Luca Steinmann / Il fronte russo

1 year ago 56

“Quando il 18 febbraio 2022 entravo nei territori filorussi del Donbass, passando dalla Russia, mai mi sarei aspettato che poche ore dopo Mosca avrebbe chiuso i confini di quella regione, impedendo così ad altri giornalisti e osservatori non russi di documentare l’attacco che stava per lanciare. In questo modo sono diventato quasi l’unico testimone che ha vissuto in prima persona l’inizio del conflitto sul lato dei russi.
Resomi immediatamente conto dell’unicità della mia posizione ho quindi deciso di rimanere nel Donbass e di continuare a raccontare la guerra al seguito dei soldati di Putin. Per un anno li ho seguiti nelle loro avanzate, nelle ritirate, durante gli assedi, nel mezzo degli scontri armati, negli ospedali, durante i rastrellamenti. Il Fronte Russo racconta dunque il primo anno del conflitto ucraino da me vissuto in prima linea. In esso si ripercorrono tutte le fasi più decisive e sanguinose della guerra. L’iniziale attacco contro Kiev, l’assedio di Mariupol, le battaglie intorno all’acciaieria Azovstal e l’evacuazione dei civili verso la Russia, le offensive contro Severodonetsk e Lisichansk, le ritirate da Kharkiv e Kherson, i pesanti bombardamenti ucraini su Donetsk e tante altre battaglie. Sono poi stato il primo ad entrare nella centrale nucleare di Zaporizhya mentre bombe e missili piovevano intorno ai reattori nucleari, facendo rischiare a tutto il pianeta una nuova Chernobyl. Mentre il mondo guardava con apprensione a queste battaglie da fuori io mi trovavo nel loro cuore.

Ne ‘Il Fronte russo’ (Rizzoli) viene data voce, senza filtri, a coloro che, loro malgrado, sono i protagonisti di questa guerra. Quindi ai soldati: russi, filorussi o appartenenti ad eserciti alleati a quello di Mosca, per esempio ai ceceni e ai contractor del Gruppo Wagner; ma soprattutto alla popolazione civile rimasta intrappolata tra i due fronti.
Migliaia di innocenti la cui colpa è di vivere in una terra che da ormai nove anni è martoriata da un conflitto fratricida. Vengono raccontate storie di famiglie distrutte o divise, di fughe disperate dalle zone di guerra, di chi invece decide di
rimanere nonostante le bombe, di chi per mesi vive sottoterra per ripararsi dalle bombe, senza potersi lavare o avere alcuna notizia dalla superficie. Ogni volta che scendevo in una di queste catacombe mi imbattevo in persone di tutte le età, uomini e donne, vecchi e bambini.
Tutte disperate, con poca acqua e cibo. Eppure, la prima cosa che mi chiedevano era quasi sempre la stessa: volevano avere informazioni su quello che succedeva al di fuori del loro nascondiglio, sapere se i loro cari fossero vivi o morti. Poi, spesso mi venivano messi in mano dei biglietti di carta con sopra scritti dei numeri di telefono dei parenti e mi veniva chiesto, quando avrei potuto, di chiamarli per comunicare che i loro cari erano vivi. Oppure per annunciare loro che erano stati uccisi. Storie, queste, che purtroppo continuo a ritrovare tutt’oggi, mentre continuo a raccontare questa guerra. Una guerra che, temo, non finirà a breve”. (Luca Steinmann)

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