La visibilità prima di tutto
Apple, Amazon e IBM sono solo alcune delle grandi compagnie che continuano a fare pubblicità su Twitter nonostante l’aumento dell’incitamento all’odio registrato nella piattaforma dopo l’arrivo di Elon Musk. Si tratta di un dato particolarmente rilevante perché l’idea del miliardario texano (che in alcuni casi è stato protagonista della diffusione di teorie cospirative) di trasformare il social dell’uccellino blue in uno spazio di assoluta libertà di espressione dipende soprattutto dalla presenza costante dei grandi inserzionisti. Uno dei motivi, secondo Axios, per cui quest’ultimi non lasciano Twitter potrebbe risiedere nella efficacia della piattaforma su determinati tipi di pubblicità, che rimane ancora oggi la principale fonte di utile. La recente nomina a CEO di Linda Yaccarino va proprio in questa direzione: grazie al suo arrivo, come riporta il Financial Times, una della più importanti agenzie pubblicitarie, GroupM, ha detto ai suoi clienti che non considera più Twitter “ad alto rischio”. È anche vero che l’assenza di un boicottaggio di massa, come quello che Facebook ha dovuto affrontare nel 2020 per non aver voluto “verificare” i post dell’allora presidente Trump, ha permesso agli inserzionisti di continuare a operare su Twitter senza timore per un eventuale danno reputazionale. Tuttavia, secondo le proiezioni di Insider Intelligence, nel 2023 Twitter incasserà circa 2,9 miliardi di dollari dalla pubblicità, dopo aver dichiarato lo scorso ottobre che ne avrebbe guadagnato quasi 5 miliardi. Contattate per capire il perché continuare a fare pubblicità su Twitter, solo una delle aziende interpellate ha fornito una risposta.
AI, disinformazione e profitto
Due report pubblicati da due società diverse, un’unica conclusione: decine di siti web di notizie, content hub e finti recensori di prodotti utilizzano l’intelligenza artificiale per creare contenuti fake online. Come riporta il New York Times, le due ricerche sono state pubblicate recentemente rispettivamente una da NewsGuard, società che si occupa di monitorare la disinformazione online, e da ShadowDragon, società che fornisce risorse e formazione per le indagini digitali. Secondo quanto rilevato dalle due società, questi contenuti includono fake news, consigli medici senza una base scientifica e bufale sulla morte di celebrità, sollevando nuove preoccupazioni su una tecnologia trasformativa sempre più in grado di rimodellare il panorama della disinformazione online. NewsGuard ha individuato 125 siti web, che spaziano dalle notizie di cronaca a quelle di lifestyle e sono pubblicati in 10 lingue, con contenuti scritti interamente o per la maggior parte da strumenti di intelligenza artificiale. Tra questi, c’è un portale di informazioni sulla salute che, sempre secondo NewsGuard, ha pubblicato più di 50 articoli generati dall’IA che offrivano consigli medici. I siti web erano spesso pieni di annunci pubblicitari, il che suggerisce che i contenuti fake siano stati realizzati per ottenere clic e alimentare le entrate pubblicitarie per i proprietari del sito, spesso sconosciuti.
Cambiare strategia mediatica
Sembra che Ron DeSantis stia cambiando approccio nei confronti dei media. Il governatore della Florida sta cercando di essere più costruttivo nei confronti di una categoria contro cui la sua responsabile stampa, Christina Pushaw, aveva iniziato una vera e propria guerra fredda (vediEditoriale 118). Il cambio di strategia potrebbe essere dettato dalla candidatura alle elezioni del 2024. Dovrà prima vincere le primarie dei repubblicani, che lo vedranno in una faccia a faccia con l’ex presidente Trump, da sempre aggressivo ma anche disponibile nei confronti della stampa. Finora DeSantis non si fatto intervistare dalle reti televisive, se non dalla Fox, e spesso partecipa agli eventi politici senza rivolgersi ai media. Questa strategia mediatica non ha avuto un grande successo, il suo consenso è diminuito nei mesi successivi alla sua rielezione. Inoltre, la sua quasi totale assenza sui media crea uno spazio importante agli altri candidati. Secondo Semafor, ora che la campagna sta per entrare nel vivo, DeSantis disporrà di uno staff più ampio e disponibile a rispondere alle domande dei giornalisti.
Tra giustizia e propaganda
Oltre al danno, la beffa. Quattro anni fa il procuratore speciale John Durham fu nominato da Donald Trump per indagare sul caso Russiagate, l’inchiesta avviata dall’FBI nel luglio 2016 e che aveva portato il procuratore Robert Mueller a incriminare una serie di persone legate all’ex presidente. La scorsa settimana Durham ha comunicato di aver trovato gravi pecche ed errori nell’inchiesta, ma nessuna prova di un possibile complotto. Scrive il Washington Post che nel suo report di 300 pagine non menziona mai, solo per fare alcuni esempi, il fatto che il responsabile della campagna di Trump abbia passato informazioni a un agente dell’intelligence russa. L’intera indagine si conclude con l’accusa di tre persone, una delle quali si è dichiarata colpevole di avere modificato illegalmente un’email ed è stata condannata alla libertà vigilata; le altre due, invece, sono state assolte. Il rapporto, insomma, si limita cercare di trasformare ciò che è già noto sulla trascuratezza dell’FBI in qualcosa di nuovo e scioccante. Indubbiamente un assist a Trump e ai suoi sostenitori, che possono così ripetere e sostenere l’innocenza dell’ex presidente nello scandalo. Il tutto alla luce, va ricordato, di ciò che è successo durante quella campagna: contatti frequenti di Trump, la sua famiglia e il suo staff con cittadini e ufficiali russi; la cessione, da parte del presidente della campagna Paul Manafort e del suo vice Rick Gates – entrambi ingaggiati in passato da politici e oligarchi ucraini pro Russia – di sondaggi interni a un membro dell’intelligence russa; l’hackeraggio da parte della Russia del Comitato Nazionale Democratico, con passaggio di informazioni imbarazzanti a WikiLeaks.
La politica attraverso la TV
Secondo il nuovo studio di Joshua Kalla, professore di scienze politiche a Yale, e David Broockman, professore di scienze politiche all’Università di Berkeley, gli spettatori dei notiziari televisivi non sono così anziani, così schierati o così rigidi nelle loro convinzioni come gli stereotipi potrebbero far credere. Come spiega Jessica Grose in un articolo del New York Times, i due studiosi hanno scoperto che circa il 15% degli americani guarda, con una media di otto ore al mese, MSNBC, CNN o Fox News, e che circa la metà del pubblico di queste reti non è sempre un elettore iscritto al partito in linea con quella fonte di notizie. Inoltre, i giovani adulti costituiscono una parte significativa del pubblico dei media più di parte, il che indica che la visione delle notizie in tv probabilmente rimarrà importante anche negli anni a venire. Nel libro “The Other Divide: Polarization and Disengagement in American Politics”, i politologi Yanna Krupnikov e John Barry Ryan sostengono che la spaccatura principale negli USA non è tra democratici e repubblicani, ma tra iper-impegnati in politica e disimpegnati. Spesso le voci di chi è profondamente coinvolto sono amplificate dai media e questo dà l’impressione che gli americani tipici siano più divisi e abbiano più astio verso i sostenitori del partito avversario di quanto non sia vero per l’elettore medio, che è “un moderato che discute raramente di politica”. Tutte queste considerazioni acquistano importanza se si pensa alla copertura mediatica ricevuta da Trump nelle ultime settimane: più di tre milioni di persone hanno guardato la sua intervista alla CNN e le altre testate ne hanno parlato per una settimana. Più tempo viene dedicato a una singola apparizione televisiva di Trump, e meno attenzione riceveranno altri temi. Infine, è dimostrato che questo tipo di copertura politica ossessiva e l’eco sui social media stanno contribuendo a spingere un ampio gruppo di americani ad allontanarsi completamente dalla politica e dalle notizie, come già evidenzia una ricerca condotta da Reuters Institute. La Grose giunge infine a due conclusioni: la prima è che dovremmo evitare di affidarci a stereotipi quando pensiamo ai consumatori di notizie; la seconda è che i giornalisti dovrebbero riflettere più profondamente sulla quantità e sul tipo di copertura che viene data a ogni candidato e a ogni evento.
Salvare vite su YouTube
Ogni anno tra i 30.000 e i 40.000 pakistani tentano un passaggio illegale in Europa attraverso la Turchia e l’Iran. Tra questi c’è Asad Ali che, come raccontato da Rest Of World, duramente colpito dall’esperienza e dalla reale pericolosità del viaggio, ha deciso di documentare le difficoltà che aveva affrontato trasformandole in un documentario diffuso su YouTube. Attraverso questo video, il ragazzo ha voluto mostrare e denunciare la concreta pericolosità dei viaggi immigratori illegali che causano ogni anno la morte di tante persone alla ricerca di un futuro migliore. Proprio grazie alla sua testimonianza, Asad Ali è riuscito a disincentivare tante persone ad intraprendere percorsi pericolosi, proponendo alternative legali e sicure per la migrazione verso l’Unione Europea. La pagina YouTube di Asad Ali ha ricevuto in questi anni numerose visualizzazioni, insieme all’apprezzamento e il supporto di tanti ragazzi che, in procinto di affrontare questo pericoloso viaggio, sono stati convinti a non farlo. È proprio grazie a piattaforme digitali come YouTube che è possibile creare connessioni ed eliminare distanze raccontando storie in grado davvero di raccontare la realtà e, in questo caso, salvare vite umane.
La viralità di Wes Anderson
I film di Wes Anderson si contraddistinguono per l’eccentricità e i colori sgargianti che ben si prestano a essere ripresi dagli utenti sui social media. Come riportato da Wired, il trend “Accidentally Wes Anderson” è di nuovo in tendenza su Instagram e TikTok, nonostante nessuno dei suoi film sia in programmazione nei cinema. Già nel 2019 il regista era diventato di moda sui social, e ora TikTok ha rivitalizzato il trend attraverso post di viaggi realizzati con un montaggio in stile andersoniano. La tendenza ha avuto inizio dalla tiktoker Ava Williams, che ha postato una clip di un viaggio in treno dal Connecticut a New York mettendo in evidenza elementi che sono immediatamente riconducibili allo stile del regista. Su YouTube e Twitter la tendenza si amplifica grazie all’intelligenza artificiale: i nuovi programmi che sfruttano l’AI hanno dato vita a una miriade di contenuti che omaggiano il regista. Su Twitter sono comparse immagini generate con l’AI di come sarebbe stato Harry Potter se fosse stato diretto da Wes Anderson e nel web gira un trailer di Star Wars firmato Wes Anderson. Le caratteristiche dei film andersoniani sono facili da riconoscere e da ricreare, e gli utenti più giovani hanno abilità di montaggio persino sugli smartphone. Ha uno stile visivo unico, i personaggi sono stravaganti, i dialoghi memorabili ed esiste una fanbase dedicata che apprezza l’approccio unico e la narrazione tipica. Ecco, questi sono gli elementi che non fanno “morire” il trend anche in assenza di un nuovo film.
Harry e Meghan tra USA e UK
Harry e Meghan negli USA sono visti come una delle tante coppie celebri ma nel Regno Unito l’interesse dei tabloid sta alimentando un vero e proprio mercato di foto esclusive dei duchi di Sussex. I paparazzi seguono e cercano di documentare qualsiasi spostamento della coppia, e, come riporta The Guardian, “se ottieni l’esclusiva di un loro momento privato, potresti ricevere decine di migliaia di dollari”, afferma una fonte nel settore della fotografia. Harry e Meghan da una parte cercano di attirare l’attenzione mediatica mondiale e dall’altra richiedono privacy lamentando l’intrusione costante dei fotografi. Nel luglio 2020, hanno denunciato delle immagini, a loro avviso scattate illegalmente, a loro figlio Archie nel loro cortile di Montecito, in California: il Daily Mail avrebbe pubblicato l’indirizzo della loro casa e i paparazzi hanno utilizzato droni ed elicotteri per scattare le fotografie. Ultimamente la coppia è stata coinvolta in un incidente stradale “quasi catastrofico” dopo che, di ritorno da New York, i paparazzi avrebbero inseguito la loro auto per oltre due ore. Harry e Meghan si sono definiti “scossi e provati” ma, nel frattempo, un fotografo americano suggerisce che la coppia stia replicando la narrativa di Diana. Pare, comunque, che gli americani siano più inclini a provare maggiore empatia con la coppia reale più di quanto lo facciano gli inglesi.
*Storyword è un progetto editoriale a cura di un gruppo di giovani professionisti della comunicazione che con diverse competenze e punti di vista vogliono raccontare il mondo della comunicazione globalizzato e in costante evoluzione per la convergenza con il digitale. Storyword non è una semplice rassegna stampa: ogni settimana fornisce una sintesi ragionata dei contenuti più significativi apparsi sui media nazionali ed internazionali relativi alle tecniche e ai target di comunicazione, sottolineando obiettivi e retroscena. Per maggiori informazioni: www.storywordproject.com
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