estinzione anche dello stesso e distinto reato di lottizzazione) – caso che, lo si ripete, è insussistente nella fattispecie in parola – si pone la necessità, per il giudice penale, di valutare in concreto i presupposti della confisca, limitatamente alle opere edili sanate (cfr. Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007 Ud. (dep. 05/03/2008) Rv. 238983 – 01; Sez. 3 – n. 44517 del 17/07/2019 Rv. 277261 – 01 cit.).
Va aggiunto, per completezza, che quanto osservato vale, a maggior ragione, per ciò che concerne quella sanatoria, diversa dal condono, attualmente disciplinata dall’art. 36 d.P.R. 380\01 e, in precedenza, dalla previgente disciplina urbanistica ex art. 13 L. 47/85, avendo questa Suprema Corte affermato che in presenza di una lottizzazione abusiva deve escludersi la possibilità di sanatoria, disciplinata dall’art. 36 del Testo Unico dell’edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo conseguente ad accertamento di conformità, dal momento che dette opere sono senz’altro non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, sicché le stesse non sono sanabili, così come la lottizzazione abusiva (Sez. 3 – , n. 44517 del 17/07/2019 Rv. 277261 – 01; Sez. 3, n. 28784 del 16/5/2018, Rv. 273307, con richiami ai prec.)
Quindi, e in altri termini, le opere integranti una illecita lottizzazione, siccome realizzate in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione, per potere essere condonate devono essere necessariamente ricomprese, ai sensi dell’art. 29 della citata legge 47/1985, in una apposita variante (assente nel caso di specie).
Va infine rilevato, sul piano concreto, che nel caso in esame i ricorrenti rivendicano una sostanziale legittimazione della lottizzazione in ragione di tre soli provvedimenti di condono (in realtà invalidi), pur a fronte della avvenuta realizzazione – come sarà illustrato, comunque con doverosa sintesi, in successivo paragrafo -, di numerosissime opere edilizie convergenti nel complessivo disegno lottizzatorio abusivo, per le quali spesso manca anche la mera domanda di condono, o la stessa risulta legittimamente respinta ovvero palesemente inammissibile ( cfr. anche le due conformi sentenze di merito).
1.4. Alla luce della predetta ricognizione, ben si comprendono le ragioni per cui è stato correttamente ed espressamente affermato, dalla giurisprudenza di legittimità, e sostanzialmente ripreso dai giudici di merito nelle sentenze qui in esame, che anche il rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nell’area interessata da una lottizzazione abusiva “non rende lecita un’attività che tale non è: la concessione non ha, infatti, una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio” (Cass., Sez. 3, 21.4.1989, n. 6160, Greco). Consegue che già a fronte di tale fondamentale premessa deve rilevarsi che i tre provvedimenti di condono intervenuti nel corso dell’intera vicenda e rivendicati dalle difese non si inseriscono nella procedura “sanante”, del tutto peculiare, ipotizzabile in caso di lottizzazione abusiva, sopra citata.
In ogni caso, e per pura valutazione accademica, anche laddove si volesse valutare la legittimità dei tre citati provvedimenti di condono solo in rapporto ai requisiti specifici fissati dalla disciplina di condono per singole opere edili, estranee a qualsivoglia lottizzazione (quindi diverse da quelle in esame), non solo, come appresso sarà illustrato, sarebbe assente ogni profilo di legittimità, ma rimarrebbe comunque esclusa ogni “conformazione” d’uso turistico – ricettiva (come invece sostenuto dal consulente della difesa), discendente dai provvedimenti di condono medesimi rispetto all’area complessivamente interessata. Che comunque conserverebbe la immutata e persistente destinazione agricola della zona, pregiudicata dalla lottizzazione.
Cosicchè, essendo certamente rimasta inalterata la originaria destinazione agricola dell’area, che pure non viene messa in discussione in questa sede, è rispetto a tale parametro urbanistico – funzionale che deve valutarsi la capacità di opere, aventi invece destinazione turistico – ricettiva, quali quelle in esame, di stravolgere l’assetto urbanistico dell’area; circostanza obiettivamente emersa, come di seguito pure evidenziato.
La predetta comparazione tra l’intervento realizzato (nel caso di specie integrante opere edilizie in funzione di una lottizzazione ritenuta “materiale”) e la sua incidenza negativa sulla riserva di programmazione territoriale della Pubblica Amministrazione su di un’area agricola, quale nucleo essenziale del giudizio sotteso alla verifica della esistenza o meno di un’ipotesi di lottizzazione illecita, consegue in ragione della ratio della fattispecie incriminatrice della lottizzazione abusiva, che richiama un duplice scopo di tutela (cfr. per tutte Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005 Rv. 232190 – 01), rivolto ad impedire, come noto:
sia che venga compromessa la potestà, attribuita agli enti locali, di effettuare razionali ed armoniche scelte urbanistiche mediante gli specifici strumenti di pianificazione previsti dalla legge;
sia che un processo di urbanizzazione incontrollata comporti la nascita di agglomerati edilizi privi delle infrastrutture primarie e secondarie necessarie per la loro integrazione urbanistica, con conseguente imposizione alla Pubblica Amministrazione competente di ingenti spese per dotazioni infrastrutturali.
Come è stato più volte evidenziato, è muovendosi in questa prospettiva che nei reati di lottizzazione (che sono caratterizzati da una articolazione particolarmente ampia di possibili modalità esecutive, ma si configurano già come reati permanenti e di pericolo) il legislatore ha anticipato il momento di rilevanza penale del fenomeno, per evitare che lo stesso possa incidere in modo irrimediabile sull’assetto del territorio; non occorre, però, che la volontà dell’agente sia protesa a vanificare le anzidette finalità di tutela, essendo sufficiente che egli compia attività rivolte alla trasformazione di terreni, non solo con inizio di opere edilizie o di urbanizzazione, ma anche soltanto con atti giuridici indirizzati a realizzare l’edificazione, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite da leggi statali o regionali.
Il reato si connette sempre e soltanto all’inosservanza delle “prescrizioni” urbanistiche anzidette, sicché il proprietario di un terreno non può predisporne l’alienazione in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui esso è situato, ed il soggetto che acquista un fondo per edificare deve essere cauto e diligente nell’acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona riferite all’area in cui vuole costruire.
1.5. Dunque, in parziale sintesi conclusiva di quanto sinora osservato, va sottolineato che le argomentazioni difensive volte a sostenere la legittimità di tre (soli) provvedimenti di condono, non solo sono avulse dal ristretto campo di possibile operatività del condono medesimo, ove inserito, come nel caso in esame, nel quadro di un intervento di lottizzazione abusiva, ma sono anche in ogni caso normativamente in contrasto con la disciplina urbanistica vigente nonché di condono, ove le si voglia includere e valorizzare, come pure si prospetta nella tesi difensiva, quale operazione di sanatoria (rectius condono) che sarebbe connotata, anche, dalla produzione, accanto all’effetto estintivo del reato edilizio, tipico del condono, di un ulteriore e a dir poco originale effetto (nella sua elaborazione teorica, come prospettata sul piano difensivo) di “conformazione” tra la destinazione ricettiva delle opere e la destinazione di uso delle aree su cui insistono; infatti, rispetto alla tesi difensiva per cui con il primo condono (di cui al provvedimento n. 8/88) si sarebbe impresso alla prima struttura edilizia realizzata, e persino a tutte quelle ad essa correlate e successive, una destinazione legale di tipo urbanistico-ricettivo, addirittura prevalente sulla originaria destinazione agricola dell’intera zona, si deve evidenziare che non esiste in tal senso alcuna previsione normativa (e tantomeno è stata indicata espressamente alcuna esplicita disposizione in tal senso formulata); anzi, si deve escludere (per quanto prima osservato) la derivazione, dal ritenuto (quanto inoperante siccome invalido ) condono di singole costruzioni, di un effetto giuridico ben più ampio di quello meramente estintivo di singoli reati edilizi, come tale addirittura idoneo a variare la destinazione urbanistica originaria della zona e delle strutture in contestazione che su di essa insistono.
1.6. Tanto precisato, deve rilevarsi che appaiono altresì coerenti e insuperate anche le stesse argomentazioni di cui alle due conformi sentenze di merito, secondo le quali l’area di interesse avrebbe sempre avuto destinazione agricola.
1.7. In proposito, osservano i giudici, con affermazione rimasta incontestata, che anche secondo il consulente di parte l’area ove insiste il complesso turistico – ricettivo attualmente in discussione e denominato “La Sonrisa” era da considerarsi, dall’origine, agricola. Così da non potere trovare alcuna previsione la creazione di strutture quali quelle in esame.
1.8. Quanto alla tesi difensiva della insussistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, va precisato che deve ritenersi tale quella destinazione urbanistica o paesaggistica o di altro tipo che sottragga in maniera assoluta ad ogni possibilità di edificazione una data zona.
1.9. In proposito, alla luce delle superiori considerazioni svolte con riferimento alla impossibilità di riconoscere nei tre provvedimenti di condono citati dalla difesa e formalmente rilasciati, l’unica ristretta fattispecie di condono ammissibile per singole opere incluse in una lottizzazione abusiva, come disciplinata ex artt. 35 e 29 della L. 47/85, deve preliminarmente rilevarsi come tale ultimo rilievo renda di per sé irrilevante e assorbita la predetta questione sul vincolo di inedificabilità, invero promossa dalla difesa a supporto della tesi della legittimità dei condoni.
1.10. Per completezza, tuttavia, si aggiungono le seguenti considerazioni rispetto alla citata tesi della insussistenza, nell’area di interesse, di un vincolo di inedificabilità assoluta, ostativo anche esso al condono.
1.11. In proposito, allora, occorre osservare come non sia condivisibile la tesi preliminare del consulente di parte, pure citata in sentenze, per cui la sopravvenuta vigenza della legge regionale n. 17/85 avrebbe determinato la cessazione di efficacia del Piano di fabbricazione, siccome sino ad allora non sostituito; con conseguente acquisizione, per tutto il territorio del Comune di Sant’Antonio Abate, della qualifica di “zona bianca”, ed applicabilità, per gli insediamenti produttivi, di indici di fabbricabilità, e quindi di edificabilità, ex art. 4 della L. 10/77 e poi della L. regionale 17/82 art. 4. Infatti, ai sensi dell’art. 34 della L. 1942/1150, per i Comuni sprovvisti di piano regolatore, era previsto che essi dovevano come tali “includere nel proprio regolamento edilizio un programma di fabbricazione, con l’indicazione dei limiti di ciascuna zona, secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché con la precisazione dei tipi edilizi propri di ciascuna zona” senza alcuna previsione di decadenza, né in tale legge e nelle successive sue modifiche né ai sensi della sopra citata L. Regionale 17/82. Ed invero, ai sensi dell’art. 8 della stessa legge si prevedeva che per quanto non disposto dalla stessa “si applicano, ove non siano con la stessa incompatibili, le prescrizioni di cui alla legge urbanistica 17 agosto 1972, n. 1150 e successive modificazioni e alle altre leggi urbanistiche statali e regionali”, tra cui, evidentemente, l’art. 34 della legge urbanistica sui piani di fabbricazione. Nel medesimo senso peraltro, si pone sul punto la adeguata motivazione dei giudici di merito, che hanno rilevato altresì che l’art. 4 della L. della Regione Campania n. 17/82 non ha statuito alcuna decadenza dei piani di fabbricazione, avendo il provvedimento normativo regionale, da un lato, sancito anche al livello regionale l’obbligo (già introdotto a livello nazionale dalla L. 10/77) per ciascun comune di dotarsi di piano regolatore, dall’altro, avendo previsto una procedura di sostituzione dell’Ente Comune in caso di inadempimento dell’obbligo da parte del medesimo. L’art. 4 della L Reg. 17/82 stabilisce, invero, che i Comuni della Regione dotati di Piano Regolatore generale, approvato prima dell’entrata in vigore del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, sono tenuti ad adeguare, entro un anno dall’entrata in vigore della stessa legge, lo strumento urbanistico ai limiti e rapporti fissati dal citato decreto interministeriale. Ove decorra inutilmente tale termine le Province o le Comunità Montane competenti! provvedono a tali adeguamenti in via sostitutiva a mezzo di commissario ad acta.
Dunque, in ultima analisi, la sanzione per la mancata adozione del piano regolatore comunale adeguato alle previsioni inerenti alle prescrizioni per zonizzazione contenute nel D.M. 1444/68 non era quella delia decadenza dello strumento di programmazione edilizia (quale il programma allora vigente di fabbricazione), come invece sostenuto dal consulente citato, ma solo la possibilità, per le Autorità sovraordinate, di intervenire in via sostitutiva per l’adozione dello strumento di pianificazione: intervento sostitutivo mai eseguito per il comune di Sant’Antonio Abate.
1.12. Quanto alla ulteriore specifica tematica della sussistenza e persistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta nell’area in esame anche prima della entrata in vigore della legge regionale n. 35 del 1987, che se risolta negativamente non avrebbe costituito ostacolo, secondo la difesa, al rilascio del primo provvedimento di condono del 1988, ai sensi della L. 47/85, va precisato che i giudici di merito, con la prima sentenza, hanno rilevato che le previsioni del programma di fabbricazione a suo tempo vigente sull’area qui di interesse sono state sostituite (nella parte in contrasto) o comunque superate in seguito alla entrata in vigore della Legge Regionale n. 35/87 dì adozione del Piano Urbanistico territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana, cd. P.U.T., che corrisponde ad un piano territoriale di coordinamento. Si tratta di strumento che contiene norme generali d’uso del territorio, immediatamente operative, e indicazioni vincolanti per i comuni cui essi debbono obbligatoriamente uniformarsi nell’adozione ovvero adeguamento dei piani urbanistici comunali. L’intero territorio del Comune di Sant’Antonio Abate è stato incluso nell’area assoggettata a P.u.t. e ricade nella “sub-area 4 ”: l’area su cui insiste il complesso LA SONRISA S.P.A ricade inoltre nella “zona territoriale 7”. L “art. 17 prevede per la zona territoriale 7 la seguente funzione: razionalizzazione insediativa a tutela delle risorse agricole. L’edificazione nelle zone agricole è disciplinata, giusta la carta dell’uso agricolo del suolo, dalle disposizioni di cui al punto 1.8 del titolo 11 dell’allegato alla legge regionale 20 marzo 1982, n. 14 e successive modificazioni. L’entrata in vigore del P.U.T. ha comportato l’inefficacia di tutte le prescrizioni contenute nel programma di fabbricazione in qualche modo contrastanti con le previsioni della L. 35/87, anche in ragione della norma di salvaguardia di carattere generale, e qui di peculiare interesse per quanto appresso rilevato, inserita nell’art. 5. Tale norma, sotto la rubrica “misure di salvaguardia” ha inibito, sino all’approvazione dei piani regolatori adeguati alle prescrizioni del PUT, il rilascio di nuovi titoli edificatori, fatte salve le concessioni per opere di edilizia pubblica. Per l’edilizia privata, invece, sono stati esclusi dal divieto di rilascio di titoli edificatori, specifici e limitati interventi, quali le opere necessarie per l’adeguamento igienico sanitario delle strutture aziendali, per gli adeguamenti strutturali o funzionali richiesti dalla normativa in materia di sicurezza ed antinfortunistica, per la realizzazione dei programmi integrati e di programmi di recupero urbano, di piani urbanistici attuativi vigenti, delle infrastrutture a rete.
L ‘art. 5 è stato poi successivamente integrato dall’art. 1 della L. 38/1994 che per le aree ricadenti in zona 7 ha previsto l’esclusione dal divieto di rilasciare concessioni per quei comuni che si fossero dotati della carta dell’uso agricolo; in tali comuni sarebbe stato possibile ii rilascio di provvedimenti concessori nel rispetto del contenuto della suddetta carta. Tale carta dell’uso agricolo non risulta, però, mai adottata dal Comune di Sant’Antonio Abate, con la conseguenza che risultava vigente per esso un divieto generale di nuove edificazioni.
Si tratta di una ricostruzione che appare lineare e corretta, la quale nella misura in cui evidenzia un vincolo di inedificabilità assoluta conseguente al citato art. 5 di cui alla L. 35/87, non può che essere considerata anche alla luce del noto principio per cui, in caso di vincolo di inedificabilità assoluto e sopravvenuto rispetto alla disciplina di condono di riferimento – come emerge nel caso di specie, in cui il condono ex L. 47/85 ( 1° condono) è intervenuto con provvedimento del 1988, successivo rispetto al predetto vincolo assoluto di inedificabilità operativo dal 1987 -, lo stesso vincolo, seppur inteso – secondo giurisprudenza diffusa ( per tutte cfr. Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 23/03/2023) 21-04-2023, n. 4071) in senso relativo, deve comunque essere considerato in sede di rilascio della sanatoria: circostanza insussistente alla luce del laconico provvedimento di condono n. 8/88 del Comune di riferimento ed allegato al ricorso, come tale esaminabile da questa Corte, così da incidere negativamente sulla legittimità del provvedimento di condono anche sotto tale ulteriore prospettiva. Rispetto a tale ultimo profilo così rilevato da questa Corte, confermativo della illegittimità del condono n. 8/88, invero, a fronte della decisione dei giudici nel senso della illegittimità del predetto atto di condono, seppure in relazione ad una distinta anomalia, per vero non meglio illustrata e approfondita, riguardante la diversa questione del postumo rilascio di un nulla osta paesaggistico, non può non trovare applicazione, altresì, anche il principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, – come nel caso in esame, in cui emerge la illegittimità del predetto condono anche per il principio sopra da ultimo evidenziato, sul vincolo sopravvenuto di inedificabilità rispetto all’atto di condono successivo -, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
Quanto invece alle sopra già esposte considerazioni circa l’insussistenza di validi condoni già ai sensi degli artt. 35 e 29 della L. 47/85, si tratta invero, a ben vedere, di riflessioni ben rinvenibili anche in passaggi motivazionali dei giudici di merito.
1.13. Dunque, alla luce di quanto sinora esposto, molteplici sono le ragioni della irrilevanza dei tre soli provvedimenti di condono, rispetto alla contestata lottizzazione: 1) l’insussistenza della peculiare e specifica fattispecie di condono di singole opere integranti una lottizzazione; 2) l’irrilevanza comunque del condono in sé, al più operativo su singole opere, rispetto alla più complessa, distinta e rilevante fattispecie di lottizzazione; 3) la illegittimità dei singoli provvedimenti di condono, a partire innanzitutto dal primo del 1988 – anche se esaminati, solo per mera completezza di analisi, al di fuori della più complessa e prima citata fattispecie condonistica che viene in rilievo in caso di lottizzazione (artt. 35 e 29 cit.) -, a fronte della mancata valutazione del sopraggiunto vincolo di inedificabilità; 4) l’invalidità, anche alla luce della disciplina di condono riferita a singole opere edilizie non inserite in un più ampio fenomeno lottizzatorio, degli altri due provvedimenti di condono successivi a quello del 1988, a fronte, e anche, per le ragioni esposte nelle due sentenze di merito cui è sufficiente rinviare: a partire dall’intervenuto superamento dei limiti dimensionali cui la legge subordina il cd. secondo e terzo condono cui si riconducono gli altri due provvedimenti di condono rivendicati dalla difesa. Profilo, quest’ultimo, che sarà ulteriormente illustrato al paragrafo 1.17.
1.14. Quanto poi al tema della emersione di una lottizzazione abusiva, in fatto decorrente sin dagli anni ’80, rileva altresì la circostanza per cui la fattispecie illecita in esame integra un reato di pericolo a formazione progressiva, rispetto al quale, in ogni caso, quanto al periodo anteriore al 1987, non può ritenersi estraneo e irrilevante il dato per cui, dalle due sentenze di merito, emerge il rilascio, nel 1979, di una concessione per il rifacimento di un vecchio manufatto, tuttavia poi ricostruito in difformità, tanto da essere fatto poi oggetto appunto di condono, ed integrante il cuore del sistema turistico ricettivo, e dunque anche esso illegittimo e illecito.
1.15. A questo punto, deve rilevarsi, con chiarezza e certezza, che dalla entrata in vigore della citata legge n. 35 del 1987, con la quale venne approvato il piano urbanistico territoriale (p.u.t.) dell’area sorrentino- amalfitana ai sensi dell’art. 1-bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, non solo nulla muta quanto alla destinazione agricola dell’area ma emerge, palesemente, la inedificabilità assoluta della zona di interesse. L’art. 5 della stessa legge invero, va ribadito, fissava una norma di salvaguardia sancendo, come già in precedenza invero sintetizzato, che “dalla data di entrata in vigore del piano urbanistico territoriale e sino all’approvazione dei piani regolatori generali comunali ivi incluse le obbligatorie varianti generali di adeguamento ai piani regolatori generali eventualmente vigenti per tutti i comuni dell’area è vietato il rilascio di concessioni ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Sono escluse da tale divieto le concessioni relative a opere di edilizia pubblica) residenziale, scolastica, sanitaria etc.) che comunque dovranno essere conformi alla normativa urbanistica all’atto vigente, e munite del parere di conformità della giunta regionale.
Sono escluse dal divieto di cui al primo comma le opere necessarie per l’adeguamento igienico sanitario delle strutture aziendali di cui al D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 54, nonché le concessioni e le autorizzazioni relative ad adeguamenti strutturali e funzionali richiesti inderogabilmente da Leggi Nazionali in tema di sicurezza, antinfortunistica e prevenzione incendi concernenti esercizi pubblici, ed in particolare le attività alberghiere e commerciali comunque collegate al settore turistico, nonché gli impianti aziendali e le strutture collegate all’attività agricola. Sono altresì escluse dal divieto di cui al comma primo le concessioni edilizie relative alla realizzazione:
a) dei programmi integrati di cui all’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 e dei programmi di recupero urbano, ai sensi dell’articolo 11 della Legge 4 dicembre 1993, n. 499; (2)
b) dei piani urbanistici attuativi vigenti, compresi i programmi di edilizia residenziale pubblica;
c) di infrastrutture a rete, indicate in senso esemplificativo all’art. 24”;
Solo con legge regionale dell’1 luglio 1993, n. 22 vennero altresì esclusi dal generale divieto di edificazione sopra riportato gli “ interventi nei comuni ricadenti nella zona territoriale 7 di cui all’art. 17, (purchè, ndr) dotati di strumento urbanistico generale; il rilascio delle concessioni in zona agricola avverrà nel rispetto del contenuto della carta dell’uso agricolo del suolo e delle attività colturali in atto redatta da un agronomo e dalle disposizioni di cui al punto 1.8, titolo II, dell’allegato alla legge regionale 20 marzo 1982, n. 14 e successive modificazioni”.
Ciò che significava, per il comune di Sant’Antonio Abate qui di interesse, in assenza del previsto e necessario Piano Regolatore Generale, un prolungato vincolo di inedificabilità assoluta per le zone in area 7 in cui si inseriva l’area qui in esame, fino alla adozione del piano urbanistico predetto, a lungo non adottato ed approvato. In tal senso appare corretto il rilievo espresso del primo giudice per cui, come anche osservato dalla giurisprudenza amministrativa, al fine della applicazione dell’art. 5 L. 35787 come modificato dalla L. n. 38/94 occorre distinguere tra i comuni il cui territorio ricada nella zona 7 (del PUT) dotati di strumento urbanistico generale adeguato alla previsione dei PUT e comuni il cui territorio ricada nella zona 7 e non dotati di strumento urbanistico generale: nei primi è possibile il rilascio di permessi di costruire solo nella zona agricola e comunque alle condizioni previste, come si evince dal fatto che la norma parla espressamente di concessioni in zona agricola, nei secondi sono ammissibili solo interventi che non esigono il permesso di costruire (cfr. TAR Campania sez. VII n. 132/2011; T.A.R. Napoli (Campania) sez. VIl 14 ottobre 2013 n. 4617).
In altri termini, è condivisibile l’osservazione per cui la mancata adozione da parte del Comune di Sant’Antonio Abate del piano regolatore generale e della carta dell’’uso agricolo ha comportato un vincolo di inedificabilità assoluta per il territorio integrante l’area di sedime del complesso alberghiero La Sonrisa (in tal senso e da ultimo anche T .A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent. 11/05/2016. n. 2380).
Il quadro normativo al riguardo si chiude correttamente con la considerazione di cui alle sentenze di merito – sul punto incontestate nella parte illustrativa delle previsioni di legge citate – per cui la predetta situazione in ordine al vincolo assoluto di inedificabilità muta solo successivamente, con l’art. 1 comma 79 legge della Regione Campania 16/2014, che ha previsto per la zona territoriale 7 (così classificata dal PUT) che restino ferme le prescrizioni di tutela paesaggistica previste all’articolo 17 mentre si disapplicano tutte le altre prescrizioni della medesima legge. Gli interventi, pertanto. sono disciplinati dalle disposizioni degli strumenti di pianificazione urbanistica vigenti ex L. regionale 16/2004 e del regolamento regionale 4 agosto 2011 n. 5 (cfr. sul punto anche T.A.R. Campania Salerno Sez. l Sent., 16/03/2016, n. 605). Che nulla spostano, come pure si evince dalle sentenze di merito, in ordine al tema della abusiva lottizzazione in esame, alla luce di quanto sinora osservato.
Per vero, deve anche aggiungersi che dalla prima sentenza di merito emerge che prima del vincolo imposto con L. R. 35//87 l’area era già stata interessata da vincolo archeologico, astrattamente ricompreso tra i vincoli assoluti ex art. 33 della L. 47/85 ostativi al primo condono purchè impositivo di vincoli assoluti di inedificabilità. L’assenza di precisazioni al riguardo, tuttavia, impedisce, allo stato degli atti, di considerare tale vincolo nei predetti termini assoluti.
1.16. Per quanto sinora rilevato, dunque, deve riconoscersi che già rispetto alla prima domanda di condono presentata in data 29.8.1986, prot. 12126, ai sensi della legge 47/85, per sanare opere realizzate – secondo la prima sentenza – sino all’1.10.1983 e aventi una superficie complessiva di mq. 1908 oltre ad essere state eseguite sia in difformità che in ampliamento alla concessione edilizia n. 117/1979, il provvedimento di condono rilasciato con provvedimento n. 8/88 risulta al di fuori di ogni parametro di legalità, Anche a prescindere dalla analisi della legittimità o meno della sopravvenienza del nulla osta paesaggistico dopo quattro anni dall’adozione del titolo comunale di condono, essendo quest’ultimo, per vero, lo si ripete, invalido di per sé (per quanto poco prima osservato al riguardo) e perché esulante dalla particolare procedura di condono ex artt. 35 e 29 L. 47/85.
1.17. Gli altri due provvedimenti di condono, rilasciati ai sensi della L. 724 /94 e 326/03, sono anche essi illegittimi, come anticipato, ma giova anche qui una ulteriore analisi analitica, utile altresì per comprendere come sia stata realizzata una imponente quanto ingravescente e palese operazione di stravolgimento del territorio, neppure lontanamente sanata, ed in cui, anzi, gli interventi di tentata sanatoria assumono solo il sapore di una consapevole operazione di occultamento dell’insuperabile illiceità di quanto realizzato.
E quindi va sottolineato come tali provvedimenti siano contra legem non solo perché anche essi fuoriescono, lo si ribadisce, dai canoni del combinato disposto di cui agli artt. 35 e 29 della L. 47/85, ma anche per le ragioni evidenziate dai giudici quanto al loro riferimento ad opere abusive eccedenti i limiti dimensionali massimi assentibili, atteso che ai fini del perfezionamento del condono edilizio di cui alla L. n. 724/1994 (come anche del terzo), il limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dall’art. 39, comma 1, è applicabile a tutte le opere, senza alcuna distinzione tra residenziali e commerciali/produttivi. Il limite posto dal citato art. 39, comma 1 L. n. 724/1994, quale diretto espressamente ad individuare gli immobili oggetto di sanatoria, si riferisce a qualsiasi tipo di costruzione, senza alcuna distinzione a seconda della sua destinazione, non potendosi ammettere un condono privo di limiti quantitativi (cfr. tra le altre sez. 3, n. 20889 del 10/06/2020) Rv. 279313 – 01; T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 22/10/2020, n. 4733). Inoltre, lo si ribadisce, deve ritenersi in ogni caso ostativo, alla luce degli atti accessibili in questa sede a questa Corte e di quanto in precedenza evidenziato, anche il dato della sussistenza, per le opere coinvolte, di un vincolo assoluto di inedificabilità già sopra citato.
1.18. Dunque, meglio precisata in questi termini la portata giuridica dei provvedimenti di condono rivendicati dalla difesa, una volta che si ribadisce, come doveroso, che con i provvedimenti di condono in questione non è possibile in alcun modo sanare alcuna condotta lottizzatoria, e che peraltro del tutto destituita di alcun fondamento è la tesi per cui con il primo condono si sarebbe anche impressa alle complessive strutture in contestazione e quindi alla stessa area di interesse, una destinazione turistico-ricettiva, non può che passarsi alla considerazione degli altri punti prospettati con il motivo in esame: quali la mancanza, a supporto della tesi dell’imponenza della struttura, di ogni riferimento alla violazione di oggettivi parametri normativi, (punto c) indicato in ricorso), e l’assenza di prova di un intervento pubblico volto alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria conseguenti all’insediamento alberghiero (punto d).
Si tratta di profili omogenei, atteso che involgono il tema dei criteri che presiedono alla individuazione di un intervento lottizzatorio.
1.19. In proposito, l’indirizzo di legittimità è chiaro e consolidato.
E’ qui da evidenziare (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013 Rv. 256519 – 01) che le diverse modalità con le quali una lottizzazione abusiva può essere attuata inquadrano la contravvenzione in esame come reato a forma libera, permanente e progressivo nell’evento, del quale è inoltre pacifica la natura di reato di pericolo, cosicché la sua lesività non può ritenersi confinata nella sola trasformazione effettiva del territorio ma deve, al contrario, essere riferita alla potenzialità di tale trasformazione, intesa come il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata. La condotta posta in essere assume pertanto rilevanza penale con il compimento di qualsiasi atto che, obiettivamente valutato, risulti funzionalmente diretto alla illegittima lottizzazione. In questa prospettiva si è altresì osservato (tra le altre Sez. 3, n. 41479 del 24/09/2013 Rv. 257735 – 01; Sez. 3^ n. 5310/08) che costituiscono lottizzazione quegli interventi che mutano le caratteristiche dell’insediamento e/o del territorio in misura tale da far sorgere una non prevista esigenza di misure di urbanizzazione, oppure da richiedere misure di urbanizzazione di entità maggiore o diversa rispetto a quelle previste. Vengono in rilievo, dunque, le caratteristiche del complesso dell’insediamento realizzato o realizzando e la loro conformità rispetto agli strumenti urbanistici ed alle concrete autorizzazioni. Ed infatti si è precisato che il bene giuridico protetto dall’attualmente vigente art. 30 del TU dell’edilizia è non solo quello dell’ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) quello relativo all’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione, al quale spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (Cons. Stato Sez. 4^ n. 5849, 6 ottobre 2003). Si è quindi ulteriormente precisato che, in generale, il reato di lottizzazione abusiva si configura attraverso la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in violazione delle prescrizioni espresse dagli strumenti urbanistici e delle leggi anche mediante la esecuzione di opere autorizzate (Sez. 3^ n. 26586, 26 giugno 2009). In tale prospettiva, con riguardo al casi di campeggi, si è anche rilevato che (Sez. 3^ n. 8933, 27 ottobre 1983), costituisce lottizzazione abusiva la realizzazione di un campeggio in zona agricola non prevista dagli strumenti di attuazione della pianificazione territoriale, anche senza frazionamento del terreno, qualora si tratti di insediamento turistico di consistenti dimensioni, che, sia per il numero delle persone chiamate a fruirne sia, soprattutto, per la realizzazione di infrastrutture destinate per loro natura a protrarsi nel tempo (docce, servizi igienici, recinzioni, ecc.), lasci desumere che si sia inteso realizzare un duraturo inserimento di esso nel preesistente assetto territoriale. Tale affermazione è stata successivamente ribadita, ponendo ancora una volta l’accento sul rilevo assunto dalla radicale trasformazione dell’attività originaria in stabile insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto territoriale (Sez. 3^ n. 4974, 31 gennaio 2008)
Ancora, (cfr. Sez. 3 – n. 35383 del 05/07/2022 Rv. 283550 – 01) si rinviene nella giurisprudenza di legittimità la precisazione per cui, in materia edilizia, la sostanziale natura lottizzatoria dell’intervento edificatorio, quand’anche risultino rilasciati singoli permessi di costruire, impone l’approvazione del piano di lottizzazione, anche in caso di formale assenza di un obbligo di adozione in tal senso, posto che il titolo edilizio deve essere verificato alla luce della natura dell’opera realizzanda, delle sue caratteristiche strutturali e dell’idoneità di essa a produrre una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni interessati, ai sensi dell’art. 30 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (fattispecie in cui la Corte ha valutato corretta la decisione che aveva ritenuto configurabile il reato di lottizzazione abusiva a fronte dell’edificazione di diciotto edifici, suddivisi in circa trecentotrenta unità immobiliari, aventi volumetria assentita ottantaseimila mc., idonei ad accogliere oltre milleduecento persone, avvenuta senza la previa approvazione di un piano di lottizzazione, in zona di nuova espansione e solo parzialmente urbanizzata, rispetto alla quale sussisteva l’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione).
La fattispecie lottizzatoria non sussiste soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, mentre emerge anche in quelle zone parzialmente urbanizzate nelle quali si configura un’esigenza di raccordo con l’aggregato abitativo preesistente o di potenziamento delle opere di urbanizzazione già esistenti, sicché per escludere la lottizzazione deve essere verificata una situazione di pressoché completa nonchè, si osservi bene, razionale edificazione della zona, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo (vedi, in tal senso, C. Stato, Sez. 5^, 15.2.2001, n. 790; 12.10.1999, n. 1450; 7.1.1999, n. 2). Si è anche precisato che il reato di lottizzazione abusiva è configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate, relativamente alle quali sussiste un’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione, quando l’attività edificatoria è eseguita in assenza di un piano attuativo dello strumento urbanistico generale, in quanto l’approvazione del piano di lottizzazione o di un suo equipollente, salvo diverse e specifiche indicazioni dettate dalla legge o dall’atto di pianificazione generale, si pone come condizione di legittimità per il rilascio dei singoli permessi di costruire (da ultimo: Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Rv. 258932). Questa Corte (cfr. Sez. 3 – n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 – 02) ha sottolineato come la stessa giurisprudenza amministrativa ha osservato, nel merito, che persino in presenza di porzioni di territorio completamente edificate ed urbanizzate, il Comune legittimamente respinge la richiesta di rilascio della concessione (C.d.S., Sez. V, 7.9.2000 n. 4741; C.d.S., Sez. V, 1.7.2002 n. 3587) in assenza di previa adozione di piano attuativo per un intervento edilizio (che prevedeva la realizzazione non solo di fabbricati per civile abitazione, ma anche di fabbricati destinati ad attività commerciali, negozi, uffici, market, ristorante ed altro) di consistenza e complessità tali da realizzare una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in assenza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali idonei a sostenere il modificato assetto territoriale. Il Comune, pertanto, in ogni caso, non può consentire la realizzazione di tale insediamento senza la previa approvazione di un piano particolareggiato o di un piano di lottizzazione, anche al fine di soddisfare un’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione. Si è ritenuta necessaria la lottizzazione anche con riguardo ad edifici singoli (T.A.R. Cagliari Sardegna sez. H 07 marzo 2012 n. 248) quando si tratti di interventi costruttivi di consistente rilievo (T.A.R. Trento Trentino Alto Adige sez. I 12 gennaio 2011 n. 2).
Ciò che occorre precisare, alla luce del surriportato excursus giurisprudenziale, è che il dato essenziale per il rinvenimento di una lottizzazione illecita, è la realizzazione, quanto a quella materiale, come nel caso di specie, di interventi edili tali da alterare la destinazione e organizzazione programmata del territorio ovvero di pregiudicare comunque la riserva di programmazione riservata all’ente pubblico. Da ciò le considerazioni più che condivisibili della giurisprudenza di legittimità, che individua il nucleo identitario della lottizzazione in parola nella realizzazione di interventi incidenti in maniera significativa sulla destinazione urbanistica di un’area, persino se già urbanizzata, sul presupposto per cui, comunque, la forte e arbitraria ovvero abusiva connotazione urbanistica di un’area – che come tale distingue l’intervento edilizio ex art. 44 lett. b) DPR 380/01 dalla fattispecie in esame -, comunque non consente né la altrettanto abusiva realizzazione anche di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, né tantomeno di sfruttare preesistenti forme di urbanizzazione locali; sul rilievo, per così dire ontologico, che attività atte ad incidere sulla programmazione urbanistica richiedono comunque un piano razionale di realizzazione degli interventi infrastrutturali, idonei a sostenere il modificato assetto territoriale, come tale affidato all’ente programmatore e non certo sostituibile, anche per escludere il reato, con situazioni di fatto non rapportate alla nuova entità edilizia abusiva, anche al fine, come è stato rilevato, di soddisfare un’esigenza ineludibile non solo di potenziamento locale delle opere di urbanizzazione ma anche di raccordo con il preesistente aggregato abitativo, come tale richiedente una specifica e concreta e razionale riprogrammazione pubblica. Cosicchè, in altri termini, è la consistenza dell’intervento edificatorio, con il suo impatto sul territorio, a qualificare la fattispecie di lottizzazione, dovendo essere come tale dotato di una innegabile incidenza anche sul piano della rielaborazione e rimodulazione delle opere di urbanizzazione, comunque da affidarsi alla programmazione pubblica, in tal modo violata, pur in presenza di opere di urbanizzazione già esistenti, poiché comunque non modulate sull’intervento realizzato, posto in rapporto al contesto circostante. Diversamente ed in una prospettiva inversa, potrebbe giungersi paradossalmente ad escludersi la lottizzazione in presenza di opere di urbanizzazione realizzate a completamento dell’intervento – in sostituzione dell’ente pubblico stesso – oppure in ragione di preesistenti interventi di urbanizzazione solo perché già presenti.
In tal senso può fornire ulteriori chiarimenti anche la notazione della configurabilità di ipotesi di lottizzazione persino nel caso in cui essa si identifichi non già con interventi edilizi bensì con modifiche di destinazioni di uso.
Si fa riferimento a quegli indirizzi secondo i quali può configurare il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d’uso di un complesso alberghiero, realizzata attraverso la vendita di singole unità immobiliari a privati, allorché (indipendentemente dal regime proprietario della struttura) non sussiste una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del contratto di albergo, atteso che in tale ipotesi le singole unità perdono la loro originaria destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale; e ancora, si ha lottizzazione abusiva allorquando il frazionamento anzidetto si ponga in contrasto con specifiche previsioni dello strumento urbanistico generale, come ad esempio nel caso in cui detto strumento, nella zona in cui è stato costruito l’albergo, non preveda utilizzabilità diversa da quella turistico-alberghiera. Il problema della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva – allorquando il bene suddiviso consista non in un terreno inedificato, bensì in un immobile già regolarmente edificato – deve essere affrontato anche alla stregua della legislazione urbanistica regionale in materia di classificazione delle categorie funzionali della destinazione d’uso e correlato precipuamente alle previsioni della pianificazione comunale, alle quali deve essere raffrontata, in termini di compatibilità, la effettuata trasformazione del territorio, così che può integrare il reato di lottizzazione abusiva il mutamento della destinazione d’uso di un immobile che alteri il complessivo assetto del territorio messo a punto attraverso gli strumenti urbanistici, dovendosi considerare, quanto alla individuazione di siffatta alterazione, che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni. Si è in tal senso condivisibilmente concluso che la modifica della destinazione d’uso rilevante ai fini lottizzatori è significativa in quanto effettuata tra categorie non omogenee, che, come tali, vengono tenute nettamente distinte e quindi a nulla rileva la destinazione residenziale dell’area ove insiste il manufatto trasformato e la sua pregressa urbanizzazione (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013 Rv. 256519 – 01).
1.20. La delineata prospettiva rende di per sé inevitabile, in applicazione dei suindicati principi, il riconoscere, come correttamente fatto dai giudici, la sussistenza della lottizzazione, a fronte di un complesso turistico alberghiero realizzato in area a vocazione agricola, con persistente vincolo di inedificabilità assoluta, per giunta sottoposta a vincolo paesaggistico, interessante oltre quattro ettari, sito in Sant’Antonio Abate tra la via Stabia e la via Croce Gragnano, rientrante nel Piano Urbanistico territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana, di particolare e notorio pregio.
1.21. La complessa, imponente e devastante, rispetto a una preesistente zona agricola, operazione immobiliare, ha avuto inizio sin dal 1979, attraverso la realizzazione di diversi edifici su un’area su cui originariamente insisteva soltanto un modesto fabbricato rurale. Si tratta della realizzazione di una notevole attiività edilizia, eseguita in assenza di qualsiasi titolo abilitativo urbanistico e paesaggistico, e già in totale difformità da un originario titolo relativo ad un predetto originario fabbricato rurale (in pessime condizioni, composto originariamente da due stalle e una cucina al piano di campagna e da sei vani al primo piano oltre al cortile e a comodi rurali), tanto da accompagnarsi ad una ampia quanto continuativa, sistematica e maliziosa congerie di domande di sanatoria, il più delle volte non accolte e in tre casi accolte comunque al di fuori totalmente del quadro legislativo vigente, che appare, per quanto sinora esposto, ben chiaro e delineato, e ben comprensibile a tutti.
1.22. Utile, in proposito, è allora anche la concreta quanto riassuntiva descrizione di quanto realizzato e contestato nella costante – e abusiva – prospettiva turistico-ricettiva. Va osservato che la proprietà degli immobili costituenti il complesso alberghiero La Sonrisa, qui in contestazione, parrebbe far capo ai soggetti giuridici indicati di seguito, anche riconducibili, quanto alle persone giuridiche, a talune delle persone fisiche qui imputate:
LA SONRlSA s.p.a. con soci POLESE Agostino, Greco Rita, coniugata con Tobia Polese, Sicignano Anna coniugata con Sabato Polese; b) IPOL s.p.a. con soci Polese Tobia, Greco Rita, Polese Concetta, amministratore unico Giordano Matteo; c) POLFRA s.a.s. di Mariarosaria POLESE & C.” con soci i figli di Polese Agostino, ovvero Polese Ciro e Polese Tobia e socio accomandatario POLESE Mariarosari d) Sabato POLESE.
1.23. Già attraverso la illustrazione, nella prima sentenza di merito, dei trasferimenti succedutisi negli anni, emerge la descrizione di parte di quanto materialmente realizzato, rinvenendosi, tra l’altro, il trasferimento, nel 1989, da parte di Rita Greco a “LA SONRISA SRL” di un complesso immobiliare – prima ovviamente inesistente in loco e quindi abusivo – adibito ad albergo-ristorante, costituito dal fabbricato da cielo a sottosuolo, composto da un piano seminterrato, piano terra, piano rialzato, primo, secondo e terzo piano, e annesse aree costituenti accessori del complesso. Risulta come in occasione di talune acquisizioni di opere al servizio del complesso alberghiero i venditori, riconducibili ai soggetti poco prima citati, dichiarassero di frequente che gli immobili erano stati realizzati senza alcun titolo edilizio (con evidente quindi chiara consapevolezza della abusività) e che per essi era stata presentata istanza di condono edilizio.
1.24. Quanto alla consistenza di dette opere abusive, e alle richieste di condono relative, dalle due sentenze di merito emerge che le aree e i fabbricati che formano il complesso immobiliare utilizzato come struttura turistico-ricettiva e denominata “Grand Hotel La Sonrisa” si sviluppano su di una superficie di circa 30.000/40.0000 mq. Ad essa si accede dall’ingresso principale di via Stabia e da tre ingressi secondari di via Croce Gragnano.
L’attività ricettiva viene svolta nell’area in cui sono presenti i tre maggiori corpi di fabbrica, delimitati da recinzioni ed ai quali si accede attraverso maestosi portali. Gli edifici sono disposti in guisa da ottenere un’area scoperta e una corte nel cui centro sono ubicati una piscina, dei gazebo, una cascata ornamentale con belvedere, imponenti portali e strutture metalliche reggenti tende retraibili. La restante parte di area libera è pavimentata e sistemata a verde con aiuole, palme etc. Tutto ciò rappresenta il nucleo centrale del complesso turistico-ricettivo de LA SONRISA.
Tra i tre corpi, quello maggiore è quello centrale, di notevole estensione, molto articolato sia in pianta che in altezza. Esso si sviluppa fino a tre piani fuori terra ed uno interrato. I piani fuori terra sono adibiti ad albergo e ristorante, mentre le cucine ed i servizi accessori sono allocati al piano interrato. Esso comprende, a tutti i piani, alcuni spazi per uso ricettivo. La struttura è classificata come albergo a cinque stelle. Tale corpo principale è collegato, a mezzo di due cunicoli posti al piano interrato, con altri due corpi, anch’essi di notevoli dimensioni. Il fabbricato è in cemento armato e la destinazione di uso dei singoli piani e delle superfici coperte di questo corpo di fabbrica è:
piano seminterrato: vi sono ubicati ampi locali per la lavorazione dei prodotti alimentari e per la preparazione del cibo, dispensa, ampi depositi, celle frigorifere, laboratorio di pasticceria etc., occupante una superficie di circa 1900 mq. con una altezza di circa mt. 3,40. Vi sono inoltre due vasti ambienti, destinati a sala congressi;
piano terra: vi sono ubicati la hall dell’albergo, la ricezione, il bar, la sala bar, la sala colazione. quattro sale per la ristorazione, ulteriori ambienti espositivi, i servizi igienici e le zone porticate esterne, occupanti una superficie di circa 2700 mq. ed aventi altezze variabili da mt. 3,70 a mt. 7,75.
Nella parte sud-est di esso sono presenti vaste zone porticate, ampie superfici pavimentate con strutture pergolate in legno e coperte da rete in plastica verde;
primo piano, adibito ad albergo, ospita 12 camere con annessi servizi igienici, quasi tutte dotate di terrazzo, occupante una superficie coperta di mq. 542,51 ed avente una altezza media di mt. 3,50.
Ulteriori 3 camere sono utilizzate dalla struttura alberghiera;
secondo piano, adibito ad albergo con n. 21 camere con servizi igienici occupanti una superficie di mq. 518, 19 aventi altezza media di mt. 3,50;
terzo piano anch’esso adibito ad albergo presenta 3 camere, occupanti una superficie di mq. 276,93, ha un’altezza variabile da mt. 1,00 a mt. 4,00. Anche a questo piano vi erano 10 camere con servizi igienici annessi che sono state poi demolite a seguito della procedura esecutiva della Procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Il collegamento tra i piani è assicurato mediante scale ed ascensori.
1.25. Emergono, poi, numerose procedure di sanatoria avviate (ma non definite positivamente) per varie strutture, in particolare di condono. Ma nel contempo non mancano interventi edilizi anche imponenti non solo abusivi ma neppure fatti oggetto di domanda di sanatoria (cfr. prima sentenza di merito).
Per il corpo di fabbrica principale, realizzato dal 1980 in poi senza la preventiva acquisizione di validi titoli abilitativi, sono state presentate tre istanze di condono edilizio:
l’una, presentata in data 29.8.1986, prot. 12126, ai sensi della legge 47/&5, per sanare opere realizzate sino al 1.1 0.1983, aventi una superficie complessiva di mq. 1908, eseguite sia in difformità che in ampliamento ad una concessione edilizia del 1979: la seconda, presentata il 31.3 .1995, ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 (cd. secondo condono), per sanare abusi realizzati sino al 31.12.1993 aventi una superficie complessiva di mq. 1689,90; la terza presentata il 30. 1.2004. prot. 2078, ai sensi dell’art. 32 della legge 326/03, per sanare abusi realizzati sino al 31.12.2003 ed aventi una superficie complessiva dj mq. 945,82. Solamente per le prime due istanze è stata rilasciata il formale provvedimento di condono, rispettivamente n. 8/88 del 12 dicembre 1988 e n. 1/98 del 13 febbraio 1998. La terza istanza ha avuto come esito invece, il rigetto da parte del Dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Sant’Antonio Abate non potendo l’opera essere condonata in quanto l’intero territorio del Comune di Sant’Antonio Abate è sottoposto dal 1985 a vincolo di tutela paesaggistica. Risulta altresì presentata una Denuncia di Inizio Attività il 17.12.2003 per realizzare:
un parcheggio interrato di 290 mq.
Un secondo corpo di fabbrica abusivo, anche esso a servizio dell’attività ricettiva, si articola in un piano in elevazione e in un piano interrato.
La destinazione degli ambienti è la seguente:
al piano interrato sono presenti i locali per la preparazione del cibo, una scala ed un montacarichi che portano al piano in elevazione, l’ingresso di un corridoio
sotterraneo che assicura il collegamento con il corpo principale. Nel piano in elevazione vi è un’ampia sala prospettante sulla corte dove ha sede la piscina, le aree verdi e il porticato, la fontana ornamentale e sono presenti servizi quali uffici e wc, la sala è utilizzata prevalentemente per cene e convegni.
Il tutto occupa una superficie di circa 640, mq. cd ha una altezza di mt. 3,65.
Vi sono poi due locali adibiti a studio ed una camera per i portatori dj handicap, occupanti una superficie di mq. 103,0 ed avente un’altezza di mt. 3,05.
Altri locali sono presenti nella parte retrostante della sala, cioè quella ad ovest, ad una quota leggermente inferiore agli altri:
un locale a forma rettangolare adibito a sartoria, realizzato anch’esso con muratura, munito lungo il perimetro di ampie superfici vetrate, oççupante una superficie di mq. 70,00 ed avente un’altezza di mt. 3,00, un locale deposito a pianta rettangolare, realizzato con le stesse caratteristiche costruttive della sartoria ed avente una superficie di mq. 19,60 ed altezza di mt. 3.00;
un enorme spazio che con la copertura in lamiere zincate ed in materiale translucido, posta ad un’altezza di circa mt. 5.60 mt., ingloba la sartoria ed il deposito; esso funge da disimpegno tra i locali prima descritti, avente una superficie coperta di mq. 185,00 mt.; collegato al deposito è ubicato un altro ampio locale anch’esso destinato a deposito. Esso occupa una superficie di mq. 255,00 ed un’altezza alla gronda di mt. 3,05 ed al colmo di mt. 4,05.
Per tale corpo, la cui realizzazione è interamente abusiva, rjsulta presentata il 3 .4.1995, prot. 591 al Comune di Sant’Antonio Abate un’istanza di condono ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 per sanare una superficie complessiva di mq. 1 298,02, essendo in essa compresi anche altri manufatti.
Un terzo corpo unito al primo sopra indicato, principale, con un maestoso portale di ingresso, rappresenta la cortina di accesso principale alla struttura.
Ha una superficie coperta di circa mq. 100,00 ed altezza dj mt. 4,00, con un
volume complessivo fuori terra di mc. 5260,00 circa; si sviluppa con un piano interrato e con un piano terra. Al piano interrato sono ubicati degli ampi locali adibiti a deposito, uno dei quali presenta la pavimentazione ancora incompleta. E’ collegato al corpo centrale mediante un sottopassaggio.
Al piano terra sono presenti due sale per ricevimenti, di diversa superficie e al centro del fabbricato vi è un’ampia zona d’ingresso adibita a sala bar. Entrambe le sale sono dotate di servizi igienici indipendenti. Sempre allo stesso piano sono ubicati anche i locali per lavaggio delle stoviglie, l’ufficio e la cella frigorifera.
Una ulteriore zona d’ingresso è posta a sud-ovest del corpo e da questa, attraverso un’ulteriore scala interna, si accede al lastrico solare
Anche esso è realizzato senza titolo abilitativo e per esso risulta presentata il 31.3 .1995. al Comune di Sant’Antonio Abate un’ istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge 724/ 1994 per sanare una. superficie complessiva di mq. 1603.3 7. In data 25 marzo 2009 il Dirigente dell’’UTC rilasciava la concessione edilizia in sanatoria n. 724/21/2009.
Completano la corte tra questi tre corpi suindicati i seguenti manufatti:
la piscina, con balaustra posta lungo tutto il perimetro, ed i sottostanti locali dove sono posti gli impianti tecnologici; una fontana ornamentale con belvedere e con sottostanti locali utilizzati per alloggio degli impianti tecnologici e come deposito; strutture con l’alloggio per tende retraibili, aiuole con essenze arboree ed arbustive; portali in muratura, nonché restanti superfici pavimentate. Anche questi manufatti sono stati realizzati abusivamente e risultano inclusi in una istanza di condono prot. 2078 del 30.1.2004 presentata ai sensi questa volta dell’art. 32 della legge 326/03. Tale istanza comprende anche abusi commessi sul corpo principale, ed è stata rigettata dal dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Sant”Antonio Abate il 18.6.2010. prot. 15352.
Nell’angolo nord-est, a confine con il terzo corpo sopra descritto e con l’area scoperta vi è una vasta area di mq. 1750, utilizzata come eliporto, tutta pavimentata e recintata con aiuole perimetrali. La restante parte dell’area, posta a nord e ad est è utilizzata come parcheggio. Per queste ultime aree realizzate senza titolo edilizio manca qualsiasi istanza di condono.
Nell’angolo nord – ovest, è presente un quarto fabbricato adibito a deposito. E’ presente una grossa tettoia e il deposito occupa una superficie di circa 240,00 con un’altezza alla gronda di mt. 3,85 cd al colmo di mt. 4,55 per un volume di mc. 1008,0 circa mentre la tettoia copre una superficie di circa 400 mq. ed ha un’altezza alla gronda di mt. 5,60 ed al colmo di mt. 6,00.
La struttura portante del corpo è in ferro e poggia su di una platea in cemento armato ed ha una copertura in lamiera coibentata. La chiusura perimetrale del deposito è stata eseguita in muratura.
Anche questo manufatto, realizzato abusivamente, è compreso in una istanza di condono del 3.4.1995 prot 5918, presentata al Comune di Sant’Antonio Abate ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994; la superficie utile da sanare risulta essere di mq. 227 circa solo per il capannone mentre manca quella della tettoia che occupa altri 400 mq. circa.
Risultano poi posizionati due moduli prefabbricati del tipo containers di dimensioni mt 2,40 x 4. Sono stati collocati senza alcun titolo edilizio e per essi non risulta presentata nessuna istanza di condono.
Nell’angolo sud-est è presente una serra occupante una superficie di mq. 76,50 circa. Al disotto di essa è posizionato un modulo containers avente un ingombro di m t. 2.40 x 3, 10. Non vi è istanza di condono.
Posto a sud del corpo principale, vi è un altro manufatto rettangolare composto da due vani intercomunicanti per una superficie coperta complessiva di circa 120,0 mq., avente una altezza media di mt. 3,80. Si accede ad un ulteriore locale apparentemente di vecchissima costruzione utilizzato come deposito. Non vi sono istanze di condono.
Un altro manufatto usato per l’attività di coltivazione occupa 35 mq. e non è oggetto di domanda di condono.
Altro manufatto molto precario è di circa 46 mq. e posto presso la strada di accesso al complesso alberghiero senza che vi sia istanza di condono.
Vi sono poi consistenze immobiliari al servizio del complesso alberghiero e poste in aderenza al corpo principale della La Sonrisa s.p.a. In particolare è stato rinvenuto un fabbricato di cui una parte adibita ad albergo ed una ad abitazione, composto dal piano cantinato, piano terra, primo e secondo piano, collegati fra loro mediante un vano scala e due ascensori. Il terzo piano è stato demolito a seguito della procedura promossa dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Esso risulta così composto:
piano cantinato (seminterrato), è adibito a sale congressi, a garage per l’abitazione e a locali deposito ed ha una superficie lorda di circa 600 mq;
piano terra (rialzato) occupa una superficie lorda di circa 650 mq., con ampie superfici, patii e terrazze E’ adibito in parte ad hall dell’albergo ed in parte ad abitazione (soggiorno, cucina, servizi igienici e ripostigli);
primo piano ha una superficie lorda di circa 450 mq, con annesse superflci porticate a servizio di tutte le camere. Ha un’altezza interna di mt. 3,90 ed é adibito anch’esso in parte, a stanze dell’albergo (n. 3) con relativi servizi igienici e corridoi di disimpegno. ed in parte ad abitazione (cucina, camere da letto e wc);
secondo piano ha una superficie lorda di circa 375,0 mq, con terrazzi a servizio delle camere stesse. Tutto in uso alla struttura alberghiera con 9 stanze con relativi servizi igienici e corridoi di disimpegno.
Per questo corpo, realizzato senza titolo edilizio risultano presentate diverse istanze di condono e dì concessione edilizia in sanatoria che vanno dal 1995 – per sanare abusi realizzati sino al 31.12.1993 ed aventi una superficie complessiva di mq. 187,00 – ad altra sempre del 1995 per sanare il locale adibito a garage, ad altra ancora, presentata il 9.4.2004, prot. 8537, per sanare abusi realizzati sino al 31 .12.2003 ed aventi una superficie complessiva di mq. 329.32, ad altra poi del 10.12.2004, prot. 28460, per sanare abusi realizzati sino al 31.12.2003 ed aventi una superficie complessiva di mq. 39,27, ad altra del 10.12.2004, per sanare abusi realizzati sino al 31.12.2003 ed aventi una superficie complessiva di mq. 693,46, ad una domanda di concessione in sanatoria, ex art. 13 1egge 47/1985, che è stata rigettata dal comune.
Taluni dei predetti abusi sono stati demoliti a seguito della procedura di esecuzione dell’Autorità Giudiziaria.
Di pertinenza di questo corpo di fabbrica sono delle aree scoperte sistemate, in parte, a verde privato con recinzioni, patii, pergolati e in parte, usate per la viabilità interna e per parcheggi auto.
Anche per queste opere, realizzate abusivamente, non risulta presentata istanza di condono edilizio. Sono altresì presenti opere per generazione di energia elettrica.
Risulta altresì: un edificio composto da un piano interrato, da uno seminterrato e da ulteriori tre piani in elevazione.
Le destinazione e le superfici di ingombro sono le seguenti:
piano interrato a forma quasi rettangolare con una superficie occupata di circa
300,00 mq. ed un’altezza di ml. 2,65. Esso è adibito a deposito e si accede ad esso dal piano seminterrato;
piano seminterrato, avente anche esso un ingombro di circa 300 mq_ ed altezza di mt. 3,10. Ed è destinato a deposito, con accesso attraverso un ampio disimpegno dal quale parte un ascensore esterno che collega alcuni dei piani in elevazione;
piano rialzato, destinato ad attività alberghiera. In esso sono 10 camere con servizi igienici. Il suo ingombro planimetrico è di circa 375 mq. e l’altezza di mt. 3,00. L ‘accesso avviene dal viale interno ed attraverso delle scale esterne;
primo piano, destinato ad abitazione, ha un ingombro di circa 400 mq. ed altezza di mt. 3,00. Risulta rifinito ed abitato;
secondo piano, anch’esso destinato ad abitazione, risulta più piccolo rispetto a
quello sottostante ed ha un ingombro planimetrico dì circa 240 mq.) con un’altezza variabile tra 2,50 mt e 3,75 mt.. L’appartamento è dotato sia a sud che ad est di ampie terrazze.
Anche questo corpo di fabbrica risulta realizzato del tutto abusivamente e per esso è stata. presentata al Comune istanza di condono edilizio ai sensi della legge 47/1985, per sanare opere abusive per una superficie complessiva dì mq. 1073,80, opere destinate ad attività turistico ricettiva.
E’ altresì presente un manufatto a forma rettangolare, adibito a deposito rifiuti ingombranti. Ha un ingombro di mq. 32,00 circa. E’ oggetto di istanza di condono ex L. del 1994.
Un terzo locale è adibito a lavanderia. Esso è di mq. 255,00 circa con un’altezza media di mt. 3.75. Anche esso è oggetto di istanza di condono ex L. del 1994. Un quarto manufatto è destinato a cabina Enel e oggetto di istanza di condono.
Un piccolo manufatto è poi utilizzato come caldaia e oggetto di domanda di condono.
Risultano ancora altri cinque cespiti: in particolare su di una vasta area di circa 5500,00 mq., insistono tre edifici; un primo adibito in parte a deposito e in parte ad abitazione, è di mq. 210,78 per un volume complessivo di 653,42 mc. E’ oggetto di istanza di condono rigettata. Vi è poi un manufatto in legno di circa 10 mq. con istanza di condono respinta. Un terzo edificio di circa 160 mq. è usato come deposito dì balle di fieno e stalla ed è oggetto di domanda di condono, per uso residenziale, rigettata.
Il manufatto di maggiore consistenza è rappresentato da un fabbricato il cui ingombro planimetrico è di circa 370.00 mq, mentre il volume complessivo fuori terra è di mc. 894,40. Avrebbe dovuto essere la ricostruzione di un vecchio fabbricato rurale che era posto a confine con la strada comunale. Esso invece, risulta ricostruito fuori dal sito dell’originario edificio. Non si tratta più di un fabbricato rurale ma di un fabbricato per civile abitazione del tipo signorile, utilizzato per la sua interezza come residenza da un figlio di Polese Sabato.
1.24. Alla luce della sopra riportata, sintetica descrizione degli interventi edilizi realizzati, ed anche tenuto conto della cornice giuridica di riferimento pure in precedenza illustrata, non può affatto contestarsi, come invece sostenuto dalla difesa, la sussistenza dei requisiti integranti la lottizzazione abusiva ed alcun vizio in ordine a tale rilevazione. La sussistenza, invero, di imponenti interventi, all’interno di un’area con destinazione esclusivamente agricola, destinati ad uso sia turistico-ricettivo che residenziale, ed accompagnati altresì da strutture di servizio, di viabilità, tecniche, accoglienza di tutte le persone ivi affluenti (evidentemente in gran numero), a partire dalle aree di parcheggio per giungere all’elitario servizio eliportuale, connota il cuore della fattispecie della lottizzazione abusiva, che come sopra indicato si individua nel grave pregiudizio alla riserva di pianificazione territoriale affidata alla Pubblica Amministrazione. Consegue che il formulato giudizio circa la rinvenibilità, a fronte di cotali interventi rispetto ad un’area agricola, della fattispecie illecita in contestazione, appare del tutto coerente con tutti i sopra indicati indirizzi giurisprudenziali e parametri normativi di riferimento, a partire dalla emersione di interventi edilizi e di urbanizzazione che non solo si pongono al servizio di una non prevista e quindi illecita destinazione turistico-ricettiva e residenziale realizzata, ma anche implicano un necessario nuovo raccordo dell’area qui di interesse, completamente stravolta nella sua destinazione di uso, con quegli aggregati limitrofi cui essa deve inevitabilmente riconnettersi in questa sua nuova, quanto non consentita diversa destinazione di zona.
In tale quadro, non solo cade la censura circa il mancato riferimento a parametri di giudizio per l’inquadramento della fattispecie, ma anche l’obiezione per cui i giudici non avrebbero precisato quali interventi specifici di urbanizzazione avrebbero richiesto le opere contestate appare del tutto destituita di fondamento: sia perché non è prevista alcuna necessaria pedissequa elencazione tecnica degli interventi di urbanizzazione correlati alla lottizzazione abusiva, essendo piuttosto più che adeguato un giudizio sulla rilevanza dell’intervento rispetto a una riserva di pianificazione urbanistica che, se riconosciuta alterata, non può che risentirne anche sul piano degli interventi di urbanizzazione a farsi ( da affidarsi poi eventualmente a tecnici) , sia perché è superata, anche in via di fatto, dalla innegabile circostanza per cui agli interventi edilizi abusivi in senso stretto, realizzati dagli imputati (quali appartamenti e strutture alberghiere con relativi accessori), si sono accompagnati, come rilevato dai giudici, altrettanti interventi, abusivi, di urbanizzazione (sopra citati), a partire dalla viabilità e parcheggi, in uno con strutture tecniche di servizio. Laddove, in proposito, è bene non dimenticare che la fattispecie di lottizzazione abusiva materiale non è integrata soltanto da edifici e strutture similari, ma anche già solo da interventi di urbanizzazione, anche essi idonei, anche solo di per sé, a disvelare la finalità edificatoria perseguita. In altri termini, non può certamente valorizzarsi – come si prospetta dalla difesa in questo caso, nel senso di una pretesa autosufficienza degli interventi in questione sul piano delle opere di urbanizzazione, così da escludere la lottizzazione abusiva -, la sussistenza di talune di queste ultime opere siccome realizzate, anche esse abusivamente, a corredo dell’intervento ricettivo contestato. Sia perché si tratterebbe dell’effetto, paradossale, di utilizzare segmenti del complessivo reato (le opere di urbanizzazione) per escludere il reato stesso (già integrato da interventi edilizi in senso stretto e stravolgenti l’assetto dell’area), sia perchè, per quanto in precedenza osservato attraverso il richiamo agli indirizzi giurisprudenziali qui di interesse, rileva di per sé la necessità inevitabile – a fronte di un intervento di lottizzazione abusiva quale quello accertato – non solo di interventi di urbanizzazione quantitativamente imponenti, ma anche qualitativamente qualificati (come tali non affidabili a privati), sia sul piano di una loro previsione e predisposizione proveniente solo dall’ente pubblico competente, sia nel senso di un loro raccordo organico con le circostanti aree, anche esso non in grado di prescindere da una pianificazione pubblica. Peraltro, l’obiezione sollevata, circa la mancata indicazione, da parte dei giudici, delle opere di urbanizzazione a farsi, trascura anche il principio per cui, in tema di reati edilizi, per la configurabilità della contravvenzione di lottizzazione abusiva non è necessaria l’esecuzione di opere di urbanizzazione (per vero in concreto comunque realizzate per quanto sopra osservato), essendo sufficiente che si proceda al frazionamento del fondo attraverso un’attività materiale o esclusivamente negoziale, realizzata a scopo inequivocabilmente edificatorio. (Sez. 3 – n. 21469 del 20/04/2023 URv. 284628 – 01). A maggior ragione, come già precedentemente sottolineato, non è necessario, per configurare il reato, specificare accanto agli interventi edili già di per sé incidenti sulla riserva di pianificazione, precisi e analitici interventi di urbanizzazione a farsi, che peraltro, lo si ripete, ben possono, come per vero accaduto nel caso di specie, avere già integrato, anche essi, la fattispecie lottizzatoria.
In tale contesto, dalle due conformi sentenze appare dunque sul punto adeguata la illustrazione delle ragioni della rinvenuta lottizzazione, nella misura in cui si valorizza lo stravolgimento dell’area sia per l’imponenza e le dimensioni delle opere realizzate – insistenti su un’estensione complessiva pari, specificamente, a mq. 41.792,70, aventi una sagoma di ingombro pari complessivamente a mc. 7.634,10 -, sia anche per la presenza di strutture di servizio produttive anche esse della completa alterazione delle caratteristiche proprie della zona, sia perché, come hanno perspicuamente osservato già i primi giudici, l’entità dell’insediamento ricettivo ha già sicuramente richiesto significativi interventi di integrazione e potenziamento delle opere e delle infrastrutture già esistenti, considerate le attuali e complessive dimensioni dell’insediamento medesimo, idoneo ad accogliere un rilevantissimo numero di utenti. Tanto in linea, peraltro, con l’ulteriore principio per cui, comunque, la eventuale preesistenza di alcune opere di urbanizzazione nell’area ove viene attuato l’intervento urbanistico non esclude il reato di lottizzazione abusiva (cfr. Cass. Pen. Sez. lV Sent. n. 33150 del 08/07/2008), che sussiste sia quando l’intervento di trasformazione del territorio impone un intervento completamente innovativo anche in termini di opere di urbanizzazione, sia quando ne implichi anche solo un potenziamento di quelle già esistenti.
E in tale quadro motivazionale, è destituita di fondamento la critica difensiva imperniata sulla ritenuta discutibilità dell’imponenza dell’intervento, come sottolineata dai giudici: premesso che si tratta di valutazione di fatto, inammissibile in questa sede e come tale qui non sindacabile, va altresì rilevato che è difficile rinvenire sul punto un vizio di “manifesta” illogicità, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., a fronte di un intervento edilizio complesso e articolato e incidente su un’area di migliaia di metri quadri. Né appare logicamente e giuridicamente fondata la notazione critica che vorrebbe misurare la consistenza dell’intervento operando un rapporto tra la sua estensione concreta e la estensione dell’area di proprietà degli imputati ovvero delle società loro riconducibili. Trattandosi di un’operazione che, nella sostanza, mira a confrontare il realizzato – ovvero la concreta lottizzazione abusiva – con ciò che poteva essere e non è stato – ovvero una lottizzazione abusiva ancor più grande -; per cui la disomogeneità dei due parametri e la loro distonia rispetto ai criteri che presiedono alla individuazione di un intervento lottizzatorio (certamente non “diluibile” attraverso la sua inclusione in un’area più vasta), rende fallace di per sé l’obiezione. Mentre, lo si ripete, in questo caso conta la capacità dell’intervento di incidere, alterandola, sulla destinazione agricola dell’area di riferimento, che peraltro, come tale, ovvero come zona urbanistica e non area di proprietà, ben può essere anche più estesa dei 40.000 mq. che si riconducono ai ricorrenti, atteso che ciò che conta è la rilevanza dell’intervento come tale, in quanto capace di pregiudicare la riserva pubblica di programmazione.
2. Il secondo motivo, elaborato con riferimento alla ritenuta, dai giudici, sussistenza dell’elemento psicologico anche ai fini della statuizione di confisca dei beni, è infondato. Innanzitutto in quanto, a partire dalla prima sentenza, i giudici hanno configurato comportamenti dolosi e non già colposi, sulla base di una più che ragionevole valorizzazione di una vicenda connotata anche da plurime richieste di condono, non di rado anche tradite da illecite prosecuzioni delle opere di chi chiedeva la sanatoria, effettuate nell’ambito di un’area chiaramente destinata a fini agricoli: cosicchè non si poteva non avere la piena consapevolezza di una condotta palesemente contraria agli strumenti urbanistici vigenti, in alcun modo attenuata da provvedimenti di condono (per la cui limitatezza oggettiva e invalidità oltre che irrilevanza rispetto alla lottizzazione si rimanda a quanto sopra osservato) ma, anzi, confermata e attestata proprio dalle domande di sanatoria oltre che dalle non infrequenti decisioni di rigetto, ad opera della Pubblica Amministrazione, delle stesse, come ben si evince dalle due sentenze di merito che pure valorizzano, altresì, frequenti interventi delle Forze dell’ordine. Così da avere, già i primi giudici, reputato coerentemente la sussistenza di un atteggiamento psicologico ben consapevole della realizzazione di condotte in chiaro contrasto, lo si ripete, con gli strumenti urbanistici all’epoca vigenti e del tutto ostativi alla realizzazione di un complesso alberghiero, come tale incidente sulla destinazione di zona e quindi sulla potestà pianificatoria dell’ente pubblico. Con la conseguenza per cui la valorizzazione di un orientamento iniziale della giurisprudenza, nel senso della configurazione di un reato di lottizzazione abusiva esclusivamente doloso, non appare nel caso in esame incompatibile con il concreto svolgimento delle condotte realizzate, anche esse fin dall’inizio correttamente reputate come dolose.
Da parte sua la Corte di appello, lungi dal riqualificare la condotta in termini complessivi di colpa, ha confermato piuttosto l’impostazione dolosa del reato operata con la prima sentenza. Tanto emerge dalla lettura complessiva della sentenza impugnata, posto che, come noto, la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Rv. 191487). Ebbene, il collegio di appello ha dapprima rimarcato come i primi giudici avessero sottolineato il profilo doloso della lottizzazione (sul rilievo delle numerose istanze di condono dimostrative della consapevolezza delle condotte abusive, degli interventi delle Forze dell’ordine e dei relativi sequestri) e quindi, dopo avere evidenziato la astratta connotazione sia dolosa che colposa del reato di tipo contravvenzionale in esame (come tale per legge punibiile sia a titolo di dolo che di colpa), nel respingere la tesi difensiva dell’esistenza di un errore scusabile in capo ai ricorrenti, ha fatto propri gli argomenti dei primi giudici laddove ha escluso tale prospettiva ribadendo la presenza, ostativa alla tesi difensiva, e già assunta quale dato posto a fondamento del dolo, delle numerose domande di condono o più ampiamente di sanatoria presentate, nonché dei numerosi accessi e controlli e sequestri delle Forze dell’ordine. Oltre poi a evidenziare, la corte di appello stessa, gli investimenti economici profusi, le condizioni economiche e sociali dei ricorrenti e le caratteristiche degli interventi. Rispetto a tale ultima complessiva motivazione, che quindi depone chiaramente per una impostazione dolosa della intera vicenda, anche nel quadro delle due conformi sentenze, va altresì evidenziato, da una parte, come gli stessi ricorrenti abbiano affermato nel motivo in esame che vi sarebbe stata da parte della Corte di appello la “percezione” di un “intento lottizzatorio” (dunque dell’elemento del dolo), come sopra già evidenziato, dall’altra, si sono limitati a meramente offrire una diversa valorizzazione di dati disponibili per escludere l’elemento soggettivo, così effettuando mere valutazioni di merito, inammissibili in questa sede.
3. Con il terzo motivo, in sintesi, si è rilevato che la corte di appello, a fronte di deduzioni relative al tema della prevedibilità del precetto, si sarebbe limitata a richiamare alcune decisioni di legittimità riguardanti la differente tematica della “prevedibilità della riqualificazione”. Si aggiunge che proprio la sentenza impugnata confermerebbe la fondatezza della deduzione difensiva nella parte in cui si sostiene che l’originaria previsione di lottizzazione abusiva, di cui all’articolo 42 della legge numero 1150 del 1942, per come formulata sarebbe stata priva di capacità informativa in ordine agli elementi della fattispecie criminosa, con incidenza quindi sul tema sopra indicato. Sul piano poi del profilo soggettivo della questione, si sottolinea come per lungo tempo il reato sia stato configurato come una contravvenzione dolosa,
Le considerazioni di cui al precedente motivo, in tema di dolo e sua legittima e chiara configurazione effettuata dai giudici rispetto ai fatti in esame, devono essere anche esse richiamate per escludere il fondamento anche del terzo.
Si premette, poi, che emerge una questione di rilievo strettamente giuridico, per la quale vale il principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
Tanto precisato, si osserva che gli argomenti volti ad escludere la base legale per il reato in esame e la prevedibilità delle conseguenze penali dell’azione sono destituiti di fondamento.
Va premesso che, come pure rinvenibile nella prima sentenza di merito, la nozione di “lottizzazione edilizia” assumeva, già nell’impianto originario della legge n. 1150/1942, il significato di “operazione di frazionamento di un terreno preordinata ad agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio”. La stessa legge urbanistica generale prevedeva invero:
– all’art. 13, che i piani particolareggiati di esecuzione dei piano regolatore generale dovessero determinare “la suddivisione degli isolati in lotti fabbricabili” secondo la tipologia indicata nei piani medesimi;
– all’art. 28, che fosse vietato procedere, prima dell’approvazione del piano particolareggiato, a lottizzazioni di terreno a scopo edilizio senza la preventiva autorizzazione comunale correlata ad un apposito “progetto”.
Con legge Ponte del 1967 n. 765, all’art. 8 si dispose che il primo e secondo comma dell’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, sono sostituiti dai seguenti:
“Prima dell’approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione di cui all’articolo 34 della presente legge è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio. (…)
Sempre in tema di lottizzazione dunque, una ulteriore disciplina della materia è stata introdotta dall’art. 8 già sopra citato della legge-ponte 6.8.1967, n. 765 (che ha modificato l’art. 28 della legge n. 1150/1942), al fine di garantire: a) che le singole iniziative private si armonizzino con le scelte più generali della pianificazione territoriale, previa autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale; b) che qualsiasi nuovo insediamento di una certa dimensione venga autorizzato solo previa partecipazione dei privati costruttori alla realizzazione delle infrastrutture necessarie ed al pagamento dei relativi oneri.
Per la realizzazione di tali finalità – qualora i Comuni non abbiano proceduto alla formazione dei piani particolareggiati – la legge ha consentito ai privati (che intendano attuare iniziative rivolte a conferire un diverso assetto ad una porzione del territorio comunale) di inserirsi nella disciplina urbanistica presentando appositi piani di lottizzazione, contenenti prescrizioni di dettaglio sostitutive di quelle omesse dalle Amministrazioni.
La lottizzazione, però, è stata subordinata al rilascio, in esito ad una procedura complessa, di un apposito provvedimento autorizzativo del Comune, che la legge condiziona:
– sotto il profilo della validità: all’esistenza di uno strumento urbanistico di carattere generale (piano regolatore generale o programma di fabbricazione);
– sotto il profilo della operatività: alla stipulazione di una convenzione con cui il privato assume a proprio carico specifici oneri patrimoniali connessi alla urbanizzazione primaria e secondaria, fornendo congrue garanzie per l’adempimento. Il Ministero dei lavori pubblici – con la circolare di applicazione della legge-ponte (n. 3210 del 28-10-1967) – ha precisato che costituisce lottizzazione edilizia qualsiasi utilizzazione del suolo che indipendentemente dall’entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici; a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l’attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria occorrenti per le necessità dell’insediamento.
L’art. 13 della menzionata “legge Ponte” ha stabilito che l’articolo 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente:
“Salvo quanto stabilito dalle leggi sanitarie, per le contravvenzioni alle norme dei regolamenti locali di igiene, si applica:
a) l’ammenda fino a lire un milione per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste nell’articolo 32 primo comma;
b) l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire due milioni nei casi di inizio dei lavori senza licenza o di prosecuzione di essi nonostante l’ordine di sospensione o di inosservanza del disposto dell’articolo 28”.
Quanto alla elaborazione giurisprudenziale intervenuta, da essa, sin dal più lontano passato si sono evinte le seguenti principali specificazioni, più volte poi ribadite:
a) si ha lottizzazione allorché si tratti di asservire per la prima volta un’area non ancora urbanizzata ad un insediamento di carattere residenziale o produttivo, mediante la costruzione di uno o più fabbricati, che obiettivamente esigano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività (strada, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua, dell’energia elettrica, scuole, età), vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (vedi già C. Stato, Sez. 5^, 1.2.1985, n. 162);
b) la fattispecie lottizzatoria esula dalle situazioni di zone completamente urbanizzate, però sussiste non soltanto nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quelle, intermedie, di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali si configuri un’esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione. Anzi, per escludere la lottizzazione, deve sussistere una situazione di pressoché completa e razionale edificazione della zona tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo (vedi C. Stato, Sez. 5^; 15.2.2001, n. 790; 7.1.1999, n. 2; 25.10.1997, n. 1189).
Il reato di lottizzazione abusiva.
L’art. 17, lett. b) della legge n. 10/1977 conteneva una norma meramente sanzionatoria “dell’inosservanza del disposto dell’art. 28 della legge 17-8-1942, n. 1150 e successive modificazioni” (considerato da parte della dottrina quale norma penale in bianco nella sua funzione descrittiva del fatto punibile), che però non forniva una unica accezione definita del lottizzare, ma configurava varie ipotesi aventi in comune l’elemento materiale di una durevole trasformazione urbanistica di una consistente porzione di territorio senza la contemporanea attuazione dei servizi e delle infrastrutture necessarie per la razionalità e l’organico inserimento ambientale del nuovo insediamento. Ipotesi che si distinguevano fra loro in relazione alla non-lottizzabilità del terreno, alla mancanza di autorizzazione alla lottizzazione, alla non autorizzabilità di essa, ed infine alla illegittimità o inefficacia della medesima. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema (con la sentenza 28-11- 1981, ric. Giulini), fissarono, in proposito, i seguenti principi fondamentali: il reato di lottizzazione abusiva si estrinseca sia nel compimento di atti giuridici, come la suddivisione del terreno e l’alienazione dei lotti fabbricabili, sia nella esplicazione di attività materiali, come la costruzione di edifici o la delimitazione dei singoli lotti, richiedendosi solo che gli anzidetti atti ed attività risultino funzionalizzati ad un nuovo insediamento urbano e quindi limitino o condizionino, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale; per la configurabilità del reato, di cui all’art. 17, lettera b), ultima ipotesi, della legge n. 10/1977, la nozione di lottizzazione abusiva a scopo edilizio comprende i casi di frazionamento di area nonché qualsiasi forma di frazionamento urbano, non autorizzato, realizzato attraverso l’utilizzazione edilizia del territorio, ciò perché si determina in ogni caso il pregiudizio delle autonome scelte programmatiche sull’uso del territorio, scelte riservate dalla legge alla competenza dello Stato e del Comune, nonché il condizionamento della pubblica Amministrazione ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
L’art. 18, 1^ comma, della legge 28.2.1985, n. 47 forniva una duplice definizione della “lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio”, ricollegandola: a) ad un’attività materiale: “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”; b) ad un’attività giuridica; “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”. Questo secondo tipo di lottizzazione viene denominato “negoziale” o “cartolare” e si fonda sulla presenza di elementi indiziari da cui risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del terreno.
Tali elementi indiziari (descritti con elencazione normativa non tassativa) non devono essere presenti tutti in concorso fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di essi, rilevante ed idoneo a fare configurare, con margini di plausibile veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione (in questo senso è orientata anche la giurisprudenza amministrativa: vedi, da ultimo, C. Stato, Sez. 5^, 14.5.2004, n. 3136).
I due tipi di attività illecite dianzi descritti (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere espletati anche congiuntamente (c.d. lottizzazione abusiva mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione vigente. Le disposizioni dell’art. 18 della legge n. 47/1985 sono state testualmente riprodotte nell’art. 30, 1^ comma, del T.U. n. 380/2001.
Secondo la giurisprudenza anche più recente di questa Corte Suprema, inoltre, il reato di lottizzazione abusiva può configurarsi (vedi Cass., Sez. Unite, 28.11.2001, nonché Sez. 3^: 1.7.2004; 29.1.2001; 30.12.1996, n. 11249) in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione; ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi.
Per completezza, va osservato, quanto all’elemento soggettivo, che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema – con sentenza del 3.2.1990, ric. Cancilleri – avevano affermato che li reato di lottizzazione abusiva si configura come una contravvenzione di natura esclusivamente dolosa, “per la cui sussistenza è necessario che l’evento sia previsto e voluto dal reo, quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale”
Tale interpretazione, però, è stata superata da plurime successive sentenze, anche recenti, di questa III Sezione, con argomentazioni alle quali (per economia di esposizione) si rinvia e che il Collegio pienamente condivide.
In dette decisioni è stato in conclusione rilevato che, dopo che le Sezioni Unite – con la sentenza 28.11.2001, Salvini – hanno riconosciuto (in perfetta aderenza, del resto, al testuale dettato normativo) che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta contraddittorio escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale che materiale, possa essere commessa per colpa [vedi Cass., Sez. I: 13.10.2004, n. 39916, 11.5.2005, Stiffi ed altri; 5.3.2008, n. 9982, Quattrone; 10.1.2008, Zortea].
Pertanto, non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall’art. 42, 4° comma, cod. pen., restando ovviamente esclusi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l’art. 5 cod. pen. secondo l’interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
Nei reati di lottizzazione (che sono caratterizzati da una articolazione particolarmente ampia di possibili modalità esecutive ma si configurano già come reati di pericolo), come sopra già accennato, va ribadito che il legislatore ha anticipato il momento di rilevanza penale del fenomeno, per evitare che lo stesso possa incidere in modo irrimediabile sull’assetto del territorio; non occorre, però, come già in precedenza evidenziato, che la volontà dell’agente sia protesa a vanificare le anzidette finalità di tutela, essendo sufficiente che egli compia attività rivolte alla trasformazione di terreni, con inizio di opere edilizie o di urbanizzazione, ma anche soltanto con atti giuridici indirizzati a realizzare l’edificazione, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite da leggi statali o regionali.
Il reato si connette sempre e soltanto all’inosservanza delle “prescrizioni” urbanistiche anzidette, sicché il proprietario di un terreno non può predispone l’alienazione in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui esso è situato ed il soggetto che acquista un fondo per edificare deve essere cauto e diligente nell’acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona riferite all’area in cui vuole costruire.
Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell’acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore.
Consegue anche che il tardivo intervento repressivo dell’amministrazione comunale, è inidoneo a configurare alcuna incolpevole presunzione di legittimità come questa Suprema Corte ha pure precisato.
Dunque, considerato che secondo le sentenze di merito qui contestate la lottizzazione in esame ebbe inizio con le opere oggetto del provvedimento di condono 8/88, le quali consistevano nella prima realizzazione di una struttura alberghiera indicata nella stessa domanda di condono del Polese, come realizzata entro il termine del 1 ottobre 1983, non può affatto escludersi la esistenza all’epoca di una compiuta definizione della contravvenzione di lottizzazione abusiva (come tale confiscabile), operata non solo in via normativa ma anche in via giurisprudenziale, laddove, poi, il tema della originaria configurazione della stessa solo in termini di reato doloso non contrasta con l’impostazione conferita dai giudici al caso concreto, connotato da una condotta che si assume realizzata proprio in maniera dolosa.
In tale quadro, ad escludere sia l’assenza di una base legale che della prevedibilità e percettibilità della fattispecie incriminatrice, soccorre anche quanto sul tema osservato, in via generale, dalla Corte EDU.
Va premesso che con la sentenza Sud Fondi la Corte EDU ha escluso che nel caso concreto la base giuridica del reato, come contestato, rispondesse ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità, così che era impossibile prevedere che sarebbe stata inflitta una sanzione. Ciò però sul dirimente rilievo per cui nella concreta vicenda giudicata gli imputati, secondo gli stessi giudici di legittimità nazionali, avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretazione delle norme violate; la legge regionale applicabile, unita alla legge nazionale, era stata giudicata complessivamente «oscura e mal formulata»; la interferenza della prima con la legge nazionale in materia aveva prodotto una giurisprudenza contraddittoria; i responsabili del comune di Bari avevano autorizzato la lottizzazione e rassicurato le ricorrenti quanto alla sua regolarità; a tutto ciò si era aggiunta l’inerzia delle autorità incaricate della tutela dell’ambiente. La presunzione di conoscenza della legge (articolo 5 del codice penale) non era più valida e, conformemente alla sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale e alla sentenza delle Sezioni Unite della stessa Corte di Cassazione n. 8154 del 18 luglio 1994, l’elemento psicologico del reato (articoli 42 e seguenti del codice penale) doveva essere escluso poiché, prima ancora di poter esaminare se sussistesse dolo o colpa per negligenza o imprudenza, bisognava escludere la «coscienza e volontà» di violare la legge penale. In questo contesto, nel contempo legale e fattuale, l’errore degli imputati sulla legalità della lottizzazione, secondo la Corte di cassazione, era inevitabile.
Espressamente la Corte Edu ha ritenuto, in tale quadro, di basarsi, per il giudizio di chiarezza e prevedibilità del complessivo precetto imposto nel caso concreto ( articolato in una stretta interrelazione anche tra legge regionale e nazionale) sulle sopra citate conclusioni della Corte di cassazione che, in quella specifica causa, aveva pronunciato un’assoluzione nei confronti dei rappresentanti delle società ricorrenti, accusati di lottizzazione abusiva.
Ebbene, esclusa preliminarmente la corrispondenza tra la vicenda fattuale e complessivamente normativa di cui alla causa Sud Fondi rispetto a quella attuale, e quindi l’impossibilità di alcun parallelo tra la vicenda di cui al processo Sud Fondi in punto di prevedibilità del precetto inerente la lottizzazione, e quella qui in esame – per vero molto più lineare quanto a norme applicabili ( quelle nazionali in tema di lottizzazione), a giurisprudenza rilevante ed a strumenti urbanistici applicabili (con particolare rifermento alla chiara destinazione esclusivamente agricola dell’area) e alle stesse decisioni della P.A., di frequente di rigetto delle domande di condono o repressive mediante le Forze dell’ordine, assieme agli stessi comportamenti degli interessati, reiterati nel senso di richiedere sanatorie, a conferma della consapevolezza e chiarezza delle violate regole -, va altresì osservato come la Corte Edu, nella citata sentenza Sud Fondi abbia in maniera limpida esaminato, in via generale, il tema dei criteri, di cui qui occorre tenere conto, che presiedono alla verifica della sussistenza o meno dei caratteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità del precetto penale nel quadro dell’articolo 7 § 1 della Convenzione Edu, con riguardo al principio di legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Ha in proposito precisato che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono e che questa condizione è soddisfatta “quando la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dal testo della disposizione pertinente, e se necessario con l’aiuto dell’interpretazione che ne viene data dai tribunali, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale”. Così che la nozione di «diritto» («law») utilizzata nell’articolo 7 corrisponde a quella di «legge» che compare in altri articoli della Convenzione e “comprende il diritto di origine sia legislativa che giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, tra le quali quelle dell’accessibilità e della prevedibilità” (Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29, Raccolta 1996 V; S.W. c. Regno Unito, § 35, 22 novembre 1995; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40‐41, serie A no 260 A). Con particolare riferimento al peculiare ruolo integrativo e chiarificatore della fattispecie legale svolto dalla giurisprudenza, la Corte EDU ha inoltre osservato che “per quanto chiaro possa essere il testo di una disposizione legale, in qualsiasi sistema giuridico, ivi compreso il diritto penale, esiste immancabilmente un elemento di interpretazione giudiziaria. Bisognerà sempre chiarire i punti oscuri ed adattarsi ai cambiamenti di situazione. Del resto, è solidamente stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte di diritto, contribuisce necessariamente all’evoluzione progressiva del diritto penale (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A no 176 A). Non si può interpretare l’articolo 7 della Convenzione nel senso che esso vieta di chiarire gradualmente le norme in materia di responsabilità penale mediante l’interpretazione giudiziaria da una causa all’altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDU 2001 II)”.
Discende, da quanto sopra osservato, che secondo la Corte Edu “la portata della nozione di prevedibilità dipende in gran parte dal contenuto del testo in questione, dall’ambito che esso ricopre nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità di una legge non si oppone a che la persona interessata sia portata a ricorrere a consigli illuminati per valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto. Questo vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dimostrare una grande prudenza nell’esercizio del loro mestiere. Da essi ci si può pertanto aspettare che valutino con particolare attenzione i rischi che quest’ultimo comporta (Pessino c. Francia, n° 40403/02, § 33, 10 ottobre 2006)”.
Orbene, non può che trovare conferma allora (anche alla luce delle recenti precisazioni sul medesimo tema intervenute con Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 14 aprile 2015 – Ricorso n. 66655/13 – Contrada c. Italia, relativa ad una vicenda molto meno univoca e ricca, rispetto all’attuale, di riferimenti normativi e giurisprudenziali chiari, coerenti e costanti oltre che idonei a riferirsi ai concreti comportamenti dolosi qui ascritti agli imputati), la tesi sopra già affermata della sussistenza, all’epoca dei fatti, di un precetto in tema di lottizzazione abusiva chiaramente intellegibile da parte dei ricorrenti, alla luce non solo della concreta configurazione legale della fattispecie ma anche dei costanti, precisi e coerenti indirizzi giurisprudenziali, che come tali concorrevano e concorrono nella chiara definizione della fattispecie. Tanto più – lo si ribadisce – nel quadro di un atteggiamento concreto che, nel caso di specie, i giudici hanno adeguatamente evidenziato come doloso, alla luce di argomenti (cui si rinvia) assolutamente lineari, cui si oppone solo un tentativo di diversa valutazione dei medesimi, come tale inammissibile in questa sede.
Del resto, per completezza, non può trascurarsi che il reato in questione ha sempre integrato una contravvenzione, come tale astrattamente punibile sia a titolo di dolo che di colpa; si tratta di un dato rilevante, anche alla luce dei rilievi formulati dalla stessa Corte Edu e sopra riportati, secondo cui “esiste immancabilmente un elemento di interpretazione giudiziaria” e “bisognerà sempre (..) adattarsi ai cambiamenti di situazione” e “ la giurisprudenza, in quanto fonte di diritto, contribuisce necessariamente all’evoluzione progressiva del diritto penale (…) Non si può interpretare l’articolo 7 della Convenzione nel senso che esso vieta di chiarire gradualmente le norme in materia di responsabilità penale mediante l’interpretazione giudiziaria da una causa all’altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile”; cosicchè appare del tutto coerente e rilevante, quanto al tema della positiva conoscenza e conoscibilità del precetto penale in parola, anche il dato della intervenuta evoluzione giurisprudenziale in tema di colpa, certamente non configurabile quale circostanza introduttiva di un precetto penale nuovo e difforme dal precedente, come in sostanza si tende a sostenere. Tanto è confermato, lo si ripete, anche in ragione del fatto che si verte nell’analisi di un reato contravvenzionale, istituzionalmente punibile a titolo di dolo e di colpa, e della possibilità che l’interpretazione giudiziaria illumini gradualmente la ricostruzione della norma, per cui non poteva certamente ritenersi imprevedibile la punibilità della fattispecie anche a titolo di colpa, ancorchè, lo si ribadisce, l’atteggiamento doloso dei ricorrenti, nel caso concreto, renda irrilevante, nella specie, tale ultimo profilo sull’evoluzione anche colposa della contravvenzione. Non può, infine, trascurarsi, come il tema qui in esame sia comunque oggetto di censure alquanto generiche, racchiuse in una complessiva quanto indistinta rivendicazione, a favore di tutti i ricorrenti, della presunta assenza di base legale e di prevedibilità del precetto, come tali avulse da una precisa e puntuale oltre che ineludibile illustrazione, per ciascun ricorrente, della concreta rilevanza, in rapporto alle condotte di ognuno di essi e alle loro peculiari e distinte caratteristiche soggettive, della evoluzione incontrata dal reato sul piano della punibilità, anche a titolo di colpa. Puntualità che tanto più si imponeva a fronte di un reato permanente e progressivo nell’evento, quale è la lottizzazione in parola, e di condotte che si sono prolungate costantemente nel tempo, quantomeno dal 1980 e fino al 2011.
Da ultimo, l’illustrazione della sussistenza, sin da subito, di una ampia e chiara nozione di lottizzazione, senza alcun pregiudizio per i criteri di prevedibilità e conoscenza del precetto, rende estranea al tema, e forzata, la censura per cui i giudici avrebbero aderito ad una interpretazione analogica in malam partem del combinato disposto di cui agli articoli 30 e 44 lett. c) del d.p.r. numero 380 del 2001, laddove con la nozione di atti equivalenti sarebbero state valorizzate opere – quali il torrino – le quali non avrebbero alcuna incidenza con la trasformazione urbanistica dei terreni, quale essenza dell’ipotesi di lottizzazione abusiva. Nel rimandare a quanto di seguito considerato sul rilievo dell’edificazione del torrino, nel quadro della determinazione dei termini ultimi di consumazione della lottizzazione e della relativa prescrizione, è qui sufficiente osservare che l’opera in esame integra una attività edilizia di prosecuzione di uno degli interventi complessivamente integranti la fattispecie contestata, così da ricondursi non tanto ad “atti equivalenti” di cui alla fattispecie legale della lottizzazione, quando ad una delle condotte tipiche lottizzatorie, di cui alla prima parte dell’art. 30 sopra citato, quali quelle integranti la cd. lottizzazione materiale.
4. Anche il quarto motivo è infondato. Deve premettersi che dalla lettura delle due sentenze conformi ed in particolare dalla prima, emerge una analitica elencazione degli interventi edilizi realizzati. La lottizzazione, in particolare, viene individuata a partire dalla realizzazione di una prima struttura alberghiera, oggetto del primo provvedimento di “condono” n. 8/88, sopra già descritta, cui hanno fatto seguito plurimi interventi specificamente illustrati e spesso oggetto di altre domande di condono, non sempre definite, fino a giungere alla individuazione di interventi edili ancora alla data dell’aprile 2011. Per vero, dagli atti allegati e come tali disponibili per questa Corte oltre che dalla lettura anche della prima sentenza, emerge che in quella ultima data si rinvennero non solo la avvenuta realizzazione di opere in un piano seminterrato di una preesistente struttura già oggetto di domanda di condono, realizzazione esulante dalla descrizione degli interventi rinvenibili nella domanda di condono, bensì anche la effettuazione di una pluralità di altre opere non citate nella domanda stessa e indicate nel documento allegato al ricorso, cui si rinvia. Tra queste spiccano, da una parte, la creazione di un torrino, che diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non venne rilevato solo in termini di mera sostituzione di una sorta di rivestimento, bensì in termini di rivelazione della vera struttura finale del medesimo, in vetri, a lungo dissimulata da una sovrastruttura in altro materiale. Così da doversi a rigore ritenere come costruito ex novo. Dall’altra, spicca anche la configurazione di un nuovo ampliamento, anche con predisposizione di pilastri a ciò funzionali. Il rilievo dei giudici quanto a quest’ultima opera, accertata nell’aprile del 2011, laddove il torrino risalirebbe invece al 2010, è stato nel senso per cui doveva ritenersi che si fossero realizzate, rispetto alle opere descritte nella domanda di condono, nuove opere, ancorchè non in corso al momento dell’accesso degli operanti e si è riportata l’epoca di realizzazione delle stesse al momento di tale verifica, ossia quello dell’aprile del 2011, secondo consolidati principi anche di legittimità.
Si tratta di una scelta coerente e corretta in assenza di elementi in grado di spostare, oggettivamente, all’indietro, la data di realizzazione delle opere.
Quanto alla inclusione dell’intervento tra le condotte idonee a integrare la prosecuzione del reato in parola, essa trova fondamento nel dato, giurisprudenzialmente consolidato, per cui il reato di lottizzazione abusiva è permanente e progressivo nell’evento e, con riferimento all’ipotesi di lottizzazione materiale, che qui interessa, si è in più occasioni individuato il momento in cui può dirsi cessata la permanenza, indicandolo, ad esempio: nel sequestro o nell’ultimazione dell’operazione lottizzatrice (Sez. 3^ n. 37472, 2 ottobre 2008); nella cessazione della condotta tipica della lottizzazione abusiva e la possibilità degli agenti di farla cessare (Sez. 3^ n. 19732 del 22 maggio 2007); nella cessazione dell’attività posta in essere successivamente agli atti di frazionamento e alla esecuzione delle opere, poiché tali attività iniziali, pur integrando la configurazione del reato, non esauriscono il percorso criminoso che si protrae con gli interventi successivi che incidono sull’assetto urbanistico, in quanto l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compromette ulteriormente le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica (Sez. 3^ n. 36940, 12 ottobre 2005); nell’attuazione dell’intero programma lottizzatorio, cioè l’epoca di realizzazione dell’ultima opera, sia essa una costruzione abusiva oppure un’opera di urbanizzazione primaria o secondaria (Sez. 3^ n. 392, 5 marzo 1998; Sez. 3^ n. 12212, 12 dicembre 1995). Dalla sommaria ed esemplificativa menzione delle decisioni appena richiamate, appare di tutta evidenza la progressione che può caratterizzare l’attività lottizzatoria, che certamente non si esaurisce, dunque, con l’iniziale trasformazione del territorio, l’aggressione al quale si protrae fintanto che perdurano condotte che compromettono la scelta di destinazione e di uso riservata alla competenza pubblica, tra le quali pacificamente rientrano, come si è detto, la realizzazione di nuovi interventi, anche di urbanizzazione. Risulta altrettanto evidente e attestato in giurisprudenza (cfr. tra le altre Sez. 3, n. 41479 del 24/09/2013 Rv. 257735 – 01) che assumono rilievo, a tal fine, non soltanto quelle condotte che si concretizzano nella realizzazione di interventi edilizi o che comunque aggravino lo stravolgimento dell’assetto attribuito al territorio dagli strumenti urbanistici, ma anche ogni altra condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente, come quelle prima citate e qui in esame.
Ancora, sempre in sede di legittimità si è precisato che la contravvenzione di lottizzazione abusiva configura un reato progressivo nell’evento, che sussiste anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, atteso che tali iniziali attività, pur integrando la configurazione del reato, non esauriscono il percorso criminoso che si protrae con gli interventi successivi (Cass. S.U. 24/4/1992, Fogliani; Cass. 11/5/2005, n. 36940; Cass. 28/2/2012, n. 12772). Ne consegue che l’illecito lottizzatorio si realizza allorquando sia completo dei requisiti necessari e sufficienti per la integrazione della fattispecie incriminatrice e il momento consumativo perdura nel tempo fino a quando l’offesa tipica raggiunge, attraverso un passaggio graduale da uno stadio determinato ad un altro ad esso successivo, una sempre maggiore gravità; in ciò la lottizzazione, quale reato progressivo nell’evento, partecipa alla medesima disciplina del reato permanente, anche mutuandone ricadute giuridiche, e del quale ha in comune la struttura unitaria, la instaurazione di uno stato antigiuridico ed il suo mantenimento, ma ha in aggiunta un progressivo approfondimento dell’illecito attraverso condotte successive, dirette ad aggravare l’evento del reato. Nella ipotesi di lottizzazione mista, la permanenza del reato si protrae finché dura l’attività negoziale o di edificazione, e cioè, in tale ultima ipotesi, fino al completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti, oggetto del frazionamento (cfr. in motivazione Sez. 3, Ordinanza n. 24985 del 20/05/2015 Rv. 264122 – 01; Cass. 13/6/2014, n. 25182). In linea con tale indirizzo, questa Corte ha altresì precisato che in tema di lottizzazione abusiva, il momento consumativo del reato, che segna la decorrenza del termine di prescrizione, si individua nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l’utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica (Sez. 3 – n. 12459 del 13/01/2021 Rv. 281576 – 01).
In tale quadro poi, a fronte della corretta riconduzione temporale delle opere qui da ultimo in parola, effettuata dai giudici così da ricondurre la pubblicazione della prima sentenza ad epoca anteriore alla maturazione della prescrizione (come illustrato nella stessa, pag. 87), viene in rilievo il principio per cui, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 Rv. 259181 – 01 Laiso). Infatti, non basta una mera e diversa affermazione, da parte dell’imputato, per far ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure per determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine, con la conseguente applicazione del principio «in dubio pro reo», atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare la dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto con quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione (cfr. Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 Rv. 259181 – 01; in motivazione Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009 Rv. 243765 – 01; Sez. 3, Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 Rv. 217575 – 01; sez 3 n. 11221 del 18/09/1997 Rv. 209983 – 01). Si tratta di onere che nella specie non appare assolto dai ricorrenti.
5. Riguardo al quinto motivo sollevato, relativo all’art. 649 del codice di procedura penale con riferimento alla parte della sentenza che ha confermato la confisca, sebbene i medesimi fatti fossero già stati valutati, secondo la difesa, nell’ambito di altri procedimenti penali, si tratta di doglianza inammissibile perché generica, a fronte della mancata, specifica illustrazione della coincidenza fattuale rivendicata tra la decisione impugnata e altre distinte decisioni giudiziarie, meramente asserita ma indimostrata, e non emergente in sé neppure dagli atti disponibili, risultando solo pochi atti giudiziari allegati e non sempre corrispondenti a precedenti sentenze (come in caso di due provvedimenti di archiviazione), le quali risultano, peraltro, talvolta relative a soggetti diversi dagli attuali imputati. Al riguardo, va rammentato che ai fini della preclusione del giudicato, l’identità del fatto è configurabile solo quando questo si realizza nelle medesime condizioni di tempo, di luogo nonché di persone; ne consegue che costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva (Sez. 5, n. 18020 del 10/02/2022) Rv. 283371 – 01; Sez. 2, n. 292 del 04/12/2013 (dep. 08/01/2014 ) Rv. 257992 – 01). Si è altresì precisato che ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta (Sez. 2 n. 52606 del 31/10/2018 Rv. 275518 – 02).
Con riguardo al motivo in esame, deve allora condividersi il nucleo centrale della motivazione di cui alla sentenza impugnata come anche della prima sentenza, nella parte in cui si è rilevato che vi è una diversità naturalistica tra i fatti di cui alla contestazione riportata nelle sentenze in esame, in punto di lottizzazione, da una parte, e i singoli episodi edilizi abusivi contestati nelle sentenze ulteriori richiamate dalla difesa e anche citate nelle decisioni qui contestate, dall’altra. Va aggiunto che i principi giurisprudenziali richiamati, applicati alla peculiare materia edilizia ed urbanistica qui in esame, consentono di sottolineare come non sia sufficiente che la contestazione del reato di lottizzazione, per sua tipica natura comprensiva di interventi particolarmente imponenti e complessi, siccome idonei a stravolgere la pianificazione e programmazione pubblica del territorio, comprenda in sé singoli interventi edilizi di per sé considerati e come tali meno rilevanti, sul piano materiale e – peraltro – inevitabilmente, anche sul piano della significatività urbanistica, per sostenere, solo per questo, la coincidenza delle decisioni, come tale rilevante ex art. 649 cod. proc. pen.
Coincidenza che dunque non può esserci, in tali ipotesi, innanzitutto sotto il profilo fattuale, e con riflessi anche sotto il profilo giuridico – sostanziale.
In proposito, agevola la comprensione del tema in esame anche la precisazione, già più volte formulata da questa Suprema corte (cfr. tra le altre Sez. 3 – n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 – 01), per cui il reato di lottizzazione abusiva fisica o materiale si distingue da quello di costruzione senza titolo abilitativo in quanto, nel primo, l’intervento, per le sue dimensioni o caratteristiche, è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale laddove, diversamente, nel secondo, l’intervento, per la dimensione del manufatto, non presuppone opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Rv. 246340; cfr., altresì, nello stesso senso, Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Rv. 266811; in senso conforme anche Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Rv. 256519; cfr. anche Sez. 3, n. 17663 dell’11/05/2005, Rv. 231511, secondo cui, al fine di definire la distinzione tra semplice abuso edilizio e lottizzazione abusiva, va qualificata come lottizzazione quell’insieme di opere o di atti giuridici che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni a scopo edificatorio intesa quale conferimento all’area di un diverso assetto territoriale, attraverso impianti di interesse privato e di interesse collettivo, tali da creare una nuova maglia di tessuto urbano. Conseguentemente allorché la nuova costruzione non presuppone opere di urbanizzazione primaria o secondaria, mentre è richiesto il preventivo permesso di costruire, non si rende necessaria l’autorizzazione lottizzatoria non risultando pregiudicata la riserva pubblica di pianificazione urbanistica). Peraltro, sin dal 1994, la Corte costituzionale aveva affermato che la lottizzazione abusiva costituisce una forma di intervento sul territorio ben più incisiva, per ampiezza e vastità, di quanto non sia la costruzione realizzata in difformità o in assenza di concessione, con compromissione molto più grave, nel primo caso, della programmazione edificatoria del territorio stesso (sentenza n. 148 del 1994).
Dunque, la decisione qui contestata, appare, per la parte essenziale e fondamentale sopra evidenziata, ove esclude ogni coincidenza materiale, perfettamente in linea con gli indirizzi di legittimità precedentemente citati in premessa, che evidenziano la necessaria coincidenza fattuale, nonché, non si dimentichi, soggettiva, tra le contestazioni comparate, quale presupposto per la operatività della preclusione ex art. 649 cod. proc. pen. nei confronti e limitatamente al medesimo soggetto coinvolto.
Deve aggiungersi, inoltre, un’ulteriore notazione.
I provvedimenti citati in ricorso e allegati al medesimo (all. n. 8) non corrispondono sempre, come sopra anticipato, a precedenti giudicati giurisdizionali riguardanti fatti della vicenda e relativi agli stessi attuali imputati. In particolare, la sentenza del pretore di Napoli pubblicata in data 8.10.1997 e depositata il 14.10.1997 riguarda un processo a carico di tale Abagnale Concetta, che non rientra tra gli attuali ricorrenti e che risulta in sentenza assolta per i reati edilizi. Oltre a far riferimento ad un mero circoscritto episodio inerente un ampliamento abusivo, per giunta nel quadro di una contestazione espressamente inerente il reato edilizio e non una lottizzazione. La sentenza del Tribunale di Torre Annunziata n. 128 del 3.3.2000 riguarda Greco Rita, che pur coinvolta processualmente nei due giudizi di merito anteriori alla attuale fase di legittimità, siccome destinataria in appello di un proscioglimento per morte del reo, non rientra, anche essa, tra i due attuali ricorrenti (Polese Agostino e Polese Maria Rosaria), che certamente non sono legittimati a rivendicare presunte violazioni per conto terzi. Per giunta, anche in questo caso la contestazione non rappresenta fatti di perfetta coincidenza con quelli qui in esame e tantomeno di per sé integranti una lottizzazione, che non risulta neppure formalmente contestata dal predetto tribunale di Torre Annunziata, quale è la realizzazione di un solo edificio di due livelli, corrispondenti a un piano interrato e ad un piano terra, collocato inoltre, per la precisione, solo genericamente in Sant’Antonio Abate. Analoghe considerazioni devono formularsi per la sentenza – pure allegata al ricorso – del tribunale di Torre Annunziata, del 7.11.2001, posto che, da una parte, attiene anche in tal caso all’imputata Greco Rita, per la quale si richiamano le considerazioni sopra formulate in punto di carenza di legittimazione degli attuali distinti ricorrenti a dedurre per conto della stessa, e dall’altra configura quale secondo imputato tale Polese Tobia, estraneo all’attuale procedimento. Anche il fatto, limitato espressamente ad un reato edilizio e non ad una lottizzazione, appare circoscritto a una prosecuzione di lavori su immobile abusivo di due piani. La sentenza poi del Tribunale di Torre Annunziata del 24.5.2001, da una parte riguarda Greco Rita, e quindi si richiamano le considerazioni già in precedenza svolte per la stessa, dall’altra si riferiscono solo ad un esplicito reato edilizio, di ultimazione e ampliamento, ancora una volta senza configurazione di alcuna lottizzazione e senza comunque alcuna configurazione di un consistente e complessivo intervento edilizio nei termini sopra più volte evidenziati ai fini della lottizzazione. La sentenza del tribunale di Torre Annunziata del 14.12.2004, poi, riguarda tale Giordano Pasquale Mario, e quindi già sul piano soggettivo esula da ogni possibilità di disquisire, nell’interesse degli attuali ricorrenti, in ordine al principio di cui al brocardo ne bis in idem. Sono infine allegati due provvedimenti di archiviazione, di cui per vero solo uno sembra citato ed esaminato dai giudici di merito, per i quali è sufficiente ricordare che in tema di divieto di “bis in idem”, l’emissione di una sentenza o di un decreto penale di condanna non è preclusa dall’esistenza, per il medesimo fatto, di un precedente decreto di archiviazione (ex art. 131-bis cod. pen)., non essendo quest’ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire l’irrevocabilità. (Sez. 1, n. 39498 del 07/06/2023 Rv. 285053 – 01).
Deve da ultimo aggiungersi che, in contraddizione con la tesi sostenuta nel quinto motivo qui in esame, in tema di ne bis in idem, circa l’esistenza di contestazioni lottizzatorie anteriori alla sentenza impugnata e già riguardanti gli imputati, nel secondo motivo di ricorso, sopra già esaminato, i ricorrenti hanno evidenziato, al contrario, che l’attività edilizia in questione sarebbe stata oggetto di diverse iniziative amministrative, pure citate in ricorso, di natura repressiva o di sanatoria nonchè di accertamenti giudiziari, senza che mai si sia fatto riferimento ad una ipotesi di lottizzazione abusiva.
6. Quanto al sesto motivo, proposto con rappresentazione di vizi di violazione di legge anche processuale e vizi di motivazione in relazione alla confermata confisca, siccome assunta in violazione di canoni che impongono una base legale nonché il rispetto del principio di proporzionalità in ordine alla misura stessa e alla sua applicazione, deve premettersi quanto segue.
Alla luce della prima sentenza sul punto incontestata, sembra evincersi ( cfr. pag. 9) che la proprietà degli immobili integranti la lottizzazione abusiva e confiscati farebbe capo alle 3 persone giuridiche in precedenza già citate: a) LA SONRlSA s.p.a. con soci POLESE Agostino, Greco Rita, coniugata con Tobia Polese, Sicignano Anna coniugata con Sabato Polese; b) IPOL s.p.a. con soci Polese Tobia, Greco Rita, Polese Concetta, amministratore unico Giordano Matteo; c) POLFRA s.a.s. di Mariarosaria POLESE & C.” con soci i figli di Polese Agostino, ovvero Polese Ciro e Polese Tobia e socio accomandatario POLESE Mariarosaria. Oltre che a Sabato POLESE. Con la conseguenza che la confisca dovrebbe ritenersi intervenuta nei confronti di soggetti distinti dagli attuali imputati e ricorrenti. Sia persone giuridiche che fisiche, laddove le prime, quali società per azioni (La Sonrisa) o società in accomandita, devono ritenersi titolari in via autonoma e distinta degli immobili in parola, senza che alcun rilievo possa assumere a rigore la circostanza – per quanto qui di interesse – che Polese Agostino potesse e possa rivestire, come pure emerge dalla prima sentenza, la qualità di socio e amministratore unico de LA SONRISA, e Polese Mariarosaria quella di socio accomandatario per la Pol Fra s.a.s., posto che dagli atti sembra evincersi il dato essenziale, ai fini in esame, che mai le predette società e tantomeno Sabato Polese siano stati in qualche modo coinvolti nei processi penali svoltisi in ordine alla lottizzazione abusiva.
Nella misura quindi che i beni confiscati fossero riferibili solo alle predette società, dovrebbe a rigore ritenersi che le censure sollevate in tema di confisca da parte di Polese Maria Rosaria e Polese Agostino siano inammissibili, afferendo a beni di terzi.
E’ pur vero tuttavia, che, nel contempo, nel ricorso si accenna espressamente ad una incidenza della disposta confisca su beni riconducibili – non solo agli attuali ricorrenti -, ma “anche” a persone fisiche e persone giuridiche distinti dai medesimi, per sostenere la carenza di proporzionalità e la necessità di escludere da tali beni la confisca medesima.
Posto che si tratta di affermazioni generiche, che peraltro fanno riferimento a beni di soggetti non corrispondenti agli attuali ricorrenti (le distinte società e Polese Tobia), per cui gli attuali istanti non sono certo legittimati ad affermare pretese altrui né, tantomeno, quindi, possono, per questa via, riguardante altri soggetti, rivendicare un vizio di proporzionalità della misura che sia stata disposta anche sui loro personali beni, occorre allora anche aggiungere che a fronte dei suddetti complessivi riferimenti (di cui alla prima sentenza e di cui in ricorso) la tematica della disposta confisca, nei suoi limiti soggettivi, non appare chiarita in maniera esplicita, non solo dai ricorrenti stessi ma anche dai giudici di merito; per cui appare opportuno, per completezza, formulare comunque anche le seguenti osservazioni, tenendo conto delle critiche sollevate in ordine alla misura in parola, assumendosene l’eventualità, in mancanza di certezze come sopra illustrato, della sua incidenza anche su beni personali di Agostino e Maria Rosaria Polese. Oppure, assumendosi che – nel caso in cui la proposizione del motivo in esame da parte degli attuali due ricorrenti non si colleghi a beni personali degli stessi bensì a beni delle loro società di riferimento, che i medesimi tuttavia ritengano da ricondursi a loro direttamente -, sarà possibile rispondere alle censure in esame ritenendosi che tale circostanza, lo si ripete, della personale attribuzione a sé, da parte degli attuali ricorrenti, dei beni societari, debba reputarsi quale ammissione del carattere di mero schermo delle società medesime.
Innanzitutto, allora, deve richiamarsi quanto sopra già formulato in tema di prevedibilità della fattispecie lottizzatoria. E rispetto alla cornice ricostruttiva ivi elaborata, va evidenziata anche la chiara previsione della misura della confisca. In ordine ad essa va preliminarmente osservato che, nel caso in esame, il reato di lottizzazione, di pericolo, permanente e progressivo nell’evento, è iniziato dagli anni ’80 e proseguito sino al 2011, così da essere suscettibile di essere interessato anche dalla misura della confisca diretta come definita già dall’art. 19 della L. 47/85. In proposito, si ribadisce che in materia edilizia la confisca dei terreni abusivamente lottizzati è applicabile anche ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto la norma dell’art. 30, comma decimo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che stabilisce l’applicabilità delle disposizioni in materia di lottizzazione abusiva “agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati ai competenti uffici del catasto dopo il 17 marzo 1985”, si riferisce alle sole sanzioni civili previste per le lottizzazioni abusive. (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008 Rv. 241099 – 01).
Deve poi preliminarmente rilevarsi, quanto al tema della proporzionalità della confisca, che, come anche espressamente riconosciuto dalla Corte Edu (Sentenza del 28 giugno 2018 – Ricorsi nn. 1828/06 e altri 2 – Causa G.I.E.M. s.r.l. e altri contro Italia) nessuno può contestare la legittimità delle politiche statali a favore della tutela ambientale, perché in tal modo si garantiscono e si difendono anche il benessere e la salute delle persone (Depalle c. Francia [GC], n. 34044/02, § 84, CEDU 2010, e Brosset-Triboulet e altri c. Francia [GC]). L’articolo 1 del Protocollo n. 1 richiede, per qualsiasi ingerenza, un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Jahn e altri c. Germania [GC], nn. 46720/99, 72203/01 e 72552/01, §§ 83-95, CEDU 2005-VI). Questo giusto equilibrio è rotto se la persona interessata deve sostenere un onere eccessivo ed esagerato (Sporrong e Lönnroth sopra citata, §§ 69-74, e Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, § 57, 31 maggio 2011).
La Corte Edu, (Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 giugno 2018 – Ricorsi nn. 1828/06 e altri 2 – Causa G.I.E.M. s.r.l. e altri contro Italia) ha altresì più volte evidenziato che, per valutare la proporzionalità della confisca, possono essere presi in considerazione i seguenti elementi: la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione, derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione.
Inoltre, non va trascurata l’importanza degli obblighi procedurali di cui all’articolo 1 del Protocollo n. 1. Pertanto, la Corte ha ripetutamente osservato che, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 per quanto riguarda i requisiti procedurali, un procedimento giudiziario relativo al diritto al rispetto della proprietà deve anche offrire alla persona interessata un’adeguata possibilità di esporre la sua causa alle autorità competenti, al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti da questa disposizione (Sovtransavto Holding c. Ucraina, n. 48553/99, § 96, CEDU 2002 VII, Capital Bank AD c. Bulgaria, n. 49429/99, § 134, CEDU 2005 XII (estratti), Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], n. 73049/01, § 83, CEDU 2007 I, J.A. Pye (Oxford) Ltd e J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], n. 44302/02, § 57, CEDU 2007 III, Zafranas c. Grecia, n. 4056/08, § 36, 4 ottobre 2011, e Giavi c. Grecia, n. 25816/09, § 44, 3 ottobre 2013; si veda anche, mutatis mutandis, Al Nashif c. Bulgaria, n. 50963/99, § 123, 20 giugno 2002, e Grande Stevens e altri, sopra citata, § 188). Una ingerenza nei diritti previsti dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 non può quindi avere alcuna legittimità in assenza di un contraddittorio.
Partendo da quest’ultimo rilievo, occorre allora osservare che nel caso in esame deve ritenersi che i ricorrenti, assieme alla stessa Greco, che pur prosciolta in appello per intervenuta morte del reo ha avuto modo di interloquire nel merito, in sede processuale e su ogni aspetto, abbiano potuto esprimere sul punto in questione ogni opportuna difesa.
Quanto alla necessità di verificare, ai fini del giudizio di proporzionalità, la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione, va osservato, da una parte, con riguardo all’annullamento del progetto di lottizzazione, che nessun annullamento è ipotizzabile atteso che nel caso in esame l’intervento lottizzatorio è intervenuto in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, ancorchè invalido. Dall’altra, quanto alla possibilità di procedere, piuttosto, alla demolizione di opere, deve richiamarsi la condivisibile decisione con cui la Corte Costituzionale, con sentenza dell’8 luglio 2021, n. 146, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva. La Corte, in proposito, ha preliminarmente osservato come in seguito a pronunce della Corte Edu in tema di lottizzazione e in particolare a quella del 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia, la giurisprudenza di legittimità si sia fatta carico della necessità di un adeguamento delle modalità applicative della confisca per lottizzazione abusiva ai contenuti della sentenza G.I.E.M., essendosi anzitutto ribadita ”la necessità che il giudice verifichi la pertinenza delle aree e delle eventuali opere confiscate a quelle direttamente interessate dall’attività lottizzatoria, ciò che richiede un accertamento effettuato dal giudice del merito basato su dati materiali oggettivi e supportato da adeguata e specifica motivazione, sindacabile anche in sede di legittimità” (cfr. Cass. pen., Sez. III, 26 febbraio 2019, n. 8350 e Cass. pen., Sez, III, 4 aprile 2019, n. 14743). Tale orientamento, ha notato la Corte, è stato avallato dalle Sezioni Unite, la quali hanno affermato il principio per cui “in caso di declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione all’esito del giudizio di impugnazione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis del codice di procedura penale, a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca urbanistica anche al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità della sua applicazione” (Cass. pen., Sez. Un., sentenza 30 aprile 2020, n. 13539). Si è altresì osservato che la confisca può essere evitata laddove, “prima che la sentenza che accerti la sussistenza dei presupposti della lottizzazione abusiva diventi definitiva, sia intervenuta l’integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, così che la riconduzione dell’area lottizzata alle condizioni precedenti all’abuso sia effettiva e integrale” (Cass. pen., Sez. III, sentenza 22 aprile 2020, n. 12640, e Cass. pen., Sez. IV, sentenza 25 marzo 2021, n. 11464). La Corte ha anche sottolineato, in linea, per vero, con un diffuso indirizzo di legittimità, come l’applicazione della confisca urbanistica ad opera del giudice risenta, in un’ottica di tendenziale residualità, delle concorrenti, legittime determinazioni dell’autorità amministrativa titolare del potere di programmazione urbanistica ed edilizia, ai sensi degli artt. 30, commi 7 e 8, e 31, comma 8, D.P.R. n. 380 del 2001, sia prima (Cass. pen., Sez. III, sentenza 26 febbraio 2019, n. 8350) che dopo il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. pen., Sez. III, sentenza 29 ottobre 2019, n. 43880). Nella medesima sentenza il giudice delle leggi ha anche rilevato che i terzi acquirenti destinatari della misura ablativa possono agire, nei confronti dei responsabili diretti dell’illecito lottizzatorio, con l’azione risarcitoria (Cass. pen., Sez, VI, sentenza 24 gennaio 2017, n. 3606), rilevando altresì, sul piano civilistico, che gli atti di acquisto di beni oggetto di lottizzazione abusiva sono nulli, con tutte le conseguenze che da tale qualificazione discendono in termini di ripetizione dell’indebito oggettivo e dell’eventuale risarcimento del danno. Operato tale chiaro e completo quadro ricostruttivo, in tema di rimedi esperibili rispetto ad una lottizzazione, la Corte ha quindi stabilito, in ordine al quesito sottopostole, che la questione dovesse dichiararsi inammissibile, perché il richiesto intervento “alternativo” alla confisca comporterebbe l’immissione nell’ordinamento di una “novità di sistema”, che richiede “soluzioni normative che mai potrebbero essere apprestate in questa sede, implicando […] scelte di modi, condizioni e termini che non spetta alla Corte stabilire”. Tale ultima notazione ben si collega con l’ulteriore osservazione, di interesse anche in questa sede, con cui la Corte, da una parte ha ribadito che “la natura amministrativa della sanzione in esame non è di per sé incompatibile con il fatto che essa debba essere irrogata nel rispetto di quanto prevede l’art. 7 CEDU per le sanzioni di natura punitiva, considerato che ciò corrisponde alla necessità di salvaguardare l’effettività delle garanzie convenzionali e i connessi profili sostanziali di tutela”, dall’altra ha escluso che tale principio possa portare a “…sacrificare la discrezionalità del legislatore nel configurare gli illeciti amministrativi come autonomi dal diritto penale, nel rispetto del principio di sussidiarietà” (Corte cost., sentenza n. 49 del 2015 e Corte cost., ordinanza n. 187 del 2015, in riferimento alla sentenza n. 487 del 1989).
Alla luce dunque, delle su riportate argomentazioni, anche l’ipotesi, astrattamente articolata dalla Corte Edu nella citata sentenza Giem e altri c/ Italia circa la possibilità di verificare il rispetto del principio di proporzionalità attraverso la eventuale praticabilità di una reazione, di tipo demolitorio e diversa da quella della confisca, trova coerente e condivisibile risposta, nel senso negativo sopra riportato, circa l’applicabilità di tale misura demolitoria, in un quadro di ricostruzione di sistema della disciplina edilizia e urbanistica interna, amministrativa e penale, nonché nella prospettiva dell’affidamento, comunque, alla discrezionalità del Legislatore nazionale, del compito di rinvenire le soluzioni ritenute più adeguate per la tutela del territorio e, inevitabilmente, dell’ambiente, pur nel rispetto dei beni patrimoniali dei singoli e quindi del principio di proporzionalità.
A sostegno di quanto immediatamente sopra statuito, non può trascurarsi come la Corte Costituzionale abbia sottolineato che pur nel rispetto del principio di proporzionalità è nondimeno doveroso ritenere che tale principio “si atteggi in modo diverso, offrendo corrispondentemente una tutela di diversa intensità, a seconda della struttura delle fattispecie sanzionatorie e delle finalità da esse perseguite”. Se è vero, infatti, che, nel quadro costituzionale e convenzionale, l’applicazione della confisca urbanistica non può avvenire in modo automatico e indifferente alle circostanze del caso di specie, “tuttavia, non implica che ciò debba necessariamente condurre all’attribuzione al giudice di uno strumento – come quello di cui il rimettente auspica l’introduzione – idoneo a trasformare alla radice la sanzione della confisca urbanistica e ad attenuarne la portata e gli effetti rispetto al reato di lottizzazione abusiva cui essa accede, sovvertendone così la funzione individuata dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità”. Questo collegio condivide anche, nel quadro della valutazione del principio di proporzionalità, la tesi per cui, secondo la citata Corte il “grado di offensività particolarmente elevato” che connota la lottizzazione abusiva – “in quanto attenta alla stessa funzione programmatoria urbanistica e perché è idonea a dar luogo a un’alterazione strutturale (e in taluni casi irreversibile) delle caratteristiche morfologiche e funzionali del territorio” – giustifichi il “complesso sistema sanzionatorio che circonda tale fattispecie e che vede il giudice intervenire in via tendenzialmente suppletiva, mediante l’adozione della misura ablatoria, solo laddove a tale esito non si sia giunti per effetto della previa adozione, da parte del Comune, dei provvedimenti previsti dall’art. 30, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 380 del 2001 e delle altre, eventuali, determinazioni dell’autorità amministrativa”. Va aggiunto che il peso specifico dell’esigenza della tutela del territorio, di fatto implicante la protezione non solo del territorio in sé ma anche di altri beni inevitabilmente sempre più interconnessi, anche alla luce, per quanto di interno interesse, delle più recenti riforme costituzionali in materia di tutela dell’”Ambiente”, appare progressivamente crescente anche in un contesto normativo europeo, ove si consideri, da ultimo, il rilievo che si evince per tali beni attraverso l’adozione, recente, del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 giugno 2024 on nature restoration and amending Regulation (EU) 2022/869, recante norme sul ripristino degli ecosistemi al fine di garantire il recupero di una natura ricca di biodiversità e resilienza in tutto il territorio dell’Unione. Disciplina, questa, che appare certamente sintomatica di un progressivo sempre maggior rilievo, anche nel quadro dei cambiamenti climatici da fronteggiare, della tutela degli assetti naturali – come l’area agricola qui in esame – e programmati.
In tale prospettiva, ribaditi i già sopra citati argomenti illustrativi della ratio della fattispecie penale lottizzatoria, volta a preservare la riserva di pianificazione territoriale non solo rispetto a materiali alterazioni dello stesso, ma anche in ordine a situazioni in tal senso di pericolo, a partire da alterazioni in via negoziale dell’assetto urbanistico predeterminato, non può che riaffermarsi che la misura della confisca, come prescelta forma amministrativa di prevenzione e di ripristino di un assetto organizzativo territoriale minacciato o alterato, appare allo stato ragionevolmente e legittimamente, nel quadro delle competenze legislative interne, uno strumento di natura amministrativa adeguato e proporzionato, nella misura in cui venga – come ormai più volte precisato dalla stessa giurisprudenza di legittimità – ad acquisire in favore dello Stato i soli terreni interessati dalle predette condotte lottizzatorie (negoziale, materiale, mista). Fermo restando peraltro, come sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza prima citata, la possibilità per gli interessati di evitare tale evenienza attraverso forme di ripristino dell’ordine urbanistico violato, volontarie nonché tempestive rispetto alla conclusione del procedimenti amministrativi e/o penali avviati.
Tali considerazioni suggeriscono a questo collegio anche l’opportunità non solo di sottolineare quanto rilevato da ultimo dal giudice delle leggi con la sopra citata sentenza, in ordine alla persistente natura amministrativa e ripristinatoria ( e non punitiva) della confisca, ancorché poi inserita, secondo la predetta Corte, nella garanzie di cui all’art. 7 della Convenzione Edu, ma anche di ribadirle, in linea sia con una consolidata giurisprudenza di legittimità pure citata dalla stessa Corte Costituzionale sia con quanto sul punto egualmente riportato, seppur in una prospettiva parzialmente diversa da quella seguita dal giudice delle leggi, (quanto alla possibilità, comunque, di fare applicazione dell‘art. 7 della convenzione Edu, invece esclusa, in favore dell’operatività, comunque, dell’art. 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione) nella opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante, dei giudici Spano e Lemmens rispetto alla citata sentenza della Corte Edu nella causa Giem e altri c/ Italia; laddove si spiegano le ragioni per cui non esistono sufficienti motivi per affermare che la confisca nel diritto italiano, imposta dal giudice penale in caso di lottizzazione abusiva, è una «pena» ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione e si aggiunge che “non c’è alcun bisogno di interpretare l’articolo 7 della Convenzione fuori del suo contesto al fine di offrire le garanzie necessarie di tutela dei diritti coinvolti. Una tale tutela deriva naturalmente dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dall’articolo 6 § 1. Imporre una misura di confisca ad una parte in un procedimento giudiziario che non abbia avuto la possibilità di difendersi essa stessa non ha infatti molte chance di essere considerata una violazione proporzionata al diritto al rispetto dei beni (§ 12 supra). Inoltre, tali procedimenti saranno anche inevitabilmente contrari all’esigenza di giusto processo derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, indipendentemente dal fatto che la misura di confisca sia esaminata sotto il profilo civile o penale di tale disposizione”.
In tale prospettiva non è priva di peso, da ultimo, la significativa e recente sentenza della Corte Edu (Corte EDU, Sez. I, 12 settembre 2024, n. 35780/18 – L. c. Italia) con cui si è ritenuto – rispetto ad una vicenda riguardante la legittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo di proprietà, ordine disposto dall’autorità giudiziaria, in cui si faceva valere dal privato la violazione sia degli artt. 6 § 1 (diritto a un giusto processo) e 7 (nulla poena sine lege) che dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – che, nonostante l’ordine di demolizione in questo caso fosse stato emesso dal giudice penale, lo scopo era da ritenersi funzionale al ripristino, ovvero diretto a ricondurre il sito al suo stato precedente, così che l’ordine di demolizione non assume scopo punitivo. Dato ciò, non si era pertanto in presenza di una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione e l’ordine di demolizione non poteva essere soggetto al termine di prescrizione. Si è quindi respinto il reclamo. Di utilità rispetto alle presenti considerazioni, è anche il dato per cui con la citata sentenza la Corte Edu, quanto alla dedotta violazione dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, ha rilevato che lo scopo di un ordine di demolizione è di ripristinare un sito alle sue condizioni precedenti, e tale ordine non è soggetto a un termine di prescrizione.
E invero, per quanto di interesse, l’ordine di demolizione si inserisce in un complesso sistema normativo di ripristino del territorio, in precedenza accennato, comprensivo della confisca, costruito dal legislatore nella sua ormai riaffermata discrezionalità e sviluppato con varietà di iniziative tutte comunque dirette alla funzione di riassetto del territorio e della legalità urbanistica violata, rispetto al quale la stretta correlazione, sul piano funzionale, dei due predetti rimedi, non può che portare a riconoscere ad entrambi il carattere di misure amministrative ripristinatorie e non di pena.
Quanto alla necessità di esaminare il rispetto del principio di proporzionalità anche saggiando la eventuale natura illimitata della sanzione, derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi, allo stato degli atti pare evincersi che siano stati coinvolti solo le aree effettivamente interessate dalla lottizzazione abusiva.
Con riferimento, poi, alla valutazione del grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, del rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, la gravità delle condotte e l’evidenziata intensità del dolo non paiono restringere gli spazi della disposta confisca sub specie del principio di proporzionalità, sempre nella misura, lo si ripete, in cui beni confiscati siano riconducibili direttamente agli attuali ricorrenti nei termini in precedenza ipotizzati.
Del tutto infondate, essenzialmente sul piano logico-giuridico oltre che per la portata eminentemente fattuale, sono poi le ulteriori argomentazioni formulate per escludere il rapporto di proporzionalità qui confermato.
Così, quanto alla evidenziazione per cui la superficie della parte edificata sarebbe di entità contenuta rispetto all’insieme dell’area in questione, si tratta di affermazione che non tiene conto di come emerga di fatto una complessiva lottizzazione comprensiva non solo ed esclusivamente di edifici, ma di altre strutture e opere di vario tipo, come in precedenza illustrato, così che allo stato la confisca appare inclusiva di tutte quelle aree funzionali, in vario modo, alla stessa, senza che i ricorrenti sul punto siano andati oltre tali generiche affermazioni; quanto al rilievo per cui l’indice di fabbricabilità dell’area in parola era tale da consentire interventi superiori a quanto oggetto di contestazione, si è già osservata la sussistenza e persistenza di un vincolo di inedificabilità assoluto, in area per giunta agricola, che quindi smentisce la possibilità di citare e valorizzare qualsiasi valido indice di fabbricabilità, che in ogni caso, in presenza di una abusiva lottizzazione, non può assumere alcun carattere elusivo della stessa; quanto alla rappresentata sussistenza di aree inedificate e di aree di spettanza di soggetti terzi rispetto agli attuali ricorrenti, per le quali si imponeva l’assoluta esclusione di qualsivoglia misura ablativa, e al rilievo per cui dalla sentenza di primo grado emergerebbe che parte dei fabbricati in questione sarebbero suscettibili di uso agricolo, quale circostanza che quindi renderebbe infondata l’affermazione della corte d’appello circa un asserito stravolgimento urbanistico e renderebbe necessaria anche l’esclusione di queste aree da ogni misura ablativa, si richiama quanto in precedenza già osservato circa il presunto quanto genericamente asserito coinvolgimento di terreni di altri soggetti e si aggiunge quanto segue. Si tratta, da una parte, come anticipato, di mere quanto generiche affermazioni, siccome neppure specificate e oggetto di puntuali allegazioni, come tali inammissibili in questa sede oltre che comunque non in grado di incidere su un giudizio di confiscabilità che deve riguardare solo i beni dei ricorrenti in questo procedimento; dall’altra, quanto ai fabbricati ad uso agricolo, si tratta ancora una volta di una diversa rilettura degli elementi disponibili che invece, per quanto sinora illustrato, depongono per la chiara e completa realizzazione di interventi assolutamente illegittimi e illeciti sul piano edilizio e nel quadro peraltro di una lottizzazione abusiva. Si osserva altresì, tornando al tema delle asserite aree di terzi, che esse oltre a presentarsi come l’oggetto di affermazioni generiche da parte degli attuali ricorrenti, possono al più dar luogo a questioni sollevabili in altre sedi giurisdizionali interne, come ormai riconosciuto da questa Suprema Corte, ma solo dai soggetti a ciò eventualmente legittimati siccome mai coinvolti nelle decisioni in discussione, come tali diversi dagli attuali istanti, ed al solo fine di ottenere, eventualmente, in caso di buona fede, la restituzione delle parti di rispettiva proprietà. In proposito, si rammenta che in tema di lottizzazione abusiva, le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia possono essere proposte dagli interessati al giudice dell’esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita (In motivazione, la Corte ha precisato che, in tale fase, al fine di compiere l’accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen.). (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020 Rv. 278870 – 04).
Destituito di fondamento è altresì il rilievo per cui solo di recente il Comune di Sant’Antonio Abate si sarebbe dotato del piano urbanistico comunale, così evidenziandosi una inadempienza degli organi pubblici in sede di programmazione territoriale, i cui effetti non potrebbero – secondo la difesa – essere posti in capo ai consociati, delineandosi una situazione che non potrebbe non rilevare quantomeno sul piano della non proporzionalità della misura disposta nell’ambito del procedimento in parola. In proposito, invero, non è dato comprendere come possa incidere sul piano della proporzionalità, che si traduce nel caso in esame in un rapporto di equilibrio tra la proprietà privata e l’acquisizione della stessa in correlazione alla intervenuta lottizzazione, la tesi qui esposta che, nella sostanza, pare tradursi nel tentativo, del tutto eccentrico rispetto al significato del principio di proporzionalità evocato, di legittimare la decisione dei ricorrenti di rendersi in qualche modo “giustificabili” attuatori di personali e soggettive pretese edilizie, a dir poco imponenti (e in zona agricola, per giunta), per la sola, asserita inerzia comunale sul piano della realizzazione e attuazione degli strumenti urbanistici (invero comunque prevedibilmente incompatibili con quanto realizzato). Quanto alla evocazione della successione nel tempo di numerose concessioni edilizie in sanatoria, e persino di una sentenza del Tar del Lazio che avrebbe annullato un provvedimento di diniego da parte della soprintendenza in ordine a talune delle suddette concessioni in sanatoria, per cui sussisterebbero decisioni di autorità pubbliche che avrebbero ingenerato la fondata aspettativa del pieno e legittimo godimento dei beni e della correlata disponibilità economica degli immobili, da valutarsi in relazione alla misura disposta, secondo canoni di stretta proporzionalità, anche in tal caso di tratta di una inammissibile rivalutazione dei dati disponibili: a fronte della già illustrata chiara consapevolezza, da parte dei ricorrenti, del contrasto tra gli strumenti urbanistici da una parte, e quanto realizzato dall’altra, tanto da rincorrere, per giunta solo in alcuni casi, a procedure di sanatoria solo di rado accolte e, piuttosto, per lo più respinte ovvero superate da nuove violazioni oppure non coltivate, accanto ad opere neppure oggetto di tentativi di condono.
Tanto considerato, va ora anche esaminata la censura circa la intervenuta confisca anche nei confronti di Polese Maria Rosaria, sebbene assolta già in primo grado dalla fattispecie lottizzatoria, e tuttavia sia in primo che in secondo grado destinataria della misura della confisca, sebbene nei confronti della medesima non sussisterebbe alcun accertamento oggettivo-soggettivo circa la prospettata fattispecie lottizzatoria, ma esisterebbe un dictum di segno contrario.
Sempre nel quadro, della maggiore completezza di analisi, per cui si ipotizza l’emersione della eventualità di beni direttamente riconducibili al personale patrimonio della Polese, va osservato che quello prima esposto costituisce un assunto infondato, atteso che nonostante il giudizio assolutorio, per non avere commesso il fatto, i giudici nelle sentenze di merito hanno evidenziato in maniera congrua e completa, in alcun modo specificamente contrastato, la mancanza del requisito della buona fede in capo alla Polese, quale terzo acquirente di beni della lottizzazione. Si tratta di decisione conforme al principio più volte sostenuto in sede di legittimità, secondo il quale in tema di reati edilizi, la condizione di buona fede, che nel caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva preclude la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite nei confronti del terzo acquirente di tali beni, presuppone non solo che questi abbia partecipato inconsapevolmente all’operazione illecita e che, quindi, non sia concorrente nel reato, ma anche che abbia gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell’intervento agli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto, sotto questo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione. (Sez. 3, n. 36310 del 05/07/2019 Rv. 277346 – 01).
Quanto alla posizione di Greco Rita, per la quale si è osservato in ricorso che nonostante il proscioglimento in appello per morte del reo sarebbe stata anche ella interessata dalla confisca, operata la medesima premessa già formulata per la Polese poco prima, in via preliminare si deve osservare che si tratta di critica inammissibile, siccome sollevata da soggetti diversi dalla diretta interessata (che non rientra tra i ricorrenti), come tali non legittimati. In ogni caso, va sottolineato che la confisca – secondo la giurisprudenza prevalente e largamente maggioritaria di questa Corte Suprema – integra sanzione amministrativa che deve essere obbligatoriamente applicata dal Giudice penale che accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, indipendentemente da una pronuncia di condanna, eccettuata esclusivamente l’ipotesi di assoluzione perché il fatto non sussiste (vedi in motivazione, Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008 Rv. 241098 – 01; Cass., Sez. 3: 30.9.1995, n. 10061;); deve anche evidenziarsi in tale prospettiva che la morte del reo non fa venire di per sè meno la possibilità di disporre la confisca per il reato di lottizzazione all’atto del proscioglimento, secondo quanto più volte affermato da questa Sezione (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 25883 del 14/03/2013 Rv. 257144 – 01; Sez. 3, n. 5857 del 06/10/2010 Rv, 249516) che ribadisce il principio secondo cui la confisca dei terreni o delle aree oggetto di lottizzazione abusiva può essere disposta anche con la sentenza di non luogo a procedere ed, in particolare, anche per morte del reo, ove la fattispecie della lottizzazione abusiva, come reato, sia accertata in tutti i suoi elementi e segnatamente anche nell’elemento soggettivo del reato. Non è censurabile, quindi, la decisione con cui non si revochi la statuizione della confisca, già intervenuta in primo grado in uno con la correlata condanna nei confronti di un imputato, poi deceduto, avendo ritenuto comunque accertata la dolosa realizzazione, da parte sua, della lottizzazione. Laddove, con particolare riferimento a Greco Rita, la stessa nella prima sentenza, assieme a Polese Agostino, è stata condannata per il reato di lottizzazione abusiva quale autrice delle relative condotte, siccome reputata anche ella (come il Polese) “consapevole della violazione sistematica della disciplina urbanistica del territorio (tenuto conto anche che nel corso degli anni ed in occasione di alcuni abusi commessi si aveva l’intervento delle Forze dell’ordine che procedevano a sequestri o a contestazioni della contravvenzione di abuso edilizio), con l’intento di trasformare l’assetto del territorio al fine di realizzare un sempre maggiore lucro…”
Rispetto alle censure sollevate con il motivo in esame, deve dunque sottolinearsi che la confisca lottizzatoria è una forma di confisca già prevista normativamente con l’art. 19 L. 47/85 citato, e obbligatoriamente imposta anche in assenza di condanna, seppure, alla luce della evoluzione giurisprudenziale in rapporto alla Convenzione Edu, necessitante un giudizio accertativo dei profili oggettivo e soggettivo della fattispecie lottizzatoria di riferimento; deve quindi ribadirsi, da una parte, che la confisca in parola risulta integrare una misura di natura amministrativa applicabile anche in caso di morte del reo, e non solo in caso di intervenuta prescrizione o amnistia ex art. 578 bis citato, dall’altra, deve evidenziarsi, altresì, che quest’ultima norma, in realtà, reca solo una peculiare disciplina per tali ultimi distinti casi di prescrizione o amnistia ed allorquando sopraggiunga la prescrizione o l’amnistia in sede di impugnazione, così da imporsi comunque al giudice ( corte di appello o Corte di Cassazione) la decisione sulla impugnazione ai soli effetti della confisca.
Quanto poi alla intervenuta conferma, ex art. 578 bis cod. pen., della confisca disposta nei confronti di Polese Agostino, purchè, lo si ripete, effettivamente interessato in proprio a beni confiscati, a fronte della intervenuta prescrizione del reato di lottizzazione ascrittogli da una parte, deve ribadirsi, alla luce di quanto sinora esposto, che, nella “lettura” data da questa Corte, l’art. 44 cit., là dove ricollega la confisca lottizzatoria all’accertamento del reato, consente di prescindere dalla necessità di una sentenza di condanna “formale”, permettendo di fondare la “legittimità” del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre che dell’elemento oggettivo, anche dell’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna, come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU; dall’altra, deve rilevarsi che si tratta di decisione conforme al dictum di questa Suprema Corte, per cui in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. (In motivazione la Corte, confermando la confisca disposta nel giudizio di merito, ha precisato che deve riconoscersi al richiamo contenuto nella norma citata alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge”, formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale). (Sez. U, Sentenza n. 13539 del 30/01/2020 Rv. 278870 – 02). Né osta l’epoca di entrata in vigore di tale norma, atteso che a fronte della confisca lottizzatoria da decenni contemplata nel nostro ordinamento, correlata al periodo di consumazione della lottizzazione abusiva qui riconosciuta, deve evidenziarsi come la Suprema Corte abbia altresì sottolineato che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi illegittimamente costruite, già disposta in primo grado – come nel caso di specie – ai sensi dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ove sia accertata la sussistenza degli elementi soggettivo e oggettivo del reato, deve essere mantenuta dal giudice dell’impugnazione, in caso di intervenuta prescrizione del reato, anche in relazione ai reati commessi prima della entrata in vigore dell’art.578-bis cod. proc. pen., avendo detta disposizione, in relazione alla confisca in oggetto, natura esclusivamente processuale. (Sez. 3 – , n. 21910 del 07/04/2022 Rv. 283325 – 02).
7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 15.02.2024.
(foto S.D., archivio GrIG)