Il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (T.A.P.) è un’opera da sempre molto contestata, dall’impatto ambientale tutt’altro che trascurabile.
Il sistema di approvvigionamento del gas naturale in Italia garantisce ampiamente qualsiasi attuale e futuro consumo, per cui qualsiasi incremento appare decisamente fuori luogo sul piano ambientale e finanziario.
Tuttavia, fin d’ora ripetute fughe di gas costituiscono un ulteriore problema ambientale, assolutamente non preventivato.
Un’inchiesta di Teresa Di Mauro e Vittoria Torsello per Irpi Media.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Irpi Media, 8 novembre 2024
Fughe di metano a Melendugno. (Teresa Di Mauro. Vittoria Torsello)
Nei terminali del gasdotto che porta gas dall’Azerbaijan all’Italia, sono state scoperte emissioni continue da sfiati che dovrebbero attivarsi solo in caso di emergenza. Un gruppo di attivisti locali ha cercato di misurare il problema.
Fino a qualche tempo fa, i contadini del Salento costruivano muretti a secco per segnare i confini delle campagne, proteggere le colture dal vento di Scirocco e dividere i campi dagli spazi per il pascolo.
Oggi, appena fuori Melendugno, in provincia di Lecce, questi stessi muretti fanno da cornice a un paesaggio cambiato: oltre le pietre antiche che ora delimitano uliveti secchi e campagne espropriate, spuntano alte inferriate, fili spinati e telecamere a ogni angolo che sorvegliano strade di campagna ormai deserte.
L’inchiesta in breve
- A Melendugno un’associazione ambientalista, utilizzando una termocamera, ha verificato che sia nel terminale di ricezione di Melendugno sia nell’adiacente Interconnessione Tap ci sono “emissioni fuggitive” di metano. In pratica, a causa di malfunzionamenti, dichiarano Tap e Snam, tre sfiati hanno sprigionato nell’aria un non precisato quantitativo di metano, uno dei principali responsabili del cambiamento climatico
- Il terminale di Melendugno è gestito dalla società Tap Ag e rappresenta la fine del Trans adriatic pipeline (Tap), uno dei tre gasdotti che forma il Corridoio meridionale del gas che parte dall’Azerbaijan. L’Interconnessione Tap, che conduce il gas nella rete nazionale, è gestito da Snam. Entrambe le società dicono di essere a conoscenza delle emissioni e di averle già comunicate alle autorità competenti
- L’Unione europea ha introdotto un regolamento teso a ridurre le “emissioni fuggitive” di gas. Prevede che le aziende monitorino le perdite e comunichino come intendono porvi rimedio. Ma la stessa perdita era già stata osservata nel 2021 e non è ancora chiaro quando sarà riparata
- Il lavoro di monitoraggio civico messo in campo dagli attivisti locali è ad oggi uno degli strumenti più efficaci per portare la questione sui tavoli delle amministrazioni locali e nazionali
- Al di là delle barriere di metallo si estende il terminale di ricezione dell’ultimo segmento del Corridoio meridionale del gas (Sgc), che dall’Azerbaijan attraversa Grecia e Albania per arrivare in Italia. L’ultimo tratto del Sgc si chiama Trans adriatic pipeline (Tap) ed è tra i più grandi progetti dell’industria dei combustibili fossili mai realizzato in Europa.
- Il terminale, a dieci minuti dal centro abitato, si estende su un’area recintata di dodici ettari e comprende uffici, torri di controllo e camini. Incorniciato dagli ultimi antichi ulivi rimasti dopo i lavori di costruzione, il terminale si occupa esclusivamente di misurare flusso, pressione e quantità del gas prima dell’immissione nella rete nazionale di distribuzione gestita da Snam.
- Il gasdotto Tap è amministrato da un’omonima joint venture svizzera, Tap Ag, i cui soci sono British Petroleum (20%), Socar (20%), Snam (20%), Fluxys (20%) ed Enagás (20%).
- Dallo stesso sito, parte il gasdotto che distribuisce il gas naturale liquefatto nel resto d’Italia. Il primo tratto copre poco più di 50 chilometri, fino a Mesagne, in provincia di Brindisi. Il nome del gasdotto è Interconnessione Tap ed è gestito da Snam S.p.A., di cui il 31% del capitale è pubblico e appartiene a Cassa depositi e prestiti (Cdp).
- Sebbene il gasdotto sia interrato, il suo percorso è facilmente visibile grazie ai picchetti gialli con estremità rossa che corrono lungo il suo tracciato e dall’abbandono visibile delle campagne circostanti, ora incolte e prive di uliveti. Dal 2020 ad oggi il gasdotto ha portato in Italia 26 miliardi di metri cubi di gas, coprendo, nel 2023, il 16,2% della domanda italiana.
- In condizioni normali, da nessun terminal del gas dovrebbero esserci “perdite”: il gas naturale liquefatto, infatti, contiene per il 70-90% metano, un combustibile fossile le cui emissioni sono tra le principali responsabili del riscaldamento globale.
- «È il principale reagente che nell’atmosfera produce ozono, un gas tossico responsabile di circa mezzo milione di morti nel mondo e anch’esso un potente gas serra», spiega Sandro Fuzzi, chimico dell’atmosfera e autore degli ultimi tre rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, organizzazione scientifica creata dalle Nazioni unite per studiare la crisi climatica.
In altre parole, il metano non solo ha un ruolo diretto come gas serra, ma la sua presenza nell’atmosfera e la conseguente creazione di ozono provoca seri problemi per la salute umana e per gli ecosistemi. Questo impatto così rilevante ha spinto i principali organismi internazionali a cercare di limitarne le emissioni il più possibile.
Esistono però condizioni straordinarie in cui le emissioni dirette dagli impianti di gestione di gas sono inevitabili. Durante le operazioni di manutenzione, o se il terminale di un gasdotto va in sovraccarico, è previsto l’ausilio di un sistema di sicurezza che rilascia il gas, per evitare incidenti e riportare la pressione sotto controllo.
Questi scarichi avvengono tramite gli sfiati: sono delle specie di tubi con un “comignolo” all’estremo. Non bruciano gas, quindi i rilasci non producono fiamme. Per questo sono definiti “sfiati freddi”.
Tra l’ordinario e l’emergenza, c’è una terza situazione, che dovrebbe essere residuale: quella delle “emissioni fuggitive”. Avvengono quando da uno sfiato fuoriescono delle emissioni non volute, che secondo la normativa europea entrata in vigore dal maggio del 2024 «sono vietate» e sono tollerate solo «in caso di emergenza o malfunzionamento». In ogni caso, vanno registrate e rese pubbliche annualmente dall’azienda. I dati resi pubblici finora però sono aggregati e poco chiari, e la stessa normativa europea in merito è ancora poco stringente. Sebbene indichi che sia possibile l’autoverifica da parte stessa compagnia, specifica anche che per «maggiore indipendenza e trasparenza» dovrebbero essere incaricate delle terze parti, che abbiano accesso a «tutte le fonti di dati per valutare l’affidabilità, la credibilità e l’accuratezza delle relazioni sulle emissioni».
Snam e Tap hanno dichiarato di avere un verificatore esterno, ma non hanno chiarito di chi si tratti. In questa situazione di incertezza a Melendugno un’associazione ambientalista ha provato a fare i controlli per conto proprio, con una termocamera. È riuscita così a tracciare delle emissioni da due sfiati del terminal del Tap e da uno dell’Interconnessione gestita da Snam.
Sbuffi di metano
Giorgio Santoriello, attivista ambientale lucano, si dedica da quasi un decennio al monitoraggio di infrastrutture energetiche potenzialmente inquinanti. Nel 2013 ha fondato CovaContro, con sede a Policoro, in provincia di Matera. Imbraccia una termocamera Flir Gx320 un modello in grado di rilevare idrocarburi e metano tramite specifici sensori ottici.
Attraverso l’analisi delle diverse modalità con cui la luce reagisce al contatto con i gas, i sensori ottici riescono a rilevare la presenza e la concentrazione di gas nell’aria.
«Questa tecnologia permette di rilevare tutta quella gamma di impatti che i monitoraggi ambientali tradizionali non riescono a catturare. Purtroppo, non viene imposta dalle autorità ai controllori pubblici, come Arpa e Ispra, anche se ce ne sarebbe bisogno», dice Santoriello, illustrando il motivo che ha portato CovaContro a dotarsi di una termocamera.
«Grazie a questi dati – continua – possiamo fare pressione, mostrando che non è vero che si sta operando al massimo delle possibilità, che si stanno usando le migliori tecnologie, o che il camino, autorizzato solo per emergenze, viene usato correttamente. Incrociando questi dati con le autorizzazioni ambientali, si può verificare se ogni camino viene effettivamente usato per lo scopo a cui è autorizzato».
È il 16 giugno 2024, ci sono 40 gradi e Santoriello cerca riparo all’ombra degli alberi secchi che costeggiano il terminale, mentre valuta la migliore traiettoria visiva, il punto che gli consentirebbe di accostarsi il più possibile all’infrastruttura e raccogliere dati più accurati.
Cerca dunque di avvicinarsi al perimetro dei due impianti, nonostante sia sorvegliato da sistemi di sicurezza, con telecamere attive 24 ore su 24 e alte barriere di filo spinato per proteggere l’area.
Nei video girati dalla termocamera, il cielo è arancione-giallo, i comignoli degli sfiati si scuriscono e se ne riconosce solo la silhouette. Dalla loro cima, sbuffa qualcosa, come fosse fumo. È gas metano. La concentrazione di gas rilevata arriva anche a essere sei volte la concentrazione media (vedi box per i dettagli sulla misurazione).
È come una goccia di inchiostro in una vasca: si diffonde rapidamente e, pur non essendo enorme, riesce a cambiarne il colore, rendendosi quindi impattante nell’atmosfera. Già a livelli come questi, il rischio per la salute umana è significativo, poiché l’aria risulta contaminata.
«Queste emissioni possono essere evitate se non sono per scopi di emergenza», dichiara a IrpiMedia Alba Lorente, scienziata del metano dell’organizzazione non-profit americana Environmental defense fund osservando i dati raccolti.
«Nei video si osservano emissioni continue da fonti che non dovrebbero rilasciare gas. Anche se non sono quantitativamente significative, sono costanti e contribuiscono all’aumento delle concentrazioni di metano nell’area», sottolinea a IrpiMedia James Turitto, direttore delle campagne globali di Clean air task force (Catf). Catf è un’ong americana che da anni dispone di termocamere simili con cui monitora impianti in tutto il mondo a caccia di perdite di metano.
Già nel 2021, prima dell’entrata in vigore del regolamento europeo in materia, l’organizzazione aveva riscontrato una situazione simile per lo stesso sfiato dell’Interconnessione Tap. La sola esistenza di queste emissioni, secondo l’ong, è un fatto rilevante per il cambiamento climatico.
Nella risposta alle domande di IrpiMedia, l’ufficio stampa di Snam spiega che «quelle da voi rilevate non rappresentano intenzionali scarichi di gas dal “vent” (sfiato, ndr) in questione, di tipo operativo o emergenziale, ma sono “emissioni fuggitive”, dovute alla non perfetta tenuta interna di una componente usurata, che anche Snam rete gas ha rilevato grazie al proprio programma di monitoraggio e controllo, e che sta provvedendo ad eliminare».
La nota prosegue informando che il completamento delle modifiche impiantistiche, che dovranno tenere conto «sia la sicurezza sia la piena operatività dell’impianto», «è comunque previsto concludersi nei prossimi mesi».
La stessa perdita è però stata rilevata da due enti diversi a distanza di tre anni, e la possibilità di simili malfunzionamenti, per quanto certamente non intenzionali, non era stata minimamente prevista in fase di Valutazione di impatto ambientale (Via).
Snam è stata tra le prime società internazionali ad annunciare l’impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2040, anticipando gli obiettivi europei. Ha aderito all’iniziativa Oil&Gas Methane Partnership 2.0 (Ogmp 2.0), il programma di monitoraggio e mitigazione delle emissioni di metano promosso dal programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep).
Eppure nel suo impianto di Melendugno c’è un problema di trasparenza: i dati forniti da Snam nei propri report non sono abbastanza dettagliati per rendere possibile stimare le effettive emissioni di metano dello sfiato dell’Interconnessione Tap.
Non esistono nemmeno informazioni per capire quali siano le «modifiche impiantistiche» in corso né quali siano i tempi di riparazione. Spiegano che i dati in merito sono «condivisi con gli enti preposti», ma non è chiaro chi sia la terza parte indipendente che si preoccupa della verifica prevista dal regolamento sul metano.
A lamentarsi della mancata comunicazione di certi dati è stata anche l’amministrazione comunale di Melendugno. Durante la conferenza dei servizi del 23 ottobre del 2017, l’allora sindaco del paese sottolineava che «non risulta pervenuto o pubblicato nessun riferimento progettuale oltre a una planimetria indicativa» per l’Interconnessione Tap.
«Non è dato conoscere», si legge sempre nel verbale, nemmeno «il dettaglio delle manipolazioni e delle caratteristiche tecniche dello sfiato freddo», lo stesso filmato da CovaContro e Catf.
L’opera è stata poi autorizzata nel 2018 dal Consiglio dei ministri, presidente allora Paolo Gentiloni, a cui è stata deferita «la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti».
Anche secondo l’ingegnere Alessandro Manuelli, membro della Commissione Tap del Comune di Melendugno nel 2013, quel dato – fondamentale per l’amministrazione comunale per valutare le potenziali conseguenze ambientali sul territorio – non è mai stato fornito.
I risultati delle misurazioni nel dettaglio
La risposta di Tap Ag alle domande rispetto alle emissioni dei suoi due sfiati del terminal di Melendugno è del tutto in linea con quella di Snam.
L’azienda spiega di aver condotto «campagne di rilevamento e quantificazione delle “emissioni fuggitive”» fin dall’inizio dell’operatività del gasdotto, anche al terminal di Melendugno.
«Le “emissioni fuggitive” dagli sfiati (vents) da voi segnalate, erano già state rilevate e adeguatamente quantificate da Tap secondo i protocolli internazionali per il calcolo delle emissioni di metano, e comunicate alle autorità competenti – si legge nelle risposte –. Tap sta attualmente intraprendendo le azioni necessarie per risolvere queste “emissioni fuggitive”».
L’azienda aggiunge che le “emissioni fuggitive” di metano scovate dalla termocamera di Cova Contro sono «incluse nel Report Ghg aziendale condiviso con le autorità competenti su base annuale». Il documento in questione, il Greenhouse gas report (Report dei gas serra) in effetti contiene delle indicazioni sulle “emissioni fuggitive”.
Si legge infatti che Tap Ag ha adottato «numerosi accorgimenti progettuali per ridurre le emissioni di metano» oltre a un programma dedicato a individuare e riparare i malfunzionamenti che provocano “emissioni fuggitive” che ha portato all’ottenimento di risultati positivi rispetto alle previsioni della stessa azienda: 53% in meno di metano rilasciato e 70% in meno di “emissioni fuggitive” «principalmente grazie all’assenza di sfiati di emergenza richiesti (emergency venting in inglese, ndr)», al programma .
Nel rapporto si afferma anche che, fornendo gas naturale all’Europa, Tap Ag sta assumendo un ruolo sempre più significativo nel raggiungimento dell’impegno dell’Ue a ridurre le emissioni di carbonio.
Restano poi gli stessi problemi già riscontrati con Snam: poca chiarezza su tempi e modalità di intervento, nessun dettaglio su chi sia il verificatore dei monitoraggi sulle emissioni.
Promesse contro fatti
L’Unione europea continua a tenere posizioni ambivalenti sul gas liquefatto naturale. Da un lato, lo considera un’alternativa “verde” a carbone e petrolio. Dall’altro, nel giugno del 2024, introduce un regolamento per contenere le emissioni di metano perché le ritiene particolarmente dannose per il riscaldamento globale. Nel regolamento si legge che le pratiche di “routine” che bruciano ed emettono gas nell’aria sono del tutto vietate.
Nelle premesse si legge che le norme del regolamento «dovrebbero rafforzare la trasparenza riguardo alle importazioni di energia fossile nell’Unione e contribuire alla più ampia diffusione delle soluzioni di mitigazione delle emissioni del metano in tutto il mondo».
Trasparenza che però manca, come dimostrano Snam e Tap Ag a Melendugno. Lo stesso regolamento considera «orizzonti temporali di venti e cent’anni per il potenziale di riscaldamento globale», ovvero orizzonti temporali inadatti per rendere oggi le aziende più responsabili di fronte a queste omissioni e inefficienze che permettono ancora le emissioni di metano nell’aria.
Secondo l’Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia, circa il 40% delle emissioni globali di metano provengono dal settore energetico, secondo solo al settore agricolo.
Per approfondire
L’Ue promette che tenderà a diminuire la dipendenza da metano entro il 2030, ma non rinuncia a nuovi investimenti nel settore del gas. La Banca europea degli investimenti (Bei), la banca di proprietà di Paesi dentro e fuori l’Ue che si pone l’obiettivo di finanziare i progetti prioritari per l’Unione, nel 2018 ha staccato un finanziamento da 1,5 miliardi di euro per la costruzione della Tap, poi, l’anno successivo, ha dichiarato di non voler più sostenere progetti relativi a petrolio, gas e carbone, con l’obiettivo di diventare la prima “banca climatica” dopo il 2021.
Anche senza i soldi della Bei, nel gennaio del 2023 la Tap ha trovato finanziatori per realizzare l’aumento della sua capacità di trasporto, allo scopo di accogliere i venti miliardi di metri cubi all’anno che l’Ue ha chiesto all’Azerbaijan.
Un progetto, come ricorda il comunicato stampa dell’azienda, che rientra in REPowerEU, il piano per porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi e accelerare la transizione energetica.
Intanto per gli attivisti di CovaContro, il lavoro di vigilanza civica sembra essere appena iniziato. In seguito alle rilevazioni, hanno spiegato che il loro obiettivo principale è garantire trasparenza e fornire i dati alle associazioni locali e agli attivisti, organizzando incontri pubblici, informando la stampa locale e, data l’esistenza di indagini in corso, coinvolgendo anche la procura.
I dati raccolti sul campo verranno inviati a enti come l’ufficio ambiente della provincia, Arpa Puglia e la Regione, per stimolarli a dotarsi di strumenti adeguati per il monitoraggio. «I dati mostrano che i controlli attuali non bastano, e ci piacerebbe che il Comune di Melendugno, che riceve compensazioni economiche da TAP, investisse in strumenti come termocamere fisse esterne per realizzare verifiche indipendenti» propongono i rappresentanti di Covacontro.
Nonostante il gasdotto Tap sia un’infrastruttura relativamente recente, i dati raccolti sembrano indicare perdite costanti, come dagli impianti più datati.
«Questo mette in discussione gli impegni presi con il Green Deal e con gli accordi europei, che restano lettera morta se non vengono utilizzate le tecnologie giuste», affermano dall’associazione.
(foto da mailing list ambientalista, A.L.C., S.D., archivio GrIG)