Ci avete segnalato su numerosi portali, anche di informazione nazionale, una fantomatica “sentenza che scagiona la Russia e condanna l’Ucraina”. Eravamo tentati se decidere per il tag precisazioni e disinformazione, ma siccome parliamo di una vera e propria demistificazione non ci resta altra scelta: dobbiamo usare il tag disinformazione.
Poche voci ragionevoli e tutte accomunate dal fatto di averla effettivamente letta quella sentenza si sono pronunciate tra cui lo scrittore e attivista Marco Setaccioli.
La “sentenza che scagiona la Russia e condanna l’Ucraina” demistificata
Partiamo quindi dal descrivere gli elementi costitutivi della sentenza: sentenza che, effettivamente, vede la soccombenza processuale dell’Ucraina ma per ragioni eminentemente processuali.
Partiamo dagli orizzonti processuali: eventi accaduti dal 2014 al 2017, estranei quindi alle gravi violazioni emarginate in questi due anni, da Bucha fino alle accuse rivolte a Putin stesso dagli organi internazionali, come L’Aia.
La causa riguardava una serie di violazioni commesse in Donbass e Crimea dopo l’occupazione del 2014 dalla Russia rispetto a due documenti: la Convenzione Internazionale per la Soppressione del Finanziamento del Terrorismo (ICSFT) e la Convenzione per l’Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione Razziale (CERD). Kyiv si è rivolta alla Corte Internazionale di Giustizia con sede all’Aja (da non confondere col Tribunale Penale Internazionale), perché a questa compete dirimere contenziosi relativi ai trattati internazionali.
E qui cominciano gli errori da parte Ucraina, che ha gestito la causa, processualmente ma non fattualmente, con diversi errori.
Ci si permetta di spiegarci con la metafora emarginata dal citato Setaccioli, precisandola ulteriormente. Immaginate di avere un vandalo che abitualmente entra nel vostro condominio, danneggia le vostre porte e finestre e prende a calci e pugni i vostri figli e animali domestici ogni volta che li vede.
Potreste querelarlo e sarebbe corretto, ricorrendo quindi all’autorità penale. Potreste chiedergli danni in sede civile sarebbe egualmente corretto.
Teniamo conto che il diritto internazionale è inoltre diverso da quello nazionale.
Non puoi infatti arrestare un fiordo o pignorare un’isola: si tratta di un diritto pattizio, un accordo tra diversi paesi per vivere in modo civile.
Agire come ha fatto l’Ucraina rivolgendosi alla CIG è un po’ come decidere di adire l’assemblea di condominio con riserva di portare il verbale altrove perché il regolamento di condominio tecnicamente impedisce di picchiare e stuprare i figli dei condomini, ammazzarne i gatti nel corridoio e vandalizzarne gli averi.
L’ostacolo di quel regolamento
Tutto quello che poteva andare storto Kiev lo ha fatto andare storto. Ricordate quando abbiamo parlato del diritto internazionale come “regolamento di civile convivenza tra stati”?
Kiev aveva chiesto l’applicazione di un regolamento che mira in realtà solo a colpire individui o gruppi di individui (dunque non gli stati) che si rendono colpevoli o complici di finanziamento del terrorismo.
Mosca ha risposto rivendicando di essere uno Stato e non un individuo e di aver fornito negli anni ai separatisti addestramento e mezzi ma non di aver fornito loro finanziamenti, quindi utilità economiche legate alla lettera del regolamento.
Inoltre Mosca ha rintuzzato l’accusa di discriminazione razziale dichiarando che l’invasione era politica. Un po’ come se io fossi un uomo di colore che denunciasse un tizio palestrato e tatuato a svastiche per avermi quasi ammazzato di botte e la sua linea di difesa fosse
“Io non l’ho ammazzato perché era ne*ro, ma perché è una faccia di ca**o con l’iPhone che volevo io, l’avrei storpiato di botte pure se era bianco”
E siccome io ho eccepito la sola componente razziale delle sue azioni, il tale se la cavasse.
Concludendo, parlare di insussistenza del fatto diventa una mistificazione.
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