Lasciate in pace l’Asinello bianco dell’Asinara!

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Asinara, Asinelli bianchi e vecchie strutture carcerarie (foto Fiorella Sanna)

Rimuovere l’Asinello bianco dell’Asinara?

Magari come i Mufloni dell’Isola del Giglio?

L’Asinello bianco dell’Asinara (Equus africanus asinus) è una delle razze di Asino, albina, presente sull’Isola dell’Asinara e in altre località sarde.

Sull’Asinara, interamente parco nazionale dell’Asinara, vive allo stato selvatico e, molto probabilmente, è di origine locale.

Un recente articolo di Alessandro Sala, pubblicato lo scorso 27 giugno 2024 su Il Corriere della Sera, lo qualifica addirittura alieno e ne ipotizza la rimozione.

Carlo Hendel, già Direttore del Settore Agrozootecnico della Casa di Reclusione dell’Asinara e profondo conoscitore dell’Isola, mette giustamente qualche puntino sulle “i”.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

L’Asinello dell’ASINARA non si tocca!
Il recente articolo del Corriere della Sera (27.06.2024) a firma di Alessandro Sala, definibile “omnibus” soprattutto per il coacervo di inesattezze e contraddizioni che lo caratterizza, al suo approfondito esame rende del tutto evidente l’intenzione di mostrare una “incredibile” strada di risoluzione di problematiche che affliggono, o meglio affliggerebbero, la gestione del Parco Nazionale dell’Asinara.
Per procedere lungo questa involuta strada il giornalista, a cominciare dal titolo,non si è preoccupato di definire “ALIENO” l’asino dell’Asinara ed ha poi proseguito paragonando cripticamente l’isola alla città di Roma (25 volte più grande), successivamente ha elencato tutta una serie di avifauna, di rettili e, per finire, di mammiferi e roditori.
L’autore giunge ad arrischiare una contrapposizione delle 30 specie di avifauna con “status di conservazione favorevole“, mescolando nella tastiera del suo computer magico, come un novello stregone disneyano, mufloni, cavalli, asini grigi e bianchi, sottolineando, per questi ultimi, la “degenerazione genetica” dovuta alla consanguineità.

Poi con un guizzo degno di ben altri obiettivi, accomuna nuovamente gli asinelli, “simpatici e al tempo stesso tristi“, alle capre e ai cavalli (dimenticando – forse – volutamente i cinghiali) per affermare che “sono ospiti introdotti in tempi relativamente recenti perchè funzionali all’attività della colonia penale“.

Asinara, Faro Punta Scorno (Sardegna Digital Library)

Si tralascia di evidenziare affermazioni e definizionidel tutto “singolari” come la denominazione di “palazzo Reale” riservato all’ex Stazione Sanitaria, oggi foresteria del Parco nazionale dell’Asinara, oppure, per inciso, quella di “secondini“, platealmente offensiva per il Corpo di Polizia Penitenziaria e per i suoi Agenti che hanno prestato servizio anche all’Asinara. Proseguendo nell’attività disinformativa, l’autore è stato solo momentaneamente distratto, dall’esigenza di rappresentare il senso di “decadenza  e di abbandono degli edifici, lasciati a se stessi“, proponendo l’immagine decadente, come quasi “romantici reperti” ovvero Alcatraz e Conte di Montecristo.
L’articolo arriva a riportare le frasi del Commissario che enuclea, nel complesso della Zona Speciale di Conservazione dell’Isola dell’Asinara, ben 265 specie di vertebrati terrestri selvatici e 700 specie vegetali.

Evidentementela struttura dell’articolo è funzionale a non far distinguere, al lettore, il “grano dal loglio”, ovvero quanto volutamente mistificato, daciò che è il prodotto dalla superficialità o a della distrazione.Purtuttavia l’articolo riporta concetti che paiono prescindere dalla realtà. 

Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus)

Facciamo il punto:

ASINO ALIENO!

– L’asino dell’Asinara è una razza e non può essere annoverato tra le specie introdotte dalla struttura Penitenziaria poichè la presenza del mammifero viene attestatada Felice Cherchi Paba facendola risalire sin dall’800, secolo in cui il feudatario dell’isola, il Marchese di Mores e Duca dell’Asinara, importò degli asini bianchi dall’Egitto, dove vivevano numerosi e li introdusse sull’isola. (Cherchi Paba, 1974).

– Anche se si volesse prescindere dal lavoro del Cherchi Paba, una delle prime testimonianze documentali sull’esistenza e sul pericolo che avrebbe corso l’Asinello fu paventato nel testo “Asinara” del Gen, Nino Giglio in cui, già prima del 1974 (ristampa del libro), il Generale a pag. 257 scriveva: “Il pericolo più grosso, in prospettiva è dato dalla possibilità di una sdemanializzazione  che insieme agli ultimi asini bianchi travolgerebbe in un Amen l’enorme valore ecologico di quanto è stato finora miracolosamente conservato”

– Ulteriore conferma accademica è pervenuta con il timbro dell’anno 1989 ad opera del Prof. Paolino Lai che, in uno dei suoi lavori scientifici sull’Asinello Bianco dell’Asinara, riporta le frasi del Sig. Umberto Massidda, all’epoca novantaduenne, che riferiva di aver conosciuto, fin dalla prima infanzia gli asini bianchi e di ritenere che siano stati lasciati – perchè selvatici – dai vecchi asinaresi quando si trasferirono a Stintino nel 1885.

– Anche il documento programmatico prodotto dal neo Ente Parco in fase di strutturazione (Sistema storico-culturale insediativo cap. 1.1.9 – Età moderna) si esprime a pag. 5, in riferimento alla storia dell’isola, riporta: Il dibattito al Consiglio comunale di Sassari – che prese in considerazione anche l’Isola Piana e il molo di ponente di Porto Torres – si trascinò per alcuni decenni, fino a quando, nel 1885, lo Stato non decise di istituirvi “il primo lazzaretto del Regno” e una colonia penale agricola – omissis-. L’isola aveva allora alcune centinaia di abitanti distribuiti su una superficie di 5192 ettari; il patrimonio forestale era di 4000 capi (buoi, cavalli, asini, pecore, suini, quasi tutti allo stato brado).”

Perciò la presenza dell’asino sull’isola risale al periodo ante -1885 e non fu certamente introdotto dalla struttura penitenziaria. Sfatare questa favolaci consente difar cadere l’affermazione conseguente, che questi animali fossero “funzionali all’attività della colonia penale“.

Muflone (Ovis gmelini musimon, foto Raniero Massoli Novelli)

La Regione Autonoma della Sardegna nel 2007 col suo Programma di sviluppo rurale 2007-2013 reg. (CE) n° 1698/2005 ha testualmente dichiarato: “L’asino dell’Asinara rappresenta ormai un simbolo per l’Isola in cui vive, costituiscono infatti, un patrimonio faunistico di rilevante importanza scientifico-culturale considerando che l’Isola è dal 2002 Parco Nazionale.

Il PARADOSSO della biodiversità a senso alternato.

L’autore inserisce, in conclusione delle dieci pagine di articolo, una personale “invenzione” sulla tutela della biodiversità, contrapponendo la fauna cd. “autoctona” a quella asserita “non autoctona” in cui inopinatamente è stato annoverato l’Asino dell’Asinara insieme ad altri animali, come le capre, i cinghiali o i mufloni; tutti animali che hanno un notevole impatto sull’ambiente vegetale che li circonda, giungendo addirittura ad attestare la compiuta (ma inesistente) “favorevole introduzione di grifoni, gipeti e capovaccai“, battezzati spazzini naturali, che ridurrebbero le spese (assistenza veterinaria) del Parco e preconizzare la “RIMOZIONE GLI ASINI“, dal giornalista considerata forse controproducente anche dal punto del “MARKETING TURISTICO“.

Centomila visitatori annui potranno ben produrre un’entrata sufficiente a mantenere adeguatamente assistito, come tutt’oggi è dal punto di vista veterinario, il nucleo di Asino dell’Asinara presente sull’isola.

Il giornalista non ha poi preso atto compiutamente della contraddizione palese contenuta nell’introduzione dei grifoni etc, e nell’auspicata rimozione dell’Equus asinus Linnaeus, 1758, soprattutto ha dimenticato che gestire ecologicamente un territorio, rispettandone la biodiversità, non significa certo stravolgerlo con iniziative ravvicinate, irreversibili e prive di senso logico, oltre che scientifico.

parco nazionale e area marina protetta dell’Asinara

Gestire il territorio, nel rispetto della biodiversità, vuole dire entrarvi in punta di piedi, senza secondi fini, men che meno quelli di marketing, significa conoscerlo profondamente, sotto ogni punto di vista entrandovi in sintonia e solo successivamente, con estrema gradualità introdurvi minime modifiche,con attenzione spasmodica agli effetti prodotti.

Per inciso ed in conclusione, si specifica che il maggior impatto sulla cotica erbosa e sulle essenze arbustive dell’isola, viene prodotto dall’azione di pascolamento della capra, un animale prolifico che il Parco sta tentando, peraltro con scarsi risultati, di ridurre numericamente, attraverso prelievi continui che falliscono, soprattutto a causa della loro episodicità, riuscendo solo a contenerne, a fatica, il numero complessivo.

Segue, in questa classifica negativa per l’ambiente vegetale, l’ibrido di cinghiale (Sus Scrofa, Linnaeus, 1758), animale prolifico, che si alimenta rimuovendo zolle di terreno alla ricerca dei tuberi, dei bulbi e delle radici più tenere, distruggendo le covate di volatili (pernici, gabbiani corsi), nonché le uova di tartaruga

Per questo animale e per la capra il Consiglio Direttivo del Parco, nella seduta del 27 agosto 2021, ha adottato in via definitiva il Piano quinquennale di eradicazione,che dovrebbe aver fornito la soluzione alla problematica lamentata.

Il Parco dell’Asinara è sicuramente consapevole che l’intenzione di operare qualsiasi azione per sottrarre all’Isola, anche solo parzialmente, l’Asino dell’Asinara,oltre che contraddire le stesse affermazioni ufficiali regolamentari, costituirebbe un profondo vulnus all’integrità ambientale complessiva, provocherebbe iniziative di vario tipo, che saranno attivate in assenza di smentite ufficiali, e incorrerebbeanche in un’aperta violazione della protezione assicurata a tutte le razze italiane di Asini, compresa quella dell’Asinara, inserite nella Risk Status Classification della F.A.O.

Carlo Hendel

Falco della Regina (Falco eleonorae)

da Il Corriere della Sera, 27 giugno 2024

Asinara, l’isola della biodiversità (e degli asini «alieni»).

Viaggio nell’ex colonia penale, oggi al bivio tra protezione della natura e pressione turistica. Le opportunità e la ricerca di un difficile equilibrio tra recupero, tutela e nuovo sviluppo. (Alessandro Sala)

Con i suoi 52 chilometri quadrati l’Asinara è un piccolo paradiso della biodiversità. Piccolo, perché la sola città di Roma è 25 volte più grande. Ma decisamente ricco. Custodisce numerose specie endemiche, sia animali sia vegetali. E dopo la fine della sua storia centenaria come luogo di quarantena prima e come colonia penale e isola-carcere poi, periodi in cui  l’accesso al resto del mondo è stato di fatto interdetto, i riflettori e gli occhi dei visitatori possono da alcuni anni tornare ad accedersi e ad aprirsi sui suoi tanti gioielli. Sul falco grillaio e sul gabbiano corso, che sono specie di interesse conservazionistico globale. Ma anche sulla berta maggiore, la sula, il falco della regina, la pettegola, la ghiandaia marina, il beccapesci, il succiacapre e tante altre specie di volatili i cui soli nomi evocano poesia ma che purtroppo rientrano tra le specie rare o classificate come vulnerabili. A queste si aggiungono almeno altre 31 specie di volatili di areale strettamente europeo e 39 specie con «status di conservazione favorevole», tra cui le varianti sarde della pernice e della magnanina.  Ci sono poi, in rappresentanza del mondo rettile e anfibio,  la raganella hyla sarda, il discoglosso, il rospo smeraldino, un paio di specie di testuggine, la biscia viperina, il colubro, la lucertola tiliguerta e l’emidattilo turco, che prima che andiate a googlarlo vi diciamo essere un piccolo geco. E ancora, per quanto riguarda i mammiferi, il riccio, la crocidura rossiccia sarda (che è un toporagno),  il mustiolo, il lagomorfo (ovvero la lepre sarda) e molti roditori.

Ma è proprio qui che emerge la contraddizione dell’Asinara, che si presenta a chi sbarca sulle sue coste come il regno delle capre, dei mufloni,  dei cavalli, degli asini grigi e bianchi, che poi in realtà sono albini, effetto di una mutazione dovuta alla consanguineità, e quel vello bianco che a noi strappa un «wow» è in realtà una degenerazione genetica che causa loro un’infinità di problemi di salute. Il luogo comune vorrebbe che questa terra debba ad essi, ai simpatici e al tempo stesso tristi somarelli, il suo nome. Ma non è così: l’origine del toponimo è romana, perché questa era in un primo tempo considerata l’Herculis Insula, creata secondo la leggenda da Ercole in persona, ma che divenne poi l’Insula Sinuaria, l’isola sinuosa. L’Asinara appunto, che si snoda da nord a sud per circa 17 chilometri con una forma allungata tutta a seni e golfi, senza praticamente alcun tratto rettilineo.

Gli asini, così come le capre e i cavalli, non ci sono sempre stati, sono solo degli ospiti introdotti in tempi relativamente recenti perché funzionali all’attività della colonia penale. Sono i superstiti di un passato prossimo ormai concluso, ma non ancora diventato remoto. Sono ciò che è rimasto dopo l’abbandono delle strutture carcerarie e della vocazione agricola ad esse legata. Ma sono di fatto i principali abitanti di un luogo, che dal punto di vista amministrativo ricade sotto Porto Torres e che ufficialmente ha una popolazione pari a una sola unità.  

Già terra di isolamento e di cura nell’Ottocento (sotto il governo Depretis fu un vero e proprio lazzaretto), l’Asinara è stata a lungo un carcere a cielo aperto. Prima sotto il Regno di  Piemonte e Sardegna e poi sotto il Regno d’Italia. Durante la Prima guerra mondiale venivano deportati qui i prigionieri austro-ungarici, che oggi sono ricordati con un piccolo tempio che guarda il mare da mezza costa, ma anche gli etiopi catturati nell’allora colonia africana, tra cui anche la figlia del Negus. Le cose non sono cambiate di molto con l’avvento della Repubblica  Italiana che vi istituì prima un sanatorio per la cura della tubercolosi poi uno dei suoi più tristemente noti carceri di massima sicurezza. Un penitenziario diffuso, ripartito su diverse  strutture sparse nel territorio isolano, che nel complesso di Fornelli ha visto transitare grandi nomi dell’universo criminale nostrano, dai terroristi rossi e neri protagonisti degli anni di piombo, ai grandi capi delle organizzazioni mafiose, reclusi qui in regime di 41 bis, tra cui il capo della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo e quello di Cosa Nostra Totò Riina. Avrebbe dovuto essere dismesso negli anni Ottanta, ma l’emergenza terrorismo e le stragi di mafia indussero lo Stato a mantenerlo in attività fino alla fine degli anni 90. Poi l’organizzazione penitenziaria venne via via smantellata. E nel 2002 venne ufficialmente istituito il Parco nazionale dell’Asinara con annessa Area marina protetta.  Dismesse le celle, partiti i secondini, gli animali sono rimasti senza custodia e si sono sparpagliati sul territorio. E senza predatori naturali, hanno proliferato.

Asinara, Torre di Cala d’Oliva

Oggi, da un punto di vista della tutela della biodiversità, questi animali sono un problema. Perché liberi come sono finiscono con l’alterare l’habitat naturale, mettendo a rischio la vegetazione autoctona e, di conseguenza, anche le specie animali che da essa dipendono. Dal punto di vista turistico, invece, sono un  involontario valore aggiunto, perché al selfie con l’asino albino, che se ne resta placido in posa talmente è abituato (e talmente è paralizzato dal caldo), sono in pochi tra i gitanti a resistere alla tentazione. La gestione del territorio deve barcamenarsi tra l’esigenza della conservazione e quella di un minimo sviluppo economico, comunque necessario alla prima. Non deve dunque stupire se sull’isola convivono zone completamente vietate alle persone, come la bellissima Cala Sant’Andrea che rientra nella zona A a protezione integrale, e spiagge normalmente balneabili. E neppure se ci sono sentieri percorribili solo a piedi e con una certa fatica – più per l’esposizione solare che per la reale difficoltà escursionistica, che svolgono comunque una inevitabile «selezione all’ingresso» – e navette fuoristrada che caricano i turisti sbarcati da Stintino o Porto Torres e li portano comodamente su a nord, fino a Cala Sabina, una piscina naturale incastrata in una splendida baia attorniata da macchia mediterranea, che con l’inizio della stagione estiva diventa però location ideale per bagni instagrammabili.

Le attività economiche sono poche, un paio di strutture ricettive e qualche bar e ristorante, per lo più a Cala d’Oliva, l’altro altro approdo per traghetti e catamarani, in passato abitata da pescatori e agricoltori poi (letteralmente) cacciati con l’istituzione del carcere. Chi passa accanto alle strutture dismesse e dimesse della fu gestione penitenziaria, non riesce a non avvertire un certo senso di decadenza e di abbandono negli edifici lasciati a se stessi. Che evocano storie di altri tempi. Le isole prigione anche in letteratura o al cinema, dal Conte di Montecristo ad Alcatraz, hanno sempre solleticato l’immaginazione. Ma la realtà è che oggi ci sono mura che si scrostano e interni che vanno a pezzi. E chissà in quanti avranno già immaginato alla loro possibile riconversione in alberghi o resort, cosa che significherebbe la messa a rischio dell’impianto di protezione che come è noto non si combina con il turismo di massa e all inclusive

Un turismo culturale legato alla storia carceraria potrebbe invece essere una risorsa, ma mentre l’ex diramazione centrale di Cala d’Oliva è visitabile e oggi è un museo che permette di respirare ancora l’atmosfera dei tempi che furono e altre strutture sono state assegnate a associazioni e enti di ricerca e protezione ambientale, l’edificio di Fornelli che  ospitò i grandi nomi della mala e della criminalità organizzata è oggi un rudere abbandonato, assalito dalla vegetazione che conquista sempre più spazio. Il Parco dell’Asinara lo vorrebbe gestire, ma è in carico ad un altro ente, la Conservatoria. E come purtroppo spesso accade tra istituzioni diverse il dialogo non è sempre spedito funzionale, il tempo passa e tutto resta immoto.   

Cinghiale (Sus scrofa meridionalis, foto Raniero Massoli Novelli)

Le autorità cercano di fare il possibile per trovare un equilibrio. Le condizioni per creare un turismo ambientale di qualità, fatto di escursionisti e naturalisti, oltre che di cicloturisti, non mancherebbero. E, come detto, si potrebbe pensare di più anche ad una frequentazione tagliata sugli aspetti storici e culturali. Ma non è facile quando al di là dello stretto presidiato dall’Isola Piana preme una Sardegna che al turismo di massa ha già ampiamente aperto e derogato. Dalla spiaggia della Pelosa e dalla scogliera di Capo Falcone, sulla punta estrema di Stintino,  l’Asinara è uno spettacolo ad ogni ora del giorno, dall’alba, quando il sole emerge alle sue spalle insinuandosi tra le alture appena accennate, al tramonto, quando gli ultimi raggi del sole la riempiono d’oro. Dalla parte opposta, guardando da Fornelli o dal mare, la costa stintinese  è invece segnata da centinaia di costruzioni residenziali che punteggiano in modo disordinato  le colline e da alcune strutture turistiche di grosse dimensioni che annullano in parte la bellezza del panorama. Poche centinaia di metri di mare separano due mondi. 

«Il vero problema – racconta Stefania Pisanu, naturalista del Parco che ci accompagna alla scoperta dell’isola, tappa del progetto «Biodiversità in volo» della Fondazione Una e di  Federparchi – è che non c’è una sufficiente  cultura del turismo responsabile. L’isola è in gran parte balneabile e molti visitatori  vengono qui alla ricerca di calette esclusive in cui sguazzare, senza neppure sapere quale grande valore biologico e naturalistico li circonda». Collezionisti di foto buone per i social, che inquadrano l’acqua trasparente – e ovviamente se stessi -, ignorando che il vero tesoro dell’Asinara è altro. «Che si tratti di un parco nazionale a molti sembra non interessare – dice ancora Pisanu  –. A volte, anzi, neppure lo sanno. Eppure questo è davvero un Eden senza eguali e servirebbe più consapevolezza per viverlo con rispetto e in tutto il suo splendore. Per fortuna c’è anche chi, pur arrivando con la prospettiva di un bagno in una spiaggia speciale, scopre la vera essenza di questo luogo magico e quando se ne va porta con sé una nuova idea di frequentazione della natura».   

Sull’isola ci sono anche un osservatorio faunistico a Tumbarino, nell’edificio che un tempo accoglieva i condannati per reati sessuali, e il Crama di Cala Reale, un centro di cura e di recupero per le tartarughe caretta caretta che una volta rimesse in forma vengono di nuovo affidate al mare. Quello stesso in cui si erano trovate a fare i conti con la pesca accidentale, con le reti fantasma che in cui restano impigliate, con la plastica in sospensione che finiscono con l’ingerire intossicandosi, con i sacchetti che una volta ingeriti formano bolle d’acqua che impediscono l’immersione, con le imbarcazioni che le travolgono, procurando loro ferite a volte gravi, a volte anche letali. 

Occhiate (Oblada melanura)

Gli accessi all’Asinara sono contingentati, le aree di protezione ben delimitate, gli attracchi sono possibili solo su prenotazione ai cavitelli predisposti dal Parco ed è vietato gettare l’ancora, per non danneggiare i fondali e le praterie di posidonia. Ma appena al di fuori delle zone off limits sono decine e decine le barche private che stazionano o che circumnavigano per regalare ai loro ospiti le viste mozzafiato sull’isola. Sono come barriere biancheggianti che ondeggiano sull’orizzonte, monopolizzandolo; alberi maestri che si inclinano lievemente e che quasi mai hanno le vele tirate, perché avere la barca a vela fa figo ma poi sono in tanti ad utilizzarla solo a motore. Gli sbarchi di turisti sono limitati a un migliaio al giorno, vale a dire la capienza di traghetti e catamarani  autorizzati. Se siano tanti o pochi dipende dai punti di vista: chi intravede un possibile business ne vorrebbe molti di più, chi ha a cuore la conservazione trema a questa prospettiva. Ma più che la quantità sarebbe la qualità del turismo da tenere sotto controllo, con una in realtà impossibile selezione: sbarcherà sempre il turista che riterrà normale incidere il proprio nome su una roccia o quello che butta pane in mare per attirare pesci e realizzare un autoreferenziale video per TikTok. Ci si prova con l’attività informativa e di comunicazione, con i centri visitatori, con l’opera di divulgazione. Con una rete di sentieri in parte già sviluppata e in parte in progetto, così come alcuni percorsi per ciclisti. Il Parco fa parte della rete di Natura Italia, del Geoportale Nazionale, della rete Europarc per il turismo sostenibile nelle aree protette.  Insomma, le premesse per trovare un equilibrio tra ambiente e economia ci sono.

Nell’attesa di capire cosa diventerà da grande, l’Asinara procede un po’ per inerzia e diventa sempre di più, nell’immaginario collettivo, l’«isola degli asinelli». Perché se non la si racconta nel modo giusto, sono poi i post sui social a raccontarla a modo loro. Per cercare di ridurre l’impatto degli animali da allevamento ormai liberi e rinselvatichiti l’ente Parco ha emesso  bandi per il loro affidamento quasi gratuito. Sostanzialmente è possibile farsi carico di capre e asini  semplicemente facendosi carico di andarseli a prendere con mezzi adeguati e impegnandosi a non maltrattarli e a non spedirli direttamente al macello. Ma l’operazione è meno semplice di quanto appaia e le richieste, visti i vincoli, non piovono. E così i numeri restano significativi.  

«Ci sono più di 2 mila capre, 700 mufloni, 500 asini e 120 cavalli, oltre ad un numero imprecisato di cinghiali – spiega il commissario Giovanni Cubeddu, che sull’isola ha anche lavorato come veterinario nell’ultima fase di attività della colonia penale -. Sono numeri imponenti con cui dobbiamo fare i conti. A volte gli animali si feriscono, combattono tra loro, muoiono e le carcasse restano a decomporsi nell’ambiente, creando un problema di tipo sanitario, che ha pure quello un suo costo. Abbiamo favorito l’introduzione di grifoni, che possono contribuire a ripulire il territorio, e ci sono pure dei gipeti e dei capovaccai. Sono spazzini naturali, svolgono un’opera ecologica importantissima».  Rimuovere gli asini dell’isola degli asini, per come si sono messe le cose dal punto di vista del marketing turistico, potrebbe anche sembrare controproducente, perché il selfie con una berta maggiore o con un avvoltoio mica te lo puoi fare. Ma non si può stare a pensare solo nei termini dell’oggi.  «Gestire un territorio significa valorizzarlo e tutelarlo per le generazioni a venire – sottolinea ancora Cubeddu -. Tra tante difficoltà è quello che proviamo a fare». E tanto per capire la mole di lavoro, basti ricordare che la Zona speciale di conservazione dell’Asinara conta nel complesso  265 specie di vertebrati terrestri selvatici e 700 specie vegetali

Grifone (Gyps fulvus)

«L’Asinara è l’esempio di come la tutela dell’ambiente e quella delle aree protette in particolare debba basarsi su una conservazione affrontata con approccio scientifico ed ecosistemico – sottolinea Renata Briano, presidente del comitato scientifico della Fondazione Uomo Natura Ambiente -. Preservare significa prima di tutto gestire. All’Asinara, dove l’ecosistema è il frutto di anni di presenza umana, abbiamo un concreto esempio di cosa voglia dire affrontare la tutela di patrimoni faunistici e botanici che l’uomo stesso ha contribuito a creare negli anni. Qui sono state avviate attività di allevamento e agricoltura per le quali sono state inserite specie alloctone, oggi da controllare con attenzione e che però hanno già profondamente cambiato l’isola. Una situazione, ora, dalla quale ripartire per una gestione che voglia davvero rispondere alle necessità dell’ecosistema, tenendo conto della fragilità degli equilibri». Non c’è il problema del bracconaggio, che è uno dei focus di «Biodiversità in volo», perché sull’isola non c’è caccia e non si spara. Ma resta il tema della gestione della fauna selvatica. Quella autoctona, da tutelare e proteggere. E quella non autoctona, che dell’isola è diventata parte integrante, ma che ne è al tempo stesso un problema. L’Asinara è l’emblema della difficoltà di trovare compromessi adeguati, come in tante altre realtà  simili in Italia e nel mondo che devono fare i conti con le esigenze della natura selvatica e della conservazione, con la salvaguardia dell’ambiente e la gestione dell’economia del territorio. 

Quando alla sera i fuoristrada si fermano e i traghetti e i motoscafi riportano i turisti a Stintino e Porto Torres, sull’isola il silenzio torna ad essere protagonista, interrotto da qualche raglio isolato e dallo stridio dei gabbiani. Restano le barche appostate al largo. Resta Severino, il più anziano degli asini dell’Asinara, che ha quasi 30 anni e ha conosciuto tutti e a Campo Perdu, dove sono stati ritrovati i resti dei primi insediamenti umani nell’isola, si fa accarezzare da tutti. E resta Gianmaria Deriu, una vita da guardia penitenziaria all’Asinara, dove è rimasto anche dopo la pensione, come collaboratore del Parco. Ha conosciuto magistrati e delinquenti, si è guadagnato il rispetto dagli uni e dagli altri. Ha assistito Falcone e Borsellino, ospiti super protetti con le loro famiglie nel 1985 durante l’istruzione del maxi-processo a Cosa Nostra, vicenda raccontata nel film Era d’estate di Fiorella Infascelli. Ha mantenuto rapporti di amicizia con alcuni ex detenuti, completamente redenti, che ancora tornano a trovarlo. Così come torna spesso il figlio di Borsellino, Manfredi, che era ragazzino quando ci venne la prima volta. 

Il salotto del suo appartamento, all’interno della Foresteria ricavata nell’ex Palazzo Reale, è pieno di foto in compagnia di personaggi più o meno noti che lo hanno avuto come guida visitando l’Asinara, di cui è diventato una sorta di ambasciatore. «Qui ho trascorso i migliori anni della mia vita, quando è arrivato il momento di ripartire non sono riuscito a staccarmi». Come il capitano Drogo del Deserto dei tartari di Dino Buzzati, ammaliato dal fascino della fortezza Bastiani, che scelse di restare sulle montagne  in attesa di una battaglia che per lui non arrivò mai. Deriu le sue battaglie le ha invece tutte combattute, durante gli anni in divisa e anche in seguito, al servizio e a protezione della «sua» isola. Di cui, in alcuni periodi, quando le attività ricettive sono chiuse, si ritrova ad essere l’unico abitante. «Anche quando scende la notte non mi pesa sapere di essere solo. Io qui sono a casa». 

Gabbiano reale mediterraneo (Larus michahellis)

(foto da Sardegna Digital Library, Fiorella Sanna, Raniero Massoli Novelli, S.D., archivio GrIG)

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