Mario Lancisi / Don Milani

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“Quando il 26 giugno 1967 morì don Lorenzo Milani a 44 anni per una leucemia, ero poco più che un ragazzo tifosissimo della Fiorentina (erano gli anni ruggenti del secondo scudetto), leggevo Antonio Ghirelli, Gianni Brera e il suo Guerin sportivo, ma ignoravo l’esistenza del priore di Barbiana. Che aveva incendiato, lo scoprirò più tardi, gli anni pigri e bigotti della Chiesa e dell’Italia di quel tempo con tre opere fondamentali. ‘Esperienze pastorali’ (1958), libro condannato dal Sant’Uffizio e ritirato dal commercio. ‘L’obbedienza non è più una virtù’ (1965) in difesa dell’obiezione di coscienza, che gli procurerà, già morto da quattro mesi, una condanna in appello, nell’ottobre del 1967. E infine ‘Lettera a una professoressa’ che, uscita un mese prima della morte del priore, anticiperà la rivolta studentesca del Sessantotto.

La ‘Lettera’, un best seller tradotto in molte lingue, ha avuto milioni di lettori. Io fui uno tra questi. Da figlio di mezzadri mi sono ritrovato a frequentare il liceo classico e in quarta ginnasio venni respinto. Incerto se ripetere o andare a lavorare, qualcuno mi suggerì di leggere ‘Lettera a una professoressa’. Già l’incipit iniziò a farmi sobbalzare il cuore. “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”. Procedo nella lettura tra voglia di ridere e di piangere, un po’ come era capitato, così ha raccontato, a Pier Paolo Pasolini. La Lettera esprimeva tutto quello che io sentivo dentro ma non sapevo tirare fuori per timidezza, mancanza di cultura e di capacità di usare la parola come fionda dei sentimenti. La grande lezione di don Milani: se un povero possiede la parola è come se possedesse la fionda usata da Davide contro Golia.

Il maneggio delle parole diventa così il mio mestiere e don Milani un punto di riferimento culturale e spirituale. Quasi mezzo secolo di studi e incontri. Con la mamma del priore, Alice Weiss, una triestina dai legami colti, Joyce, Svevo, Freud. Il nipote Andrea, il Pierino della ‘Lettera’. Alcuni suoi compagni di sacerdozio, tra i quali Silvano Piovanelli, che da arcivescovo di Firenze sarà il primo prelato a salire, nel 1986, i sentieri di Barbiana (poi lo farà papa Francesco, il 20 giugno 2017). Il segretario di papa Giovanni Loris Capovilla, che ebbe occhi di riguardo nei confronti di don Milani, nonostante l’avversione della Curia fiorentina del tempo. Amici e allievi del priore. Neera Fallaci, sorella di Oriana, autrice della migliore biografia del priore. Vera Spadoni, la professoressa comunista destinataria della ‘Lettera’. E Adele Corradi, la professoressa “buona” (“diversa da tutte le altre”, le scriverà don Milani), che invece ha contribuito con i ragazzi di Barbiana a scriverla.

Nell’anno in cui si celebra il centenario della nascita di Lorenzo Milani, il 27 maggio 1923, ho voluto scrivere, raccogliendo l’insieme degli studi e degli incontri di mezzo secolo, una sorta di biografia definitiva per mettere pace tra il priore e le mie inquietudini. Ma non so se ci sono riuscito perché, come ha scritto il giornalista Gigi Ghirotti, “nella mia memoria don Lorenzo rappresenta un morto irrequieto, che non lascia vivere in pace. Me lo porto dietro così, come un aculeo, un dubbio grave della coscienza: sono questi, dopo tutto, i morti che non muoiono mai”. (Mario Lancisi)

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