Quali sarebbero le condizioni di vita ideali per un serial killer sadico sessuale? Se personaggi come Robert Berdella o Gary Heidnick, uomini crudeli che amavano rapire, violentare e sottoporre a tortura le proprie vittime per molti giorni, avessero avuto accesso a ingenti quantità di denaro, spazi isolati ed immensi, potere e privilegi sociali, oltre a un’aura di intoccabilità, a che livello sarebbero giunti i loro crimini già atroci? E se le vittime non godessero affatto di questi benefici, se fossero persone considerate dalla società degli esseri inferiori, di poco conto?
Un caso storico di una seriale che sembrerebbe avere tutte queste caratteristiche è quello della contessa Erzsébet Báthory [1]. La storia della contessa “sanguinaria” ha sicuramente alcuni elementi di leggenda. La sua esistenza storica e alcuni dei suoi crimini, tuttavia, sono senza dubbio reali.
Nobile e bellissima
La contessa Báthory nacque nel regno di Ungheria il 7 agosto 1560. Vantava origini aristocratiche, con antenati tra le famiglie della nobiltà centroeuropea. Il suo stemma di famiglia raffigurava un drago, che secondo la leggenda sarebbe stato ucciso da un suo antenato. Tra i suoi avi figuravano sia eroi di guerra che viziosi e criminali. Non mancavano, inoltre, casi di matrimoni tra consanguinei, epilessia e malattie mentali ricorrenti.
Erzsébet ricevette un’ottima istruzione di tipo umanistico, molto simile a quella che veniva normalmente impartita agli uomini: i suoi parenti tenevano al fatto che diventasse una donna di buona cultura. Le venne inoltre insegnato a essere una brava moglie, dato che era stata promessa in sposa fin dall’infanzia al conte Ferenc Nadasdy, rampollo di una casata importante, valoroso guerriero impegnato nella difesa del Paese dai Turchi. Nella sua educazione, tuttavia, ebbero probabilmente un ruolo anche alcuni dei suoi familiari più perversi e viziosi, in particolare si parla di una zia che l’avrebbe introdotta ai piaceri della tortura a sfondo sessuale nei confronti di altre donne.
Durante gli anni di fidanzamento con Ferenc, fu la madre di lui a occuparsi dell’istruzione della futura sposa: la donna rappresentò un’ingombrante presenza che limitò moltissimo la libertà della giovane contessa. A soli quindici anni, quindi, Erzsébet sposò Ferenc con una immensa e lussuosa cerimonia e le venne donato il castello di Čachtice, costruito nel XIII secolo da Béla IV di Ungheria sui Carpazi, nell’attuale Slovacchia.
Il matrimonio portò prestigio e potere a entrambe le famiglie, Erzsébet divenne una nobildonna bellissima e incredibilmente ricca. Con il marito ebbe cinque figli, di cui solo tre arrivarono all’età adulta: Katarina, Pavel e Anna. I bambini crebbero lontano da lei, con delle balie, pratica consueta all’epoca, ma dovuta anche al fatto che la Bathory non espresse mai alcun istinto materno. I ritratti mostrano la contessa come avvenente, alta, austera, dalla pelle candida, dai grandi occhi scuri e con lunghi capelli neri. [2]
Ferenc passò molti anni lontano dalla moglie, impegnato in battaglie contro l’esercito turco. In quel frangente Erzsébet, quindi, potè godere di un po’ di libertà. La donna aveva una vera ossessione per la bellezza perfetta e immutabile, e passava molte ore al giorno a farsi truccare, vestire e pettinare dalle sue dame di compagnia, oltre a coltivare un interesse per la magia e l’alchimia.
Inquietanti dicerie e strane sparizioni
Cosa fece emergere nella Báthory la smodata sete di sangue per cui è divenuta celebre non è noto con precisione, ma esistono racconti di alcuni episodi significativi: secondo alcune fonti, una domestica, impegnata nell’acconciare i capelli neri della contessa, le avrebbe accidentalmente tirato una ciocca. Questo errore sarebbe immediatamente stato punito da Erzsébet con dei poderosi schiaffi, che avrebbero fatto sanguinare il naso della sventurata. Il sangue sulla mano le avrebbe dato l’impressione di aver reso la pelle più liscia e morbida in quel punto, convincendola che fosse il sangue il segreto dell’eterna giovinezza. [3]
Un episodio riportato da altre fonti racconta di un rudimentale metodo che la sua governante avrebbe adottato per risolvere le crisi epilettiche che hanno tormentato Erzsébet fin da bambina, ovvero cospargerle la bocca con del sangue di una persona sana. Un altro aneddoto racconta invece che la donna si sarebbe semplicemente ferita con uno specchio, facendo poi nascere in lei questa convinzione sui poteri magici del sangue. Qualunque cosa sia realmente successa, le voci sulla severità della contessa con le ragazze che componevano la sua servitù si diffusero rapidamente nei villaggi intorno al castello, anche se la prospettiva di pasti regolari, di una vita più comoda rispetto a quella delle campagne e di ricevere una buona educazione convinse tante giovani ad andare a servizio a Čachtice. Molte di queste ragazze, tuttavia, non tornarono mai a casa.
Diverse fanciulle furono ritenute scomparse e le poche fortunate che tornarono al villaggio natale riportavano ferite o addirittura mutilazioni. Giravano voci preoccupanti tra i contadini al servizio della Báthory, si parla di punizioni atroci che spesso portavano alla morte le servette, ad esempio torturandole con ferite profonde o lasciandole nude nei boschi, di notte, al freddo. Si parlava di centinaia di ragazze uccise in modo terribile, a seguito di torture a sfondo sessuale perpetrate dalla contessa in persona con la complicità di parte della servitù. Le voci parlavano di un numero di vittime comprese tra duecento e oltre seicento ragazze.
Nel 1604 il marito morì di malattia: da quel momento Eszébet fu sola e ancora più potente. I pochi freni inibitori che potevano limitarla, dati dalla presenza saltuaria di Ferenc, crollarono definitivamente. Non è noto se Nadasdy partecipasse o meno alle crudeltà perpetrate dalla moglie, ma di sicuro ne era a conoscenza. [4]
Iniziano le indagini
Per alcuni anni, questi racconti rimasero solo storie spaventose e nessuna indagine seria venne intrapresa nei confronti della Báthory. Poi, nel 1610, tali voci giunsero al conte Gryörgy Thurzó, un lontano parente della contessa e personaggio vicino al re Mathias. L’aristocratico inviò alcuni emissari per cercare di capire cosa stesse accadendo al castello, anche perché pare che la contessa avesse iniziato a far sparire non solo contadine dei suoi villaggi, ma anche ragazze di buona famiglia mandate da lei per ricevere un’educazione altolocata. [5]
Furono proprio le indagini di Thurzó a dare corpo alle orribili dicerie che circolavano ormai da anni: il conte riferì di aver trovato diverse di ragazze morte o agonizzanti all’interno delle segrete del castello. Non vennero mai ritrovati gli oltre seicento cadaveri di cui si parlava nei villaggi, ma le prove rinvenute furono sufficienti per far arrestare tutta la servitù e anche l’intoccabile contessa. [6]
Il nobiluomo raccolse ulteriori macabri elementi dagli abitanti del villaggio: la contessa era solita fare il bagno nel sangue, dicevano. Beveva il sangue delle sue vittime, lo usava come elisir di eterna giovinezza. I suoi servitori più fidati si occupavano di girare per le campagne e trovare sempre carne fresca per soddisfare la padrona.
Si aggiunsero anche testimonianze di personaggi altolocati, che vennero presi maggiormente sul serio da Thurzó: riferivano di urla strazianti, muri sporchi di sangue, corpi smembrati ritrovati nei boschi. Durante le indagini vennero resi noti anche i nomi dei servitori che collaborarono attivamente con la contessa, sia nella fase di puntamento e cattura delle vittime che nelle fasi della tortura e dell’omicidio: Dorkó, ovvero Dorottya Szentes, Janos Ujvári detto Ficzkó, Katalina Benecká e Ilona Jó.
Il 29 dicembre del 1610 il conte decise di irrompere nel castello con la forza, grazie a un piccolo esercito ai suoi ordini: lo fece sgomberare e arrestò i quattro servitori sospettati dei delitti e, soprattutto, la sua nobile parente. Tutti vennero imprigionati in un feudo di proprietà del conte. Nel 1611 iniziò formalmente il processo. Furono esibiti alcuni corpi delle vittime e vennero interrogate delle ragazze sopravvissute. I servitori sospettati confessarono sì, ma sotto tortura. Anche al processo il numero preciso delle vittime non emerse con chiarezza: si andava dalle trenta alle duecento ragazze.
Ficzkó raccontò in che modo aveva aiutato la contessa nei suoi crimini: “Io e altri servitori della contessa andavamo in giro per i villaggi in cerca di ragazze, veniva promesso loro che sarebbero diventate mercanti o serve da qualche parte…. Molte volte era proprio la contessa a torturare personalmente le ragazze finché non morivano. Più passava il tempo più la padrona diventava crudele e malvagia e, con l’ausilio di una minuscola scatoletta con uno specchio incastonato, faceva delle magie”. [7]
Al termine del processo, Ilona Jó e la Szentes vennero condannate al rogo e Ficzkó alla decapitazione. Solo la Benecká non venne condannata, per via delle sue origini nobili. Cosa ne fu, però, della contessa? Ebbe una condanna decisamente mite rispetto alla gravità delle accuse: venne murata viva nella sua stanza da letto, al castello di Čachtice.
Il re Mathias, tuttavia, ordinò ulteriori indagini e un secondo processo iniziò nel 1613. Anche in questa occasione emersero testimonianze, racconti, conferme delle torture e dei delitti. La contessa rimase al castello, murata nella sua stanza, che aveva solo una piccola apertura per far passare il cibo. Erzsébet viene ritrovata morta sul suo letto, nel 1614. La sua tomba, situata nella chiesa del villaggio di Čachtice, venne riaperta nel 1938, ma del suo corpo non fu trovata traccia e non si sa quando e perché sia stato trafugato. [8]
Ci sono davvero le prove?
Diversi studiosi hanno ipotizzato, di recente, che in realtà la verità sulla contessa sarebbe assai diversa da come ci è stata tramandata. Il numero di vittime, che in alcuni testi supera le seicento, viene considerato davvero troppo alto anche per una donna nelle condizioni di potere e agio della Báthory. Non sono mai stati trovate tracce di così tanti cadaveri, né nelle labirintiche segrete del castello di Čachtice né nelle aree boschive dove i testimoni hanno riferito che alcuni corpi sarebbero stati abbandonati, esposti alle intemperie e ai lupi. Se questa storia fosse così come ce la presenta il processo, la Báthory sarebbe uno dei serial killer più prolifici della storia, una sadica sessuale ossessionata dalla bellezza e dalla magia, con una spiccata parafilia nei confronti del sangue e dello smembramento, facilitata dalla assoluta mancanza di freni o remore e che, probabilmente, mai avrebbe pensato di poter essere processata per i suoi crimini.
In realtà la relativa mancanza di prove e le testimonianze estorte o poco attendibili fanno pensare che potrebbero esserci anche motivazioni politiche dietro il processo. Il conte potrebbe averla fatta arrestare per limitare il potere enorme della famiglia Báthory-Nadasdy ed eliminare dal panorama politico la ricca parente, macchiando per sempre la sua fama. Addossarle decine o centinaia di delitti sarebbe stato un modo semplice per farlo. Non si hanno, tuttavia, elementi certi per stabilire quale sia la verità, ed è probabile che ci siano stati effettivamente alcuni omicidi a danno della servitù, ma con caratteristiche meno spettacolari e macabre di come ci riportano gli atti del processo.
Un’altra Báthory?
Una vicenda curiosa riportata da pochissime fonti e che potrebbe non avere grande attendibilità storica è quella di un’altra contessa assassina di giovani donne, anch’essa ungherese e coeva della Báthory, ovvero Anna-Rozalia Liszty. Anna sarebbe nata nel 1583 in una agiata famiglia borghese che aveva acquistato un titolo nobiliare e avrebbe poi, a quindici anni, sposato un conte. Anche lei, come Erzsébet, avrebbe sofferto di epilessia e crisi isteriche fin dalla giovane età. Le accuse nei suoi confronti riguardano almeno una decina di ragazze della servitù uccise crudelmente a seguito di mancanze minime, oltre che la pratica della magia nera.
Anche in questo caso, la donna avrebbe ucciso qualche ragazza di buona famiglia e ciò avrebbe scatenato le indagini da parte della giustizia reale ungherese. Il finale della storia però è diverso: in questo caso abbiamo la contessa che riesce a fuggire dal Paese durante il processo a suo carico, nel 1637. In seguito, il re l’avrebbe graziata concedendole di mantenere il titolo e i possedimenti, facendola vivere in libertà. Com’è chiaro, questa storia ha moltissimi punti in comune con la vicenda della Báthory. La scarsità di fonti e di studiosi che ne parlano portano a pensare a una leggenda o a una storia che riprende elementi della vita di Erzsébet, utilizzando un altro nome e con un finale in cui la strega cattiva, la vampira sanguinaria vince grazie ai privilegi sociali [9].
Note
- [1] Il nome della contessa si trova tradotto a volte come Elisabetta o Elizabeth.
- [2] C. Bordoni, Le case dei serial killer, Clown Bianco edizioni, Milano 2022, pp. 23-31.
- [3] C. Tani, Assassine, Mondadori, Milano 2001.
- [4] C. Lucarelli, M. Picozzi, Nero come l’anima, Solferino, Milano 2022, pp. 175-195.
- [5] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005, pp. 27-30.
- [6] V. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, Newton Compton, Roma 2006, pp. 35-39.
- [7] Ibidem, pp. 37-38.
- [8] C. Lucarelli, M. Picozzi, Nero come l’anima, Solferino, Milano 2022, pp. 175-195.
- [9] V. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer, Newton Compton, Roma 2006, pp. 35-39.