di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Nel 1873 un avvocato astigiano – Agostino Della Sala Spada – scrisse un romanzo di fantascienza in cui descriveva il mirabolante mondo del futuro, cioè la Torino del 2073. Si trattava di un mondo felice e pieno di gente sana, reso possibile da una semplice innovazione architettonica: i vetri delle case erano colorati di violetto, e questo aveva migliorato enormemente la salute della popolazione.
L’idea di curare i malati tramite vetri colorati non era però un’invenzione di Della Sala Spada. Per capire da dove gli fosse arrivata, occorre fare un passo indietro e occuparsi di una particolare mania che cominciò a diffondersi negli Stati Uniti a partire dal 1871, per poi raggiungere l’apice intorno al 1877-78. In quegli anni i vetri blu andavano a ruba, e non solo per le abitazioni: solarium, serre e stalle venivano rivestite con vetri al cobalto, di colore blu intenso, inframmezzati alle normali lastre trasparenti. L’artefice di questa moda era un ex-generale di nome Augustus Pleasonton [1].
Dai campi di battaglia a quelli agricoli
Nato a Washington nel 1808, veniva da una famiglia di robuste tradizioni militari: il padre, Stephen, partecipò alla guerra anglo-americana del 1812, mentre il fratello Alfred fu comandante di un reparto di cavalleria durante la guerra civile americana (1861-1865). Anche Augustus intraprese la carriera militare, ma nel 1830 si congedò dall’esercito regolare, si laureò in legge e cominciò a lavorare come avvocato a Philadelphia. Tre anni dopo si unì alla milizia volontaria della Pennsylvania; nel 1844, durante una sommossa popolare a Southwark, fu colpito all’inguine da una palla di moschetto.
I suoi esperimenti sulle proprietà del colore blu iniziarono nel 1861, proprio in concomitanza con lo scoppio della guerra civile. Pleasonton era un appassionato di scienza, e aveva iniziato a leggere libri di chimica, ottica e galvanismo. In particolare, era rimasto colpito dagli scritti di Robert Hunt, Ricerche sulla luce (1844). Hunt fu uno dei padri della fotografia, ma non era quella tecnologia a interessare l’ex-generale. Nel trattato, erano descritti alcuni esperimenti secondo cui la luce a lunghezze d’onda diverse (e quindi di colori diversi) poteva avere effetti sulla materia organica – accelerando, ad esempio, la produzione di anidride carbonica da parte delle piante.
Pleasonton cominciò a fare qualche prova in proprio. Si concentrò sul colore blu: il colore del cielo, che doveva avere per forza una relazione “costante e intima” con gli organismi viventi. Nel 1861 allestì una grande serra nel giardino di casa, in cui piantò un gran numero di viti; nel tetto, un pannello su otto era blu. In questo modo le piantine avrebbero potuto beneficiare degli effetti dovuti al colore, ma al tempo stesso avere abbastanza luce per crescere regolarmente. A suo dire, gli effetti dell’esperimento sarebbero stati straordinari.
Esperimenti in porcilaia
Per una decina di anni, Pleasonton andò avanti a sperimentare gli effetti dei vetri blu. Nel 1869 ecco il salto di qualità: passò dalle piante agli animali, allestendo una porcilaia in una fattoria fuori città. Quattro maiali furono sottoposti alla normale luce ambientale, mentre altri quattro furono posizionati direttamente sotto un finestrone a vetri blu. In teoria, questi ultimi partivano svantaggiati: 167 libbre iniziali contro i 203 dei loro compagni di esperimento. Eppure, in pochi mesi i primi arrivarono a 520 libbre, mentre i secondi si fermarono a 530. È vero, gli animali posizionati sotto i vetri incolori erano pur sempre quelli più grassi, ma l’aumento in percentuale era maggiore tra quelli posti sotto alla luce blu.
Erano risultati incoraggianti, e Pleasonton passò a sperimentare con un vitellino malaticcio e gracile. Dopo alcuni giorni in un “recinto cromatico” l’animale appariva sano e robusto. Cominciò allora a raccontare a tutti del suo nuovo metodo, convincendo anche un vicino ad allevare le sue galline sotto vetri del colore da lui usato.
Dal punto di vista scientifico, possiamo dire che gli esperimenti di Pleasonton erano del tutto “casalinghi”, e che erano fatti su un numero di animali limitatissimo. In quelli sul vitellino e sulle viti mancava un adeguato campione di controllo, e la verifica dell’efficacia non poggiava su dati oggettivi, ma era affidata alle impressioni dell’entusiasta proprietario. Nel caso dei maiali c’era un confronto tra animali sottoposti ai vetri blu e altri che non lo erano stati. Mancava, però, il concetto di test in cieco, e non veniva tenuta in conto la possibilità che quegli animali fossero cresciuti di più per caso, o perché inconsciamente trattati meglio, o più alimentati da Pleasonton – che desiderava nient’altro che veder confermata la sua teoria.
Il punto di svolta, comunque, arrivò nel 1871, quando la Società per la Promozione dell’Agricoltura di Philadelphia gli propose di esporre in pubblico i suoi risultati.
La danza elettrica della vita
Pleasonton prese l’invito come un segno del cielo: era arrivato il momento di rivelare al mondo le sue scoperte. Nel discorso fatto ai cittadini, non si limitò a descrivere gli esperimenti, ma formulò una serie di teorie che, a suo dire, giustificavano i suoi successi. Per lui era tutto legato all’elettricità.
Il principio di funzionamento dei vetri blu doveva essere più o meno questo: immaginate la luce che colpisce il vetro. Le lunghezze d’onda relative al blu passano attraverso la lastra, mentre quelle relative agli altri colori no. Ora, voi avete un’onda che viaggia a una velocità incredibile, e che quindi porta con sé tantissima energia. L’impatto improvviso tra l’onda e il vetro genera una fortissima quantità di attrito (elettrico), dovuta a quelle frequenze che non possono passare attraverso la lastra. Pensate ora di poter convogliare quell’energia sulla colonna vertebrale di un animale, e che i nervi la raccolgano, distribuendola a tutti gli organi. Ecco l’origine di quella forza vitale, quell’inaspettato vigore che arrivava a piante e vitellini!
E quali effetti poteva mai avere su un essere umano, magari rachitico e malaticcio? Un fisico scuoterebbe la testa sconsolato: tutto sbagliato, tutto da rifare. Quei discorsi erano privi di qualsiasi significato. Ma Pleasonton ne era convinto. Per lui ogni cosa dipendeva dall’elettricità: la crescita degli alberi, la rotazione dei pianeti, il clima, la formazione dei diamanti. La terra fertile all’equatore era indubbiamente un prodotto del cielo azzurro, mentre ai poli c’era meno elettricità, meno cielo azzurro, e di conseguenza un clima freddo e una vegetazione meno rigogliosa!
Fece stampare il suo discorso e lo spedì a illustri scienziati e personalità della cultura americana. Subito dopo, fece domanda di brevetto per assicurarsi che nessuno potesse copiare la sua innovativa serra a vetri blu. Il 26 settembre 1871 gli fu concesso.
Un libro alla conquista del mondo
Da quel momento la mania dei vetri blu cominciò a diffondersi. Agricoltori e allevatori li montavano su stalle e palizzate; i malati li cercavano per curarsi. La notizia delle scoperte di Pleasonton finì addirittura sui Rendiconti dell’Accademia delle Scienze francese. Gli studiosi di medicina, però, un po’ ovunque erano a dir poco tiepidi.
Intanto, l’ex generale riceveva lettere entusiaste da coloro che avevano provato i vetri blu, e ne erano rimasti soddisfatti. In poche settimane radunò un’enorme casistica di presunti beneficiati dal metodo: canarini che avevano riacquistato la voce, agnelli ingrassati, reumatismi migliorati, anziani rinvigoriti. L’esposizione ai vetri blu, a quanto diceva, aveva addirittura guarito un tumore in una bimba di un mese!
Nel 1876, queste testimonianze finirono in un libro: L’influenza del raggio blu della luce del sole e del colore blu del cielo nello sviluppo di piante e animali. Fu fatto stampare da Pleasonton su carta apposita. Blu, ovviamente: secondo l’autore, avrebbe evitato ai propri lettori di affaticarsi gli occhi, mentre leggevano alla luce delle lampade! Il volume è tuttora ricercatissimo dai collezionisti per questa insolita caratteristica. Potete comunque leggerlo integralmente qui.
Scintille tra moglie e marito
Oltre a riportare le innumerevoli testimonianze di successo, nel suo volume Pleasonton spingeva le sue teorie elettromagnetiche oltre il limite del ridicolo. Forse il vertice lo si tocca in questo passaggio, in cui l’inventore dei vetri blu cercava di spiegare i litigi tra le mogli (sobrie) e i mariti ubriachi:
I due sessi sono elettrizzati in modo opposto – da qui la mutua attrazione tra di loro. Ora diamo loro la stessa elettricità, e ne risulta un’immediata repulsione. […] È stato dimostrato che, sotto l’effetto di stimolanti alcolici, l’elettricità negativa o mascolina dell’uomo possa essere invertita e diventare positiva come quella della donna – in altre parole, l’uomo si trasforma momentaneamente in una donna. […] Le sue caratteristiche diventano femminili: è irritabile, irrazionale, si innervosisce per qualsiasi sciocchezza e, se criticato per le sue opinioni o per il suo modo di fare, diventa violento e offensivo; se un uomo in questo stato d’animo incontra sua moglie, poiché essa ha la sua stessa carica elettrica positiva, tendono a respingersi reciprocamente, diventano mutualmente violenti, ingaggiano guerre e lotte mortali…
Convinti? Noi non tanto.
La prima edizione del libro comunque andò esaurita. E quando uscì la seconda, nel 1877, i vetri blu erano ormai una mania.
I vetri blu sono ovunque
Guardate questa colonna dedicata ai piccoli annunci apparsa sul Chicago Daily Tribune del 19 gennaio 1877: almeno quattro ditte proponevano gli speciali vetri blu del signor Pleasonton. I poteri curativi attribuiti al “ceruleo” erano stati estesi anche anche all’arredamento: tappezzerie, tendaggi e mobili blu erano l’ultima moda. Intanto, i centri benessere avevano cominciato a vendere trattamenti a base di “bagni di luce blu”, e gli ottici – ben prima di John Lennon – facevano a gara a proporre occhiali con lenti colorate in quel modo. Fratture, meningiti, emorragie, gotta, colera, tubercolosi: non c’era malattia che non potesse migliorare grazie ai vetri al cobalto.
Ovunque si discuteva dei poteri della luce colorata, ovunque se ne parlava: teatro, giornali, musica, opere parodistiche. Nel 1877 uscirono ben undici canzoni dedicate al fenomeno del momento, alcune di elogio alla nuova scoperta, altre di aperta satira:
Ho il vetro blu nel mio lucernario,
tiene fuori il vento e la pioggia,
abbiamo il vetro blu in tutta la casa
e il vetro blu nel cervello …
Metti un bambino solo
in una culla di vetro blu,
lo trasformerà in due gemelli.
Oh Vetro Blu, Vetro Blu,
certo una grande scoperta;
se ti ammali un po’, puoi curarti presto,
con la cura Vetro Blu.
Business is business
Ovviamente, tutto questo era anche una fonte di business. Non per Pleasonton: la mania andò ben oltre il suo brevetto, che si limitava a un particolare tipo di serra. L’unico accordo commerciale che l’apostolo dei vetri blu riuscì a concludere fu con la Keely Motor Company, nata per commercializzare un particolare “motore pulsante idropneumatico” inventato da John Keely – una macchina che, per funzionare, avrebbe dovuto violare le leggi della termodinamica. Ma Keely (nel Ventesimo secolo glorificato da occultisti e stampa “esoterica”) seppe sfruttare la mania del momento per rassicurare gli investitori e garantire che il vetro blu sarebbe stato “il punto di collegamento tra l’energia solare e la macchina”. Inutile dire che il meccanismo di Keely non funzionò mai come avrebbe dovuto, e che la sua invenzione si rivelò per quel che era: una truffa.
A parte la scelta di partner commerciali sbagliati, Pleasonton aveva un altro problema: la concorrenza. Un certo H. Mecier Beidler di Philadelphia, ad esempio, cercò di brevettare una lastra di vetro portatile, già intelaiata, da posizionare sul corpo in maniera “scientifica”, a un angolo di 56°. Fece stampare anche un pamphlet e aprì un “salone di cura”, in cui i tisici potevano curarsi con “bagni di luce” blu, indossando speciali mantelline di flanella a scacchi blu e bianchi.
E gli scienziati? Le idee di Pleasonton non trovarono nessun riscontro nel mondo accademico. I più si limitarono a sperare che la moda passasse presto. Ci furono, ovviamente, delle eccezioni. Seth Pancoast, ad esempio, un medico e scrittore che si innamorò delle teorie sulla luce dell’ex-generale e finì per sposarle alle sue personali idee di tipo teosofico. In Italia, Giuseppe Ludovico Ponza, medico e direttore del manicomio di Alessandria, nei primi anni ‘70 del XIX secolo cercò di applicare le teorie di Pleasonton alla cura dei suoi pazienti.
Nella comunità scientifica, però, i più guardavano alla mania dei vetri blu con fastidio. Tra questi anche i redattori dello Scientific American, che tra il 1877 e il 1878 si lanciarono in una serie di articoli di quello che oggi chiameremmo debunking. La celebre rivista di divulgazione spiegava che il vetro blu non concentrava affatto la luce, ma che anzi la schermava, e che le guarigioni erano da attribuirsi alla suggestione. Per dimostrare la forza di questo effetto, peraltro, arrivò a tirare in ballo aneddoti al limite del leggendario, come quello dell’uomo ucciso dal finto sanguinamento.
Non furono però le critiche della scienza a far cessare la mania. Semplicemente, come parte delle mode mediche prive di qualsiasi riscontro, alla fine si esaurì. I pazienti videro che i miglioramenti non erano così decisivi, gli allevatori si accorsero che i vetri blu non erano la panacea di tutti i mali. Negli anni ’80 dell’Ottocento i vetri blu erano già relegati al grado di bizzarra ciarlataneria. Sono però da considerarsi un precursore di un’altra pseudoscienza successiva, la “cromoterapia” che sarebbe tornata molte volte nella storia delle illusioni mediche.
Pleasonton morì nel 1894. È ricordato come artefice di un’infatuazione che ebbe successo anche perché, tutto sommato, era economica, poco invasiva, di facile somministrazione – a differenza di altre cure che spopolavano negli stessi anni (qualcuno ricorda la sospensione, ad esempio?). E questo, a ben vedere, è una delle chiavi più semplici per leggere il costante successo di ciarlatani della salute di ogni risma. “Tentar non nuoce” era il leitmotiv di fondo. Purtroppo, molte volte, non aiuta nemmeno.
Note
[1] Per approfondire la sua vita consigliamo il libro La follia di Barnard, di Paul Collins (Adelphi, 2006), in cui la sua vicenda viene descritta ampiamente.
Immagine in evidenza: la mania dei vetri blu, satireggiata sul periodico statunitense Puck, vol. 39, n. 1012 del 29 luglio 1896 (immagine di pubblico dominio).