Massimo Nava / Quella sera in galleria

1 year ago 48

Non è stato facile scrivere la biografia romanzata di Eugenio Torelli Viollier, il fondatore del ‘Corriere della Sera’, artefice di un’impresa impossibile, se solo si ricorda che il giornale fu lanciato da quattro amici senza soldi, ‘Quella sera in Galleria’, a Milano.
Non è stato facile poiché, in contrasto con l’importanza della figura nel panorama giornalistico, le notizie d’archivio sulla sua vita erano incredibilmente scarse: né lui si era dato da fare per farne circolare molte. Inoltre, nella storia del ‘Corriere’ e nella considerazione dei lettori, è stato oscurato da Luigi Albertini, il direttore del grande sviluppo del giornale, anche se pochi sanno che fu segretario di redazione all’epoca di Torelli Viollier, al quale va dunque anche il merito di avere scelto un successore così capace e così autorevole.

Non è stato facile, ma è stata un’avventura lunga e appassionante, cominciata da giovane inviato a Napoli, quando scoprii per caso la raccolta de l’Indipendente, il giornale diretto da Alexander Dumas di cui Torelli fu segretario, traduttore e poi redattore. Torelli lo seguì a Parigi, dove fece esperienza di corrispondente per riviste italiane ed ebbe la possibilità di esplorare grandi imprese editoriali dell’epoca. E a Parigi ho ritrovato le tracce di quel soggiorno e dell’amicizia con lo scrittore.


“Si devono dare tutte le notizie, anche quelle che dispiacciono”, “Lettore, vogliamo parlarti chiaro”. Ecco due concetti emblematici del modo con cui Torelli intendeva il giornalismo. E’ una lezione validissima anche oggi, entrata nei cromosomi del giornale, a prescindere dalle diverse sensibilità di direttori e proprietà che si sono avvicendate. Eugenio Torelli Viollier concepì il ‘Corriere’ con spirito di autonomia e indipendenza di giudizio, specchio dell’Italia unitaria e di una città, Milano, che guardava all’Europa.

Disponeva di un capitale modesto e poteva contare su una pattuglia di amici, precari come lui e come lui animati da passione civile e spirito garibaldino. La redazione fu organizzata nella Galleria Vittorio Emanuele, da poco inaugurata: due sole stanzette, ma un indirizzo prestigioso, a due passi dalla Scala, nel cuore della Milano mondana che, uscendo dai teatri e dagli eleganti caffè, avrebbe sentito subito gli strilloni annunciare l’uscita del giornale.
Torelli voleva contribuire a un’Italia migliore, libera, giusta, nel solco delle grandi potenze europee.
Cercando le tracce vaghe e controverse della sua vita, ho anche scoperto un intellettuale schivo e riservato, mai di parte. Era un conservatore, che tuttavia non esitò a condannare la crudele repressione dei moti milanesi ordinata dal generale Bava Beccaris. “L’arbitrio sostituisce la legge (…) A vedere trattata così la libertà di stampa mi sento ferito nel più intimo della mia coscienza di cittadino”, scrisse, quando fu costretto a farsi da parte.

Torelli fu il primo a introdurre mentalità e tradizioni del giornalismo anglosassone, il primo a mandare all’estero corrispondenti e inviati speciali, il primo a difendere la propria autonomia con la proprietà. Un’inquietudine interiore non lo abbandonò mai: “Vivo in un ordine d’idee che sarebbe inteso a dir molto da venticinque lettori, ma mi sforzo di continuare a credere che gli altri ventimila o centomila vogliano capirmi.” (Massimo Nava)

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