Non applicare correttamente il diritto di derivazione comunitaria costa parecchio all’Italia e agli Italiani.
Talvolta ci sono inefficienze delle amministrazioni pubbliche (per esempio, nella carente gestione dei rifiuti, nella cattiva qualità dell’aria e nella deficitaria depurazione delle acque reflue), molto spesso dietro le violazioni del diritto europeo ci sono penosi interessi particolari di categorie che vengono difese e coccolate dai governi di turno per ragioni di clientela elettorale.
Imprenditori balneari, imprenditori alberghieri, cacciatori, minoranze corporative da tener buone a spese della collettività.
In caso di riscontrato contrasto con la normativa comunitaria, il GrIG ha chiesto l’apertura di una procedura di infrazione, ai sensi dell’art. 258 del Trattato UE (TFUE, versione unificata): qualora lo Stato membro non si adegui ai “pareri motivati” comunitari, la Commissione può inoltrare ricorso alla Corte di Giustizia europea, che, in caso di violazioni del diritto comunitario, dispone sentenza di condanna che può prevedere una sanzione pecuniaria (oltre alle spese del procedimento) commisurata alla gravità della violazione e al periodo di durata.
Le sanzioni pecuniarie conseguenti a una condanna al termine di una procedura di infrazione sono state fissate recentemente dalla Commissione europea con la Comunicazione Commissione SEC 2005 (1658): la sanzione minima per l’Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell’infrazione. L’esecuzione delle sentenze della Corte di Giustizia per gli aspetti pecuniari avviene molto rapidamente: la Commissione europea decurta direttamente i trasferimenti finanziari dovuti allo Stato membro condannato: in Italia gli effetti della sanzione pecuniaria vengono scaricati sull’Ente pubblico territoriale o altra amministrazione pubblica responsabile dell’illecito comunitario (art. 16 bis della legge n. 11/2005 e s.m.i.).
Attualmente sono ben 72 le procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, di queste 22 in materie ambientali.
Spesso e volentieri, quindi, l’Italia, cioè i cittadini italiani, cioè i contribuenti italiani, finiscono letteralmente per pagare le conseguenze delle eterne cambiali elettorali stipulate dalle forze politiche di volta in volta al governo.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2024
Come buttare un miliardo in dieci anni: dai rifiuti campani agli hotel sardi, ecco quanto ha pagato l’Italia per non aver rispettato direttive Ue. (Chiara Brusini)
Il conto sfiora quota 1 miliardo di euro in un decennio. Di cui 952 milioni solo tra 2015 e 2022. Soldi che avrebbero potuto andare alla sanità, all’istruzione, al sostegno alle famiglie. E che in questa fase farebbero di sicuro comodo al governo, alle prese con la messa a punto di una manovra che richiede di trovare una ventina di miliardi solo per prorogare misure già in vigore come il taglio del cuneo fiscale e l’Irpef a tre aliquote. Quel miliardo, invece, l’Italia ha dovuto versarlo alla Ue a titolo di sanzioni, indennità di mora e penali per non aver recepito o non aver attuato direttive comunitarie. Ecco spiegato perché Palazzo Chigi dopo anni di melina ritiene indispensabile trovare a stretto giro – si parla di pochi giorni – un accordo con la Commissione sulla messa a gara delle concessioni balneari, anche rimangiandosi le promesse fatte negli anni alla categoria, prima del deferimento alla Corte di giustizia europea. Quel dossier rischia di andare ad aggiungersi ai sei per i quali la Penisola ha già sborsato fior di risorse, come emerge dalla Relazione annuale sui rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea approvata dalla Corte dei conti lo scorso giugno.
Premessa: la condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie è davvero l’extrema ratio. A cui si arriva solo dopo un iter che può durare anni: dopo una prima lettera di messa in mora, in caso di risposta insoddisfacente dello Stato membro la Commissione emette un parere motivato in cui assegna un termine entro cui la violazione va sanata. Se il Paese continua a non adeguarsi, cioè a non rispettare regole decise dall’Unione di cui fa parte, può scattare il ricorso per inadempimento davanti alla Corte di giustizia (Cgue). A quel punto si va a sentenza e se viene accertata l’infrazione bisogna rimettersi in riga. Chi continua a non farlo è doppiamente inadempiente. La Commissione torna allora a rivolgersi alla Corte indicando la somma forfettaria o la penalità giornaliera che ritiene adeguata. I giudici verificano e comminano l’eventuale sanzione. Insomma: ce ne vuole. Eppure la Penisola è andata a sbattere per sei volte tra 2011 e 2020, risultando destinataria di altrettante “seconde condanne” con conseguenti multe salate. E la lista potrebbe allungarsi ulteriormente. Prima ancora che per non aver attuato la Bolkestein per altri 20 dossier su cui sono aperte altrettante procedure di infrazione per non aver ottemperato a precedenti decisioni della Cgue.
Più di 260 milioni per le discariche abusive – Tre delle seconde condanne ricevute finora riguardano il settore ambientale. Nel mirino sono finite innanzitutto, nel 2014, 200 discariche abusive che ci sono costate 40 milioni di sanzione forfettaria seguita da penalità semestrali decrescenti mano a mano che alcuni dei siti abusivi o da bonificare – da Mormanno, in Calabria, a Paternò, in Sicilia – venivano messi in regola. Per un totale, secondo la Corte, di 261,8 milioni al 2022, a cui vanno aggiunti stando alla documentazione sul sito del commissario unico per la bonifica 10,2 milioni richiesti per il 2023 e il primo semestre 2024. Al momento restano solo una decina di discariche non conformi ancora sotto osservazione.
Rifiuti in Campania e acque reflue – L’anno dopo, nel 2015, per il mancato completamento della capacità di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti in Campania attraverso discariche, termovalorizzatori e impianti di recupero dell’organico è scattata una multa forfettaria da 20 milioni seguita da corpose semestrali per 120mila euro al giorno che pagheremo fino a quando il problema verrà risolto. A fine 2022 il totale sborsato per la cosiddetta “sentenza ecoballe” ammontava a 311 milioni. Ne abbiamo invece pagati 142,8 sulla base di una sentenza del 2018 per il non corretto trattamento delle acque reflue in 237 agglomerati urbani, nodo su cui sono state aperte ben quattro procedure di infrazione. In questo caso i versamenti si fermano al primo semestre del 2021, ma non perché la situazione sia stata sanata: nel frattempo Roma è stata anzi nuovamente deferita alla Corte di giustizia per il permanere di situazioni critiche in 41 aree. La Commissione chiede di condannarci a pagare 13.640 per ogni giorno tra una precedente sentenza del 2014 e la data della seconda sentenza più una mora giornaliera di 122.760 euro dalla seconda sentenza a quando ci conformeremo alla pronuncia.
Contratti agevolati e sgravi alle imprese veneziane – Proseguendo con il catalogo degli esborsi, una quarta condanna riguarda i sostegni all’occupazione: la Ue aveva contestato come aiuti illegali le agevolazioni contributive concesse alle imprese che avevano assunto giovani con il contratto di formazione e lavoro, prima che fosse abolito dalla riforma Biagi. Avendo recuperato solo una parte di quelle somme, nel 2011 l’Italia è stata chiamata a versare 30 milioni una tantum seguiti da un importo commisurato alle cifre ancora non restituite. Ad oggi abbiamo pagato più di 80 milioni. E ancora: dal 2017, dopo 30 milioni di sanzione forfettaria corrisposta nel 2015, 24 milioni all’anno sono stati impiegati per le penali legate ad altri aiuti ritenuti illegittimi dalla Ue, quelli di metà anni Novanta per le imprese del territorio di Venezia e Chioggia. Il contenzioso si è chiuso nel marzo 2023. Cartellino del prezzo: 158,8 milioni.
Gli alberghi sardi e le sei procedure vicine alla seconda condanna – Per chiudere in bellezza, nel marzo 2020 in piena emergenza Covid è arrivata l’ultima “seconda condanna”. È arrivato al pettine il nodo dei finanziamenti concessi nel 1998 dalla regione Sardegna ai suoi albergatori per “la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture”. Poco meno di 14 milioni di aiuti erano stati dichiarati incompatibili con il mercato comune (il relativo bando era stato notificato in ritardo alle autorità europee) e l’Italia non aveva fatto tutto il possibile per recuperarli. Risultato: condanna a pagare 7,5 milioni subito e altri 80mila euro al giorno fino alla completa restituzione delle somme ricevute dagli hotel. Lo Stato ha pagato 35,6 milioni di penalità e la scorsa primavera il dossier è stato archiviato, facendo scendere a 63 il numero delle infrazioni a carico dell’Italia ancora pendenti. Peccato che nel frattempo ne siano state aperte altre: a fine luglio il cruscotto del dipartimento per gli Affari europei ne censiva 72. Sei delle quali, stando all’ultima relazione semestrale della Ragioneria generale, sono vicine al secondo pronunciamento della Corte Ue che potrebbe decidere nuove sanzioni.
(foto da mailing list ambientalista, J.I., S.D., archivio GrIG)