di Agnese Picco
Situata nella valle di Jezreel, in Israele, durante l’età del Bronzo, la città di Megiddo era un’importante centro per il controllo della Via Maris, che collegava l’Egitto con la Mesopotamia e l’Anatolia.
Durante l’età del Bronzo media e finale (ca. 1950–1130 a.C.), in particolare, la città attraversò il suo periodo di massima prosperità che portò a una fase di monumentalizzazione: furono eretti templi, palazzi ed altri edifici pubblici. Megiddo aveva anche un grande e ricco palazzo, scavato dagli archeologi dell’Università di Chicago negli anni ‘30 del ‘900. Non molto lontano da esso è stata rinvenuta una struttura abitativa, chiamata area H, che è stata oggetto di indagini recenti. Secondo i ricercatori faceva parte del complesso palaziale, poiché al suo interno sono state trovate ceramiche fini e d’importazione e altri materiali preziosi tipici dell’élite cittadina.
Durante la campagna di scavo del 2016 nell’area H sono state trovate due tombe, scavate sotto il pavimento dell’abitazione. I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Plos One, in un articolo intitolato Cranial trephination and infectious disease in the Eastern Mediterranean: The evidence from two elite brothers from Late Bronze Megiddo, Israel.
La prima tomba (tomba 50) è una sepoltura multipla appartenente al Bronzo medio III (ca. 1650–1550 a.C.; Level H-16). In una struttura a camera erano stati deposti non meno di 17 individui adornati con gioielli d’oro, d’argento, di bronzo e ceramica fine, materiali che identificano la sepoltura d’élite (questa sepoltura è stata oggetto di due studi dedicati [1]).
La seconda tomba (tomba 45), invece, conteneva gli scheletri di due giovani individui maschili, identificati come fratelli in seguito alle analisi del DNA. Analizzando le caratteristiche della sepoltura (stratigrafia, posizione degli scheletri ecc..) gli archeologi hanno potuto valutare le dinamiche deposizionali. Formata da un semplice pozzetto scavato nella terra, inizialmente conteneva solamente l’Individuo 2, un giovane intorno ai 20 anni. Dopo un breve lasso di tempo, da 1 a 3 anni, il suo scheletro è stato spostato da un lato (era infatti in una posizione disarticolata) per fare spazio alla seconda inumazione, quella dell’Individuo 1, un adulto tra i 21 e i 46 anni. I materiali trovati insieme ai due fratelli identificano la sepoltura come di status elevato e permettono di datarla al Bronzo finale I (ca. 1550–1450 a.C.; Level H-15).
Entrambi i fratelli hanno sul proprio scheletro tracce di malattie infettive e patologie congenite. L’individuo 2, probabilmente il fratello minore, soffriva di cribra orbitalia, che provoca porosità della volta della cavità orbitale, associata spesso a forme di anemia o malnutrizione nell’infanzia. Una ciste odontogena calcificata, forse il secondo molare non eruttato, faceva sì che il terzo molare prendesse il suo posto. Presentava anche lesioni patologiche diffuse in tutto lo scheletro. Infatti, circa il 52% dello scheletro post craniale era affetto da lesioni periostali, sequestri ossei (cioè frammenti separati dall’osso normale), sclerosi vascolare e aree di rarefazione ossea.
Condizioni simili si rilevano, con una maggiore gravità, anche nel fratello maggiore, l’Individuo 1. Soffriva di cribra orbitalia e presentava anomalie legate allo sviluppo: su 4 denti i ricercatori hanno trovato ipoplasie dello smalto, che sono spesso provocate da periodi di stress corporeo. Tra le anomalie congenite, l’Individuo 1 soffriva di metopismo, cioè la mancata sutura dell’osso frontale, condizione relativamente frequente tra le popolazioni antiche della stessa area geografica.
Aveva estese patologie infettive. Circa un terzo dello scheletro recuperato mostra diminuzione della densità ossea con lesioni osteolitiche, lesioni periostali e aree di nuova ossificazione. Le caratteristiche comuni dei due fratelli, dovute sia a condizioni congenite che a malattie infettive, sono dovute forse alla condivisione degli spazi e degli stili di vita. Tra le condizioni congenite troviamo segni di interruzione della crescita, visibili nei denti, che possono essere dovute ad esempio alla displasia cleidocranica o alla sindrome di Down. I segni dovuti a malattie infettive, invece, si possono spiegare con osteomielite, sifilide, tubercolosi e lebbra.
Il fratello maggiore aveva però anche alcuni traumi intenzionalmente inferti. La zona del naso è deformata e presenta alcune fratture: quella più alta è all’osso nasale sinistro, la più bassa è una frattura guarita sulla mascella sinistra, nel mezzo è presente un rigonfiamento osseo. Cosa ha causato le deformazioni e le fratture? I ricercatori ipotizzano due scenari possibili. Il primo riguarda un possibile trauma avvenuto anni prima della morte e guarito in modo asimmetrico. Un’altra possibilità, giudicata meno probabile dai ricercatori, è che l’osso fosse già deformato prima delle fratture.
La caratteristica che più ci colpisce dell’individuo 1, tuttavia, è la pratica chirurgica effettuata sul cranio. Si tratta di un largo quadrato di osso asportato alla fine della sutura dovuta al metopismo, utilizzando uno strumento con il bordo affilato e tagliente. Vicino alla zona mancante i ricercatori hanno osservato piccoli tagli longitudinali che testimoniano l’apertura del cuoio capelluto precedente all’asportazione dell’osso.
L’operazione chirurgica ha rappresentato un evento perimortem per l’individuo 1: il colore e la forma dei margini del taglio e l’attenzione prestata a non perforare la dura madre indicano che l’individuo era vivo al momento dell’intervento. La mancata crescita dell’osso successiva all’operazione indica però che non è avvenuta la guarigione, dunque l’uomo è morto entro la settimana successiva. Il ritrovamento di Megiddo conferma anche l’ipotesi avanzata da alcuni studiosi sulla tecnica impiegata negli interventi di trapanazione, denominata angular- notched trephination. Secondo questo modello si iniziava rimuovendo un lembo di pelle e praticando una o due incisioni iniziali che non superavano la parte interna dell’osso cranico per evitare di danneggiare i tessuti molli immediatamente sottostanti. Quando si avevano una serie di tagli si procedeva facendo leva sull’osso per staccare tutti i frammenti in una volta sola.
Il ritrovamento della tomba 45, con le complesse osservazioni effettuate sui due scheletri e sulle dinamiche deposizionali, ha lasciato i ricercatori con diverse domande ancora senza risposta. Ad esempio non è stato possibile, tramite l’analisi differenziale delle tracce presenti sulle ossa, definire con certezza la malattia della quale soffrivano i due fratelli. Le estese lesioni ossee possono aver di molto ridotto la loro mobilità, rendendo difficili anche alcuni movimenti o attività quotidiane.
È possibile però avanzare alcune ipotesi sulle loro condizioni di vita. I materiali ricchi e pregiati con i quali erano stati sepolti li identificano come membri dell’élite cittadina. Questo gli ha forse permesso di sopravvivere per diversi anni anche nelle gravi condizioni di salute in cui versavano e l’accesso a pratiche mediche avanzate, come l’intervento di trapanazione cranica. Nel periodo in esame gli individui noti provenienti dalle aree meno ricche di Megiddo non presentano malattie gravi, come osteoartriti, ipoplasie dello smalto dentario e malattie parodontali. Invece gli individui di elevato status sociale, come quelli della tomba 45 e alcuni di quelli della tomba 50 mostrano un’alta frequenza di lesioni associate a disturbi di lunga durata e malattie infettive. Questo dato probabilmente non indica che le persone più povere avevano una salute migliore, ma che i membri dell’élite, poiché avevano accesso a risorse migliori, sopravvivevano più a lungo anche quando erano affetti da malattie gravi.
Questa osservazione è avvalorata dalla presenza della trapanazione cranica sull’individuo 1. In tutto il levante si conoscono solo poche dozzine di interventi di questo tipo, e ancora meno sono quelle effettuate con la tecnica definita angular-notched, della quale quello di Megiddo rappresenta il caso più antico della regione. Infine, i due fratelli sono stati sepolti all’interno dell’area palaziale con offerte e doni, secondo il costume tipico del periodo. Questo potrebbe indicare che non erano stati posti ai margini della comunità in virtù del loro stato di infermi, ma al contrario erano stati trattati con cura e attenzione sia da vivi che da morti.
Si ringrazia Elena Nasari per i contributi all’articolo.
Note
- [1] Cradic MS. Area H: Tomb 50 and Burial 16/H/45. In: Cradic MS, Kleiman A, Finkelstein I, editors. Megiddo VII: The 2016–2018 Seasons. Tel Aviv; Forthcoming.Kalisher R. The Human Skeletal Remains from Tomb 50. In: Cradic MS, Adams MJ, Finkelstein I,editors. Megiddo VII, Volume 1:The ShmunisExcavations ofTomb 50 and Burial Tel Aviv: Tel Aviv University Press; Forthcoming.
Foto di copertina paper, © 2023 Kalisher et al., licenza CC BY 4.0