Nuovo nucleare: la mappa dei mini-reattori nel mondo
Sono circa un’ottantina i progetti di sviluppo del “nuovo nucleare” in corso nel mondo. Le tre superpotenze annunciate dei mini-reattori modulari sono Cina, Stati Uniti e Russia – senza dimenticare Corea del Sud e Giappone – ma anche in Europa si registrano diverse manovre.
La mappa del nuovo nucleare: Cina e Russia
Ad oggi Cina e Russia sono gli unici due Paesi ad aver sviluppato modelli operativi del “nuovo nucleare”. Gli unici mini-reattori attualmente in funzione nel mondo sono infatti il cinese HTR-PM, composto da due moduli da 250 megawatt ciascuno, entrato in funzione nel 2021 e connesso alla rete elettrica, e il russo KLT-40S – due moduli da 150 megawatt –, operativo dal 2020 e attualmente in grado di fornire elettricità e calore a Pevek, città sul Mare della Siberia Orientale isolata dalla rete elettrica.
Il Cremlino, per mano del Rosatom, l’ente statale per l’energia atomica, sostiene inoltre con fondi pubblici lo sviluppo dei mini-reattori “Ritm”.
Mosca e Pechino marciano a passo spedito per affermarsi come pionieri di questa nuova tecnologia. Nel 2021, presso la centrale nucleare di Changjiang, sull’isola cinese di Hainan, è iniziata la costruzione del primo modello commerciale al mondo di SMR, il “Linglong One”, che dovrebbe entrare in funzione tra il 2026 e il 2027 con la prospettiva di essere poi prodotto in serie ed esportato all’estero.
Anche la Corea del Sud è in prima fila tra i Paesi attivi sul fronte del “nuovo nucleare”: il coreano “Smart” rappresenta il primo modello di mini-reattore modulare ad aver completato l’intera fase di licensing già nel 2012. Seul, inoltre, ha stipulato accordi di collaborazione con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Canada per la costruzione di reattori SMR e ha recentemente annunciato un piano per creare un hub industriale a sostegno della catena di fornitura e della competitività industriale nazionale nello sviluppo e commercializzazione a livello globale dei reattori di piccola taglia.
Una menzione a parte merita invece il Giappone: il reattore nipponico “Httr”– progettato inizialmente per dimostrare l’applicazione del nucleare per la produzione di calore – è operativo dall’inizio degli anni Duemila e oggi è in fase di manutenzione per essere reimpiegato nella produzione di idrogeno.
Usa e Argentina
Negli Stati Uniti la società Terrapower ha avviato la scorso giugno in Wyoming la costruzione del primo modello dimostrativo di mini-reattore. Nel Paese si contano diciannove modelli di SMR in fase di sviluppo: per due di questi – “NuScale Power” e “Kairos Power” – sono già state avanzate le richieste di approvazione del design propedeutiche a ottenere la licenza di costruzione.
Anche in Canada il settore nucleare si sta attivando. La società elettrica pubblica Ontario Power Generation ha commissionato la costruzione di tre piccoli reattori modulari, mentre la multinazionale giapponese Hitachi è in attesa che le autorità canadesi diano l’approvazione definitiva del modello “BWRX-300”.
Ma nel continente americano si segnala come Paese all’avanguardia anche l’Argentina, dove il mini-reattore “Carem” – interamente finanziato dal Governo – ha ottenuto già la licenza di costruzione.
Spostandoci in Europa, nel gennaio di quest’anno il Governo britannico ha pubblicato la roadmap strategica del nucleare, il cui obiettivo è arrivare a soddisfare con l’energia nucleare il 25% dei consumi elettrici del Paese entro il 2050 puntando sugli Small Modular Reactors, da affiancare al nucleare “tradizionale” e alle fonti rinnovabili. Nel 2020 Londra ha annunciato l’Advanced Nuclear Fund, stanziando oltre 250 milioni di euro per lo sviluppo dei mini-reattori e circa 200 milioni di euro per la ricerca sugli AMR. Inoltre il Governo britannico ha istituito l’ente Great British Nuclear con il compito di selezionare e sostenere le tecnologie SMR più promettenti: al termine del processo sono state selezionate cinque aziende, che lo scorso luglio hanno presentato le rispettive offerte iniziali per la realizzazione dei diversi modelli di mini-reattori con l’obiettivo di raggiungere una decisione finale di investimento entro la fine del 2029. Intanto la Rolls Royce ha ricevuto il via libera da parte del Governo e sta collaborando con le autorità locali per individuare un sito dove realizzare un mini-reattore.
Anche il Governo francese sta investendo sul “nuovo nucleare”, con un sostegno pubblico di oltre 1 miliardo di euro fino al 2030 dedicato ai reattori innovativi, di cui la metà destinata agli SMR. E la compagnia elettrica nazionale Edf ha messo a punto “Nuward”, il primo reattore di piccola taglia sottoposto alla valutazione congiunta (Joint Early Review) a livello europeo.
Qualcosa si muove nell’Europa dell’Est. In Polonia il National Centre for Nuclear Research mira a costruire il reattore “HTGR-POLA” in collaborazione con l’agenzia nucleare giapponese Jaea, mentre in Romania nel 2023 l’Autorità regolatoria locale ha approvato la licenza iniziale per l’installazione di una centrale SMR VOYGR-6 sviluppata dagli statunitensi di NuScale.
I piccoli reattori e l’Unione europea
Il nucleare è stato incluso nella Tassonomia Europea in quanto considerato una tecnologia eco-sostenibile.
Lo scorso marzo, in occasione del Nuclear Energy Summit tenutosi a Bruxelles, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha sostenuto che i reattori sono fondamentali, insieme alle fonti rinnovabili, per realizzare quella transizione energetica necessaria a centrare gli obiettivi climatici.
In quegli stessi giorni la Commissione ha costituito la European Industrial Alliance sugli SMR con l’obiettivo di promuovere un programma europeo comune e creare le migliori condizioni per la diffusione del “nuovo nucleare” in tutto il territorio dell’Ue. L’Alleanza europea si pone come centro di coordinamento tra le varie esperienze pubbliche e private dei singoli Stati membri: l’obiettivo è costruire i primi modelli di SMR nel 2030. Entro marzo 2025 sarà definita un’apposita tabella di marcia.
La cooperazione tra i Paesi europei per lo sviluppo dei piccoli reattori modulari è una condizione necessaria per assicurare la standardizzazione dei modelli nei vari mercati nazionali e la creazione di un unico mercato concentrato sullo sviluppo di una tecnologia europea, in grado di beneficiare delle economie di scala.
Il nuovo nucleare e l’elettrificazione
Lo sviluppo del “nuovo nucleare” viene considerato dagli addetti ai lavori una possibile soluzione anche al tema della crescente domanda di elettricità a livello globale.
Già negli ultimi due decenni i consumi elettrici mondiali sono aumentati notevolmente, passando dai 16.261 terawattora del 2000 ai 25.530 del 2023. Ma si stima che nei prossimi venticinque anni la domanda potrebbe conoscere un’accelerata mai vista, arrivando fino a 72.107 terawattora nel 2050, il triplo del dato attuale.
I principali fattori trainanti di questa impennata sono quattro: l’incremento della popolazione mondiale, lo sviluppo economico delle nazioni emergenti e le transizioni ecologica e digitale.
Quanto ai primi due aspetti, basti citare gli esempi di Cina e India, i due Paesi più popolosi in assoluto, dove si prevede che nel 2050 la domanda di elettricità sarà aumentata rispettivamente del 97,4% e del 274% rispetto al 2022.
Se guardiamo all’Europa, invece, il nocciolo della questione si sposta su un piano diverso. Il Vecchio Continente, come noto, è alle prese con una grave crisi demografica: a metà secolo si calcola che la popolazione europea non solo non sarà aumentata ma sarà diminuita rispetto a oggi (da 449,2 milioni di abitanti nel 2024 a 447,9 milioni nel 2050). Ciò nonostante, secondo gli esperti, a quella data la domanda di energia elettrica dovrebbe essere raddoppiata o triplicata.
Com’è possibile che meno abitanti utilizzino volumi di elettricità fino a tre volte maggiori? Qui entrano in gioco gli altri due fattori da considerare. Da un lato, l’elettrificazione dei consumi decisa per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione; dall’altro, l’aumento della necessità di capacità di calcolo, che sarà accelerata significativamente dalle evoluzioni del digitale, in primis intelligenza artificiale e computer quantistici.
Nei prossimi anni in Europa assisteremo a trasformazioni epocali. La più evidente riguarderà il settore dei trasporti, che fino a oggi ha camminato per il 99% sui combustibili fossili: a partire dal 2035, come noto, sul territorio dell’Ue sarà vietato vendere auto nuove a benzina, diesel o metano, una rivoluzione che poterà milioni di automobilisti a viaggiare su mezzi elettrici.
Secondo il Piano Nazionale Energia e Clima, in Italia già nel 2030 le auto elettriche e ibride plug-in circolanti saranno 6,6 milioni, a fronte delle 462mila di oggi. E nel 2050 le vetture a batteria nel nostro Paese saranno il 50% del totale, contro l’1% attuale.
Sempre nell’ottica della transizione verso un’energia pulita, anche nel settore residenziale si annunciano grandi cambiamenti che faranno aumentare la domanda di elettricità. Le pompe di calore, in particolare, contribuiranno significativamente a questo incremento, elettrificando i sistemi di raffrescamento e riscaldamento degli ambienti domestici. In Italia si prevede che saranno installate 10 milioni di pompe di calore aggiuntive entro il 2030: dagli 1,6 milioni di impianti del 2020 si a 11,6 milioni nel 2030.
Poi c’è l’altra grande rivoluzione che farà impennare i consumi elettrici: quella digitale. Come noto, infatti, i servizi online di internet sono supportati da infrastrutture fisiche, i data center, che sono fortemente energivore. Già oggi in Paesi come l’Irlanda l’attività dei data center assorbe da sola il 18% della domanda elettrica, ma nei prossimi decenni l’esplosione annunciata dell’intelligenza artificiale e l’avvento sul mercato dei computer ad alta perfomance determineranno un incremento esponenziale del consumo di elettricità nel mondo.
Per dare un’idea della portata del cambiamento, basti pensare che il Supercomputer europeo che Leonardo ha installato a Bologna – capace di effettuare 250 trilioni di operazioni al secondo – consuma un quantitativo di energia elettrica paragonabile a quello di una città come Modena.
Ecco allora che il nucleare – forte anche del fatto di essere una fonte non intermittente e decarbonizzata – si pone come la potenziale soluzione al problema del boom della domanda elettrica che ci attende. Non a caso, alcune Big Tech stanno investendo in data center alimentati da centrali nucleari: Microsoft, ad esempio, ha recentemente firmato un’intesa ventennale con Constellation Energy per riattivare la centrale dismessa di Three Mile Island, in Pennsylvania.