Chiunque abbia mai mangiato del sushi avrà preso conoscenza con la Salsa di Soia, servita spesso nell’iconica bottiglina con due beccucci e un piattino per intingervi il sushi.
Ma la salsa di soia serve per molte altre preparazioni, ed è un condimento tipico dell’area orientale.
La salsa di soia, croce e delizia del sushi bar (e non solo)
La salsa di soia nasce in Cina, probabilmente intorno al 200 d.C., per arrivare in Giappone nel settimo secolo, grazie al suo aroma pungente e saporito che rendeva anche piatti a base di riso saporiti come i piatti di carne inibiti dal Buddismo.
Con l’arrivo degli esploratori occidentali in Giappone nel 1700 una rete di scambi ha portato la Tempura, la frittura di pesce ad entrare nel panorama culinario Giapponese e la salsa di soia ad entrare nel nostro.
La preparzione tradizionale prevede la fermentazione di fagioli di soia e grano per un anno o più con l’aggiunta di muffe particolari per favorire tale processo di fermentazione, ma la preparazione industriale accorcia di molto quei tempi usando l’idrolisi acida, una tecnica basata sull’uso di acido cloridrico per uso alimentare che genera un prodotto dal sapore gradevole, ma meno intenso della formula tradizionale, peraltro disponibile in molteplici varianti.
Oltre alla tradizionale salsa di soia scura esistono anche preparazioni con un maggiore contenuto di grano, aggiunte di prodotti della fermentazione del riso, senza glutine e prive di sale.
Dal sushi alla vinaigrette, la salsa di soia può essere usata in molte preparazioni.
Il doppio beccuccio? Consente di regolare il flusso della salsina, che andrebbe non versata direttamente sul sushi, ma nel piattino perché il pezzetto di sushi possa essere intinto e mangiato.
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