Rilevante pronuncia del Consiglio di Stato in tema di ricostruzione dei ruderi.
La sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2023, n. 7016 ha delineato gli ambiti, sul piano giuridico, della possibile ricostruzione del rudere.
Infatti, “costituisce costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato, la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso (Cons. Stato, sez. II, 15/12/2020, n. 8035)”.
Sulla stessa linea la giurisprudenza penale: la sentenza Corte cass., Sez. III, 3 febbraio 2022, n. 3763, per esempio, ha ricordato chiaramente che per la ricostruzione di un rudere in area tutelata dal vincolo paesaggistico è necessario il preventivo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e del successivo permesso di costruire (artt. 10 L e ss. del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.). In tali casi, l’intervento edilizio non può che essere qualificato come “nuova costruzione”.
L’amplissima casistica dei sotterfugi adottati sul tema, non può, quindi, trovare accoglimento: l’intervento di ricostruzione di un rudere spesso e volentieri ricade nell’ipotesi di “nuova costruzione”.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 28 settembre 2023
Consiglio di Stato Sez. VI n. 7016 del 18 luglio 2023
Urbanistica. Ricostruzione di fabbricato diroccato.
Costituisce costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato, la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso.
N. 07016/2023 REG.PROV.COLL.
N. 05683/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5683 del 2020, proposto da
Vincenza De Caro e Sabrina De Caro, rappresentate e difese dagli avvocati Raniero Raggi e Silvia Sciandra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Ventimiglia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima) n. 782/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2023 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per la parte costituita.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso del 2008 i signori Domenico De Caro e Vincenza Alesci hanno chiesto al Tar per la Liguria l’annullamento:
– del provvedimento del Dirigente della V Ripartizione Tecnica (pratica 12327) n. 9 del 19 febbraio 2008, notificato in data 12 marzo 2008, portante rifiuto di permesso di costruire in parziale sanatoria;
– di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
2. Così gli appellanti riassumono le premesse in fatto:
– nel novembre 2004 i coniugi Domenico De Caro e Vincenza Alesci, acquistavano un compendio immobiliare composto da immobile residenziale e terreno con entrostante vetusto fabbricato e serre in zona Nervia del Comune di Ventimiglia, il tutto catastalmente identificato al F. 69 mapp. 608. Secondo la zonizzazione del PRG la proprietà ricade in zona archeologica (art. 22 N.T.A. del PRG) mentre secondo il PUC (all’epoca in corso di definizione ed oggi definitivo) ricade in “Area archeologica” (art. 27/e). Il compendio, infatti, è posto a confine dell’area archeologica denominata “Antiquarium di Albintimilium” già oggetto di scavi ed interventi di conservazione da parte della Soprintendenza per i beni e le attività culturali;
– nel 2005 i coniugi De Caro presentarono un progetto di riqualificazione della loro proprietà prevedendo la realizzazione di un’area a parcheggio – in gran parte a servizio dell’area archeologica medesima – e il recupero del fabbricato preesistente;
– la Soprintendenza dei Beni e Attività Culturali rilasciò la propria autorizzazione atteso che il progetto di riqualificazione non interessava il sottosuolo;
– la stessa Soprintendenza, peraltro, specificava (vedasi verbale di sopralluogo del 2.07.07) che «Tale fabbricato risulta preesistente nei rilievi fotografici aerei effettuati nella zona interessata eseguiti da questo ufficio negli anni novanta ed è stato sottoposto a risanamento conservativo con nostro parere favorevole n. 2959/341904 del 24.04.07 nella sua attuale consistenza»;
– nell’esecuzione dei lavori di recupero del vetusto fabbricato esistente (prima dell’intervento in gran parte coperto dalle serre agricole presenti sul terreno) onde evitare di eseguire opere di consolidamento e risanamento che coinvolgessero il sedime del fabbricato si optò per la creazione di un vuoto sanitario tramite l’elevazione del solaio di calpestio di circa 50 cm rispetto alla quota originaria e di un solaio di copertura. Il tutto tramite una sostanziale diminuzione del volume preesistente di circa 8 mc.;
– sul fabbricato è stato, inoltre, realizzato, in sostituzione del preesistente, un tetto ad una falda. Falda che, al fine di garantire una migliore protezione del muro del magazzino archeologico e su richiesta della stessa Soprintendenza, è stata sopraelevata al colmo in “prosecuzione della falda esistente del magazzino archeologico” realizzata dalla Soprintendenza nell’area ex Italgas;
– rilevato che sia il vuoto sanitario che il prolungamento della falda (oltre allo spostamento di alcune tramezze interne) non erano stati previsti nel progetto originario i coniugi de Caro presentarono, dapprima, un’istanza di DIA in sanatoria e, a seguito del corretto rifiuto dell’Ufficio, riproposero in data 22 agosto 2007 istanza di permesso di costruire in sanatoria;
– in data 9 ottobre 2007 i ricorrenti ricevevano dal Comune la nota prot. 18284 portante la comunicazione dei motivi ostativi in cui si legge «per quanto riguarda l’intervento eseguito sul fabbricato lo stesso risulta riconducibile al concetto di ristrutturazione ex art. 31 lett. d) L. 457/78 ora art. 3 lett. d) del D.P.R. 380/01 e pertanto in contrasto con la l.r. 30/92 che vieta, in zona destinata a vincolo espropriativo decaduto (verde pubblico con vincolo archeologico) dal vigente P.R.G., ogni tipo di intervento di trasformazione edilizia ed urbanistica ad eccezione di quelli indicati all’art. 31 lett. a), b) e c) della legge sopra citata»;
– la comunicazione veniva riscontrata con il deposito di memoria a firma del legale in data 18 ottobre 2007 nella quale si ribadiva la riconducibilità dell’intervento eseguito all’ipotesi di restauro e risanamento conservativo, evidenziando, altresì, la preesistenza dell’immobile, la diminuzione del volume e la circostanza che il tetto non creava volume e rappresentava mera copertura del fabbricato, il tutto nell’ottica di risanamento dell’intera area ex Italgas per la quale la stessa Soprintendenza ha presentato (nel 2001) e realizzato un intervento di restauro degli immobili esistenti e sistemazione dell’area archeologica;
– in data 24 dicembre 2007 veniva depositata una ulteriore memoria integrativa chiedendo il riesame della pratica, a cui seguiva – previa audizione dei tecnici del ricorrente – un nuovo esame della Commissione edilizia;
– in data 12 marzo 2008, infine, si provvedeva al deposito di ulteriore documentazione integrativa;
– in pari data il Comune di Ventimiglia procedeva al deposito – ex art. 140 c.p.c. – dell’atto oggetto di impugnazione in cui l’Ufficio, anche in risposta alle osservazioni presentate dal privato, afferma «l’intervento in oggetto si configura in realtà come nuova costruzione non avendo rispettato i criteri di ristrutturazione edilizia con apparenti modifiche di sagoma e di sedime a prescindere dalla dichiarazione del Dr. Martino in ordine alla preesistenza del sedime. Si esprime parere contrario» e rifiuta il rilascio del permesso a costruire in sanatoria oggetto della richiesta.
3. A sostegno dell’impugnativa avverso il provvedimento appena citato, venivano formulati i seguenti motivi di ricorso:
I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 della l. 5 agosto 1978 n. 457 ora art. 3 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.
In particolare si contestava l’aver ricondotto l’intervento all’ipotesi di ristrutturazione edilizia e poi, addirittura, alla nuova costruzione sulla base di “apparenti modifiche di sagoma e sedime” ovvero sulla base di elementi non accertati e non veritieri. La corretta individuazione della situazione in fatto avrebbe consentito di riportare l’abuso al novero del restauro e risanamento.
II. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3, 10 e 10-bis della legge 241/1990 per omessa e/o carente motivazione. Violazione del principio del giusto procedimento; eccesso di potere per omessa comunicazione e valutazione di elementi del procedimento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Si sosteneva che il provvedimento era stato emesso riconducendo l’intervento ad una ipotesi edilizia diversa e ancor più grave (la nuova costruzione) di quella comunicata in sede di motivi ostativi (la ristrutturazione) e ciò senza darne comunicazione al privato e senza consentirgli di interloquire sul punto.
III. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, illogicità e/o contraddittorietà intrinseca del provvedimento di rifiuto.
Si evidenziava come il provvedimento di rifiuto risultasse illogico e contraddittorio atteso che adduceva motivi di rifiuto diversi e contraddittori.
4. Nel giudizio di primo grado l’Amministrazione non si è costituita in giudizio.
5. Con sentenza n. 782 del 2019 il Tar per la Liguria ha rigettato il ricorso.
5.1 Il primo giudice ha preliminarmente rilevato l’assenza di contestazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti indicati dall’Amministrazione (id est: il vincolo decaduto) e alla portata della disposizione normativa applicata nella fattispecie: è pacifico, cioè, che nella zona in cui sorge l’edificio di proprietà dei ricorrenti non fossero consentiti, ai sensi dell’art. 2 della citata l.r. n. 30/92, interventi di ristrutturazione edilizia o di nuova costruzione.
5.2 Il Tar non ha condiviso la tesi secondo cui l’intervento oggetto dell’istanza di sanatoria andasse ascritto alla categoria del restauro e risanamento conservativo perché è agevole ritenere che si trattasse di una costruzione in rovina, ossia di rudere e il ricupero o la ricostruzione di un rudere è riconducibile nell’alveo della nuova costruzione in mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da ricuperare: in nessun caso la ricostruzione di un rudere può rientrare nella categoria del restauro e risanamento conservativo.
Peraltro, secondo il Tar, pur in assenza di aumenti volumetrici, le opere oggetto dell’istanza di sanatoria hanno sicuramente comportato incisive modifiche della sagoma dell’edificio, in ragione della modifica della copertura nonché della sopraelevazione dell’intero corpo di fabbrica.
Le opere per cui si controverte, pertanto, sono state correttamente qualificate nel provvedimento finale; in ogni caso, esse non possono essere certamente ricondotte alla categoria del restauro e risanamento conservativo, sicché eccedono la soglia degli interventi consentiti nella zona in cui ricade l’edificio dei ricorrenti.
5.3 Il primo giudice ha respinto il secondo motivo di ricorso ritenendo che è stato garantito il diritto degli interessati di partecipazione effettiva al procedimento e che il mutamento della qualificazione delle opere abusive operata nel provvedimento finale non integra una nuova ragione di diniego (derivando da un semplice approfondimento della fattispecie).
5.4 Secondo il Tar, infine, non sussiste il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca denunciato con il terzo motivo di gravame, poiché il tenore letterale del provvedimento impugnato rende evidente la qualificazione delle opere definitivamente operata dal Comune di Ventimiglia.
6 Per i motivi che saranno più avanti esaminati, avverso detta sentenza hanno proposto appello le signore Vincenza e Sabrina De Caro Vincenza – nella qualità di figlie ed eredi legittime, unitamente alla madre Vincenza Alesci, del signor Vincenzo De Caro (deceduto in Ventimiglia il 21 gennaio 2020), nonché la signora Sabrina De Caro anche nella qualità di nominanda amministratrice di sostegno della madre, signora Vincenza Alesci Vincenza.
7. Il Comune non si è costituito in giudizio.
9. All’udienza del 13 luglio 2023 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. Con un unico motivo di appello si lamenta: Erronea ricostruzione della situazione di fatto. Omessa e/o erronea valutazione degli elementi probatori. Errata ricostruzione degli elementi di fatto. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 della l. 5 agosto 1978 n. 457 ora art. 3 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.
Gli appellanti sostengono che:
– l’edificio di proprietà De Caro esisteva da tempo, tanto da risultare nelle mappe della Soprintendenza archeologica e, prima dell’intervento contestato, si trovava in condizioni ammalorate (era stato utilizzato, da ultimo come deposito/magazzino durante la coltivazione delle serre circostanti ma ormai da molti anni serre e manufatto erano inutilizzati e in stato di abbandono) ma integro nei suoi elementi essenziali. Le mura perimetrali erano ancora sostanzialmente integre, come si vede dalle fotografie e dalle dichiarazioni prodotte e la copertura era ancora in parte esistente;
– le fotografie prodotte rendono evidente l’esistenza di pareti murarie e bucature ancora integre e danno, inoltre, dimostrazione dell’altezza del fabbricato che, anche solo a vista, risulta ben superiore ai 2,80 metri;
– il primo giudice non ha in alcun modo considerato le risultanze del verbale di sopralluogo datato 2.02.2007 (redatto da funzionari della Soprintendenza) nel quale si certifica che l’edificio originario era già presente nelle mappe dell’area archeologica ed era stato rilevato dalle foto aeree degli anni ’90;
– il verbale chiarisce, inoltre, che – pur non avendo misurato l’altezza originaria – la “copertura dello stesso è stata regolarmente realizzata in prosecuzione della falda esistente del magazzino archeologico recentemente restaurato da questo Ufficio nell’ex area Italgas”;
– nello stesso verbale la stessa Soprintendenza dichiara i lavori eseguiti conformi alle proprie richieste e ciò non solo per la maggior altezza della copertura ma anche la realizzazione di una muratura di “rinforzo” a protezione dei preesistenti muri in pietra costituenti confine tra le due proprietà;
– l’immobile, quindi, preesisteva e ne era ben nota e certificata la consistenza. Tanto è vero che lo stesso verbale si chiude con la precisazione “Tale fabbricato risulta preesistente ai rilievi fotografici aerei effettuati nella zona interessata eseguiti da questo ufficio negli anni novanta ed è stato sottoposto a risanamento conservativo con nostro parere favorevole n. 2959/341904 del 24.04.07 nella sua attuale consistenza”;
– l’autorizzazione escludeva, in particolare, la possibilità di effettuare scavi o modifiche al piano di campagna ed in occasione del sopralluogo del luglio 2007 gli stessi funzionari della Soprintendenza certificavano “Si è potuto constatare che le opere realizzate corrispondono a quelle a progetto”;
– l’immobile, quindi, preesisteva, se ne conosceva la consistenza, il privato aveva recuperato solo il nucleo in muratura originario demolendo l’ulteriore superficie/volume esistente perché realizzato in materiali incongrui non recuperabili ed esteticamente inadatti alla riqualificazione della più vasta area di intervento;
– il Giudice di primo grado è incorso nello stesso errore e/o omessa istruttoria in cui è incorso l’Ufficio comunale;
– l’intervento eseguito dai ricorrenti rientra a pieno titolo nel novero del restauro e risanamento conservativo;
– nel caso di specie è evidente che gli interventi eseguiti non hanno modificato l’organismo edilizio preesistente (in realtà lo hanno ridotto eliminando le superfetazioni incongrue con cui era stata aumentata l’originaria consistenza) ma hanno inteso soltanto garantirne il più corretto utilizzo attraverso la creazione di un vuoto sanitario (ottenuto all’interno delle mura perimetrali preesistenti) a pavimento e la realizzazione di un tetto ad una falda destinato – per le dimensioni e la pendenza a fornire non tanto copertura all’edificio dei ricorrenti quanto riparo al muro di confine ed al retrostante manufatto di proprietà della Soprintendenza, facente parte dell’area archeologica;
– si tratta, quindi, di interventi che considerati nell’insieme del manufatto non hanno determinato una trasformazione urbanistico – edilizia del territorio, non hanno determinato un aumento del carico urbanistico e non si configurano neppure come pertinenze;
– l’intervento, a prescindere dalla sua qualificazione, oggi sarebbe tranquillamente ammissibile in via ordinaria;
– ugualmente erronea risulta la ricostruzione dei lavori eseguiti sull’immobile e delle asserite modifiche apportate;
– la semplice verifica delle tavole progettuali presentate a corredo della sanatoria avrebbe consentito al Tar di verificare che la consistenza dell’immobile era sostanzialmente invariata (anzi semmai era leggermente ridotta rispetto alla preesistenza), che erano state mantenute le bucature originarie (salvo la chiusura di una veduta e la trasformazione di una veduta nella porta di ingresso);
– l’unica vera differenza è rappresentata dal vuoto sanitario realizzato creando una soletta all’interno del perimetro murario al fine di garantire il risanamento igienico e sanitario dell’edificio;
– trattandosi di un intervento all’interno della muratura perimetrale esso non ha comportato alcuna trasformazione ma ha inserito un elemento atto a garantire, sanificare e recuperare il manufatto;
– il mutamento del tetto da una falda quasi piana ad una inclinata realizzata al di sopra di una soletta che costituisce il soffitto dell’alloggio non ha determinato alcun aumento volumetrico;
– la modifica, peraltro, si è resa necessaria non per esigenze dei ricorrenti ma a seguito di specifica richiesta del vicino sito archeologico ed al fine di contribuire a tutelare il retrostante deposito archeologico.
1.1 Il motivo è infondato.
Conviene preliminarmente ricordare alcuni principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato:
– il restauro o risanamento conservativo (art. 31, lett. c, l. n. 457/78 e attuale art. 3, comma 1, lett. c, d.p.r. n. 380/2001) è distinto dalla ristrutturazione edilizia (art. 31, lett. d, l. n. 457/78 e attuale art. 3, comma 1, lett. d, d.p.r. n. 380/2001), suscettibile di tradursi anche nella ricostruzione e demolizione di un organismo edilizio a parità di superficie, volume e sagoma: mentre la ristrutturazione può condurre ad un “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, il restauro e il risanamento conservativo non possono mai portare a ridetto organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente, avendo sempre la finalità di conservare l’organismo edilizio ovvero di assicurarne la funzionalità (Cons. Stato, sez. VI, 20/09/2021, n. 6405);
– l’attività di ricostruzione di un edificio che comporti mutamenti morfologici non può in alcun caso essere ricompresa nel concetto di risanamento conservativo o manutenzione straordinaria, poiché, in tali casi, è necessario che l’edificio rimanga identico nel rispetto dei limiti tipologici, strutturali e formali, anche quando si proceda al rifacimento parziale dei muri perimetrali (Cons. Stato, sez. VI, 10/03/2021, n. 2038);
– costituisce costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato, la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso (Cons. Stato, sez. II, 15/12/2020, n. 8035).
La caratteristica degli interventi di mero restauro è, in altre parole, quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l’alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell’immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell’edificio.
Nel caso di specie è indubbio che le opere oggetto dell’istanza abbiano alterato le caratteristiche dell’immobile e modificato la sagoma dell’edificio, in ragione della modifica della copertura nonché della sopraelevazione dell’intero corpo di fabbrica (le tavole progettuali presentate a corredo della sanatoria testimoniano dette circostanza). Tali opere non possono, quindi, essere ricondotte alla categoria del restauro e risanamento conservativo, sicché eccedono la soglia degli interventi consentiti nella zona in cui ricade l’edificio di parte appellante.
A diverse conclusioni non possono condurre le determinazioni adottate dalla Soprintendenza più volte evocate da parte appellante: esse riguardano la tutela di un interesse diverso da quello preso in considerazione dall’atto impugnato e comunque non considerano l’innalzamento del corpo di fabbrica.
Come ribadito da Cons. Stato, sez. II, 14/08/2015, n. 5261, la contraddittorietà tra gli atti del procedimento, figura sintomatica dell’eccesso di potere, si può rinvenire solo allorquando sussista tra più atti successivi un contrasto inconciliabile tale da far sorgere dubbi su quale sia l’effettiva volontà dell’Amministrazione, mentre non sussiste quando si tratti di provvedimenti che, pur riguardanti lo stesso oggetto, siano adottati all’esito di procedimenti indipendenti o, comunque, qualora si tratti di due diversi atti che, ancorché inerenti al medesimo oggetto, provengano da uffici diversi e non entrambi competenti a provvedere o siano espressione di poteri differenti o, ancora, allorquando il nuovo provvedimento dell’Amministrazione, diverso da quello pregresso, sia stato adottato alla stregua di presupposti in parte differenti concretatisi medio tempore.
Come detto, nella specie siamo di fronte a provvedimenti (quello impugnato e quello della Soprintendenza) adottati da autorità diverse preposte alla cura di interessi diversi.
2. L’appello, in definitiva, non merita accoglimento.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Nulla spese data la mancata costituzione in giudizio del Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere
Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Giovanni Pascuzzi | Sergio De Felice | |
IL SEGRETARIO
depositata in data 18 luglio 2023
(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)