La NATO ci chiede di aumentare la spesa per le armi. L’escalation delle spese militari in Italia e in Europa.

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Nel 2023 la spesa militare globale totale ha raggiunto il nuovo record di 2.443 miliardi di dollari, con un aumento del 6,8% in termini reali rispetto al 2022 (dati SIPRI). Tra le aree che hanno registrato il maggior aumento ci sono i Paesi europei della NATO. Ma per l’Alleanza non è ancora abbastanza e dal vertice di Washington di oggi la NATO tornerà a chiedere un aumento dei budget nazionali.

La spesa militare in Europa

Nel 2022, la spesa militare aggregata dell’UE e dei Paesi europei della NATO ha raggiunto i 346 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 2% in termini reali rispetto al 2021 e di quasi il 30% rispetto al punto di minimo del 2014: quasi quattro volte la spesa della Russia. Oltre alle spese militari nazionali, l’Unione Europea ha aumentato esponenzialmente il proprio bilancio in armamenti in pochi anni. Mentre i Trattati europei per lungo tempo hanno escluso l’uso del bilancio comunitario per attività di questo tipo, oggi l’UE destina almeno il 2% del suo bilancio a scopi militari.

La distribuzione del Fondo Europeo per la Difesa

Solo 4 Paesi ricevono quasi i 2/3 del budget stanziato finora dal Fondo europeo per la Difesa: Francia, Italia, Spagna e Germania, ovvero le quattro principali potenze militari dell’UE e tra i maggiori esportatori di armi al mondo.

La spesa militare in Italia

In Italia, l’aumento della spesa militare del 2024 è trainato dal bilancio del Ministero della Difesa, che quest’anno supererà per la prima volta i 29 miliardi di euro, con una crescita del 5,1% rispetto al 2023 e del 12,5% in due anni. Secondo la metodologia dell’Osservatorio Mil€x, nel 2024 la spesa militare “diretta” (ovvero la spesa del Ministero della Difesa meno alcune voci, più la spesa per le armi in capo al Ministero del Made in Italy e la spesa per le missioni militari in capo al Ministero dell’Economia) sarà di circa 28 miliardi di euro, con un aumento del 5,5% rispetto all’anno precedente.

La crescita del commercio di armi

L’enorme crescita degli affari armati non è iniziata con la guerra in Ucraina: lo mostrano anche i dati sul portafoglio ordini delle prime 15 aziende della difesa al mondo, che sono cresciuti di oltre il 10% negli ultimi due anni, ma in realtà sono “esplosi” del 76% negli ultimi otto anni (da 441,8 miliardi nel 2015 a 777,6 miliardi del 2022).

L’export di armi 

L’aumento mondiale della spesa militare è collegato anche alla ripresa del commercio internazionale di armi, che negli ultimi venti anni è quasi raddoppiato passando, in valori costanti, da poco più di 17,8 miliardi di dollari nel 2002 a oltre 33,5 miliardi nel 2022

L’export di armi è caratterizzato dal ruolo preponderante dei cinque Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito), che rappresentano il 72,3% dei trasferimenti mondiali di armi, e dalla sostanziale supremazia dei due principali Paesi produttori di sistemi militari, cioè gli Stati Uniti (con il 41,7% dei trasferimenti mondiali) e la Russia (a seguito dell’invasione dell’Ucraina, però, le esportazioni di armi russe sono crollate al minimo storico di 4,8 miliardi di dollari, pari nell’ultimo quinquennio al 10,5% dei trasferimenti mondiali).

Il Ruolo dell’Unione Europea

La novità più recente è il forte incremento delle esportazioni di armi dei Paesi dell’Unione Europea: in particolare, sette Paesi della UE (Francia, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia) compaiono tra i primi dodici esportatori mondiali di armi del periodo 2001-2023. La somma delle loro esportazioni militari supera i 161 miliardi di dollari, più di un quarto (il 27,2%) dei trasferimenti mondiali di armamenti. 

Sebbene dal febbraio 2020 il Regno Unito non sia più parte dell’UE, nel triennio dal 2021-2023 le esportazioni militari dei 27 Paesi membri, con quasi 26 miliardi di dollari, hanno ricoperto il 29,2% dei trasferimenti mondiali di armamenti, attestandosi al secondo posto dopo gli Stati Uniti (41,7%) e prima della Russia (10,5%).

L’export di armi italiane

Le autorizzazioni all’esportazione di materiali ad uso militare rilasciate dai vari governi italiani dal 1991 al 2022 raggiungono, nel loro insieme, quasi 105 miliardi di euro in valori correnti e quasi 127 miliardi di euro in valori costanti, mentre le consegne di materiali d’armamento, ovvero le operazioni effettuate nello stesso periodo, risultano poco più della metà, e cioè quasi 57 miliardi in valori correnti e 68 miliardi in valori costanti. L’Agenzia delle Dogane dovrebbe fare chiarezza sull’ampia discrepanza tra i valori delle autorizzazioni e quelli delle consegne.

Leonardo è la principale azienda italiana produttrice di armamenti

Il forte incremento delle autorizzazioni all’export di armi italiane, sin dai primi Anni Duemila, è riconducibile principalmente alla riorganizzazione di Finmeccanica-Leonardo, la principale azienda italiana produttrice di armamenti, e la sua polarizzazione verso il settore militare rispetto a quello civile. Questa performance è stata resa possibile grazie al sostegno dei vari governi alle politiche delle esportazioni di sistemi militari. Lo Stato italiano, attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, è infatti il principale azionista di Leonardo e praticamente l’unico azionista di Fincantieri, i due colossi della produzione militare italiana.

L’industria militare italiana è caratterizzata dal ruolo dominante di Leonardo nell’aeronautica, nell’elettronica e nelle armi terrestri, e di Fincantieri nella costruzione di navi militari: nel 2022, i loro ricavi hanno raggiunto i 15,3 miliardi di dollari Usa, pari al 12% del giro d’affari dell’industria militare europea e a circa il 2,6% dell’industria militare mondiale. Insieme concentrano tra l’80 e il 90% del fatturato nel settore militare in Italia.

A chi vanno le armi italiane?

Per quanto riguarda le zone geopolitiche di destinazione delle autorizzazioni italiane all’esportazione di materiali militari, nel periodo dal 1991 al 2022 primeggiano i Paesi UE e i Paesi UE facenti parte della NATO (con 44 miliardi di euro, pari al 41,6%), subito dopo spiccano i Paesi del Nord Africa e Medio Oriente (con 35,5 miliardi di euro pari al 33,9%). 

Le rilevanti quote di autorizzazioni verso le zone di maggior tensione del mondo come il Nord Africa e Medio Oriente, ai quali sono state destinate più di un terzo delle esportazioni, pongono pesanti interrogativi riguardo alle politiche del nostro Paese per quanto riguarda la promozione della pace e della sicurezza internazionale.

Basta soldi per armi e guerre!

Investire negli armamenti è un cattivo affare per la pace e l’economia. Chiediamo che l’Italia inverta la corsa della sua spesa militare verso il 2% del PIL: il nostro governo deve investire risorse a favore della lotta contro la crisi climatica e contro la povertà, e non favorire la corsa agli armamenti.

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